valzer
Valzer
"Alice
laughed: "There's no use trying," she said; "one can't
believe impossible things." "I daresay you haven't had much
practice," said the Queen. "When I was younger, I always
did it for half an hour a day. Why, sometimes I've believed as many
as six impossible things before breakfast." -- Alice in
Wonderland
Per questioni ancor oggi
tutte da chiarire, i camerieri del ristorante Al Teatro erano vestiti
tutti con uno smoking bianco panna. Perfino il papillon lo era, tanto
da essere invisibile sulle camicie perfettamente immacolate degli
impeccabili servitori.
-Sono tutti uomini,- notò
ad alta voce Sofia, -e hanno tutti dei baffetti a spadino.-
Il suo interlocutore sorrise
e invece di ribattere che “baffetti a spadino” era una
definizione un po' bizzarra, bevve un sorso di vino rosso dal nome
francese.
-Mi piace che un uomo mi
ascolti,- continuò la ragazza, -e che non faccia smorfie strane
quando dico assurdità.
Gli antipasti arrivarono e
non ebbero il tempo di ambientarsi che già i filetti di pesce spada
incalzavano, seguiti a ruota da un sorbetto vagamente alcolico.
La conversazione languiva
non per mancanza di argomenti, ma perché entrambi non appartenevano
a quel tipo di persone che sa raccontare storie, ma solo intervenire
nei discorsi altrui con commenti azzeccati e risate al punto giusto.
“In fondo non chiedo poi
molto,” pensò Sophia mentre il cervo in pasta sfoglia veniva
adagiato sui piatti con deferenza commovente, “un uomo gentile, ma
che non mi porti la colazione a letto, che non sopporto fare
briciole.”
Senza nessun preavviso, il
suo interlocutore aprì bocca, suscitando uno stupore tra gli astanti
paragonabile a quello dell'annuncio di una rapina a mano armata. -Mi
parli di lei.- disse semplicemente.
Mai quattro parole ebbero
effetto così disastroso su mente umana: Sofia collassò internamente
e solo con l'aiuto del vino riuscì a mantenersi nell'aldiqua; pur
evitando quello sguardo azzurro che l'illuminazione poetica definiva
come “una scintilla d'oceano”, trovando qualche sillaba
superstite e un alito di fiato riuscì a rispondere:
-Mi faccia delle domande.-
Il suo interlocutore sorrise
ancora, probabilmente la sua religione glielo imponeva.
-Potrei chiederle da dove
viene, per esempio. O che scuole ha frequentato. Le chiederei della
sua famiglia.-
-Annuirebbe nei punti
giusti?-
-Farei anche commenti
appropriati.-
-Prossima domanda.-
-Che razza di persona crede
che io sia?- chiese gentilmente il suo interlocutore, a dispetto
dell'apparente brutalità della domanda.
Improvvisamente il mondo
tornò a girare come prima e Sofia potè togliersi la flebo di rosso.
“Finalmente le persone ricominciano a parlare del loro argomento
preferito, cioè loro stesse.” pensò. Il fatto che il suo
interlocutore rientrasse in quella schiera di persona non la toccò
minimamente.
-Lei è gentile, lo si
capisce da come si guarda indietro quando esce da una porta, come per
controllare di aver qualcuno a cui tenerla aperta.-
-Mi ha osservato molto
bene.- disse il suo interlocutore nascondendo il rossore dietro il
bicchiere ormai vuoto -Eppure io di lei non so niente.-
-Non sono un esame che si
può preparare in una sera,- rispose Sofia molto stupita di essere
riuscita a formulare la frase giusta al momento giusto, come se la
proverbiale lampadina si fosse illuminata in quella parte del
cervello relegata al linguaggio.
Perfino i lampadari
brillarono per un attimo di una luce più intensa.
-Immagino di no.- disse lui
con l'onnipresente sorriso sulle labbra. Il silenzio scelse proprio
quel momento per andare in bagno, lasciando la sala in una cacofonia
tale e improvvisa che i due si sentirono immersi in un frastuono
assordante, o forse era solo l'assenza di una delle loro voci a
rendere il resto del mondo un sottofondo fastidioso.
-Le devo confessare che il
suo invito mi ha lasciato piuttosto spiazzato.-
Il tovagliolo color panna
scivolò dalle ginocchia di Sofia, che se ne accorse solo dopo aver
visto un cameriere scivolare sul pezzo di stoffa incriminato e
atterrare con grazia sul tavolo a fianco. Le sopracciglia della
ragazza si alzarono per la sorpresa: non pensava che i tovaglioli
potessero essere così scivolosi.
-Spiazzato? Mi sarei
aspettata piuttosto un discorso del tipo “trovo inopportuno che una
studentessa chieda appuntamenti a un professore”, al che io avrei
prontamente risposto che lei non è un professore, e che comunque non
frequento più i suoi corsi. Non so cosa rispondere alla sua
affermazione.-
L'uomo sembrò voler dire
qualcosa, ma ci ripensò. Il vino era finito, e senza di esso non
aveva possibilità di nascondersi dietro al bicchiere. Meglio tacere.
-Se non si trova a suo agio
preferisco che me lo dica subito. Non ha senso che l'unica a trovare
piacevole la mia compagnia sia io.-
Ora il suo interlocutore
sapeva cosa dire, ma non l'avrebbe detto perché era una cosa ovvia,
e se c'era una cosa che aveva capito di quella ragazza in quei
sessanta minuti era che non apprezzava le ovvietà.
Il silenzio rientrò dal
bagno con aria soddisfatta.
Le labbra di Sofia si
costrinsero in un sorriso, illudendosi di poter competere con la sua
bocca molto più esperta, ma fallendo miseramente. Poi qualcosa la
colpì, un pensiero improvviso, o come un osservatore più attento
avrebbe detto, un ricordo.
-Lei è rimasto spiazzato
perché io non sono bellissima.- disse flebilmente portandosi la mano
alla bocca, come se le fosse appena sfuggito un segreto militare.
L'espressione del suo
interlocutore le comunicò un centinaio di emozioni diverse, ma
quella dominante restava la confusione.
-Non... io... ma cosa...-
balbettò lui, subito interrotto da un gesto della ragazza.
-Lasci stare, so benissimo
cosa si aspettava. Conosco voi matematici, vi credete il Russel Crowe
della situazione...-
Le calle nel vaso
all'ingresso si adombrarono un poco al fragore della risata che
rieccheggiò per la sala. Sofia sentiva delle vibrazioni quando
appoggiava le mani sul grande tamburo indio nel patio di sua zia a
San Paolo, ma quel suono... quel suono percuoteva la sua cassa
toracica come una scimmia impazzita sul vecchio tamburo.
-Davvero, lei deve pensare
che io sia un gran presuntuoso per paragonarmi al signor Nash.- disse
il suo interlocutore quando la tempesta gli passò. Un cameriere
passò discreto dietro di lui, spargendo odore di arrosto.
-Mi perdoni, a volte perdo
il controllo di ciò che dico. Essere inopportuna mi riesce
naturale.- mormorò Sofia abbassando il capo, -a volte fatico a
comprendere quello che dico io stessa!-
-Non importa, ho capito.
Cioè, penso di aver capito che si riferisse a un certo film in cui
una studentessa chiede un appuntamento a un certo premio Nobel per la
matematica... n'est-ce pas?-
-Oui, au moins je crois...-
mormorò ancora lei, come se temesse di rompere i bicchieri se avesse
ricominciato a parlare con un tono normale. E poi, perché stavano
parlando francese?
-”Quello che non sai dire
in inglese, dillo in francese”.- disse lui, leggendole nel
pensiero.
Interessante.
-Lei è un mago?- chiese
Sofia con occhi così scintillanti che i cristalli del lampadario
arrossirono di vergogna. Le sopracciglia del suo interlocutore si
alzarono in contemporanea ai lati della sua bocca, creando un quadro
d'insieme che rendeva giustizia alla parola “adorabile”.
-No. E lei è pazza?-
-Questa domanda, seppur
legittima, è oltremodo offensiva.- rispose Sofia storcendo il naso.
-E poi, la pazzia di questi tempi sembra andare di moda. Lo trovano
divertente, un modo per credersi diversi; sono fondamentalmente dei
romantici. Patetici.-
Una mano interminabile si
allungò sul tavolo, andando a prendere un foglietto ripiegato su un
piattino di argento che si era materializzato dal nulla. Sofia
avrebbe impedito a quella mano di avventarsi sul conto, se l'azione
non avesse implicato il toccarla. Se la sua risata la ribaltava, non
era il caso provare a vedere l'effetto che le avrebbe fatto toccare
la sua mano, almeno non in pubblico.
Un osservatore più
malizioso avrebbe commentato che Sofia non aveva un soldo.
Quell'osservatore non ha ragione di esistere in questo racconto.
-La prego, lasci stare...-
balbettò Sofia al culmine dell'emozione. -sono stata io ad
invitarla, mi permetta...-
-L'unica cosa che le
permetterò di fare, signorina, sarà di accettare che le offra la
cena, e che mi prometta di pranzare con me domani.-
“La cavalleria non è
morta, ma è prerogativa dei matti.”, pensò Sofia abbassando lo
sguardo senza opporre ulteriore resistenza. L'avevano educata bene i
suoi, sempre cercare di rifiutare prima, accettare di buon grado poi.
-Grazie.-
Il rumore di una bottiglia
stappata la fece sussultare; il grattare della sedia sul pavimento
mentre si alzavano entrambi contemporaneamente quasi la fece morire.
Era come l'ultima nota di un notturno di Chopin, se non l'avesse
trovato insopportabilmente banale e abusato. Era il segnale che la
serata stava per finire, l'ultimo morto di una guerra vinta.
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