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Titolo:
All that is gold does not glitter
Autore: Nenredhel
Fandom: Il Signore degli Anelli/Supernatural
Pairing: Terra di Mezzo!AU - elf!Castiel/wanderer!Dean, elf!Gabriel,
elf!Balthazar, king!John, half-elf!Sam, half-elf!Lisa
Rating: Pg13
Chapter: 1/2
Beta:Geneviev
Words: 6605
Note: Spin off, o meglio prequel di “Not
all those who wanders are lost”
Manen Vilya an Thuio
(Come l’Aria che Respiri)
Gli interminabili, e in molti casi tortuosi, corridoi di Imladris sembravano
risplendere del chiarore del sole mattutino, che filtrava dalle migliaia di
finestre che rendevano le mura del palazzo niente più che poche, indispensabili,
strutture di sostegno. In ogni singolo angolo, la luce e il verde rigoglioso
della valle e delle sue creature filtravano all’interno della dimora di sire
John, avvolgendola in un abbraccio di splendore. Dean si muoveva velocemente tra
quei corridoi: i capelli ancora arruffati dal giaciglio appena abbandonato;
un’abbondante maglia di fine cotone rosso, i cui lacci pendenti ed abbandonati
lasciavano scoperta una larga parte del suo giovane petto glabro, e che non
sapeva certo rendere più eleganti i semplici pantaloni marroni che indossava;
mentre i piedi lasciati nudi rendevano silenziosi i suoi rapidi passi.
Gli occhi verdi del giovane uomo scattavano velocemente da un lato all’altro dei
vari corridoi che incrociava, nel chiaro tentativo di trovare qualcosa, mentre
si districava con sicurezza fra porte e sale, svoltando a destra o a sinistra
come se sapesse esattamente dove si stava dirigendo, o stesse semplicemente
girando a vuoto il più velocemente possibile. Solo quando si scontrò con un
giovane Elfo che trasportava un grosso vassoio colmo di vivande, il ragazzo si
fermò, osservando il cibo come se gli avesse appena comunicato una profonda
rivelazione, e quindi riprese la sua marcia, quasi rompendo in una corsa, con un
sorriso sicuro sul volto.
Gran Burrone poteva sembrare un labirinto fin troppo complicato, per essere un
semplice palazzo: la sua miriade di corridoi e sale erano cresciute insieme al
paesaggio e alla vegetazione che dominava, spuntando come nuove foglie e fiori
sul nucleo originale della casa di Sire John, secondo le esigenze del suo
padrone. Ma Dean, dopo più di 20 anni che viveva (e correva) fra i quei
corridoi, li conosceva bene quasi quanto i solchi sulla propria mano.
Non appena raggiunse la porta senza battenti della sala, dove normalmente Sire
John consumava i suoi pasti insieme alla sua famiglia e a pochi amici, Dean si
bloccò finalmente, fermandosi sull’uscio ad osservare i presenti, con il petto
leggermente affannato dalla marcia.
“Suilannen Dean (Buongiorno Dean)” lo salutò il signore di Imladris, con
un sorriso tra il sorpreso e il divertito, inarcando le sopracciglia nello
squadrare l’abbigliamento del suo protetto.
“Eri così affamato da correre fino qui? E senza neppure vestirti?” scherzò Sam
che, seduto di fianco al padre, aveva alzato la testa velocemente quanto lui nel
sentire l’inconfondibile passo pesante del fratello adottivo, e ora stava
indirizzando uno sguardo perplesso ai suoi pantaloni allacciati solo a metà, e
alla molto poco elegante maglia, che gli pendeva sgraziatamente da una spalla.
Dean abbassò lo sguardo su se stesso e inarcò le sopracciglia in un’espressione
‘eh-in-effetti’ che suscitò una risata nel fratello adottivo. Non aveva nemmeno
indossato gli stivali, si rese conto, e improvvisamente si ritrovò a porre un
piede nudo sopra l’altro, come se questo potesse in qualche modo nascondere il
suo aspetto disastroso.
“No… io” il ragazzo ricominciò a scrutare la lunga tavola semideserta, senza più
badare al proprio abbigliamento ma tornando a concentrarsi sul suo obiettivo
principale: Sire John era seduto a capotavola, al suo fianco c’era Sam e
dall’altro lato, leggermente discosti, Balthazar e Gabriel, i due figli del
signore di Bosco Atro, che da qualche tempo erano ospiti a Gran Burrone.
La sedia accanto a Sam, che apparteneva a dama Lisa, era vuota, ma questo non
stupì per niente il ragazzo, che invece emise uno sbuffo infastidito quando notò
che anche il posto normalmente occupato dalla persona che stava cercando era
vacante.
“Io stavo cercando…” rispose infine, il fiato ormai tornato praticamente alla
normalità, ma Gabriel lo interruppe, in un gesto quantomeno scortese, che si
guadagnò un’occhiata di biasimo dal padrone di casa.
“Il mio caro fratellino… ovviamente. Si direbbe che non riesci a muovere un
passo, senza che lui ti tenga la manina” lo canzonò con una mezza risata, salvo
poi indirizzare un distratto cenno del capo, che avrebbe dovuto passare per una
richiesta di scuse, a John.
Dean rivolse ai due fratelli un’occhiata di fuoco, strinse i pugni e aprì la
bocca per rispondere a tono, ma Sam si alzò improvvisamente, richiamando tutta
l’attenzione con le sue imponenti dimensioni e impedendogli di dire qualcosa di
più rude di quanto sarebbe stato tollerabile.
“Credo che Castiel sia uscito per una passeggiata” spiegò, indicando con un
cenno della mano le grosse finestre che coprivano la parete dietro di lui “Ma
fermati a fare colazione prima di raggiungerlo…” lo tentò Sam, prendendo in mano
un morbido panino bianco e facendo il gesto di offrirglielo.
Il giovane uomo sentì il proprio stomaco ruggire come una belva feroce, e
d’altronde sapeva bene che Sam stava cercando di salvarlo dall’ennesima
figuraccia, in quel modo: irrompere in una stanza dove erano presenti non una,
ma ben due linee di sangue reale, fare una domanda e quindi fuggire senza dire
altro sarebbe stato quasi un affronto. Ma Dean non era per nulla nuovo a gesti
di quel tipo, inoltre non era un Elfo e, nel suo modo di vedere le cose, questo
lo rendeva molto meno vincolato alle loro rigide e assurde regole di etichetta.
“Dopo, sicuramente dopo, Sam” esclamò, allargando sul volto un sorriso radioso e
strizzandogli rapidamente l’occhio in un ringraziamento muto mentre si dirigeva
con passo deciso verso di lui, afferrava il panino che gli aveva simbolicamente
teso e quindi lo superava senza aggiungere altro, semplicemente voltandosi per
inchinarsi rapidamente in un gesto di congedo dei presenti, prima di oltre
passare una delle grandi portafinestra della sala, attraversando il terrazzo e
scavalcando il parapetto con un unico balzo atletico, per scomparire nei
giardini sottostanti.
~~~
Il sole del mattino accendeva ogni cosa di colori brillanti, e faceva sembrare
ogni singola foglia degli alberi della valle di Imladris come una piccola gemma,
più preziosa di qualsiasi gioiello mai incastonato sulle corone degli uomini.
Era primavera, e quello era sempre il periodo migliore dell’anno per passeggiare
nei suoi prati e piccoli boschi. L’acqua dei fiumi sembrava voler mostrare nel
suo intenso colore azzurro chiaro il gelo che aveva strappato dai ghiacciai
stessi delle Montagne Nebbiose, mentre gli alberi sembravano fare a gara a chi
sarebbe esploso per primo dei colori più accesi.
Dean era cresciuto giocando in quei boschi. Aveva visto mille volte lo splendore
dorato dell’autunno, così come la vita rigogliosa che esplodeva in primavera, e
non era certo il tipo da trovare piacere nel fermarsi ad adorare i colori di un
bel quadro, eppure ogni volta l’esplodere di vita delle creature di Gran Burrone
riusciva a lasciarlo a bocca aperta. Stavolta, però, era troppo impegnato a
cercare di tirarsi fuori una grossa scheggia da un piede, imprecando e
maledicendo a mezza voce il nome di ogni Vala che gli occorreva alla mente, per
avere il tempo di notare lo splendore dell’albero sotto il quale si era
accucciato, con un piede tra le mani e quasi davanti alla faccia.
Come sempre, malgrado lo conoscesse da anni e ogni volta giurasse che non
sarebbe più riuscito a prenderlo alla sprovvista, Dean non sentì l’Elfo
avvicinarsi, e intento com’era a compiangere il suo povero piede malandato, non
si accorse della sua presenza finché non fu lui ad apostrofarlo.
“Man agoreg si, Dean? (Cosa hai combinato stavolta, Dean?)” gli chiese,
appoggiato ad un albero alla sua destra, con le sopracciglia inarcate e un
sorriso divertito, ma solo accennato, sul volto.
Il giovane sollevò la testa dal suo piede ferito e lanciò un’occhiataccia
all’Elfo, che gli si era rivolto esattamente con la stessa voce che usava sempre
quando era ancora un bambino e lui stava per ammonirlo per l’ennesima
marachella. Non lo aveva mai veramente sgridato, eppure riusciva ogni volta a
farlo sentire molto più in colpa di chiunque altro, con quel suo sorriso
gentile. Restò a guardarlo in tralice per alcuni secondi: aveva addosso una
leggera e morbida tunica verde chiaro, che lo faceva sembrare solo un altro
germoglio in mezzo alla foresta, le maniche leggermente svasate, il collo aperto
a v sul petto; anche i suoi piedi erano nudi, ma non sembravano aver riportato
il benché minimo danno.
“Mi spieghi come diavolo fate, voi orecchie a punta, ad andare in giro a piedi
nudi nei boschi?” domandò scontroso, finendo di estrarre la scheggia con una
smorfia di dolore, e quindi iniziando a massaggiarsi il piede “Quella cosa ha
praticamente tentato di uccidermi” sbuffò infine, con una certa dose di ironia e
un mezzo sorrisetto già di nuovo sulle labbra.
“Pensavo che avessi imparato, finalmente, che Elfi e Uomini sono diversi”
sospirò Castiel, staccandosi dal tronco per andare a sedere di fianco a lui “Le
ossa degli Elfi sono elastiche e cave. Siamo molto più leggeri di un uomo, e
sappiamo muoverci i modo molto più leggero” spiegò distrattamente, mentre
puntava gli occhi blu sulla piccola ferita sotto il piede del ragazzo “Credo che
sopravvivrai. Ma ovviamente, se vuoi, si può sempre amputare” commentò l’Elfo, e
Dean lo guardò stranito, perché era terribilmente raro sentirlo usare del
sarcasmo.
“Ehi, per una volta che fai una battuta, devi proprio farla a mio danno?” lo
rimbeccò Dean, tirandogli un pugno amichevole sulla spalla e quindi alzandosi,
per provare ad appoggiare, titubante, il piede a terra “Perché non usi la tua
nuova padronanza dell’ironia con quei simpaticoni dei tuoi fratelli? A
proposito, quando se ne vanno?” aggiunse storcendo il naso, ma senza permettere
di dedurre se fosse per il dolore al piede o per aver nominato i due Elfi più
antipatici della Terra di Mezzo.
“Sono i miei fratelli Dean, e sono fratelli maggiori. Gli dovresti almeno un po’
di rispetto, se non proprio di affetto” lo ammonì di nuovo Castiel, alzandosi a
sua volta, ma senza mettere la minima enfasi nelle sue parole. Sapeva
perfettamente che si trattava di una causa persa in partenza “In ogni modo, cosa
ci facevi nel bosco senza scarpe e mezzo svestito?” continuò, corrugando la
fronte ed inclinando appena la testa di lato mentre osservava i vestiti non
proprio ordinati del ragazzo.
“Ti cercavo!” esclamò Dean, facendo comparire una gran sorriso mentre si
appoggiava, più pesantemente del dovuto, alla spalla dell’amico e iniziava a
camminare guardando attentamente dove metteva i piedi.
Castiel si limitò a increspare ancor più le sopracciglia, mentre gli passava un
braccio intorno alla vita ed iniziava a camminare con lui, come se l’amico fosse
veramente abbastanza ferito da aver bisogno di un supporto.
“Stanotte, o meglio… ieri sera… mi sono dichiarato a Dama Lisa!” annunciò il
ragazzo raggiante, alzando finalmente gli occhi verdi dal terreno per incontrare
quelli dell’Elfo. Rimase, però, spiazzato da quello che vi trovò.
Aveva creduto che l’amico avrebbe esultato insieme a lui, invece la sua
espressione sembrava tanto sorpresa quanto preoccupata, tanto che dopo alcuni
secondi di silenzio, Dean stava per ripetere la frase, temendo che l’Elfo non
avesse capito bene quello che gli aveva appena detto.
“E lei cosa ha risposto?” domandò infine Castiel, fermandosi sulla cima di un
pendio erboso, completamente sgombro di alberi o arbusti, che andava a
terminare, solo alcuni metri più in basso, in un vivace torrentello acceso di
mille riflessi dal sole mattutino.
Dean allargò ulteriormente il proprio sorriso, e il suo volto assunse
un’espressione a metà tra il furbo e il malizioso. Quella era esattamente la
domanda che stava aspettando. “Arrivo dalle sue stanze, proprio ora…” disse
solamente, lasciando la frase in sospeso e guardando l’amico in attesa
dell’ovvia reazione.
Ancora una volta, l’Elfo lo stupì, lasciandosi sfuggire un sospiro che non
sembrava avere proprio nulla di felice “Spero che tu sappia quello che stai
facendo, Dean” disse dopo altri, lunghi, momenti di silenzio, alzando i
brillanti occhi blu per incontrare quelli dell’amico e tornando ad indossare
quel sorriso condiscendente che lo faceva tanto sentire un bambino colto a
rubare la marmellata.
“Che cosa vuoi dire?” chissà perché, tutta la sua euforia era andata a farsi
friggere e un leggero velo di nervosismo stava cercando di impossessarsi dei
suoi pensieri. Era sicuro di quello che aveva fatto? Ma certo! E allora perché,
ora che lo aveva detto a Castiel, si sentiva come se avesse appena commesso un
gigantesco errore.
“Dean…” iniziò Castiel, ma un sospiro interruppe di nuovo la sua voce pacata e
dolce come sempre “Gli Elfi sono diversi in molti modi dagli uomini. Lisa non è
del tutto un Eldar, e questo potrebbe cambiare le cose, io non posso saperlo,
ma…” di nuovo un silenzio, Dean iniziava ad essere tanto esasperato quanto
impaurito da quei silenzi “Gli Eldar amano una volta sola, Dean. Quando scelgono
un compagno, è per la vita, e questo significa per l’eternità” concluse
finalmente, voltandosi del tutto verso di lui per potergli appoggiare una mano
sulla spalla.
Dean non gravava più con tutto il suo peso sull’amico: la preoccupazione per ciò
che gli stava dicendo gli aveva fatto del tutto dimenticare il piccolo dolore al
piede. Certo, lui sapeva queste cose, era cresciuto con gli Elfi e sapeva come
funzionavano certe cose tra di loro. Lo aveva saputo anche la sera prima, quando
era andato nelle stanze di dama Lisa, e si era sentito tanto sicuro di sé. “Io…
la amo” rispose con una breve esitazione. E allora perché in quel momento,
mentre fissava il blu profondo di quello sguardo, di fronte a lui, non si
sentiva più sicuro di niente.
“E allora va tutto bene, Dean. Ed è una cosa splendida” cercò di rassicurarlo
Castiel, stringendo appena la mano sulla spalla e allargando un po’ il proprio
sorriso.
“Per i Valar, Cas! Perché non puoi essere un amico normale? Perché non puoi
semplicemente rallegrarti, fare festa e saltellare di gioia quando un amico ti
annuncia una buona notizia?” protestò Dean sbuffando e prendendo a calci un
legnetto, che rotolo velocemente giù per il pendio.
“Vorresti davvero che fossi così?” chiese Castiel, piegando la testa in quel suo
modo peculiare, ma senza che il sorriso scomparisse dal suo volto.
“No” rispose subito Dean, allungando una mano per scompigliargli i corti capelli
castani, come se fosse lui l’adulto e l’Elfo un bambino “Però quando ero piccolo
eri più divertente” aggiunse quindi, corrugando la fronte come se il pensiero lo
disturbasse.
“Quando eri piccolo passavi il tempo a giocare con me, per forza ti sembrava
tutto più divertente” replicò l’Elfo, togliendo la mano dalla sua spalla ed
inarcando le sopracciglia, stupito e un po’ innervosito da quella strana
constatazione. Conosceva il ragazzo da abbastanza tempo per riuscire a leggergli
in faccia che stava escogitando qualche scherzetto.
“Dovremmo giocare di nuovo” ribatté immediatamente il ragazzo, come se quella
fosse stata esattamente la risposta che voleva sentire “Vediamo se riesco a
farti giocare, e ridere, di nuovo” esclamò, quindi senza dargli il tempo di
ribattere o fare alcunché, afferrò la tunica dell’Elfo sul petto e lo tirò verso
di sé mentre si gettava a terra, di lato, iniziando immediatamente a rotolare
giù per il pendio.
Dean gli avvolse il busto con le braccia e lo tenne stretto, un po’ perché la
sua costituzione magra continuava ad apparirgli fragile, nonostante sapesse bene
che lui, come ogni altro Elfo, era molto più resistente di quanto non apparisse,
e un po’ perché ricordava ancora quando questo Elfo lo teneva in braccio per
farlo addormentare, e la sua vicinanza, per quanto fosse strano, lo faceva
ancora sentire bene. Il ragazzo iniziò a ridere fragorosamente, intervallando le
risa a piccoli urli di divertimento ogni volta che, nel rotolare, Dean si
sentiva sbalzare per aria, e allo stesso tempo trattenere a terra dall’abbraccio
di Castiel.
Non ci volle molto perché anche l’Elfo gettasse alle ortiche tutto il contegno
nobile e distaccato che teneva di solito, iniziando a ridere tanto quanto
l’umano che teneva a sua volta tra le braccia, godendosi il contatto insieme
dell’erba soffice, e delle braccia del ragazzo, strette intorno a lui in un
gesto protettivo.
Dean non aveva voluto arrivare fino in fondo, e certo non aveva calcolato che il
pendio fosse troppo ripido per riuscire a fermarsi prima di finire direttamente
in mezzo al ruscello. Finì con il colpire direttamente un sasso, sul letto del
piccolo torrente, con la testa, ma le mani di Castiel lo stavano ancora tenendo
contro di lui, e gli impedirono di farsi troppo male. L’acqua, però, era
assolutamente gelida e Dean urlò, sorpreso e deliziato al tempo stesso, mentre
il loro slancio li faceva finire a rotolare in mezzo all’acqua, proprio in modo
che lui fosse sdraiato a terra, immerso in pieno nelle acque cristalline
provenienti direttamente dai ghiacciai, mentre Castiel era coricato sopra di
lui, con solo braccia e gambe immerse nella corrente.
L’Elfo non aveva ancora smesso di ridere, ma lo fece più forte quando vide
l’espressione boccheggiante di Dean mentre cercava di venire a patti con la
temperatura del ruscello.
“Allora, ti piace ancora la tua idea geniale?” domandò tra le risa, ma fece a
malapena in tempo a concludere la frase, prima che Dean desse un veloce colpo di
reni, che portò la situazione a ribaltarsi e lui a boccheggiare, sommerso di
acqua gelida.
Castiel e Dean si guardarono in faccia, seri, per qualche secondo - solo pochi
centimetri a dividerli, eppure completamente a proprio agio – poi le risa
ricominciarono, e il giovane uomo smise di tenersi puntellato sulle braccia, ma
si sdraiò del tutto sul corpo dell’Elfo, poggiando la fronte alla sua spalla
mentre i loro corpi ancora vibravano di divertimento, e lasciando che l’acqua
gli lambisse ritmicamente la fronte. Poteva essere assurdo, ma nemmeno quella
mattina, quando aveva aperto gli occhi su un letto di piume con le mani delicate
di dama Lisa poggiate sul suo petto, si era sentito così tremendamente bene.
Erano passati parecchi secondi da quando entrambi avevano smesso di ridere, ma
Dean non se n’era neppure accorto. Solo quando sentì la mano di Castiel muoversi
verso l’alto sulla sua schiena, si rese conto che quella non era solo una
posizione piuttosto scomoda, ma che avrebbe anche dovuto essere imbarazzante.
Sollevò il capo e sorrise all’amico, cercando di mettere in quell’espressione le
scuse per un disagio che non sentiva, ma Castiel non rispose al suo sorriso. Il
suo viso era serio, i suoi occhi intenti come quando fissava il bersaglio di una
delle sue frecce, ma molto più intensi, e Dean sentì un formicolio strano
percorrergli la spina dorsale, su e giù, e un nodo quasi doloroso ma certamente
non spiacevole chiudergli il petto, dalla gola fino al ventre.
Forse, qualcosa dentro di lui se lo aspettava, anzi, non stava aspettando altro,
ma rimase comunque sorpreso quando Castiel gli posò una mano, delicatamente,
sulla nuca, e sporse il viso verso di lui, fino a poggiare due labbra bagnate
sulle sue. Le piccole gocce d’acqua erano gelide, ma sotto di esse, la sua bocca
era morbida e tiepida. Non somigliava al bacio di Lisa, non era così delicato da
sembrare l’ala di una farfalla, sebbene il suo tocco fosse gentile, quasi non
volesse essere troppo invadente. Lisa sapeva di fiori di pesco e odori dolci e
sommessi di donna, mentre questo… questo aveva il gusto morbido ma forte di un
bosco alle prime ore del mattino, un gusto selvatico che sapeva di libertà e gli
faceva venire voglia di assaporarlo di più, fino in fondo.
Il ragazzo ebbe giusto il tempo di formulare questo pensiero, che il contatto
era svanito, veloce com’era arrivato, lasciandolo stupito di se stesso e allo
stesso tempo terribilmente insoddisfatto. Dean rimase paralizzato, fermo con gli
occhi inchiodati sul viso dell’Elfo: lineamenti che conosceva da una vita;
espressioni gentili che erano state con lui sempre, senza chiedere nulla il
cambio; il volto di un amico; il volto che aveva cercato sempre, ogni giorno
della sua vita, che fosse un giorno speciale o una semplice mattina di sole. Il
volto che amava.
Non lasciò che il suo cervello potesse formulare un pensiero razionale, un
pensiero che gli avrebbe ricordato quello che doveva e non doveva fare, quello
che era e non era permesso, l’unica cosa che gli interessava, in quel momento,
era quel sapore. Il sapore che sentiva ancora sulle labbra ma che stava già
svanendo, che non era riuscito a sentire davvero, sulla lingua, che voleva
gustare davvero, con tutto se stesso.
Inclinò leggermente il capo verso il basso, le labbra appena socchiuse mentre un
sospiro andava a perdersi sulle labbra del compagno, facendo scivolare su di
esse una piccola gocciolina d’acqua. Dean la raccolse gentilmente dall’angolo
della sua bocca con la punta delle dita, e Castiel spalancò per un secondo gli
occhi, in un’espressione tanto incredula quanto felice, prima di incontrare di
nuovo le sue labbra.
~~~
Erano alcuni giorni che non vedeva Castiel, e non lo vedeva perché lo evitava
accuratamente, soffrendo addirittura la fame per potersi sedere a tavola quando
fosse sicuro di non doverlo incontrare. Non più di tre, non potevano essere
trascorsi più di tre giorni dall’ultima volta che aveva incrociato il suo
sguardo, quella mattina, in un ruscello gelato, eppure a Dean sembrava di
diventare matto: non si era mai sentito così solo in tutta la sua vita.
Non si era mai reso conto di quanto contasse sulla presenza dell’amico, di
quanto la cercasse e ne avesse addirittura bisogno. Certo, non era la prima
volta che non si vedevano per un certo periodo: Castiel era tornato a Bosco Atro
con i suoi fratelli, in alcune occasioni, e allora erano trascorsi mesi prima
che potesse rivederlo. Eppure allora, per quanto ne sentisse la mancanza, non
aveva percepito la solitudine, perché sapeva che sarebbe tornato, e sarebbe
stato sempre e comunque il suo migliore amico. Questa volta, invece, non c’era
più niente di chiaro, non era più sicuro di niente.
Questa era la ragione per cui lo stava evitando come la peste, e sempre questa
era la ragione per cui sapeva che non sarebbe riuscito ad andare avanti così
molto a lungo. Non aveva idea di cosa fosse successo in quel ruscello, ma sapeva
che qualunque cosa accadesse, non poteva perdere Castiel.
Dean sospirò e sedette sul parapetto di pietra del piccolo terrazzo,
accarezzando distrattamente i boccioli, chiusi per la notte, dell’albero che in
quel particolare punto del palazzo si intrecciava alle sue mura e alle sue
colonne. Il sole non era tramontato da molto, e in fondo all’orizzonte, dove il
suo sguardo verde era rivolto, si riuscivano ancora distinguere gli ultimi raggi
infuocati del sole scomparso. Il cielo era blu, di un blu intenso che riportò
immediatamente i pensieri del ragazzo agli occhi che aveva osservato tanto da
vicino, quella mattina di tre giorni prima.
Scosse il capo e tirò un calcio all’aria, tornando a voltarsi verso la finestra
della propria stanza, solo per trovarvi incorniciata una figura che non aveva
sentito avvicinarsi. Il suo cuore perse almeno due battiti, prima che i suoi
occhi potessero rendersi conto che quell’Elfo era decisamente troppo alto per
essere Castiel.
“Sammy, che ci fai in giro?” chiese distrattamente Dean, senza alzarsi dalla sua
postazione e senza più nemmeno guardarlo.
“Ti cercavo” replicò l’Elfo, avvicinandosi e poggiando gli avambracci al
parapetto, proprio accanto all’uomo, per guardare l’orizzonte insieme a lui “Sei
silenzioso e molto tranquillo in questi giorni” commentò, in tono casuale “Cosa
è successo?” domandò quindi, tornando a guardarlo in viso e mettendo tutta la
sua grave serietà nella propria voce.
Il ragazzo non riusciva a scorgere propriamente i lineamenti dell’Elfo, mentre
sapeva bene che lui poteva vedere alla perfezione il suo viso. Tutto ciò gli era
sempre sembrato molto ingiusto, e aveva sempre cercato di evitare di parlare al
buio con chicchessia, a palazzo. Questa volta, però, non aveva voglia di alzarsi
ed accendere una candela: forse sperava davvero che Sam capisse cosa non andava
in lui, perché indubbiamente lui non ne aveva idea.
“Niente di particolare” replicò Dean, stringendosi nelle spalle e rifiutandosi
di ricambiare lo sguardo dell’Elfo.
“Cambierò domanda. Cosa è successo fra te e Castiel?” insisté il giovane Elfo,
continuando a piantargli in viso i suoi penetranti e inquisitori occhi verdi.
Il ragazzo, preso alla sprovvista, si voltò di scatto, molto prima che la sua
mente arrivasse a capire che Sam aveva solamente osservato il suo comportamento,
e dedotto che qualcosa non andava dal fatto che fosse passato dal girare
costantemente insieme all’Elfo, all’evitare addirittura le ore dei pasti per non
vederlo. Dean soppesò l’idea di negare nuovamente, ma sapeva che non sarebbe
servito a niente. Conosceva abbastanza Sam da sapere che non avrebbe mollato
fino a che non avesse saputo cosa non andava, e non fosse riuscito a fargli un
bel discorsetto sui sentimenti. Se c’era una cosa che Dean non sopportava del
suo gigantesco fratello adottivo, era proprio la sua mania dei sentimenti.
“Per i Valar, Sam! Perché voi Elfi dovete essere sempre così loquaci e
sentimentali?!” sbottò infine, continuando vanamente a sperare di poter cambiare
argomento.
“Gli Elfi non sono loquaci, sono saggi” protestò il giovane Eldar sospirando, e
quando fu chiaro che Dean non avrebbe risposto altro aggiunse “Hai litigato con
lui? Insomma cos’è successo? Passi le tue giornate con Castiel da quando è
arrivato a Imladris”
Dean ricordava a malapena quel giorno, era stato fin troppo piccolo, però
rammentava perfettamente la prima immagine che aveva avuto di lui. Era stato
cresciuto dagli Elfi, ed era quindi abituato alla loro apparenza eterea ed
elegante. Le creature che lo accudivano avevano sempre affascinato molto la sua
mente di bambino, ma trascorreva così tanto tempo con Sam e perfino con John, da
essersi abituato alla loro presenza.
Eppure Castiel… Castiel era stato un’altra cosa.
Ricordava benissimo quando Castiel era entrato nella grande sala comune, per
salutare il sire che lo avrebbe ospitato per gli anni a venire, dietro richiesta
di suo padre, il signore di Bosco Atro. La sua lunga tunica chiara sembrava
cambiare ad ogni suo passo, catturando la luce e trasformandola in puro colore,
bagliori liquidi che scorrevano sulla stoffa, avvolgendo il suo corpo fino a
farlo sembrare esso stesso sinuoso come acqua corrente. Ma non era stato questo
a far spalancare gli occhi al piccolo bambino umano, ad incidere quell’immagine
nella sua giovane mente per tutti gli anni a venire: erano stati i suoi occhi. I
suoi occhi gentili lo avevano guardato prima ancora di rivolgere il suo saluto a
sire John, e avevano sorriso solo per lui.
Il ragazzo si riscosse da quel ricordo, rendendosi conto di avere lasciato che
il silenzio si allungasse fin troppo tra di loro.
“Io… gli ho detto di Lisa, e lui mi ha parlato dei legami immortali degli
Eldar…” fu la prima cosa che gli venne in mente, ed era anche abbastanza vicino
alla verità da non farlo sentire in colpa per avere raccontato una bugia a Sam.
Potevano non essere veramente imparentati, ma lui lo considerava a tutti gli
effetti suo fratello e non avrebbe voluto nascondergli niente.
“E’ per questo che avete discusso?” esclamò Sam, sorpreso “Sei preoccupato per
quello che Castiel ti ha detto?” Dean si limitò ad annuire cautamente. Forse, se
l’avesse lasciato parlare, se la sarebbe cavata “Sicuramente quello che ti ha
spiegato è vero, gli Elfi tendono a scegliere un compagno per la vita. Ma io e
Lisa non siamo veri Elfi… questo cambia le cose. Per me le ha cambiate” spiegò
Sam, poggiando una mano sul braccio del ragazzo, come per rassicurarlo.
Dean gli sorrise, annuendo di nuovo in quello che sperò sembrasse un silenzioso
ringraziamento, e finalmente Sam annuì in risposta e fece per allontanarsi da
lui, soddisfatto di lasciarlo a rimuginare sulle nuove informazioni che gli
aveva fornito. Fu in quel momento che Dean si stupì di se stesso, afferrando il
braccio dell’Elfo per trattenerlo.
Lui odiava parlare di sentimenti, ma questa volta era davvero troppo confuso e
tutta questa faccenda era davvero troppo grossa per fare semplicemente finta di
nulla, archiviando il caso sotto la voce ‘mai successo’. Sam era la sua unica
speranza, l’unica speranza di ottenere un consiglio: non avrebbe osato parlare
con nessun altro.
“Hai mai…” iniziò titubante, ma poi si interruppe. Voleva un consiglio, ma fino
a che punto era disposto a spiegare la situazione a Sam? Forse lo considerava
come un fratello, ma certamente era anche il fratello di Lisa “Hai mai sentito
davvero il bisogno… un bisogno quasi doloroso di avere accanto una
persona? A prescindere da come sia con te, semplicemente… averla?” continuò,
soppesando ogni singola parola e cercando furiosamente dentro di sé quelle
giuste per spiegare ciò che lo tormentava.
Ormai, anche gli ultimi raggi del sole erano scomparsi dal cielo, e Dean non
poteva scorgere che un’ombra dei suoi lineamenti, ma fu quasi sicuro di vedere
l’Elfo sorridere a quel punto, poco prima che gli prendesse una mano tra le sue.
“Gerig baur ha manen vilya an thuio (Ne hai bisogno come l’aria che
respiri) Lo so, può spaventare” replicò Sam, con voce accondiscendente “Ma
quello è solo… meleth (amore). Non c’è un altro modo per dirlo. Quel
bisogno che fa male, è amore, quello vero, ed è splendido se ti abbandoni ad
esso” una sottile vena di entusiasmo e forse commozione si insinuò nelle sue
parole, ed era molto più di quanto non esprimesse normalmente una qualsiasi Elfo
“Ma dovresti parlarne con lei Dean. Ti aiuterà” detto ciò, gli diede una veloce
pacca su una spalla, e si allontanò, lasciandolo davvero solo con i propri
pensieri.
Aveva ottenuto quello che voleva: una definizione chiara, concisa e
determinante, di quello che lo assillava. Sam era stato anche molto felice di
dargliela. Chissà se lo sarebbe stato altrettanto se avesse saputo che lui non
stava parlando di Lisa? Il ragazzo fece penzolare distrattamente un piede oltre
il parapetto una paio di volte, prima di saltare giù e dirigersi a sua volta
verso la porta della sua camera.
~~~
Dean arrivò davanti alla porta che tante volte aveva spalancato senza nemmeno
pensarci un momento, senza neppure ricordare quel briciolo di educazione che
avevano cercato di inculcargli senza risultato, e si fermò. Per la prima volta
nella sua vita si fermò ad osservare quella porta, e la sua liscia superficie di
legno gli sembrò un ostacolo insormontabile.
Dietro di lui, da una delle migliaia di finestre che costellavano le mura di
Imladris, entrava solo un lieve accenno di luce lunare, giusto quel tanto che
bastava per proiettare la sua ombra sul battente chiuso davanti a lui. Sembrava
che la sua stessa sagoma scura lo stesse prendendo in giro, standosene lì, sulla
porta che non riusciva ad aprire. Era lì per parlare, continuava a ripetersi,
era lì perché non aveva intenzione di gettare alle ortiche un’amicizia del
genere per un momento di… per un momento. Sollevò la mano, stretta a pugno,
pronto a bussare. Poi si fermò, sentendosi incredibilmente stupido, fermo
davanti ad una porta con un pugno alzato, pronto a bussare ma troppo sciocco per
farlo. Ma di cosa diavolo aveva paura?!
Il ragazzo masticò un’imprecazione che avrebbe fatto sobbalzare qualsiasi Valar,
quindi picchiò il pugno sul muro accanto alla porta, e si inclinò in avanti fino
a che la sua fronte non impattò contro la superficie di legno davanti a lui con
un suono sordo, quasi sicuramente troppo basso perché chiunque stesse dormendo
in quella stanza potesse sentirlo. Come al solito, aveva dimenticato che gli
Elfi erano molto diversi dagli uomini, che per la maggior parte del tempo non
dormivano affatto e che avevano un udito molto più fine di quanto un uomo
potesse immaginare.
Quando Castiel aprì la porta, Dean quasi cadde in avanti, riprendendosi solo
all’ultimo secondo, e sentendo la pelle chiara del suo viso avvampare sotto le
poche lentiggini sparse che si portava sul naso. Adesso sì che si sentiva
stupido.
“Scusa. Non volevo svegliarti” balbettò il ragazzo passandosi una mano sul collo
in un gesto imbarazzato.
“Non stavo dormendo” replicò l’Elfo, fermo sulla porta ad osservare con un
sorriso parzialmente divertito l’atteggiamento dell’amico, “Mi cercavi?”
aggiunse quindi, quando il silenzio si fu protratto troppo a lungo, corrugando
le sopracciglia in quella sua peculiare espressione perplessa.
Finalmente Dean trovò il coraggio di alzare lo sguardo per guardare l’amico, e
improvvisamente si sentì la bocca arida. Il giovane Elfo indossava una tunica
lunga, di quelle che metteva di solito solo in occasioni speciale o
particolarmente eleganti, del colore dei sempreverdi, ricamata con mille intarsi
di foglie di un verde più chiaro ma i cui lacci era completamente slacciati. La
poca, pallida luce che penetrava dalla finestra alle spalle dell’uomo, si
contendeva con il tremulo bagliore rosso di una candela il possesso della pelle
chiara e perfetta sul petto dell’Elfo, mentre il suo viso era reso irreale come
un sogno dall’argento della luna, e vivo e cangiante dal caldo fremente della
fiamma. Incastonati in quell’incredibile volto, quegli di un blu scuro che
sembrava strappato al mare in tempesta lo fissavano placidi e confusi, e quando
Dean li incrociò si rese conto che non sarebbe più stato capace di distogliere
lo sguardo.
“Io…” iniziò a rispondere, perché si rendeva conto di fare la figura
dell’idiota, li fermo imbambolato e muto, ma semplicemente le parole non
volevano venire.
Cosa aveva avuto in mente di dirgli? Cosa era venuto a fare? E come aveva, in
tutti quegli anni, a non vedere cosa aveva davanti? Come aveva fatto a stargli
lontano per tre interi giorni? Dean sentì il cuore iniziare a martellargli in
gola, invece che nel petto, mentre sentiva crescere in sé il desiderio di
avvicinarsi e baciarlo di nuovo, come aveva fatto nell’acqua del ruscello, solo
più profondamente e più a lungo di quanto un uomo fosse mai riuscito a fare.
Già, proprio un gran bel casino questo.
“Vieni, entra” lo invitò infine Castiel, che aveva inarcato le sopracciglia alla
sua frase troncata ed al suo strano mutismo, e lo guardava ancora come se non
capisse davvero che cosa stesse succedendo al suo amico di solito così loquace e
spaccone.
Possibile che una creatura del genere non si rendesse conto di quanto splendida
potesse apparire? Possibile che la sua innocenza riuscisse solo a farlo apparire
ancora più splendido?
Dean distolse lo sguardo da lui ed entrò in quella stanza che conosceva bene
quanto il viso del suo amico, eppure quella sera anche la camera gli appariva
diversa. L’aria che entrava dalla finestra spalancata sembrava portare profumi
esotici, odori di piante che il ragazzo non aveva mai visto e di cui non
conosceva il nome; i libri e le carte sparpagliate disordinatamente sulla
scrivanie, tra due candele già parzialmente consumate non gli sembravano più
solo noiosi pezzi di carta; ma era il letto, quel letto dalle coperte intonse
dove da bambino si era spesso rifugiato per dormire rannicchiato sul petto del
suo amico, quel letto sembrava canzonarlo da lontano.
“Man tellig an pedi nin?
(Cosa sei venuto a dirmi?)” chiese Castiel d’improvviso, con il tono basso e
suadente che assumeva sempre la sua voce quando parlava nella propria lingua e
una nota di malinconia a pervadere le sue parole nonostante il sorriso che
permaneva sul suo volto.
Dean si voltò velocemente verso di lui, trovandolo alla propria sinistra, ed
aprì la bocca per replicare con il discorso che si era tanto accuratamente
preparato prima di lasciare la propria stanza, ma il suo cuore non la voleva
smettere di pulsare nel posto sbagliato, e il suo ritmo serrato proprio sul
fondo della gola semplicemente gli impediva di trovare la voce. O forse era
quella vocina nella sua mente, che sussurrava che le parole che aveva scritto
mentalmente nella sua camera non erano state preparate per questo momento, per
questa persona. Quella vocina che insinuava che se avesse pronunciato ora quelle
parole, invece di fare quello che realmente voleva fare, lo avrebbe rimpianto
per il resto della sua vita.
“Hiriel Lisa dartha galu an geri meleth cîn (Dama Lisa è fortunata ad
avere il tuo amore)” aggiunse l’Elfo, sorridendo all’amico con più convinzione,
come cercando di scacciare quella persistente nota grama nella propria voce,
mentre andava a sedere sul bordo del letto “Ecco cosa sei venuto a dirmi”
continuò, con un sospiro, guardando negli occhi verdi del ragazzo da sotto in
su.
Forse furono le sue parole, forse il fatto che fosse andato a sedere proprio
quel letto, come quando, bambino, correva nella sua stanza spaventato dalle
ombre della notte, forse solo il sorriso che continuava a mantenere sul proprio
viso, per rendere a lui il compito più facile. Forse furono tutte queste cose
insieme, e forse nessuna, forse aveva solo avuto bisogno del tempo necessario
per ascoltare davvero quella vocina che, più che nella mente, gli sussurrava
nell’anima. Il suo cuore impazzito continuò a correre come un cavallo selvaggio,
ma tornò a farlo nella sua giusta sede, e Dean sentì improvvisamente la voce
tornare, insieme alla certezza di quello che voleva. Finalmente.
Si avvicinò a sua volta al letto e rimase in piedi di fronte all’Elfo seduto.
Portò una mano ad accarezzare la stoffa leggera e morbida di seta della lunga
tunica verde scuro, dal petto fin sulla spalla, per poi sfiorargli
distrattamente con la punta delle dita la pelle del collo; mentre l’altra mano
giocava leggermente con i morbidi capelli castani che gli ricadevano in un
disordine perfetto sulla fronte. Dean seguiva i movimenti delle proprie stesse
dita sulla pelle del compagno, come ipnotizzato, solo quando finalmente si
decise a rispondere, tornò ad incrociare i profondi abissi blu di Castiel, che
apparivano finalmente ricolmi di una speranza a cui non voleva credere.
“Avo (No)” disse con decisione, scuotendo lentamente il capo mentre
sollevava una gamba, per poggiare il ginocchio sul letto, di fianco a Castiel “Avo
Lisa dartha galu (Non Lisa è fortunata)” continuò, sentendo la propria voce
raschiargli la gola in modo strano, mentre si sforzava di pronunciare quella
lingua conosciuta da sempre e da sempre estranea alla sua voce mortale “Anìron
le (Desidero te)” gli sussurrò all’orecchio, dopo che ebbe poggiato anche
l’altra gamba sul letto, dall’altra parte del corpo dell’Elfo, e sorrise quando
lo sentì rilasciare lentamente un lungo sospiro.
Dean scostò il viso dal suo per poterlo guardare, per poter fissare le sue
perfette ciglia socchiuse, le sue guance lisce dove la barba non poteva
crescere, i suoi occhi blu resi scuri dal desiderio e brillanti da una felicità
incredula, le sue labbra piene ed appena aperte per lasciare fuggire sospiri
troppo profondi. No, non poteva rinunciare ad avere tutto questo. Voleva bene a
Lisa, era una donna splendida nella sua bellezza passionale ed altera al tempo
stesso, ma era distante, come se non l’avesse mai conosciuta davvero. Era stato
un gioco il loro, perché non poteva credere davvero che lei potesse provare più
una pur forte ammirazione ed un profondo affetto fraterno, per un ragazzo che
aveva, certo, visto crescere, ma da lontano.
Questo era diverso, questo era quel sentimento, quella morsa al petto che non ti
lasciava respirare per la felicità quando ti stringeva tra le braccia, e per
l’abbandono della solitudine quando quelle stesse braccia erano negate. Questo
era quel bisogno dolce come la pazzia di cui John gli aveva parlato una volta,
raccontandogli dei suoi genitori. Quel giorno di tanto tempo fa non aveva
creduto alle parole di sire John, perché non aveva creduto possibile che una
persona potesse sentirsi spaccare dall’interno per un’emozione, ed esserne
perfino felice. Ma ora sapeva…
Il ragazzo tornò ad avvicinare il viso a quello dell’Elfo, stringendo le dita
sulla sua nuca e fra i suoi capelli castani.
“Im melin le Castiel, ernil ardh ennorath” bisbigliò, muovendo le proprie
labbra contro quelle dell’Elfo come se le sue parole fossero una carezza
sussurrata, “Ti amo Castiel, principe del reame boscoso” ripeté nell’idioma
comune, per poter gustare sulla propria lingua il sapore di quelle parole, prima
di sprofondare nella bocca del compagno con il gemito di chi, assetato, affonda
infine il proprio disperato bisogno in uno specchio d’acqua cristallina.
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