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Avviso: Questa storia si ispira ad un mito minore di quelli che ruotano attorno alla guerra di Troia narrata nell'Iliade, perciò, sebbene la storia si trovi nella sezione Originali, la trama non è interamente da me inventata, ma trae ispirazione da un mito già esistente. Mi scuso inoltre con i lettori che l'avessero già letta per non avere inserito prima questo avviso. I personaggi non mi appartengono e storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
PELEIOS KAI QETIS
PELEO E TETI
Passeggiavo lungo la spiaggia di Ftia.
Il mare era meraviglioso quel giorno, ma io
non vi prestai particolare attenzione. Avevo, infatti, molti altri pensieri che
mi affollavano la mente.
Nei giorni precedenti mi erano giunte
notizie su mio fratello e la morte di mio padre.
Ripensavo perciò al giorno in cui io e mio
fratello Telamone avevamo ucciso il nostro fratellastro Foco lanciando un disco
ed eravamo così stati cacciati da nostro padre.
Eravamo fuggiti ed avevamo cominciato ad
errare per molte terre a noi ignote.
Telamone era più giovane di me di alcuni
anni e perciò, presto, il suo spirito esuberante di ragazzo lo aveva portato a
separarsi da me per cercare fortuna da solo. Io lo avevo lasciato andare. Del
resto era grande ormai ed era figlio di un re: se la sarebbe cavata benissimo
anche da solo.
Telamone si era recato con Eracle, che tutti
dicevano figlio di Zeus, ad Ilio: una grande città della Troade, in Asia Minore,
ricca di metalli e di spezie.
Ilio era la città le cui mura erano state
erette da nostro padre Eaco con l’aiuto di Poseidone, signore del mare, ed
Apollo, signore della luce.
Sapevo che Eracle aveva liberato la città da
un mostro marino, al quale il re avrebbe dovuto offrire in sacrificio sua figlia
Esione per placare la collera del Dio che l’aveva inviato. In cambio di questo
favore fatto al sovrano, il semidio aveva preteso alcuni dei leggendari cavalli
di Ilio, ma l’avaro Laomedonte glieli aveva negati. Allora il figlio di Zeus,
assieme a mio fratello, aveva ucciso Laomedonte ed i suoi figli.
Con quest’atto però, Telamone ed Eracle, si
erano guadagnati l’inimicizia di Ilio…
Improvvisamente scacciai questi funesti
pensieri perché qualche cosa attirò la mia attenzione.
Volsi il mio sguardo verso l’azzurro mare
della Tessaglia e vi scorsi una figura immersa completamente, che nuotava e di
cui si scorgeva solamente la testa.
Rimasi immobile ad osservarla per un po’,
fino a che non capii che ciò che avevo visto in mare era una donna.
Mi vergognai di me stesso per aver osservato
così insistentemente e così a lungo una donna, ma subito questi sensi di colpa
se ne andarono ed io fui di nuovo attratto da quella figura.
Aveva lunghi capelli neri, che sembravano
formare una voragine attorno alla loro proprietaria.
Ella si stava avvicinando, io perciò mi
allontanai e mi nascosi dietro una pianta, continuando però ad osservarla, quasi
i miei occhi si nutrissero di quella vista.
Poco dopo, la giovane donna giunse a riva e
si alzò in piedi.
I lunghi capelli neri bagnati le si
appiccicarono al corpo, lungo tutta la schiena e sui seni, fino a coprirli
interamente con la loro massa scura.
La pelle della donna era candida come una
perla e faceva un enorme contrasto con il colore nero dei capelli.
Ella rimase in piedi, immersa fino alla vita
nel mare, giocherellando con l’acqua chiara.
Io rimasi ad osservarla per molto tempo,
incantato da lei e dalla sua figura esile e madreperlacea.
Il Fato volle che spostassi
involontariamente un ramo della pianta dietro la quale mi ero nascosto,
attirando così la sua attenzione. La giovane voltò il capo nella mia direzione
e, appena mi vide, fece cenno di avvicinarmi.
Io uscii dal mio nascondiglio a testa alta,
cercando di nascondere il mio imbarazzo.
Lei stava in piedi, immersa fino alla vita
in mare.
Non era girata completamente verso di me, ma
solo la sua testa era voltata nella mia direzione e mi guardava con un’occhiata
di rimprovero.
I suoi occhi!
Appena incrociai il loro sguardo mi sentii
rabbrividire.
Erano azzurri e profondi, ma il loro colore
era indefinibile poiché tutti i verdi, gli azzurri ed i blu del mare erano
riuniti in essi. In loro ci si poteva perdere come i naufraghi in mare.
Entrambi restammo in silenzio a guardarci.
Fu lei a parlare per prima: -Chi mai sei tu,
che osi posare impudicamente i tuoi bramosi e libidinosi occhi su di me, che
sono una sacerdotessa di Poseidone Cronide, signore del mare, e che solo lui ho
deciso di servire ed onorare; nessun altro uomo, né mortale né divino?-
Io puntai i miei occhi dentro i suoi, prima
di rispondere: -Io non sono nessuno, signora. Solo un uomo: incantato dalla
bellezza sconfinata della sacerdotessa di Poseidone, signore del mare e
scuotitore della terra. Ti posso giurare sugli Dei Immortali che mai i miei
occhi mortali si posarono su una donna più bella e desiderabile di te: tu
potresti competere per grazia e fascino con Afrodite Pandemia.-
Lei si accigliò e mi guardò con disprezzo:
-Che blasfeme parole uscirono dalla tua bocca mortale? Io ti dico invero,
affinché tu lo sappia, che non sono interessata agli uomini mortali: nella mia
vita ho scelto di servire gli Dei Immortali. Per questo non ti consiglio di
sfidarli in codesto modo oltraggioso, mettendo me in competizione con una Dea
potente come Afrodite Pandemia, figlia di Zeus Cronide e Dione dagli occhi
belli. Nessuna donna o Dea è più bella di lei.-
Sul mio viso apparve un sorrisetto e dissi:
-Può darsi che sia vero ciò che tu dici, ma anche la tua bellezza è grande, ed è
un terribile oltraggio che solo gli Dei possano approfittare di tanto splendore
e tanta piacevolezza, signora…-
Il suo sguardo mi zittì.
Di nuovo quel suo sguardo profondo come il
mare!
Di nuovo mi fissava con quegli occhi!
Io avevo avuto una moglie e molte donne mi
avevano attratto, ma mai nessuna come quella che mi trovavo davanti in quel
momento.
Dovevo averla!
Doveva essere mia!
Adesso non saprei dire cosa in lei mi
affascinasse tanto, ma era qualche cosa che andava oltre la sua bellezza.
Qualche cosa che non ho ancora identificato, ma che mi manca da morire ora che
ella non è più con me.
Quando mi fui ripreso dallo sguardo di
quella donna misteriosa, le dissi: -Mi dispiace, non volevo offenderti con
parole o con fatti. Che io possa scendere sottoterra ora, se con un sol verbo
avessi offeso la tua persona… ma, tu hai un nome oppure devo continuare a
chiamarti signora?-
Lei mi voltò le spalle e disse: -Non penso
che tu sia degno di chiamarmi per nome, poiché io sono una sacerdotessa! Inoltre
non una sacerdotessa di un Dio qualsiasi, ma di Poseidone Cronide. Mai bocca
mortale osò pronunciare il mio nome, anche perché nessuno lo conosce.-
-Tu sarai anche una sacerdotessa, signora, -
sottolineai quella parola volutamente, per indispettirla.
Mi piaceva ancora di più quando era
arrabbiata!
-Ma io sono re – continuai – e perciò
desidero conoscere il tuo nome ed utilizzarlo qualora mi facesse piacere. Non
sono un uomo come tutti quelli che hai conosciuto fino ad ora, ma discendo da
una famiglia reale. Mio padre era un re ed il padre di mio padre era Zeus Egioco
in persona.-
Lei volse di nuovo la testa nella mia
direzione e mi disse, con tono aggressivo:
-Tu sarai anche re e discendente di Zeus
Cronide, ma io sono la figlia di due divinità: io discendo direttamente da due
Immortali, mentre tu hai il Tonante come discendente molto più remoto: come avo.
Nereo è mio padre e Doride dagli occhi belli mia madre, perciò io esigo il
rispetto che merito, essendo figlia di due Dei.-
La guardai con stupore e poi aggiunsi con
scetticismo: -Non conosco queste divinità di cui tu parli, poiché sono Dei della
vecchia religione: io non sacrifico pingui prede per loro e non li venero nella
mia nobile casa. E poi, perché dovrei credere alle tue parole? Non posso sapere
se sono veritiere.-
Sul viso di lei apparve un sorrisetto e mi
disse: -Ti basti dunque sapere che io vidi tuo padre Eaco, figlio di Zeus,
ancora giovine, erigere le sacre mura di Ilio divina, ed il mio aspetto, allora,
non era diverso da adesso. Io sono destinata a rimanere così per sempre. Anche
quando fra i tuoi capelli biondi e belli saranno apparsi dei fili bianchi, ed i
tuoi occhi castani come l’ambra saranno ingialliti, io sarò esattamente come tu
mi vedi adesso: tra i miei capelli non ci sarà un solo filo bianco ed i miei
occhi non ingialliranno.-
Cominciai a preoccuparmi.
“È realmente una Dea costei, che afferma di
aver visto Eaco, figlio di Zeus, costruire le mura di Ilio divina?” mi chiesi.
Il suo aspetto era quello di una donna
mortale, ma la sua pelle madreperlacea ed i suoi occhi, profondi come il mare,
non avevano nulla di umano. Furono proprio queste sue fattezze che mi misero il
dubbio: quegli occhi così profondi e blu portavano i segni di una vita lunga;
molto più lunga della vita dei comuni mortali…
Dovevo apparire molto stupito in quel
momento, poiché riuscii a far ridere la donna, fino ad allora rimasta così
seria.
-Teti è il mio nome: figlia di Nereo e di
Doride. Tu sei invece Peleo, figlio di Eaco e di Endeide. Tuo padre, essendo
caro agli Dei per la pietà e la dolcezza del suo carattere, siccome abitava su
di un’isola spopolata, Zeus Cronide, intenerito dalle sue incessanti e
compassionevoli preghiere, mutò in uomini delle formiche. Fu per questo che gli
abitanti dell’isola furono chiamati Mirmidoni. Tuo padre costruì poi, con
l’aiuto di Apollo, signore della luce, e Poseidone, signore del mare e
scuotitore della terra, le mura della sacra Ilio.-
-Sì signora, è come tu dici.- fu la sola
cosa che fui in grado di dire dopo questo suo discorso.
Fu così che conobbi Teti: colei che sarebbe
stata la mia seconda moglie, anche se per breve tempo.
Prima di poterla fare mia però, dovetti
faticare molto.
Il giorno stava volgendo al termine. Lei
alzò lo sguardo verso il cielo di Urano e fissò il sole. Il signore del sole,
Apollo, stava facendo scendere il suo grande carro trainato da cavalli infuocati
sopra l’orizzonte.
-È tardi. È giunto il momento di
congedarci.- disse lei.
Poi mi guardò.
-Addio nobile Peleo, figlio di Eaco. Non so
né quando, né come, né dove ci rivedremo, ma ho la sensazione che questo non
sarà il nostro ultimo incontro.- detto che ebbe questo, mi voltò le spalle, si
immerse di nuovo in mare e cominciò a nuotare, fino a che non scomparve alla mia
vista.
Anche io feci per tornare indietro fino al
mio palazzo, ma con immensa fatica.
Continuavo a voltarmi, nella speranza di
vederla emergere di nuovo dalle acque del mare di Tessaglia, ormai rese rosse
dalla luce del sole che calava sull’orizzonte.
Quando infine giunsi al mio palazzo, faticai
molto ad addormentarmi.
Pensavo a Teti.
Cercai più volte di scacciare quel pensiero,
ma con scarsi profitti.
Mai avevo provato una così forte attrazione
per una donna.
Ripensai al mio primo matrimonio.
Mia moglie Antigone era una donna buona e di
piacevole aspetto.
Ero felice con lei, ma poi il Fato si era
contrapposto alla nostra felicità. Dopo aver ucciso accidentalmente il padre di
lei, Eurizione, fui esiliato e lei mi seguì.
Ci rifugiammo presso la corte di Acasto ad
Iolco.
Io ero giovane e piacente allora e la regina
Astidamia si era innamorata di me.
Una volta che ci trovammo soli, ella mi
confessò il suo amore.
Io, spaventato pensando alla rabbia che
avrei potuto suscitare nel re e preoccupato per il dolore che avrebbe provato
Antigone se l’avessi tradita, dissi alla regina che non ricambiavo il suo amore;
il che era vero, ma lei si adirò tanto che volle vendicarsi. Disse infatti a mia
moglie che io la tradivo: la poveretta, dal dolore, s’impiccò.
Poi Astidamia si recò dal marito e gli disse
che la insidiavo.
Il re non mi uccise subito, ma mi portò a
caccia con lui, per poi lasciarmi senza armi nella foresta, in modo che le
bestie potessero divorarmi facilmente.
Venni però salvato da Chirone: un saggio
centauro che diventò, e sarebbe poi rimasto, il mio migliore amico.
Io allora, con l’aiuto di Chirone e di un
esercito inviatomi da Zeus Tonante, il quale altro non era che l’esercito di mio
padre, i Mirmidoni, scacciai Acasto dal suo regno ed uccisi Astidamia.
Fu così che conquistai Iolco e, in seguito,
Ftia.
Dopo la morte di mia moglie non fui più
attratto da nessuna donna, fino ad oggi.
Teti era stata la prima a suscitare in me
sensazioni che nessuna donna da tempo era riuscita a risvegliare.
In quel momento presi una decisione: avrei
ritrovato Teti e l’avrei fatta mia.
Così, giunto che fui a questa conclusione,
riuscii finalmente a dormire.
***
La mattina dopo, molto presto, feci sellare
il mio cavallo e partii.
Ero deciso a ritrovare Teti.
Con il mio destriero arrivai fino alla
spiaggia, sperando di trovarla, ma non fu così.
Decisi allora di andare fino al tempio di
Poseidone; esso però era lontano da dove mi trovavo io.
“Non importa quanto il tempio di Poseidone,
signore del mare e scuotitore della terra, sia lontano! Io lo raggiungerò!”
Ora non saprei spiegare il motivo di una
tale attrazione, ma posso solo dire che ero davvero innamorato; inoltre ero
giovane, o almeno più giovane di quanto non sia adesso, e questo alimentava la
mia passione.
Viaggiai tutto il giorno e parte della
notte, ma infine giunsi al tempio del signore del mare. Stando bene attento a
non fare il minimo rumore, vi entrai.
Il tempio era maestoso: costruito con
pregiati marmi e decorato con maestria. Io però prestai poca attenzione alle
decorazioni, passando oltre.
Volevo trovare le stanze dove dormivano le
sacerdotesse.
Non so come né perché, ma vi giunsi subito.
Reperii anche piuttosto in fretta la camera dove dormiva Teti.
Se non mi ero stupito per le decorazioni del
tempio, ebbi invece modo di meravigliarmi vedendo la camera in cui dormiva Teti.
La mia prima impressione fu quella di essere
entrato in una grotta ed infatti, poco dopo, mi accorsi che era proprio così.
Ella dormiva realmente in una grotta marina.
Il tempio, difatti, si affacciava sul mare.
Teti era addormentata davanti a me.
Bella.
Bellissima.
Fremetti davanti a tale sublime grazia:
indossava un leggero peplo; trasparente era, tanto che riuscii a vedere
attraverso di esso. Vidi i suoi seni perfetti, così piccoli, tondi e sodi,
trasparire attraverso le sue vesti.
L’enorme massa di capelli neri contornava il
suo meraviglioso viso.
Rimasi per un attimo a fissarla, incantato,
poi mi avvicinai silenziosamente.
Volevo possederla: il desiderio mi
sopraffece ed io non potei fare nulla per contrastarlo.
Prima di poter riflettere, afferrai le sue
esili braccia e cercai di penetrarla, ma lei mi si sottrasse nella maniera più
improbabile: si trasformò in uccello.
Rimasi molto sorpreso da questo: era dunque
vero ciò che mi aveva detto riguardo alle sue origini divine.
Dapprima rimasi immobile, meravigliato, ma
poi mi mossi, con un sorriso sulle labbra.
Così voleva farsi desiderare?
Ebbene, l’avrei accontentata.
Uscii dal tempio, montai sul mio cavallo e
cominciai a seguire il volo dell’uccello che era Teti.
Era un uccello azzurro come il mare, perciò
difficile da perdere di vista.
La seguii per un giorno intero, ma infine la
raggiunsi.
Si era ritrasformata in donna ed ora
ansimava, stanca dopo la fuga.
Sorrisi: -Ebbene? Ora non scappi più da me
né dalla mia brama, signora? Sei troppo stanca ed affaticata per sfuggirmi
un’altra volta, perciò lascia che io ti faccia mia: non è bello per una donna
opporre resistenza.-
Lei mi guardò con odio e si trasformò in un
albero.
Appena mi accorsi di ciò che stava per fare,
mi precipitai verso di lei, nel disperato tentativo di impedirglielo, ma fu più
veloce di me.
Presto mi trovai con, fra le braccia, la
dura corteccia di un alloro.
Sbuffai, divertito.
-E va bene, divina figlia di Nereo! Se la
metti in tali termini io starò al tuo crudele gioco, ma prima o poi dovrai
cedere ed allora cadrai nelle mie mani.-
Rimasi così tutta la notte lì, vegliando
presso l’albero d’alloro.
Mi riposai, ma anche lei poté recuperare le
forze; infatti, la mattina dopo, appena mi avvicinai, mutò nuovamente forma.
Divenne questa volta una tigre, come di quelle che si vedono solo in Asia.
Io mi ritrassi e lei scappò.
Salii allora a cavallo e la seguii; e così
per giorni e giorni.
Lei mutò più volte forma: divenne acqua,
fuoco, leone, serpente ed infine seppia.
Questo suo ultimo cambiamento avvenne
esattamente nel luogo del nostro primo incontro.
Così come all’inizio di questo lungo
inseguimento ero divertito, ora ero disperato.
La desideravo con tutto me stesso e non mi
sarei dato pace fino a quando non l’avessi avuta.
Pregai perciò gli Dei Immortali, non
aspettandomi però una risposta.
Ma commisi un errore: difatti il grande Dio
Proteo uscì dal mare e mi disse: -Se davvero desideri possedere Teti la Nereide,
divina figlia di Nereo, dovrai seguirla fino a che il carro del signore del sole
Apollo sarà scomparso oltre l’orizzonte e la Notte avrà preso il suo posto nel
cielo di Urano, senza farti scorgere né udire: quando Hypnos le avrà fatto
dimenticare il dolore provato durante il giorno, tu dovrai legarla, senza far
caso alle forme che assumerà, anche le più terribili e spaventose. Se ci
riuscirai, Teti sarà tua.-
Detto questo, il Dio sparì sott’acqua.
Feci come mi era stato detto. La seguii per
un giorno intero, fino a che non si fermò a riposare in una grotta. Mi avvicinai
e la legai. Lei cominciò a mutare forma, assumendo anche le più spaventose, ma
io non mi lasciai intimidire.
Infine lei cedette: -Vinci, sì, ma con
l’aiuto di un Dio!- mi disse stizzita, ma ormai era mia: la sposai.
Il matrimonio fu grandioso e ad esso furono
invitati gli Dei.
***
Eravamo sposati ormai da alcune lune.
Teti era incinta.
Io ero immensamente felice: nonostante non
fossi più giovane come un tempo, non avevo ancora avuto figli. Il mio primo
matrimonio, mi era già venuto il dubbio anni addietro, sarebbe risultato sterile
se fosse continuato, ma adesso finalmente avrei avuto un erede per il trono di
Tessaglia.
Anche Teti sembrava contenta del suo stato.
Malgrado i primi tempi si fosse rifiutata di
venire a letto con me e non mi avesse parlato, ora camminava con orgoglio per i
corridoi del palazzo, esibendo con vanto il suo ventre, reso gonfio dalla
gravidanza.
In quei giorni la sua pelle madreperlacea
aveva assunto un colorito rosato, inoltre la sua esile figura si era
impercettibilmente ingrossata: le erano aumentati di volume i fianchi, le
braccia ed i seni. Aveva un’aria molto più sana e la sua aurea divina sembrava
averla abbandonata.
Ora era simile a qualsiasi altra donna
mortale in attesa del primo figlio.
Con i lunghi capelli neri raccolti sotto un
prezioso diadema ed il suo corpo gravido avvolto in un peplo di lana bianco,
Teti sembrava un’altra persona: la sua espressione altera era scomparsa, per
lasciare spazio ad un viso gioioso e sorridente.
Attendevo con ansia la nascita del mio
erede, chiedendomi che sensazioni avrei provato, una volta divenuto padre.
Purtroppo però, ancora non sapevo che avrei
dovuto attendere molto più del previsto prima di poter provare tali impressioni.
***
Quel giorno tutto era in agitazione. Donne
andavano e venivano dalla stanza dove Teti avrebbe partorito.
Io mi sentivo smarrito: mai in tutta la mia
vita avevo provato una tale sensazione di impotenza, neppure quando avevo
conosciuto Teti la prima volta.
Il parto era un grande segreto femminile, al
quale gli uomini non potevano assistere; io lo sapevo bene, ma cercai in tutti i
modi di stare il più vicino possibile alla porta. Alla fine però la mia vecchia
nutrice, di nome Melissa, mi spinse via dicendo: -Insomma sire, nobile Eacide
Peleo, non ti angosciare in codesta maniera esagerata e sconveniente! Va’di là
fino a che non ti chiamerò io per vedere il tuo nobile erede! Come possiamo
altrimenti lavorare con te che ti aggiri come un’anima in pena davanti alla
stanza dove la nobile regina, tua consorte, Teti dagli occhi belli, dovrà
partorire?-
Io mi stupii, ma non ebbi neppure la forza o
l’istinto di arrabbiarmi per il tono utilizzato alla mia nutrice.
Solitamente non permettevo a nessuno di
parlarmi in quel modo, ma quel giorno non davo molta importanza a ciò che mi
accadeva attorno.
Così mi allontanai e mi diressi verso la
Stanza dei Tesori.
Lì, dopo aver osservato a lungo i preziosi
oggetti contenuti in essa, ne sollevai uno piuttosto pesante e cominciai a
guardarlo da vicino.
Era una grande armatura d’oro. Era
appartenuta a mio padre e poi era passata a me, ma ora essa sarebbe stata di mio
figlio.
“Non appena egli sarà abbastanza grande e
robusto per sopportare un simile peso!” mi dissi. Infatti, l’armatura era grande
e pesante, assai difficile da indossare anche per un uomo adulto.
“Oh, ma io sono sicuro che mio figlio la
saprà usare con maestria in guerra, rendendomi fiero di lui.”
Stavo riponendo l’armatura a terra, quando
udii dei passi che si avvicinavano.
Mi voltai e vidi entrare Melissa.
“È nato finalmente!” mi dissi.
Mi diressi verso di lei e le chiesi:
-Ebbene? Cos’è? Un maschio, vero? È un maschio?- poi, vedendo la sua
espressione, mi fermai.
-Cosa c’è? Perché discerno quest’espressione
mesta sul tuo volto? Cosa è mai accaduto? Parla donna, che io non debba rimanere
in un tale stato di inquietudine ancora per lungo tempo!-
La mia vecchia nutrice mi guardò e poi
scoppiò in lacrime.
-Tuo figlio… tuo figlio sire… è… è…-
-È cosa, per gli Dei Immortali, abitatori
dell’Olimpo?!-
-Morto. Era un maschio… ma è morto.-
Un enorme vuoto parve impossessarsi di me.
Morto?
Mio figlio era morto?
Non mi sembrava vero, non volevo crederci.
Melissa era sprofondata in un pianto dirotto
ed irrefrenabile.
Cercai di consolarla, ma anche io, in quel
momento, avrei avuto bisogno di conforto.
Infine ci separammo ed io chiesi: -Come sta
la regina, la nobile Teti dagli occhi belli?-
Lei parve agitata: -Bene, bene…- rispose.
Io, in quel momento, non notai la sua
agitazione, ma mi diressi verso camera mia.
Qui trovai Teti, distesa sul grande talamo.
I suoi capelli neri erano sciolti sulle
spalle ed umidi. Il vestito era appiccicato al corpo impregnato di sudore così
come la sua folta chioma.
Il suo viso era tornato del colore della
madreperla e la sua figura era ritornata esile come un tempo.
I segni della gravidanza, tralasciando la
fronte ed il corpo madidi, non si notavano neppure.
Io mi avvicinai a lei e le presi la mano.
-Mi dispiace. Mi dispiace immensamente,
moglie mia adorata. Non essere triste però a causa della terribile e disgraziata
morte di nostro figlio: sono sicuro che riusciremo presto ad averne un altro che
ci darà gioia e soddisfazioni immense, quante avrebbe potuto recarne ai nostri
cuori di genitori questo, che ora Thanatos, figlio dell’oscura Notte, ci ha
sottratto. Questo era solamente il primo parto, avvenuto forse anche in un
momento non favorevole, perciò è comprensibile che sia andato male.-
Lei mi guardò e mi sorrise: -Non ti
affliggere, mio sire, nobile Peleo. Anche tu, al mio pari, non devi essere
triste per la sorte di nostro figlio: egli in questo momento è sull’Olimpo
dorato, fra gli Dei Immortali.-
Io mi accigliai: perché non sembrava neanche
un poco rattristata per ciò che era accaduto a nostro figlio?
Infine la risolsi dicendomi che ella cercava
solo di vedere il lato ottimistico delle cose, e perciò non badai più a quel suo
strano comportamento.
Ero sicuro che presto avremmo avuto nostro
figlio fra le braccia, ma mi sbagliavo.
***
Nei successivi quattro anni e mezzo, Teti
rimase incinta altre sei volte.
Ormai sembrava felice di condividere il mio
letto e dover perciò subire il peso delle gravidanze.
Sei volte mi illusi di poter avere il mio
erede, e tutte e sei le volte le mie speranze furono deluse.
Mai però avevo veduto o udito Teti piangere
la morte dei nostri figli, il che mi era parso non poco strano.
Ad ogni modo, cominciai a perdere ogni
speranza.
Forse il problema stava nel seme e non nel
ventre all’interno del quale esso cresceva.
Del resto, anche la mia prima moglie non
aveva mai partorito, perciò, anche se di solito la colpa dei parti non riusciti
si attribuiva alle donne, io cominciai ad incolpare me stesso per tutti quei
fallimenti.
Questi pensieri però, furono presto
dimenticati. Infatti Teti era nuovamente incinta.
Era giunto il giorno del suo settimo parto,
ed io stavo passeggiando per i corridoi del palazzo, quando udii una donna
piangere.
Era la mia vecchia nutrice.
-Assassina! Assassina!- la udii
singhiozzare.
Mi venne un sospetto, un terribile sospetto.
Entrai nella stanza e mi misi davanti alla
vecchia, la quale cercò di ricomporsi, non appena mi vide.
Ma ormai era tardi: avevo udito le sue
parole ed avevo intenzione di comprenderle fino in fondo.
-Parla donna, e che le tue parole siano
veritiere, altrimenti subirai la mia terribile e devastante ira: a chi desti
dell’assassina, poco fa?-
-A nessuno grande sire, nobile figlio di
Eaco! A nessuno: stavo solo parlando fra me e me come una vecchia sciocca, non
hai motivo alcuno di preoccuparti!-
-Non mentire, vecchia! – l’aggredii io – Ti
ho chiaramente udita pronunciare tali parole accusatorie fra i singhiozzi e le
lagrime, perciò adesso mi dovrai dire la verità fino in fondo, altrimenti che la
devastante ira degli Dei si abbatta su di te!-
Lei mi osservò per un po’e poi scoppiò
nuovamente a piangere.
-Non posso! Non posso mio sire! Se parlerò
dovrò pagare il prezzo delle mie parole! Lei mi ucciderà!-
-Cosa intendi dire con questo discorso
funesto e terribile?! Chi ti ucciderà?! La regina Teti? È forse così?!-
Lei parve spaventata nell’udire queste
parole, ma, dopo essersi guardata attorno per un poco, annuì gravemente.
-Cosa fa?! Cosa fa?! È lei dunque ad
uccidere impunemente i nostri figli? È così?! È così, vero?! Parla donna, di’la
verità oppure che Atena, protettrice della giustizia, ti punisca!-
Melissa parve spaventata ed annuì di nuovo.
-Sì, sire, tu che governi con giustizia
sulla Tessaglia dalle belle spiagge, hai diritto di sapere: è come tu dici. La
tua divina consorte, la regina Teri dalle bianche braccia, nobile figlia di Dei,
ha ucciso i vostri figlioletti ancora prima che essi potessero venire al mondo
completamente.-
Io inorridii: -Cosa mai vai dicendo, donna?!
Tali orribili parole risultano difficili da credere. Come avrebbe fatto la
regina Teti dalle bianche braccia ad uccidere i nostri nobili eredi prima ancora
che essi venissero al mondo completamente?-
La vecchia donna scoppiò di nuovo in
irrefrenabili singhiozzi: -Oh nobile sire, terribile è descrivere la maniera
mostruosa mediante la quale ella uccideva le vostre innocenti creature! In modo
disumano faceva ciò! La regina ha sempre voluto partorire seduta su di uno
sgabello. Accomodata su di esso spingeva, in modo che la testa del bambino
uscisse dal suo ventre; quando essa cominciava ad intravedersi fra le sue
candide cosce, lei chiedeva che fosse portata dell’acqua bollente. La prima
volta non vi feci caso ed obbedii a questa sua richiesta; allora lei ci immerse
dentro la testa della povera creatura, uccidendola. Le volte successive cercai
di impedirlo, ma la regina Teti dagli occhi belli, figlia di Dei, mi minacciò
con terribili parole, ed usò su di me le sue spaventose magie! Così fui
costretta a fare come mi diceva anche le volte successive. Tua moglie è pazza,
sire! Ogni volta che una delle vostre innocenti creature veniva alla luce, per
venire subito da lei uccisa, ella rideva dicendo: “Un altro figlio Immortale!
Dei Immortali, prendetevi cura di mio figlio nella vostra dorata dimora!” Tu
devi fermarla: presto ucciderà anche il vostro settimo figlio, che adesso sta
per nascere!-
Ero riuscito a seguire il discorso a stento:
l’orrore contenuto in quelle parole era tale che mi risultò difficile
sopportarlo fino alla fine.
-Melissa! Melissa, vieni qua subito!- udii
la voce di Teti provenire dalla stanza dove soleva partorire.
Melissa, mi guardò smarrita, ma poi si
allontanò da me, per raggiungere Teti.
Io, dal canto mio, non avevo più intenzione
di permettere a mia moglie di uccidere i nostri figli, perciò seguii la nutrice.
Giunto che fui davanti alla camera dove Teti
stava partorendo, spinsi la porta con violenza ed entrai, ignorando gli urli
scandalizzati delle donne.
Entrai in un ambiente umido e colmo di caldi
vapori.
Vidi mia moglie completamente nuda e sudata,
seduta su di uno sgabello, il viso contratto dallo sforzo: infatti, stava
spingendo, in modo da permettere al bambino di uscire dal suo corpo.
Appena mi vide, un’espressione terrorizzata
apparve sul suo viso.
-Sciagurata! – la aggredii io – Assassina
della tua stessa prole, cosa mai hai fatto! Così il motivo per cui i nostri
innocenti figli morivano eri tu?! Ed io che avevo cominciato a pensare di essere
colpevole di tali morti!-
Lei voltò il viso verso Melissa e la guardò
con odio.
-Guai a te, signora, se oserai utilizzare i
tuoi divini poteri su Melissa al fine di ucciderla! Non è stata lei a dirmi le
cose orribili che tu fai ai tuoi stessi figli!-
Non era del tutto vero, ma preferii mentire.
Teti volse di nuovo lo sguardo nella mia
direzione.
Uno sguardo che mi fece rabbrividire: carico
di odio.
-Vattene Peleo, figlio di Eaco! Tu non puoi
capire ciò che faccio, né mai lo capiresti! I nostri nobili figli ora sono con
gli Dei: sono anch’essi Immortali come i divini Olimpi! Vorresti forse
paragonare la dorata e meravigliosa vita degli Dei Immortali con quella triste e
tediosa dei mortali che abitano la terra, destinati un giorno a morire ed
aggirarsi, per il resto della loro immortale esistenza, nell’Ade tenebroso?!-
Io la guardai con sguardo omicida.
-Tu sei pazza, signora! Uccidere il sangue
del tuo sangue al fine di perseguire un tuo stupido sogno di immortalità! Ma
adesso ne ho abbastanza. Non ti premetterò di uccidere anche il nostro ultimo
figlio: egli sarà l’erede al trono della Tessaglia dalle belle spiagge, e
colmerà di orgoglio il mio cuore come tutti gli altri miei figli mai potranno
fare a causa tua e della tua pazzia.-
Detto questo mi avvicinai, ma lei urlò: -No!
I miei figli sono fra gli Immortali divini e tu non impedirai a quest’ultimo di
raggiungere l’Olimpo dorato! Melissa, porta l’acqua!-
-Non osare!- gridai io.
Teti si voltò verso di me e mi fissò con i
suoi occhi freddi e terribili.
-Allora, se la metti così, nobile figlio di
Eaco, provvederò io stessa ad ucciderlo. Gli schiaccerò la testa: non importa
quanto dovrò soffrire, né quanto dolore proverò, ciò che conta è che anche
questo nostro figlio vada a vivere sull’Olimpo dorato e diventi immortale!-
Detto questo cominciò a stringere le gambe
con uno sforzo immane, nel tentativo di non far uscire la testa del bambino. Il
volto le si arrossò a causa della pena, ma se avesse continuato così sarebbe
riuscita nel suo intento.
Io allora l’afferrai per le braccia,
cercando di farle allentare la tensione.
Si vedeva che Teti stava soffrendo molto.
Poco dopo cominciò ad urlare dal dolore,
infatti, vidi la testa del bambino spuntare dal suo condotto vaginale. Mi
inginocchiai sotto di lei e afferrai il bambino, che ella cercava di trattenere,
inutilmente, all’interno di sé.
Infine tagliai il cordone ombelicale e potei
stringere fra le braccia il mio primo figlio.
Era un bellissimo bambino; così bello che ne
rimasi affascinato.
Teti scoppiò in lacrime.
-Sciagurato! L’hai sottratto dalle mani
degli Dei Immortali, dove io deposi tutti gli altri miei figli! Ora egli non
avrà più la possibilità di guadagnare l’immortalità come tutti suoi fratelli!
Morirà come tutti voi, miseri ed infelici uomini mortali! Invecchierà e soffrirà
per tutta la vita e conoscerà un giorno Thanatos, signore della morte.- poi mi
guardò con grande odio:-Tu hai ucciso tuo figlio! Presto te ne accorgerai, Peleo,
figlio di Eaco, allora sarai tu l’assassino e non io! Rammenta queste mie
parole.-
Io però non le diedi retta.
Avevo il mio erede, mio figlio, e lo amavo;
presto, ne ero certo, avrebbe imparato anche lei a volergli bene.
***
Il giorno dopo però, scoprii che Teti era
scomparsa.
Da allora non avrebbe più abitato con me.
Mi rimaneva comunque mio figlio. Vedendolo
la prima volta avevo capito che non era un fanciullo come gli altri e la prova
mi arrivò pochi giorni dopo la sua nascita.
Melissa, quando provò a nutrirlo con il
latte per la prima volta, mi disse: -È impossibile dargli da bere il latte,
grande sire: il tuo nobile figlio sembra non volerlo. Ma la cosa più
sorprendente è che egli sia riuscito ad inghiottire un pezzo di carne,
nonostante non abbia i denti!-
Io rimasi sgomento davanti a tale notizia,
ma ciò che mi era stato detto era vero.
-Questo bambino è speciale: non è adatto a
succhiare con le labbra il dolce latte…- fui folgorato da un’idea.
-Lo chiamerò Achille: il senza labbra,
poiché mai succhiò il latte materno.-
Da quel giorno mio figlio si chiamò Achille
poiché mai le sue labbra si chiusero attorno al capezzolo materno per succhiarne
il dolce latte.
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