4- Pallidi raggi
Pallidi raggi
- Oh, oh – constatò Michiru dal suo specchio, leggermente divertita – I mortali ci muovono guerra -.
- Cosa? -.
- Hanno iniziato a perlustrare il bosco: i soldati, il re e perfino... Usagi -.
Rei corrugò la fronte.
- Allora sanno tutto, perché non attuerebbero una mobilitazione
simile per cercare una bambina che si è persa chissà
dove. Ma come...? -.
- Il gatto di Minako – spiegò semplicemente Michiru, per nulla turbata – Li ha avvertiti lui -.
- Che cosa? Artemis? - esclamò la sua signora – Ma che razza di... se lo prendo... -.
- Non è di lui che dobbiamo preoccuparci adesso! - la
richiamò Rei – Se perlustrano il bosco a tappeto, prima o
poi la troveranno! -.
- Sorelle, direi che è giunto il momento di intervenire –
Michiru si alzò in piedi, lo specchio in una mano e la gonna
della lunga veste nell'altra, in un movimento elegante – In fondo
quel corno dovevamo pur andarlo a prendere -.
Rei e Minako annuirono, alzandosi contemporaneamente, mentre i due
corvi di Rei volavano gracchiando fuori dalla grotta in cui si
trovavano. La donna dai capelli neri come il loro piumaggio spense il
fuoco con un unico movimento fluido della mano, e le chiome di Minako
sembrarono rifulgere nell'oscurità.
- È la resa dei conti, dunque -.
- Sire, ho visto qualcosa! Laggiù, in quella radura! - un
soldato indicò un'ombra poco lontano, che a quella distanza
poteva sembrare una sagoma umana. Anche se la pioggia si era finalmente
placata, le nubi stentavano a diradarsi, rendendo quella notte estiva
più buia che mai.
- Chibiusa! - chiamò il re, correndo verso quella figura che
poteva essere la sua bambina. Ma quando la raggiunse, illuminandola con
una fiaccola, vide che altro non era se non un ammasso di sterpi e
fogliame.
- Maestà, da questa parte! È laggiù! - un'altra
voce sembrò localizzare Chibiusa qualche centinaio di metri
più a sinistra, e persino a Mamoru parve di scorgere un
familiare paio di codini; che tuttavia si rivelarono un semplice
cespuglio dalle forme bizzarre.
- Sire, di qua! -.
- No, è laggiù! -.
- La principessa! L'ho vista! -.
- Ma che cosa...? - per quanto privo di poteri magici, Mamoru non era
tanto sprovveduto da non riconoscere un incantesimo quando ne
incontrava uno: e dietro quei falsi avvistamenti, che si susseguivano
uno dopo l'altro, c'era senz'altro la mano di una strega.
- Maestà, eccola! No, non è... ma sembrava... -.
Usagi aveva voluto ad ogni costo dividersi da loro: "Conosco questo
bosco come il palmo della mia mano", aveva detto. Mamoru sperò
davvero che non avrebbe tentato niente di azzardato, disarmata com'era:
ma quando la sua sposa si metteva in testa qualcosa, era impossibile
farle cambiare idea.
- Sire, da questa parte! -.
Sarebbe stata una notte molto lunga.
Il capitano delle guardie aveva proseguito da sola,
nell'oscurità del bosco, dietro permesso del re. Sapeva che i
suoi uomini erano affidati a lui, e questo la faceva star tranquilla,
ma era anche consapevole del fatto che, per riuscire davvero ad essere
utile in una situazione come quella, doveva andare avanti per conto
proprio.
Nonostante il buio pesto e le ombre che si allungavano, più
scure della notte stessa, Haruka avanzava determinata e sicura, guidata
dalla propria spada. Riluceva leggermente nell'oscurità, una
pallida falce di luna nel bosco che la guidava oltre qualunque
ostacolo: solo il re e la regina erano a conoscenza del segreto della
sua arma, e in un regno che non vedeva di buon occhio magia e
incantesimi avevano trovato opportuno tenerlo nascosto ai più.
Per utilizzarla al meglio, Haruka non doveva quindi avere sottoposti
tra i piedi. Saltò abilmente una radice che sporgeva dal
terreno, pur senza vederla, e malgrado il buio si rese conto di essere
giunta in una radura che ospitava uno specchio d'acqua di discrete
dimensioni: poté udirne le increspature provocate dalla brezza
leggera di quella notte estiva e sentirne l'odore di piante acquatiche.
L'elsa che stringeva in mano pulsò.
- Una spada magica, a quanto vedo -.
- Io invece non vedo molto, ma non credo di sbagliare nel ritenerti senza dubbio una strega -.
- Strega, che brutta parola! Maga o incantatrice suonano molto meglio, non trovi? -.
In effetti quella voce suadente aveva lo stesso incanto delle onde
leggere che increspavano la superficie dell'acqua lì accanto, ma
Haruka non si lasciò distrarre.
- È una vera fortuna che il buio mi risparmi la vista del tuo
naso adunco, per non parlare del viso da vecchia tartaruga: non credo
siano molto incantevoli -.
- Come ti permetti? - sibilò, gelida, Michiru.
- Beh... devi avere qualche secolo, no? -.
Haruka seppe di aver toccato il tasto giusto quando una luce improvvisa
si irradiò da quello che per un attimo le sembrò uno
specchio da toeletta, per poi andare ad accendere l'intera superficie
dell'acqua lì accanto. La radura si illuminò allora di un
bagliore quasi ultraterreno, che permise finalmente ad Haruka di
studiare la sua avversaria.
- A giudicare dalla tua espressione, non devi trovarmi poi così repellente – sorrise sorniona Michiru.
In effetti non aveva mai visto creatura più avvenente, nemmeno
fra le più belle dame di corte. Forse non era un caso che avesse
scelto di incontrarla proprio presso uno specchio d'acqua: sembrava una
creatura acquatica lei stessa.
Una creatura acquatica i cui occhi minacciavano tempesta.
- La ragazzina morirà stanotte. È solo questione di tempo
– annunciò infatti Michiru, rendendo ancor più dura
l'espressione della sua avversaria.
- Se ne sei convinta, non sarò io a contraddirti –
ribatté Haruka – Ma fossi in te non ne sarei tanto sicura:
la regina in persona è venuta a cercare la principessa -.
- La regina in persona non possiede più alcun potere: è
una comune mortale, ormai – rispose con sufficienza Michiru.
- All'apparenza, forse – replicò Haruka. Ritenendo che si
fosse ormai chiacchierato abbastanza, lanciò un'occhiata ironica
allo specchio che la strega teneva in mano – Pensi di affrontarmi
con quell'arnese? -.
- Quest'arnese è cento
volte più potente della tua ridicola spada, per quanto magica
– puntualizzò Michiru, alla quale quello scambio di
battute iniziava quasi a piacere.
- Ti rammento che non è tanto l'oggetto in sé ad essere
potente, quanto chi sa utilizzarlo – affermò Haruka,
già in posizione di battaglia.
- Non potrei essere più d'accordo – convenne Michiru,
alzando il suo fedele compagno con il movimento fluido di un'onda
– Stiamo aspettando -.
Haruka si lanciò all'attacco.
Usagi non aveva mentito, nel dire a Mamoru che conosceva quel bosco
come il palmo della sua mano; tuttavia non aveva fatto i conti con la
sua estrema goffaggine, che a volte la faceva ancora inciampare nei
lunghi abiti da cerimonia usati a corte. E che l'aveva fatta finire
lunga distesa già un paio di volte, a causa di alcune radici che
sporgevano dal terreno.
Usagi era certa di avere il vestito rovinato in più punti, per
non parlare del naso: era sicura di esserselo graffiato, per quanto le
faceva male.
... forse quella di andare avanti da sola non era stata una buona idea,
dopotutto. Sapeva solo che voleva riabbracciare la sua bambina, ma di
quel passo l'avrebbe trovata solo se vi fosse inciampata addosso.
L'istante successivo non inciampò su Chibiusa: incespicò
su alcuni sterpi nascosti dal fogliame del sottobosco, finendo a terra
per l'ennesima volta.
La risata che udì pochi metri avanti a sé, l'avrebbe riconosciuta fra mille.
- Rei! - gridò rialzandosi, infischiandosene di avere
probabilmente il viso sporco di terra – Dov'è mia figlia?
-.
- Tutto questo tempo non ti ha fatta diventare più intelligente, Usagi: pensi davvero che ti risponda? -.
- Ti costringerò a rispondermi! -.
- Ah, sì? E come? Messa come sei adesso, mi basterebbe aizzarti contro i miei corvi, lo sai? -.
- Non dire scioc... ah! - Usagi portò istintivamente le braccia
a coprire la testa e il viso, mentre un paio di uccelli che si
confondevano nell'oscurità tentavano di beccarla. Ma ad un
tratto il frullio d'ali attorno alla sua testa venne sovrastato da un
miagolio minaccioso, e l'istante dopo sentì uno dei due corvi
finire a terra, tra le grinfie di una Luna furibonda, mentre l'altro si
alzava in fretta in aria.
- Luna, sei tu! - nonostante il buio, gli occhi della gatta
scintillarono solidali nelle tenebre. Malgrado non fossero più
riuscite a parlarsi dopo che Usagi aveva rinunciato alla magia,
l'affetto tra loro non era mai venuto meno.
Udì Rei sibilare un "Gattacci!", e alzò il viso verso il
punto in cui presumeva si trovasse la sua antica compagna.
- Perché, Rei? - gridò, più per la distanza del
suo cuore che per quella effettivamente fisica – Se dovete
vendicarvi, fatelo su di me! Chibiusa non c'entra nulla! -.
- Veramente c'entra anche solo per il fatto di essere tua figlia
– replicò lei – Comunque non è per vendicarci
che l'abbiamo fatta venire fin qui. Non solo almeno: semplicemente ci
serviva -.
- Vi serviva? E per cosa? -.
- Andiamo, Usagi: anche una come te sa qual è l'unico sistema per attirare un unicorno -.
Certo che lo sapeva: ma cosa poteva servire un unicorno a un gruppo di tre streghe?
- Beh, sai anche tu che il suo corno è efficace contro qualunque
tipo di veleno – spiegò Rei, udendo la sua tacita domanda
– E noi cominciamo ad avere qualche secolo di troppo, ormai...
quale veleno peggiore della vecchiaia? -.
- Che cosa? -.
- Ma sì: Minako ha pensato che potevamo usare il suo corno per
ricavarne un elisir di giovinezza, ma non solo – a Usagi non
servì vederla per sapere che aveva assottigliato gli occhi: dopo
tutti quegli anni, la conosceva ancora alla perfezione – Sembra
che la mocciosa abbia in sé una potente dose di magia: Michiru
sostiene che quell'unicorno potrebbe essere il suo famiglio -.
- Che... cosa? Famiglio? Un unicorno? -.
- È quello che ci siamo chieste anche io e Minako, ma a quanto
sembra è possibile. E ti dirò di più: se è
così, significa che sono uniti dal filo sottile dei sogni, che
è assolutamente indissolubile. Sai questo cosa significa? -.
- N-no – Usagi era incredula: sua figlia? Con un unicorno per
famiglio? Ma era impossibile: era mezza mortale, e lei aveva rinunciato
alla magia tanto tempo prima... ma cercò di seguire il discorso
di Rei, per quanto possibile – Che cosa significa? -.
- Oh, Usagi – fece l'altra, in tono quasi compassionevole –
Se il sogno muore, che ne sarà del sognatore? E se muore il
sognatore, che ne sarà del sogno...? -.
Malgrado fosse una splendida notte estiva, lavata da tutta la pioggia
di quel giorno, Usagi si sentì ricoprire di sudore gelido.
- N-no... - balbettò – Tu non puoi... voi... non fareste mai... -.
- Davvero, Usagi? - la voce di Rei si era fatta tagliente, affilata
come una falce – Sei stata tu a tradire le tue sorelle: pensavi
davvero che non ci sarebbero state delle conseguenze? -.
- No! - stavolta Usagi
urlò con quanto fiato aveva in corpo – Io non ho tradito
nessuno: credi sia stato facile rinunciare alla magia, a tutto
ciò che ero? L'ho fatto per amore! Sai cos'è, Rei? -.
Rei non rispose, presa in contropiede: sapeva quanto la sua antica
compagna dovesse tenere alla figlia, ma non si era aspettata una
reazione del genere.
- No, non lo sai! - continuò Usagi, mentre le nuvole nel cielo
scuro iniziavano lentamente a diradarsi – E ti dirò di
più: non ho perso una parte di me, l'ho ritrovata! Sono
ciò che sono, e sono sempre io! -.
Le parole fluivano come un fiume in piena, ed entrambe sapevano che
Usagi stava iniziando ad ingarbugliarsi nei propri discorsi. Ma quando
dalle nubi cominciò a far capolino una pallida luce che
conoscevano ambedue molto bene, Usagi si calmò: guardò in
alto, verso quella tenue falce di sole che dondolava i sogni ogni notte
(¹), alla quale aveva tante volte rivelato i propri segreti. Era
stata la prima a sapere del suo amore per quel giovane mortale dai
capelli scuri come il cielo notturno, ed era stato pensando al coniglio
nascosto lassù che aveva inventato le fiabe per la sua bambina.
Poi abbassò lo sguardo su Rei, pochi metri più avanti, la
cui figura era ormai perfettamente visibile.
- La luna è una gran dama, Rei. Non permette che a una sua
creatura venga fatto del male in una notte come questa, nemmeno se si
è allontanata da lei -.
Rei non replicò, e Usagi sorrise.
- La luna proteggerà mia figlia -.
Un raggio di luna cadde sugli occhi di Chibiusa, molto più
gentile e delicato del sole che al mattino le feriva gli occhi,
destandola dal sonno. Ma non dal suo sogno,
ancora lì accanto a lei, con la testa nel suo grembo. Anche
l'unicorno aprì gli occhi, la guardò e si alzò,
scrollando leggermente la criniera.
- Ehi, aspetta! - esclamò Chibiusa, alzandosi a sua volta – Non andrai via, adesso! -.
L'unicorno sembrò non averne alcuna intenzione, perché
avvicinò il muso al suo viso, facendosi abbracciare di nuovo.
Chibiusa non sapeva in che punto del bosco si trovavano, e non aveva la
minima idea che i suoi genitori la stessero cercando o che tre streghe
fossero sul punto di venire fin lì per il corno di quello
splendido cavallo.
C'era qualcosa, in quella strana atmosfera, che la faceva sentire come
se non si trovasse più nemmeno nel suo mondo; come se non fosse
stato altro che un sogno, di nuovo. E lei in realtà si trovava
addormentata nel suo letto, quindi non c'era alcun motivo che i suoi
genitori si preoccupassero per lei.
Ma la luce della luna che accarezzava il bosco intero, bagnando
d'argento ogni foglia e filo d'erba, era qualcosa che nei suoi sogni
era mancato: per cui forse era tutto ancora più bello, e la
realtà aveva superato il sogno.
L'unicorno abbassò ulteriormente il muso, fin quasi a toccare
l'erba umida di pioggia e rugiada, finché Chibiusa non si
trovò il corno dorato all'altezza del viso. Forse alla luce del
sole avrebbe potuto addirittura ferirle gli occhi, tanto sembrava
abbagliante, ma in quel momento il sole non c'era: c'era solo la luna,
con la sua luce gentile e delicata.
Chibiusa alzò lentamente le mani, senza rendersi del tutto conto
di ciò che stava facendo, e toccò il corno. L'unicorno si
spostò e il corno le restò in mano.
- Eh? Cosa? - ci mise un istante a rendersi conto che il corno si era
chissà come staccato dalla fronte dell'animale. L'attimo dopo il
corno brillò di una luce intensa e potente, cambiando forma tra
le sue mani: ciò che si ritrovò sui palmi era una specie
di strano cristallo, dorato e raffinato.
Quando alzò gli occhi sull'unicorno, convinta di trovarsi ormai
di fronte a un semplice cavallo bianco, rimase a bocca aperta nel
constatare che il cavallo non c'era più.
E in quel momento capì che non c'era mai stato.
(¹) Credit necessario, perché questa frase è
più o meno presa dalla prima sigla italiana di "Sailor Moon"
La frase "Se il sogno muore, che ne
sarà del sognatore? E se muore il sognatore, che ne sarà
del sogno...?" , di Arthur B. Chandler, dovevo inserirla per uno dei
due contest.
Il prossimo sarà l'ultimo capitolo, e spero proprio che seguiate questa storia fino alla fine. ^^
Arwen297:
ti sei spiegata benissimo, e come "sorella" intendevo per l'appunto in
senso magico. Non ci sono parentele inventate, da questo punto di vista
è tutto come lo conosciamo- quindi l'unica è quella tra
Chibiusa e i suoi genitori.
Quando ho riletto questa storia, dopo
averla scritta, mi sono accorta che Haruka fa molto "Lady Oscar", ma
devo dire che in queste vesti mi piace molto. E tra lei e Michiru non
si può mai sapere...
Sono contenta che questa versione fantasy ti piaccia, spero che continuerai a seguire la storia. ^^
Cri cri: sono contenta che ti piaccia l'abbinamento "Sailor Moon- fantasy", mi sono divertita un sacco a scrivere questa storia! ^^
Deep Submerge85:
sì, sorelle è da intendere ovviamente in senso magico, e
ci hai azzeccato col motivo per cui Rei considera Usagi una traditrice!
E come hai letto, questo capitolo spiega tutto quanto.
Haruka non ha un ruolo in secondo piano, e qui mi è venuta un po' alla "Lady Oscar"... XD
lulu85:
come avrai già letto, in questo capitolo si spiega bene cosa
è avvenuto perché Usagi "tradisse" le sue compagne.
Comunque il prossimo sarà l'ultimo capitolo, quindi non manca
molto alla fine. ^^
criss90:
sono contenta che la storia ti piaccia, anche se non è molto
lunga (il prossimo è l'ultimo capitolo). E sono felice anche che
tu convenga con me sull'assoluta comicità nascosta del trio
Rei-Minako-Michiru. ^^
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