Through the glass
Lei
può vederti, dannazione.
Lei
ti ha già visto.
L’aria del
centro di detenzione non era mai stata pesante come quel giorno. Non
aveva avuto problemi a sostare lì; per lui la permanenza in
quel luogo era poco più che una sosta, era praticamente
certo che ne sarebbe uscito, con l’aiuto di Wright, si
intende.
Tutto ciò
che doveva fare per ottenere l’assoluzione era starsene buono
per un po’ e fare il suo mestiere: fingere.
Ma, quel giorno,
l’aria che si respirava nella sala visite era quanto di
peggio avesse mai percepito in ventun anni di vita. Si aspettava di
incontrare il suo piccolo
amico, ma ben più sgradevole fu la sorpresa.
Non era preparato a trovarsi davanti una ragazzina sui diciotto anni
avvolta in un cappotto nero, con un’aria troppo seria per la
sua età e i capelli troppo chiari per essere americana.
Aveva un brutto presentimento riguardo a lei, tuttavia si fece forza e
sfoderò il suo sorriso migliore, attendendo che la giovane
si degnasse di rivolgergli la parola – quando avrebbe smesso
di fissarlo con aria sospettosa.
«Guten Morgen»,
disse con tono neutro, tirando fuori dalla borsetta un taccuino e una
penna stilografica. “Sofisticata,
lei”, pensò, senza distogliere lo
sguardo. Aveva belle movenze, si era detto, per poi scacciare
l’immagine dalla sua mente con rabbia; non doveva abbassare
la guardia. “Spero
sia una di quelle ochette che vuole il mio autografo. Ma
c’è qualcosa di troppo familiare in lei, e non mi
piace”.
«V-vuoi il
mio autografo?», le chiese con gentilezza, continuando a
sorridere. Pregò in cuor suo che rispondesse di
sì. Ma come poteva una qualsiasi ragazza entrare in un
centro di detenzione solo per incontrarlo? Era matematicamente
impossibile. Aveva incominciato a sudare freddo.
«Vedo che,
oltre alle apparenze da perfetto sciocco, lei è anche ben
disinformato, Herr Engarde. Non segue molti processi, vero? Eppure tra
poco dovrà farci l’onore di presenziare in
aula…», disse la ragazza, ghignando.
I modi, la voce, e
quelle parole tedesche inserite qui e lì avrebbero dovuto
insospettirlo anche più di quanto non avessero
già fatto.
«…procuratore
von Karma», la salutò, sforzandosi di mantenere un
sorriso che gli stava già praticamente morendo sulle labbra.
Aveva sentito parlare di lei, e tutte le varie
“leggende” che giravano sul suo conto. Ma si
aspettava di trovarsela direttamente in tribunale, non nella sua tana.
Osservandola meglio,
Matt si rese conto di quanto in realtà avesse ben poco degli
anni che dimostrava: la postura rigida e professionale, lo sguardo
pieno di disprezzo, il movimento appena percettibile delle labbra in
segno di disgusto, tutto faceva pensare ad una donna matura, e non ad
una giovinetta appena uscita dalle scuole superiori.
«Saltiamo i
convenevoli e le smancerie, se possibile», disse Franziska,
marcando con particolare enfasi le ultime due parole. Il tono di
superiorità che la caratterizzava aveva già fatto
andare Matt interiormente in escandescenze, ma non poteva permettersi
il lusso di mostrarle l’irritazione che provava.
«…e, prima che inizi col suo sciocco
tono da femminuccia indifesa, ci terrei a dirle che mi è
bastata un’occhiata per capire una cosa: lei non mi
ingannerà mai, e non capisco come abbia fatto a fare le
scarpe a tanti sciocchi», disse poi, guardandolo dritto negli
occhi.
Matt stava per cedere.
Era troppo da sopportare, tutto in una volta. Scoperto senza neppure
aver parlato? Non sia mai detto. Doveva tentare il tutto per tutto,
così sfoderò la sua migliore espressione
perplessa. Si preannunciava una guerra senza esclusione di colpi.
La mano sinistra di
Franziska teneva saldamente la stilografica e scarabocchiava cose per
lui apparentemente prive di significato su uno dei fogli bianchi del
taccuino. Non sapeva cosa stesse scrivendo, ma il solo fatto che lo
facesse senza guardare lo metteva a disagio.
«Io non
capisco, procuratore. C-che cosa vuole da me…?»,
domandò Matt, fingendo sorpresa. Fare il coglione era una
delle cose che gli riusciva meglio, nelle situazioni disperate.
«Non faccia finta di non saperlo. Le ho già detto
che non mi inganna. Basta guardarla negli occhi per capire che lei ha
qualcosa da nascondere», disse la ragazza, sorridendo e
picchiettando il retro della penna sul foglio. «Crede di
riuscire a sopportare un piccolo interrogatorio fuori dalle regole
oppure preferisce continuare a frignare, Herr Engarde?»,
domandò poi, socchiudendo gli occhi.
Matt fu scosso da un
brivido. Una parte di esso non era di chiara provenienza, ma
l’altra parte era rabbia. Una rabbia che l’avrebbe
spinto ad infrangere il vetro che li separava e ad agguantarle il collo
delicato per stringerlo fino a strangolarla, se non fosse stato
così lucido da trattenersi. Il procuratore lo stava
palesemente sfidando, ma non avrebbe potuto scoprire le proprie carte
in un luogo visibile e controllato come quello. Doveva tenerle testa ad
ogni costo.
«Procuratore,
lei non può permettersi di interrogarmi in queste
circostanze! Chiamerò il mio avvocato!»,
esclamò Matt, posando la mano sulla tastiera del cellulare
che era installato nel polsino, pronto a farsi soccorrere. Anche se avrebbe preferito che
fosse lei a doversi far soccorrere.
Accadde
però qualcosa. Fu varcato un limite che il giovane non si
aspettava che quella donna fosse capace di superare.
Il procuratore gli
afferrò il polso sinistro, coprendo la tastiera, attraverso
l’apertura del vetro. Il contatto con la mano avvolta nei
guanti neri lo fece sussultare impercettibilmente.
“Avanti, bello,
perché cazzo stai tremando davanti ad una lurida troietta
nazista? Cos’ha in più di tutte le
altre?”, si chiedeva, mentre lo sguardo di lei
gli spiava la mente – ed era fermamente convinto di questo.
Sapeva
perché temeva quella donna, almeno.
La conosceva da poco,
senz’altro, ma era il suo sguardo la cosa che più
lo terrorizzava.
Lei poteva vedere.
Franziska von Karma
era riuscita in pochi minuti a vedere al di là della
maschera del bravo ragazzo, dell’emerito ebete, dello sciocco. Doveva
aver carpito i suoi segreti, la sua personalità, la sua essenza,
probabilmente.
Franziska lo aveva violato.
Ma lui non demordeva,
aveva il dovere morale di proteggere ciò che rimaneva della
sua maschera. Doveva negare l’evidenza, come aveva sempre
fatto.
«E’
capace di essere uomo, per una volta? E’ capace di non
comportarsi da perfetto sciocco
e di non fingere, una volta nella vita?», domandò
Franziska, impassibile, ritirando la mano. Se non fosse stato in una
posizione così svantaggiosa, Matt l’avrebbe
trascinata verso di sé e le avrebbe torto il polso fino a
vederla piangere – cosa non facile, visto il soggetto.
Gli sarebbe piaciuto
ripagarla con la stessa moneta: penetrare tutte le sue difese
e ridurla in pezzi, come lei stava tentando di fare (anche con un certo successo,
dovette ammettere). Gliel’avrebbe fatta pagare per il solo
fatto di averlo infastidito a tal punto. Avrebbe fatto la stessa fine
di Adrian.
Lui
l’avrebbe rovinata. Legale o no che fosse, la sua vera natura
era qualcosa che soltanto lui e pochi altri potevano conoscere. E una
perfetta sconosciuta non poteva neppure pensare di azzardarsi a
guardargli dentro con tanta naturalezza e, soprattutto, senza il suo esplicito permesso.
Franziska, in quelle
circostanze, rappresentava la legge. Ma a lui fregava ben poco della
legge.
“Aspetta e vedrai,
Hitler. Aspetta e vedrai…”,
pensò; la palpebra gli tremava un poco.
E lei sorrideva.
Sorrideva come poteva sorridere un sadico davanti alla vittima
torturata. Sorrideva come una bambina che non è stata
sorpresa a fare dispetti al gatto. Sorrideva,
dannazione, sorrideva.
E lui aveva iniziato a
detestare quel sorriso.
La curva delle sue
labbra gli procurava acidità di stomaco. Il suo viso a
stento gli permetteva di trattenere i conati. In quel momento avrebbe
preferito CHIUNQUE a lei. Persino Corrida.
Eppure, era
interessante come una ragazzina, poco più che diciottenne,
fosse riuscita ad accorgersi che la sua era tutta una farsa. Poteva una
donna essere intelligente fino a quel punto?
«…come
vuole. Si sbrighi, però, non vorrei che perdessimo troppo
tempo», disse Matt, ormai il suo sorriso smagliante era
ridotto a poco più che un accenno forzato. Quello di
Franziska, invece, rimaneva intatto e lo mandava in bestia.
«…Perfetto.
E non si disturbi. Ho tutto
il tempo di questo mondo», rispose lei, accavallando le gambe
(Matt non potè vederla, ma sentì il rumore delle
calze che sfregavano – anche
il rumore riuscì ad irritarlo).
«Incominciamo?»,
domandò poi, aprendo nuovamente il taccuino.
“Oh,
sì. E questo è soltanto l’inizio,
stronza. Soltanto l’inizio dell’inferno che ti
farò passare non appena sarò fuori da qui.
Perché tu non mi avrai mai,
ragazzina. Mai.”
L’interrogatorio
sembrò durare molte più ore delle due ore che
effettivamente durò. Quelle domande gli parvero
fin troppo stupide, ma ormai era palese che Franziska si
fosse recata da lui al solo scopo di farlo cedere, di stuzzicarlo e mandarlo in bestia,
cosa nella quale riusciva egregiamente. Ogni movimento del corpo di lei
gli faceva perdere minimo cinque o sei anni di viva, e si radicava
sempre più forte la convinzione di essere ripreso da qualche
telecamera nascosta oltre che dalla telecamera di sorveglianza.
I modi eleganti di
Franziska gli davano il voltastomaco. Lei gli dava il
voltastomaco.
Era
un’inaudita perdita di tempo alla quale non poteva sottrarsi.
E realizzò quanto fosse ingiusto che i rompicoglioni fossero
sempre dalla parte della legge.
Fu travolto da
un’ondata di gioia che avrebbe voluto sfogare Dio solo sa
come quando, finalmente, dopo quella che gli parve
un’eternità, il procuratore trasse un lungo
respiro per poi annunciare la fine di quella messa in scena. Franziska
ripose penna e taccuino, e si alzò senza neppure degnarsi di
guardarlo un’ultima volta.
«Per oggi
è tutto», si limitò a dire. «Auf wiedersehen».
«Procuratore?»,
la chiamò lui. «Credo di doverle dire una cosa,
prima che se ne vada».
La donna non si
scompose. Altre ragazze avrebbero avuto un attacco di cuore, al suo
posto, ma lei rimase impassibile, e girò leggermente il
viso, senza neppure voltarsi del tutto. Lo guardò con la
coda dell’occhio, come se fosse un qualunque miserabile.
«…lei
non mi avrà mai, procuratore. Mai»,
sibilò Matt, sogghignando e scoprendosi la parte del viso
nascosta dal ciuffo, rivelando le tre cicatrici che gli sfregiavano
l’occhio destro. Franziska mantenne l’aria
impassibile, ma Matt poté percepire un senso di vaga
sorpresa in lei, che ricambiò il suo sorriso come se niente
fosse.
«Questo lo
vedremo, Herr Sfregiato.
Lo vedremo in tribunale. Ha fatto una mossa falsa a cedere, proprio
quando mi ero convinta che lei non avesse niente che non va.
Così mi riconferma soltanto di essere uno stupido sciocco.
Ciò detto, beh, Auf
wiedersehen. Ci si vede in aula».
Il rumore dei tacchi
alti di Franziska rimbombò nella mente di lui mentre la
guardava allontanarsi con incedere altero.
Non
aveva la minima idea di ciò che le sarebbe capitato.
«…Quello
che vedrai sarà ben altro, stronza»,
mormorò, il ghigno ancora stampato sul viso, mentre il
ciuffo scendeva di nuovo a coprire l’occhio mutilato.
Incominciò a comporre un numero sulla tastiera, quella stessa tastiera che
quella puttanella gli aveva coperto poco prima, per poi invitarlo ad
“essere uomo”. Voleva vedere di cosa
era capace? Benissimo.
Avrebbe avuto pane per
i suoi denti.
«Pronto?»,
rispose la voce dall’altro capo
«Mr. De
Killer, purtroppo credo ci sia dell’altro lavoro per lei.
C’è un moscerino fastidioso che va eliminato quanto prima».
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