aph brotherhood tales
Autore: _Ayame_
Titolo della fic: Brotherhood tales
~
Tipologia
della fic: One-shot
Personaggi principali: OC!Britannia/Boadiccea,
Inghilterra/Arthur Kirkland, chibi!America/Alfred F Jones.
Genere: principali:
fluff, introspettivo; poi ci sono: malinconico – appena – e commedia – appena anche
questa XD
Avvertimenti: //
Raiting: Verde/Giallo … blallo X3
Ambientazione
storica: pressappoco dopo la colonizzazione inglese degli Stati Uniti.
Introduzione: Arthur ha passato la
sua infanzia con sua sorella, Britannia. E, dopo che America diventa sua
colonia, ricorda dei tempi in cui lui era il fratellino minore e faceva
impazzire sua sorella maggiore.
Aww, dovrei finire i lavori in corso, ed invece ç_ç, le fu!
NOTE PRE-CAPITOLO: Da alcuni giorni, nella mia testa
bacata frullava l’idea di Britannia che diceva ad Arthur un proverbio inglese.
Probabilmente ai tempi dei Celti, neanche esisteva. Forse qualcosa di simile.
Orsù,
licenza poetica!
Il nome di Britannia è Boadiccea:
significa vittoria, ed è il nome di una regina degli Iceni che si ribellò ai
Romani e pur di non perdere la libertà si suicidò. Sì, probabile che scriva
qualcosa in cui c’entra il caro Nonno Roma XD
Il testo è stato così diviso, la parte
centrale, che vi apprestate a leggere, poi ci sono tre specie di flash fic (o
simili) che mi sono venute in mente dopo. Cioè, sono collegate alla storia, ma
sono come missing moment, e sopra ognuna metterò i vari generi e il conteggio
delle parole! Lo so, sono complicata!
Il
testo in corsivo è la parte che narra del passato.
Grazie
e buona lettura :D
(fluff; introspettivo – parole: 780)
Brotherhood
tales ~
Britannia non sapeva più cosa tentare, con
quel bambino dispettoso che si trovava come fratellino.
«Art-»
«Zitta!», disse il bambino saltando giù da
un albero.
Stava per atterrare su sua sorella, quando
questa si spostò velocemente, facendo sbattere la faccia di Arthur sul terreno:
«Ouch!».
La ragazza rise, spostando velocemente una
ciocca di capelli biondi e arruffati dagli occhi di un verde misto ad azzurro.
«Ben ti sta, Arthur!», disse poi,
sorridendogli allegra e soddisfatta.
Il bambino si alzò lentamente, facendo leva
con le mani – ormai perennemente sporche – nel fango e con le ginocchia: «Mpf!»
Poi iniziò a pulirsi i vestiti dando delle
manate sul tessuto.
«Almeno, pulisciti come si deve», Boadiccea
si avvicinò al fratellino, pulendo con un dito il fango rimasto sul naso.
Arthur arrossì e iniziò a strepitare
tutt’attorno, correndo da un lato all’altro, nella fitta nebbia.
Boaddiccea si portò una mano davanti agli
occhi, chiudendoli, e dicendo qualcosa poco ‘carino’ da far apprendere al fratello.
«Art-»
«Zitta!», aveva ricominciato.
La giovane sbuffò, sedendosi contro le
radici di quell’albero secolare che tanto amava: forse perché l’aveva vista
crescere, perché aveva visto anche il piccolo Arthur nascere e diventare quella
piccola peste che ora rincorreva ogni animale od oggetto che vedeva.
Aspettò pazientemente che suo fratello si
stancasse, poi, vedendo la sua corsa diminuita gli si avvicinò e lo prese in
braccio di sorpresa …
…«Hey!»,
gridò il giovane americano, colto alla sprovvista.
«America, you know it’s time to go
to bed, don’t you?[1]»
«B-but
…», il labbro inferiore di Alfred iniziò a tremare, segno che presto quegli
occhioni azzurri avrebbero lasciato alle lacrime via libera.
Arthur
lo guardò, forse un po’ freddo, e disse solo: «Come on, America, it’s late:,
tomorrow you will do whatever you want![2]»; l’inglese era scocciato: aveva
rincorso tutto il giorno il suo nuovo fratellino, aveva dovuto pensare agli
affari di Stato – mai si fosse detto che il Regno Unito, Arthur Kirkland, non
avesse adempiuto i suoi doveri –, e ora Alfred non ne voleva sapere di andare a
letto.
Lanciò
un’occhiata disperata alla stanza messa soqquadro: i soldatini che aveva
regalato ad America sparsi sul tavolino – avevano giocato alla guerra che
veniva vinta da un eroe forte e pronto a tutto – ;il trenino aveva ormai
raggiunto Atlantide, non si vedeva più; strane torte in piatti piccolissimi;
una tazza da the – la sua preziosissima
tazzina da the – rotta.
Gli
veniva da mettersi le mani nei capelli.
Stava
per dire qualcosa che il piccolo America non aveva mai udito, e che non voleva
insegnargli. Non gli sembrava davvero il caso.
Sentì
all’improvviso qualcuno tirargli una delle sue sopracciglia.
«Hey,
what are you doing, little brat?[3]», doveva far capire a quel piccoletto che
le sue sopracciglia erano off-limits, anzi, non si toccavano e basta!
«You have strange eyebrows![4]»,
sorrise ingenuo Alfred.
«Wh-what? And then, say ‘you have got’![5]»
«It’s
the same![6]», il bambino scosse la testa, assonnato, poggiando la testa sulla
spalla del fratello maggiore, sbadigliando come un gatto.
Arthur
arrossì: non era portato ai contatti umani troppo intimi, come sua sorella, e
anche con lei non riusciva mai a non arrossire.
Al
contrario, Boadiccea, si divertiva a giocargli strani scherzi, a farlo
diventare “rosso come una mela” – allora non c’erano i pomodori in Europa – e a
coglierlo di sorpresa.
Si
ricordò anche di quanto anche lui, da bambino, fosse stato un po’ …
impegnativo, ecco tutto.
Sospirò:
avrebbe messo a posto il giorno dopo.
«Come
on, little bro[7]», disse cullandolo lievemente.
Il
bambino, mezzo assopito, non rispose, stringendo al ragazzo una ciocca di
capelli: chissà quante volte sua sorella l’aveva maledetto per averle strappato
e tirato i capelli così forte!
Ignorò
il dolore, e percorse lo stretto corridoio che portava alla loro stanza: i suoi
passi facevano eco, in quello spazio ristretto e chiuso, mentre avanzava
pensieroso.
Aprì
la porta della stanza, e accese la luce.
«But-but,
Arthur! I’m not sleepy![8]», la sua
colonia lo guardò negli occhi, corrucciata.
Inghilterra
sospirò, chiudendo gli occhi: lui non era paziente.
Poi
all’improvviso si ricordò: «My old sister always said: “Early to bed, early to
rise, make a man healthy, wealthy and wise![9]», sorrise vincitore: eppure,
tanto tempo fa, era stato lui ad avere l’espressione che aveva in quel momento America.
Contrariata. Mentre guardava il proprio interlocutore sorridere orgoglioso di
sé.
«So
…», disse il bambino, accomodandosi nel letto, «Let’s sleep: I wanna my people and
I being rich![10]».
Arthur
in quel momento pensò a quanto fosse insolente, il suo fratellino.
Sospirò:
un giorno forse lui l’avrebbe detto a qualcun altro, quel proverbio, chissà.
Con
questi pensieri, si infilò anche lui sotto le coperte, per scoprire che Alfred
si era già addormentato, farfugliando strane parole: «Hamburger~ …»
(commedia – parole: 174)
~ During the night:
Arthur
non riusciva a dormire.
Si
rigirò nel letto, più e più volte, pensò a quello che avrebbe fatto l’indomani.
Si
voltò verso America, che però non dava segni di volersi svegliare.
Iniziò
a fissare il soffito: My God, I’m fucked!
Sapeva
che guardare fissi il soffitto era un male: stancava e innervosiva il doppio.
Cercò
allora di pensare a quello che aveva appena fatto quel giorno: i lavori, i
litigi con Francia, i suoi scones bruciati – peccato, l’impasto era ‘buono’ –,
il suo tea sparso per il tavolo da pranzo, grazie ad Alfred che con i suoi
giocattoli rovinava il pregiato legno, e … il tempo passato con America a
giocare, cosa che lo riportò inevitabilmente al disordine nel salone.
Si
alzò di colpo, in un bagno di sudore. Mise alla rinfusa le pantofole –
sbagliandole clamorosamente – e si diresse, mezzo inciampando mentre metteva la
sua vestaglia a strisce blu e azzurre, nella stanza degli orrori.
Dalle
labbra gli uscì un suono disperato: sembrava a lui, o durante la notte il
disordine era peggiorato?
(fluff; comico – parole: 163)
~I woke up alone!
Quando
la mattina America si svegliò, notò come sempre che l’inglese se n’era andato.
Sorrise,
e stroppiciando gli occhi, si alzò a sedere.
«I’m always waking up alone!», si
lamentò tra sé.
Finalmente
si alzò, quando, costretto dai morsi della fame, si avventurò per la casa: uscì
dalla stanza, dopo aver raggiunto con molto eroismo la maniglia dorata della
porta che si trovava troppo in alto, percorse il corridoio con brevi passetti e
raggiunse il salotto, per poi così passare nella cucina.
Nella
sala da pranzo, però, vide l’inglese seduto su una sedia, addormentato con la
testa reclinata all’indietro e la bocca spalancata, in mano la tazza di the con
il manico frantumato.
«Art-!», stava per dirgli che per una mattina poteva anche farsi trovare nel
letto: gli eroi devono avere qualcuno da proteggere, altrimenti, che eroi sono?
Poi
però si accorse che dormiva, e semplicemente andò a prendere qualcosa per
colazione – per entrambi.
Almeno
per una mattina avrebbe fatto una colazione decente!
(fluff; malinconico; commedia – parole: 381)
~ If you could
be in my dreams, you will see something you have never seen before
«Boadiccea!», gridò il bambino biondo,
correndo verso una ragazza pallida ed alta.
«Sì, Arthur?», chiese Britannia, chinandosi
all’altezza del fratello per accarezzargli la testa.
Gli occhi del ragazzino si riempirono in un
attimo di lacrime che minacciavano di uscire.
Boadiccea si preoccupò: cosa era successo al
suo adorato fratellino? Che qualcuno l’avesse infastidito?
«Piccolo, cosa è successo?», il tono ridente
era scomparso dalla voce della ragazza, non più acuta, quanto dolce e materna.
Sì, Boadiccea era la cosa più vicina ad una
madre che Arthur avesse mai avuto.
«M-mentre dormivo ho fatto un incubo! P-poi,
mentre un mostro mari-marino m’inghiottiva, mi è caduta una mela in testa! E
poi è arrivato quel continentale![11]»
La ragazza sorrise: «Su, vedrai che tra un
po’ il dolore passa!»
«M-ma quel ragazzino era odioso!», disse
Arthur, «Giuro che non gli darò mai più retta! Neanche dovesse riuscire a
cucinare un piatto decente!», disse, mettendosi sull’attenti come un piccolo
guerriero, mentre tratteneva le lacrime e le ultime gli scorrevano sulle gote
rosse.
«C-cosa vuoi dire, cucino forse male,
piccolo selvaggio?!»
«N-no, ecco, è che …»
«Almeno io non ho delle sopracciglia enormi!», disse Britannia voltandosi dall’altra
parte.
Il bambino iniziò a tirarle la veste,
iniziando così una di quelle liti che finiva sempre con una risata.
Sentì
una specie di fitta, quando, durante una serie di movimenti bruschi,
Inghilterra riportò la testa in avanti, piegata verso il petto. Il dolore fu
sopito di nuovo dal suo inconscio, che riportava a galla cose che credeva
perse, solo in parte: la risata di sua sorella. Era difficile pensare che ce ne
fosse una più bella.
Nel
sonno, Arthur, sorrise, un sorriso enigmatico.
Alfred
non gliel’aveva mai visto. Lo guardò ancora per poco. Posò il latte e i biscotti
sul tavolo, salendo su una sedia – the
hero is acting!!
Si
soffermò ancora una volta a guardare suo fratello maggiore: con una stranissima
faccia incuriosita, si allungò verso di lui, fino a quando non salì sul tavolo
per guadare quell’espressione.
Chissà
se avrebbe mai sorriso così con lui, era un po’ triste pensare che in sua
compagnia fosse sempre nervoso; ma in fondo, Arthur lo era sempre, no?
Stava
per scendere, quando notò le labbra dell’inglese muoversi: si avvicinò
nuovamente, e quello che capì, non gli parve avere senso:
«Boadiccea»
Note:
[1]
America, sai che è ora di andare a letto, non è vero?
[2] Vieni,
America, è tardi: domani farai tutto quello che vuoi!
[3] Cosa
stai facendo, moccioso?
[4] Hai
delle strane sopracciglia!
[5]
C-cosa? E poi dì “possedi”! – cioè, qui non lo posso tradurre alla perfezione
ç_ç Il got rinforza il concetto di
possessione di un oggetto o altro.
[6] È lo
stesso!
[7] Vieni,
fratellino.
[8]Ma-ma
Arthur, non ho sonno!
[9] Mia sorella maggiore diceva sempre: ‘andare a letto presto e
svegliarsi presto fanno un uomo sano, ricco e
saggio’.
[10] Allora, dormiamo. Voglio che la mia gente e io diventiamo
ricchi.
[11] il continentale sarebbe Francis :3 e la sua amabile sorella
che qui non è citata XD
… e
pensare che all’inizio doveva essere una drabble! O_O
Grazie
di aver letto, a chi mettere la storia tra preferiti/seguiti/ricordate e a chi
recensirà! :D
See ya
~
_Ayame_
|