Altro
giro, altro
regalo. Ho pensato che tanto il capitolo l'avevo lì e non mi
costava
nulla postarlo. Rallenterò le pubblicazioni quando non
avrò più
materiale pronto, come al solito - anche se sono abbastanza certa che
non succederà.
Buona
lettura.
II:
Colazione da maghi
“ Harry!”
Kingsley Shaklebolt posò sulla scrivania il documento che
stava
leggendo e si alzò per andargli incontro. “Speravo
che passassi.
Vieni, siediti,” aggiunse, stringendogli rapidamente la mano.
A
Harry Shaklebolt piaceva. Era una mago risoluto, onesto e coraggioso,
ed era sicuro che sarebbe stato un Ministro molto migliore di
Caramell. Inoltre, non lo trattava come una specie di
divinità ma,
anzi, il suo atteggiamento verso di lui non era cambiato da quand'era
più piccolo.
“ Ciao.
Hermione mi ha detto che volevi vedermi,” rispose, accettando
il
suo invito a sedersi.
“ Sì,
è esatto,” confermò il Ministro,
riprendendo posto e rivolgendosi
un brevissimo sorriso. “La settimana prossima, forse l'hai
sentito
dire, riceveremo una visita del Ministero spagnolo.” Harry
seppe
già esattamente dove sarebbe andato a parare il discorso.
“Sarebbe
una buona cosa se ci fossi anche tu, ad accogliere i nostri
ospiti,”
proseguì infatti Shaklebolt.
Harry
strinse i pugni sulle ginocchia. Un'altra volta a spacciarsi per
grande eroe. Un'altra offesa ai suoi morti.
“ Naturalmente,”
commentò con un sorriso.
“ Bene,”
fece il Ministro sollevato. “Ah, volevo anche ricordarti che
hai
ancora una settimana di tempo per l'iscrizione posticipata al corso
da Auror,” proseguì, con un'occhiata acuta.
Harry
la sostenne senza cambiare espressione, teso.
“ Sì.
Beh, penso che mi prenderò un anno sabbatico,”
borbottò vago.
“ Come
preferisci, naturalmente, ma...non lasciar correre troppo
tempo.”
Lui
annuì serio, con il cuore in gola. Auror, naturalmente
caposquadra,
capitano, e poi comandante del corpo. Era un destino già
scritto,
che culminava forse con l'occupazione di quella stessa carica di
Ministro. Harry Potter, il salvatore.
Cercò
di rimanere calmo, senza dimenticare l'altra ragione per cui era
lì.
“ Hai
ragione,” bofonchiò, prima di schiarirsi la voce.
“Hermione e
gli altri miei coetanei si stanno già dando da
fare,” aggiunse,
vago.
Kingsley
si strinse nelle spalle.
“ E'
giusto che ti prenda i tuoi tempi,” commentò,
benevolo.
“ Sì...
A proposito,” riprese lui, noncurante, “ho visto
che c'era Malfoy
l'altra volta alla cerimonia...”
“ Oh,
sì,” confermò l'altro con un cenno
vago. “Immagino sia venuto a
fare atto di presenza. È stato piuttosto
coraggioso.”
Harry
aggrottò la fronte.
“ Perché?”
Shaklebolt
lo guardò quasi sorpreso, prima di scuotere la testa.
“ ...Diciamo
che la sua popolarità è in ribasso. La tua
testimonianza gli ha
evitato il carcere, ma non è visto di buon occhio dalla
nostra
fazione. E nemmeno più dagli altri.”
“ In
che senso?”
“ ...Harry,
nessuno vuole essere accomunato a un traditore,” gli fece
notare il
Ministro, diretto.
La
sua mandibola precipitò verso il basso e rimase
lì ciondolante,
mentre nella mente di Harry finalmente diventava tutto chiaro, sin
dagli eventi della sera delle celebrazioni.
Comunque
ho visto la Parkinson, e anche Zabini e Nott, gli aveva fatto
notare.
Grazie,
li riconosco da solo, aveva
risposto Malfoy, ma non aveva parlato con nessuno di loro.
Perché
nessuno di loro ci voleva parlare, con lui. Il più
importante dei
piccoli principi pureblood aveva disceso la china ed era rotolato
verso fondovalle, e nessuno degli altri voleva più averci a
che
fare. Lucius era stato condannato ad Azkaban, Draco stesso si era
ritrovato ad un passo dall'incarcerazione. Se non fosse stato per
lui, per Harry, una decina d'anni di cella di massima sicurezza non
glieli avrebbe levati nessuno. Allo stesso tempo, però,
Harry aveva
affermato davanti a tutta l'Inghilterra magica che Draco Malfoy
l'aveva aiutato, vendendo la sua fazione e il marchio nero sul suo
avambraccio. Nemico dei vincitori, traditore dei perdenti. Non una
bella posizione, da qualunque lato la si guardasse.
Quando
Hermione sbarcò a Grimmauld Place con la spesa per lui,
Harry aveva
davanti una pergamena bianca su cui non sapeva bene cosa scrivere.
Era indeciso se chiedere semplicemente a Malfoy di incontrarsi o se
annunciargli direttamente che sì, ci aveva pensato ed era
d'accordo
per ricoprire il ruolo di garante nell'atto di vendita del Manor. Non
si trattava, palesemente, che di una decisione infima, che chiunque
avrebbe potuto prendere anche ad occhi chiusi. Avrebbe, appunto,
perché non era il caso attuale.
Ormai
gli succedeva abbastanza spesso – quasi continuamente, per la
verità. Di fronte al più piccolo come al
più grande quesito, che
si trattasse di scegliere tra bere tè earl grey o
tè nero a
colazione o di stabilire cosa fare della propria vita, Harry si
trovava incapace di decidere alcunché. Rimaneva come
paralizzato,
colto da un leggero senso di nausea, con la mente svuotata e una
sottile angoscia, impossibilito a risolversi. Non aveva ancora
cambiato nulla dell'arredamento di casa, perché non sapeva
decidere
cosa tenere e cosa no. Non aveva accettato nessuno dei lavori che gli
erano stati offerti perché non sapeva quale scegliere, e per
lo
stesso motivo non ne aveva nemmeno rifiutato nessuno; allo stesso
modo non si era iscritto al corso da Auror perché non era
capace di
decidere se e quando volesse diventarlo. Continuava ad essere
titubante anche nei confronti della richiesta di Malfoy, sebbene il
realizzare la sua situazione l'avesse trovato propenso ad accettare
per una inconscia forma di puro altruismo; ma non era convinto, come
al solito, e forse era quella la ragione per cui temporeggiava. Tutto
diventava difficile, una fonte continua di ansia di fronte alla quale
il suo cervello rimaneva cristallizzato, passivo e smarrito.
La
sua migliore amica lo trovò così, imbambolato
davanti allo
scrittoio con lo sguardo fisso e un'espressione un po' mesta.
“ Provviste,
Harry,” annunciò a mezza voce, lasciandogli
scorrere addosso
un'occhiata un po' perplessa, un po' comprensiva.
Non
ci andava mai, lui, a farsi la spesa. Presentarsi a Diagon Alley o in
qualunque altro posto dove la gente lo conosceva significava
immancabilmente ritrovarsi circondato da capannelli di curiosi, di
ammiratori o ancor peggio di giornalisti, ed Harry lo faceva solo se
inevitabile. Non aveva ancora rilasciato nemmeno un'intervista, dalla
fine della guerra, e i cronisti lo pedinavano come segugi.
“ Grazie,
Hermione,” mormorò assorto.
Lei
annuì, poggiando i pacchetti a terra.
“ Tutto
a posto, Harry?” domandò pacata.
Il
ragazzo si voltò a guardarla, indeciso. Sapeva benissimo che
se
avesse parlato, ad esempio, con Ron della situazione Malfoy, il suo
migliore amico avrebbe dato in escandescenze e avrebbe affermato
accorato che sarebbe stato da pazzi dar retta a Malfoy e che c'era
sicuramente sotto qualcosa di poco raccomandabile. Non era,
naturalmente, una posizione del tutto erronea, ma Ron l'avrebbe
espressa soltanto per un preconcetto radicato, di vecchia data.
Hermione, invece, sarebbe stata sicuramente molto più
obiettiva e
ragionevole, ci avrebbe pensato su e gli avrebbe dato un consiglio
lucido e ponderato. O almeno sperava.
Non
che Malfoy le fosse simpatico, con tutto quel che le aveva combinato
a scuola e i fatti della guerra. Ma Hermione Granger era un persona
capace di distinguere tra le proprie emozioni personali e la
realtà
oggettiva, ed era una delle ragioni per cui Harry si fidava tanto di
lei.
Non
era comunque sicuro che raccontarle tutto fosse una buona idea e
avrebbe probabilmente continuato, ancora una volta, a tentennare se
lei non l'avesse spronato.
“ Harry?”
ripeté, dal momento che lui rimaneva in silenzio.
Lui
prese un ampio respiro.
“ Ho
incontrato Malfoy. Mi ha chiesto un favore,”
annunciò sintetico.
Hermione
aggrottò la fronte, attenta.
“ Che
genere di favore?” s'informò, abbandonando le
vettovaglie a se
stesse e avvicinandolo di di un paio di passi.
Harry
si strinse nelle spalle.
“ Vuole
vendere il Manor e ha bisogno di qualcuno che gli faccia da garante,
vista la sua fedina penale.”
La
fronte di Hermione si corrugò ulteriormente.
“ E
perché l'avrebbe chiesto a te?”
Harry
sbuffò sommessamente.
“ Credo
che nessun altro lo farebbe.”
Sperò
che Hermione capisse i sottintesi, e la piega della sua fronte che si
distendeva glielo confermò. La ragazza si
accoccolò sulla poltrona
accanto, guardandolo penetrante. Certe volte, lo sguardo di Hermione
ricordava in maniera preoccupante quello trasparente e sondatore di
Dumbledore.
“ Pensi
di accettare?” mormorò.
Harry
scrollò la testa.
“ Immagino
non ci sarebbe niente di male. Non penso che Malfoy stia progettando
di uccidermi, sai,” osservò, senza veramente
rispondere alla
domanda.
Hermione
annuì pensosa.
“ Chi
è il compratore?”
Harry
sgranò un po' gli occhi, socchiudendo le labbra senza una
risposta.
“ Non
gliel'ho chiesto,” ammise.
“ Dovresti,”
suggerì lei.
Per
qualche istante rimasero in silenzio, tutti e due muti e meditabondi,
lui fissando il foglio bianco, lei un angolo del pavimento. Poi Harry
spostò l'attenzione sull'amica e storse le labbra in una
smorfia.
“ Pensi
che sarebbe stupido accettare?” mormorò.
Hermione
si strinse nelle spalle, pratica.
“ E'
Malfoy,” constatò senza ombra d'entusiasmo, prima
di allontanare
una ciocca di capelli crespi dal viso. “D'altra parte, se
vogliamo
che le cose cambino dobbiamo essere noi i primi a cercare di
cambiarle. Abbiamo combattuto anche per questo, per abbattere le
barriere. Sarebbe stupido se proprio noi ci rinchiudessimo al loro
interno.”
Per
qualche ragione Harry si sentì sollevato da quelle parole,
alleggerito da un peso. Fu felice di aver finito per parlarle,
consapevole che la visione di lei andava sempre al punto.
“ Però,”
continuava lei, accigliata, “trattandosi proprio di lui
sarebbe
meglio fare qualche verifica. Cerca di scoprire di chi si tratta e io
tenterò di saperne di più,” si propose,
affabile.
Harry
le sorrise con riconoscenza.
“ D'accordo.”
Prese
la penna d'oca, improvvisamente risoluto e senz'ombra di dubbi, e
scarabocchiò sulla pergamena con scioltezza.
Malfoy,
Ci
sono un paio di cose che vorrei sapere,
prima
di decidere. Vediamoci domattina
al
solito posto.
Harry
Gli
fece un certo effetto, nel rileggere, l'idea che lui e Draco Malfoy,
eterni rivali scolastici e non solo, avessero un “solito
posto”
in cui vedersi. Tuttavia si strinse nelle spalle, chiuse la pergamena
e l'affidò a Tolomeo, il gufo bianco che Ginny gli aveva
regalato
per sostituire la sua Edvige.
“ Bene,”
sospirò sollevato, guardando il volatile che spariva fuori
dalla
finestra. “Almeno questa cosa è sistemata. Ti
fermi a pranzo?”
aggiunse, voltandosi verso l'amica.
“ Perché
no,” rispose Hermione. “Ho comprato un bel po' di
roba.”
Harry
le sorrise e lei fece altrettanto.
Certe
volte, bastava poco per sentirsi a casa.
Agli
ordini, eroe, era stata la risposta che Malfoy gli aveva
fatto
pervenire la sera precedente. Quando Harry arrivò a una
ventina di
metri dalla statua di Peter Pan, di nuovo alle undici di mattina
senza che fosse stato specificato, lo vide già seduto su una
panchina, con gli occhi che indugiavano sul Serpentine e le mani
intrecciate in grembo.
Si
avvicinò con una specie di sorriso di circostanza.
“ Ciao,
Malfoy.”
“ Potter.”
Non
seppe cosa dire, e lo Slytherin si limitò a fissarlo
freddamente,
senza avere un'aria troppo ostile né minimamente amichevole.
Harry
si schiarì la voce, a disagio.
“ Come
va?” chiese vago, senza risolversi a sedersi.
“ Potter...”
sbuffò Draco con aria tediata.
“Perfavore,” concluse asciutto.
Harry
annuì bovinamente, riuscì in qualche modo a
piegare le ginocchia e
si accomodò all'altro lato della panchina. Fissò
la statua con
sguardo vacuo.
“ Non
hai portato la colazione,” constatò Draco piatto,
osservando la
sue mani vuote.
“ Mi
sono svegliato tardi,” ribatté Harry, vago.
L'altro
annuì.
“ Fortunatamente,”
affermò con aria superiore, piegandosi a raccogliere da
terra un
sacchetto che lui fino ad allora non aveva notato, “ci ho
pensato
io. Una vera colazione, non quelle schifezze che mangi tu.”
Harry
lo osservò sorpreso, con remota curiosità, mentre
lo Slytherin
svuotava il suo sacchetto depositando in mezzo a loro sulla panchina
un contenitore con dei pancakes caldi rivestiti da una colata di
marmellata, un altro con delle salsicce fritte e due tazze coperte,
probabilmente contenenti del tè.
“ Veramente?”
mormorò.
Draco
gli scoccò un'occhiata altera.
“ Veramente
mi nutro di cibo? Sì, capita,” replicò
sarcastico. “Allora, che
vuoi sapere sulla mia vita privata, specie di seccatore?”
proseguì,
prendendo un pancake prima di dargli un morso.
Harry
lo imitò. Una specie di leggera allegria lo
colmò, in contemporanea
con la marmellata che inondava il suo palato. C'era un leggero sole,
il parco era poco affollato e sommerso dalla chiara luce autunnale e
lui stava facendo colazione su una panchina con un suo ex compagno di
scuola, come qualunque diciottenne del mondo. Per qualche secondo, si
crogiolò nel far finta che fosse tutto lì.
Poi
prese fiato.
“ A
dire la verità, non si tratta di te. Vorrei saperne di
più sul
compratore.”
Draco
lo osservò di sottecchi, cauto.
“ Perché?”
Harry
fece spallucce.
“ Perché
sì.”
Draco
diede un sospiro irritato, mentre lui ingollava il resto del pancake.
“ Non
è inglese. È un ricco pureblood tedesco, padre di
famiglia, di
nobili discendenze, che sta impiantando alcuni affari in Inghilterra
e vuole una residenza secondaria sul posto.”
Una
residenza secondaria, rifletté vagamente Harry. Da quel poco
che ne
aveva visto lui, il Malfoy Manor era una dimora enorme, lussuosa, in
cui avrebbero potuto comodamente installarsi tutti i Weasley con la
loro discendenza, senza nemmeno star stretti. Qualcun altro, invece,
lo considerava un pied-à-terre. C'erano davvero
più mondi che
convivevano in uno solo, non sempre pacificamente.
“ Come
si chiama?” continuò, accantonando quelle
riflessioni. Allungò la
mano e prese una salsiccia tra i due polpastrelli, portandola alle
labbra per sgranocchiarne l'estremità. Era squisita.
“ Sauer.
Niklaus Sauer, è un Conte originario dell'Hessen. Si occupa
di
commercio di materiale da laboratorio, è un titano nel
campo.”
“ Da
laboratorio?”
Draco
strinse le labbra.
“ Provette,
calderoni, roba del genere.”
“ Niklaus
Sauer...” ripeté Harry a mezza voce, mandando a
mente il nome.
L'altro
sospirò tra sé, prima di infilare una mano nel
bavero del cappotto.
Harry non gli badò, arpionando una seconda salsiccia che
masticò di
gusto.
“ Tieni,”
fece Draco, porgendogli un bigliettino su cui una foto magica
piuttosto pomposa, il cui protagonista elargiva brevi cenni di
cortesia con il capo, faceva bella mostra di sé accanto ad
alcuni
dati. “E' il suo biglietto da visita.”
“ Grazie,”
rispose Harry prendendo il bigliettino. Lo osservò di
sfuggita,
prima di sollevare di nuovo lo sguardo in direzione di Malfoy
– e
sgraffignare con la mano libera il suo secondo pancake.
Draco
scosse il capo con sufficienza, senza replicare. La sua mano chiara
andò ad avvolgersi elegantemente intorno alla tazza, che
portò
verso il viso e scoperchiò scoprendone il contenuto fumante.
Harry
si stupì nel riconoscerne l'aroma.
“ E'
caffè,” commentò, rallegrandosi e
prendendo anche la propria. “Ti
facevo più tipo da tè, Malfoy.”
“ Infatti,”
scandì Draco altero. “Ma ho visto...”
iniziò, senza tuttavia
finire la frase.
“ Che
io bevo caffè?” ipotizzò Harry con un
principio di sorriso
sornione. “Molto carino da parte tua, Malfoy,”
ridacchiò.
L'altro
storse le labbra in un sorriso affilato, per niente divertito.
“ Sono
uno Slytherin. So benissimo che per ottenere i favori di qualcuno il
modo più semplice è ingraziarselo,”
commentò asciutto.
Harry
ingollò una bella sorsata di bevanda, storcendo il naso.
“ Dopo
anni di massacri reciproci, come mi ha fatto notare qualcuno poco
tempo fa, non ti basterebbe un decennio per ingraziarti il
sottoscritto,” gli fece notare, eccezionalmente bonario.
Quella
mattina il suo umore era ottimo, constatò distrattamente.
Forse era
per via della colazione, e afferrò l'ennesima salsiccia.
“ L'appetito
però non ti manca,” osservò Draco,
ironico.
Harry
non si sentì nemmeno un po' a disagio, nonostante forse
l'intenzione
fosse quella. Invece gettò un'occhiata all'interlocutore.
“ Tu
invece non hai quasi mangiato,” realizzò. Il
pancake di Draco, il
primo, era smangiucchiato a metà. Non aveva toccato altro,
se non il
caffè.
“ Non
che siano fatti tuoi, Potter, ma non mangio molto a
colazione.”
Harry
non disse nulla. Si limitò invece a osservare la sue guance
un po'
scavate e l'avambraccio esile.
“ Sono
buonissime, sai?” si limitò ad esclamare,
sventolando il suo
mozzicone di salsiccia.
“ Certo
che lo so,” lo zittì Draco. “I nostri
Elfi le preparano da
quand'ero bambino.”
Non
avevano altro da dirsi. Non erano amici e non avevano argomenti in
comune. Forse avrebbero potuto imbastire una specie di conversazione
sul Quidditch, meditò Harry senza interesse, ma sarebbe
stata una
mezza farsa abbastanza inutile. Perciò rimasero
semplicemente lì in
silenzio sorseggiando il caffè e, nel caso del Gryffindor,
continuando a sbocconcellare con entusiasmo.
Quando
la tazza di Draco fu vuota, lo Slytherin la ricacciò nel
sacchetto,
appena prima che Harry gli sporgesse anche la sua.
“ Io
ho da fare, Potter, perciò rinuncerò a prolungare
il piacere della
tua compagnia,” annunciò Draco, scacciando
briciole probabilmente
immaginarie dal cappotto.
“ Il
mangiare,” gli ricordò Harry, indicando i due
contenitori sulla
panchina nel vedere che l'altro si alzava lasciandoli lì.
“ Tientelo.
So che voi plebei odiate sprecare il cibo,” gli concesse
Malfoy con
sussiego.
“ Vaffanculo,”
ribatté Harry, ma questa volta sorrideva.
Draco
fece una specie di smorfia paziente, con gli angoli delle labbra un
po' alzati, prima di elargirgli un cenno e allontanarsi senza
aggiungere altro.
Era
già giovedì, il che significava che Hermione
aveva al massimo un
giorno per le sue indagini su Niklaus Sauer e sulla situazione di
Malfoy. Nonostante lo studio e l'addestramento per il corso da Auror
l'amica assicurò ad Harry che se ne sarebbe occupata
comunque senza
problemi e lo lasciò a Grimmauld Place con la promessa di
dargli
notizie prima possibile. Lui, perciò, non aveva nulla da
fare per il
pomeriggio e si decise finalmente a scrivere a Ginny. Quando
però si
fu sistemato davanti all'ennesimo foglio bianco, realizzò di
non
avere nulla da dire.
L'unica
cosa che avrebbe potuto raccontare era la faccenda della richiesta di
Malfoy, e dubitava che la sua ragazza ne sarebbe stata entusiasta.
Come Ron, avrebbe dedotto che si stava facendo gabbare per troppo
buon cuore, o al limite si sarebbe accontentata di inveire contro il
pureblood. In effetti non aveva senso parlarne, perché per
giunta
Ginny era ad Hogwarts e non aveva ben chiara la situazione
all'esterno. Si sarebbe soltanto preoccupata.
Tralasciando
quel fatto ad Harry non rimaneva assolutamente nulla da dire. Oltre
ad incontrare Draco, pranzare con Hermione e cenare con Ron, tolte le
sporadiche occasioni ufficiali di impegni barbosi con Ministero, le
sue escursioni al parco e quelle nel resto della Londra Muggle,
escursioni in cui non interagiva con nessuno tranne Carol la
cameriera, non faceva assolutamente niente.
Osservò
la pergamena intonsa con aria truce, mordicchiando la
sommità della
penna d'oca. Di fianco a lui, sullo scrittoio, c'erano le ultime
salsicce mantenute calde con un piccolo incantesimo. Ne prese
l'ennesima, scrutandola assorto.
Quella
mattina, al parco, non si sentiva così apatico. Non aveva
nemmeno
bisogno di sembrare in gamba e non gli era capitato di pensare a
nessuno di quelli che non c'erano più, o a cosa fare di se
stesso.
Era stato lì seduto a mangiare e rimbeccare Malfoy senza
preoccuparsi di qualche cosa e si era ritrovato più a
proprio agio
di quanto gli succedesse la maggior parte del tempo.
Non
gli era necessario sembrare qualcuno, in presenza di Draco Malfoy.
Lui non pensava che Harry Potter fosse straordinario, non si
attendeva che dicesse o facesse qualche cosa di eclatante o che
sprizzasse sicurezza ed eroismo da ogni poro, perché non
aveva una
grande opinione di lui. Non gli interessava molto che avesse
combattuto la guerra perché, probabilmente, proprio come
Harry
avrebbe preferito dimenticarsela.
Certo,
Malfoy almeno si stava dando da fare per rimettersi a posto la vita.
Si stava occupando di vendere il Manor e ridare una collocazione
normale alla propria esistenza, mentre lui non era stato capace
nemmeno di levare gli ultimi ritratti dei Black e il resto del
ciarpame in esubero da casa propria.
Si
guardò intorno, ispirato: poteva farlo adesso, in
realtà. Poteva
iniziare a liberare spazio, e magari nelle vacanze di Natale avrebbe
chiesto a Ginny di accompagnarlo a scegliere mobili nuovi al posto di
quelli che non gli andavano a genio. Lei ne sarebbe stata felice, si
sarebbe sentita più vicina, e avrebbe fatto bene a entrambi.
Ma
quella risoluzione non passò mai alle vie di fatto. Harry
rimase
seduto per un po' meditando su cosa volesse buttar via e cosa
chiudere in soffitta, sempre più vago e smontato, e alla
fine smise
semplicemente di pensarci. Non scrisse alla ragazza la lettera che
aveva deciso di mandarle, ma abbandonò anche quella sullo
scrittoio.
Non andò ai Tiri Vispi a trovare Ron, come finì
per vagheggiare in
un secondo momento, perché probabilmente avrebbe incontrato
gente
che voleva parlargli o fotografarlo, e alla fine rimase a ciondolare
per casa, aprendo libri che non leggeva e preparando un tè
che non
bevve, finché all'ora di cena Hermione non si
presentò al camino.
“ Ciao!”
la salutò con entusiasmo, sollevato dell'essere strappato al
suo
ozio supino. “Che novità?”
“ Niente
di che,” affermò Hermione solerte.
“Nulla di particolare su
Malfoy, come supponevo la sua situazione economica sembra essere
tuttora più che solida. Non mi sono ancora concentrata molto
su quel
Sauer, ma sembra pulito. Ha un'impresa molto fiorente nella cui
gestione è coinvolto anche il figlio, e non ha mai avuto
nessun tipo
di problema giudiziario.”
Harry
annuì, alleggerito da un ulteriore peso.
“ Però,”
continuò Hermione, “ha fatto parecchi affari con
svariati
esponenti della nostra classe alta. Non solo con Malfoy padre, ma
anche con qualche altro personaggio.”
Harry
corrugò la fronte, cauto.
“ Per
esempio?”
Hermione
emise un espiro profondo.
“ Qui
vedo Nott, Macnair... E nei tardi anni ottanta, all'inizio della sua
carriera, ha avuto parecchi scambi economici con la famiglia
Lestrange.”
“ Lestrange?”
ripeté Harry sul chi vive. Dentro al suo stomaco si
annodò
qualcosa, e si sentì di nuovo piuttosto svuotato.
“ Malfoy
non te ne ha parlato?” lo interrogò Hermione,
moderata.
Harry
scosse la testa.
“ No.
Te l'ho detto, mi ha raccontato solo che è un ricco conte e
che
vende provette.”
Hermione
piegò appena la testa di lato, col cipiglio grave che le
prendeva
sempre quando rifletteva intensamente.
“ Può
darsi che non ne sia nemmeno al corrente,”
ipotizzò, incerta.
“Dopotutto si tratta di una cerchia abbastanza ristretta di
famiglie che si scambiano capitali da qualche secolo, anche
attraverso le frontiere. Sai come funziona la società
magica, no?”
concluse, appena un po' contrariata. Sulle ultime sillabe la sua voce
suonò pericolosamente simile a quella della McGonagall.
Harry
annuì, senza più ombra d'entusiasmo.
“ Sì,”
disse, la voce sorda.
Hermione
aggrottò la fronte, scorgendo la sua espressione delusa.
“ Comunque
commercia anche con un sacco di gente normalissima. Da quanto mi
risulta, non ha mai dato mostra di posizioni particolarmente
reazionarie, sebbene non debba essere esattamente un fan accanito dei
mezzosangue,” aggiunse, decisa. “Ma
cercherò di saperne di più
entro domattina, d'accordo?”
Harry
incassò la testa nelle spalle.
“ Non
stare a perderci il sonno, Hermione.”
Lei
si accigliò di nuovo.
“ Credevo
fosse importante,” asserì brusca.
“Voglio dire, è la prima
volta da settimane che ti vedo riflettere davvero su qualcosa di
concreto. In realtà, se vuoi la mia opinione, “
aggiunse di getto,
come se avesse avuto qualcosa in bocca che voleva sputar fuori
perché
bruciava, “penso che dovresti comunque accettare.”
Harry
sgranò gli occhi, stupito.
“ Perché?”
chiese spaesato.
“ Perché
ne hai voglia, Harry,” rispose lei seriamente. “E'
la prima cosa
che hai voglia di fare dallo scorso maggio.”
Harry
rimase in silenzio senza poter rispondere, mentre realizzava che le
parole della sua amica, come sempre, erano esatte. Lui voleva fare da
garante a Malfoy, in realtà. Non ne aveva ben chiaro il
motivo, era
solo una cosa che stava lì, che punzecchiava e rimaneva
sempre al
limite della sua coscienza.
“ E
non ti sembra strano che tra tutte le cose che potrei voler fare, sia
proprio aiutare Draco Malfoy?” mormorò assorto.
Hermione
non sembrò particolarmente toccata dalla domanda.
“ E'
un tuo modo per pareggiare i conti, immagino. Se non fosse per lui,
prima, e per sua madre poi, probabilmente non saresti nemmeno vivo.
E... ”
“ E
la sua bacchetta,” le ricordò Harry. Anche senza
quella sarebbe
morto di sicuro e la guerra sarebbe finita molto diversamente, non se
n'era certo dimenticato. Aveva riparato la propria, ma conservava
quella di Malfoy a Grimmauld Place, nel cassetto del comodino.
“ Sì,
beh, non è come se te l'avesse offerta
spontaneamente,” gli fece
notare l'amica, schietta.
Harry
diniegò.
“ No.
Ma lo stesso...”
“ Senti,
Harry. Io ora cercherò di informarmi meglio, ma non
c'è altro che
possa fare per te. Non posso decidere al posto tuo,” lo
interruppe
Hermione.
Riusciva
spesso a togliergli la capacità di ribattere. Lo lasciava
senza
parole, con un palmo di naso. Emise un mezzo sospiro e
aggrottò la
fronte.
“ Sai,
non mi ricordo nemmeno... Non mi ricordo nemmeno bene il suo
processo. E quelli di Lucius e Narcissa.”
“ Tu
hai parlato a quei processi, Harry,” esclamò
Hermione perplessa.
“ Sì.
Ma non stavo... Non ero veramente lì. Con la
testa,” borbottò
lui, schiacciandosi istintivamente i capelli sulla fronte, un gesto
che ormai gli era diventato automatico quand'era nervoso o
imbarazzato.
Lei
corrugò le labbra di lato, prima di scuotere la testa.
“ I
loro atti processuali sono accessibili a qualunque cittadino, qui al
Ministero,” gli fece notare, spiccia. Esitò per un
istante, prima
di scrollare i ricci arruffati. “Te ne mando una copia via
gufo, va
bene?”
Harry
sorrise grato.
“ Sei
un mito, Hermione.”
“ Ma
per carità...” borbottò lei, arrossendo
visibilmente.
Era
mezzogiorno e mezzo. La pergamena bianca per Ginny stava sul suo
scrittoio dal giorno prima e, visto che non ci aveva scritto nemmeno
una parola, Harry la riciclò per Malfoy. Nelle sue
intenzioni doveva
trattarsi di un biglietto semplice e conciso, in cui gli spiegava che
le informazioni di cui era venuto a conoscenza lo avevano un po'
impensierito ma che complessivamente rimaneva favorevole
all'accettare la sua richiesta. Si rimise a scrivere con foga,
nervosamente, e quel che Draco Malfoy ricevette, alla fine,
somigliava a questo.
Malfoy,
Ho
finito le salsicce all'ora di cena, insisto
sul
fatto che erano davvero ottime. Invece
ho
scoperto che il tuo amico Sauer ha fatto
affari
con un bel po' di gente da cui sarebbe
stato
meglio tenersi lontani, tipo i Lestrange.
Avrei
preferito che lo dicessi tu dal momento
che
mi stai chiedendo aiuto e ci sono rimasto
un
po' così. A quanto pare è in buoni rapporti
economici
con tutta la combriccola, e ora mi
chiedo
perché mai voglia proprio casa tua.
Immagino
che tu ora mi dirai che non sapevi
niente
di tutto questo, ovviamente. Per me
andrebbe
anche bene farti questo favore e
firmare
i tuoi documenti, ma tu dimmi un po'
come
faccio a fidarmi esapere che non finisco
in
un casino. I giornali non aspettano altro,
e
non è che l'idea di farmi incriminare per
qualche losco
imbroglio mi sorrida più di
tanto.
Pensavo che le cose fossero cambiate.
Vedo
che, invece, sono sempre uguali.
Narcissa
Malfoy stava salendo in camera con lo scialle stretto sulle spalle
fini, un po' stordita dall'emicrania feroce che l'aveva afflitta sin
da quando s'era alzata dal letto. Si fermò d'improvviso, a
metà del
corridoio, nell'udire un tonfo sordo provenire dalla camera da letto
del figlio.
Draco
aveva passato quasi tutte le giornate a Londra, nelle ultime due
settimane. Dopo mesi di isolamento quasi assoluto, quella
novità era
stata piacevole per l'affezionatissima madre. Sapeva che si stava
occupando della vendita del Manor e che si era recato alle
celebrazioni per i sei mesi dalla vittoria, ed era pur sempre meglio
che rimanere chiuso in camera a rimuginare, vegetando tra letto e
divano. Le era parso meno tetro, meno nervoso, e le sembrava che
anche la sua insonnia stesse migliorando.
Rimase
ferma per qualche istante, circospetta, ma quando sentì un
secondo
colpo sordo non poté fare a meno di dirigersi verso la sua
camera e
bussare piano.
“ Draco?”
lo chiamò, impensierita.
Suo
figlio non le rispose, ma lo sentì muoversi nella stanza con
passo
insolitamente pesante.
“ Sto
entrando,” lo avvertì, per permettergli di
fermarla nel caso in
cui non volesse vederla. Ma lui non disse nulla e Narcissa si
affacciò dalla porta, indagante.
Draco
stava raccogliendo quel che rimaneva di una tazza rotta, per terra, e
di fianco a lui c'era il calderone che, dal suo solito piano
d'appoggio, sembrava essere stato sbattuto sul pavimento. Sul suo
scrittoio c'era una lettera spiegazzata e un gufetto bianco dall'aria
vivace zampettava sul trespolo, sotto lo sguardo disgustato di
Alteus, il gufo reale di Draco.
“ E'
tutto a posto, Draco?” s'informò materna.
“ Sì,”
rispose il figlio, atono. Aveva le labbra serrate con rabbia, pallide
tra i denti, e i suoi movimenti erano bruschi e rabbiosi. Narcissa lo
guardò mentre raccoglieva da terra frammenti di ceramica con
gesti
tanto nervosi che, prima che lei avesse tempo di avvisarlo, si
tagliò
un dito con un coccio.
Draco
emise un ringhio, affettandosi a lasciar tutto e sollevare la mano,
che strinse con l'altra per fermare il sangue. Si raddrizzò
mormorando sottovoce qualcosa di ben poco piacevole, suppose lei
mentre avanzava nella camera ed estraeva la bacchetta, per far
sparire la tazza rotta da terra e far volteggiare il calderone fino a
tornare alla sua originaria collocazione.
“ E'
profondo?” s'informò attraverso la porta del bagno
di Draco,
cercando di sovrastare lo scroscio dell'acqua corrente.
“ No,
non è niente,” rispose lui, con tono decisamente
alterato
nonostante il suo sforzo di dominarsi. Cercava sempre di usare una
voce calma e controllata con lei, per rassicurarla, ma Narcissa
sapeva capire dalla prima sillaba quando c'era qualcosa che non
andava. Non glielo avrebbe mai detto però, perché
quella premura
nei suoi confronti la allietava come poche cose.
Attese
con calma che il ragazzo uscisse dal bagno, rimanendo graziosamente
ferma in mezzo alla sua stanza. Il suo sguardo si posò sulla
lettera
che doveva aver appena ricevuto, ma naturalmente non si sarebbe
permessa di leggerla se non in situazioni estremamente gravi.
Osservò
invece il gufo bianco, sicura di non averlo mai visto prima.
“ Era
solo un graffio,” annunciò Draco ritornando sui
suoi passi, col
dito sommariamente medicato.
“ Cattive
notizie, caro?” si azzardò a domandare Narcissa,
sapendo benissimo
che lui non le avrebbe risposto.
“ No,
ordinaria amministrazione,” replicò infatti Draco,
tagliando
corto.
Il
legame tra lei e suo figlio era incomprensibile e misterioso, ma
solido. Draco non le raccontava mai le sue angustie, né lei
si
sarebbe sognata di esternare a lui le proprie, ma l'empatia tra le
loro persone era viscerale. Il conflitto, se tale lo si poteva
definire, era sempre stato più marcato tra padre e figlio.
Perciò,
Narcissa non insistette.
“ Meglio
così. Se hai bisogno di me sarò in camera
mia,” si congedò, con
voce morbida.
“ Certo,”
confermò Draco, tutto preso dai propri pensieri.
Non
la guardò quasi uscire, immerso nelle proprie meditazioni.
Soltanto
quando lei si fu chiusa la pota alle spalle, salutata da un sorriso
tirato, lasciò cadere la sua aria relativamente calma e si
accigliò
nuovamente, tornando allo scrittoio e riprendendo in mano la lettera.
Potter
era un imbecille, come dimostrava del resto il fatto che non fosse in
grado nemmeno di firmare una missiva. Nel suo sproloquio delirante,
dalle altisonanti e melodrammatiche conclusioni, stava un bel
rifiuto, oltre che un sospetto di attività criminali. Il suo
primo,
sciocco riflesso fu pensare se mio padre fosse qui...
E
poi abbassò lo sguardo, amareggiato.
Sì,
se Lucius fosse stato lì avrebbe messi in riga tutti quanti,
dal
primo all'ultimo. Avrebbe sistemato quel branco di diffamatori che
fino a pochi mesi prima erano servili leccapiedi, e li avrebbe
rimessi al posto. Avrebbe sistemato le mezze cartucce del Ministero,
facendogli capire chiaramente cosa pensava di perquisizioni e
vigilanza serrata. Avrebbe trovato il modo di farla pagare anche a
Potter, già che c'era, e se mai si fosse trovato a dover
vendere il
Manor di sicuro l'avrebbe spuntata ad un prezzo migliore, e senza
nessun bisogno di alcun tipo di garanzia che non fosse già
insita
nel suo cognome.
Ma
lui non era Lucius. Era Draco, e per la maggior parte della sua vita
quel che aveva fatto, appunto, era stato aspettare che suo padre
intervenisse e sistemasse le cose. Quando ci aveva provato da solo
era finita malissimo. Dumbledore, e poi il resto.
Adesso
Lucius non poteva più sistemare proprio niente. Toccava
farlo a lui,
meglio che poteva. Perciò prese un respiro profondo, strinse
con
caparbietà gli occhi, che bruciacchiavano, e si rimise allo
scrittoio.
Potter,
Posso
immaginare che Sauer abbia fatto affari
con
un sacco di gente. Come ti ho detto, è un
titano
nel suo campo.
Per
quanto mi riguarda gli sto solo vendendo
una
proprietà. Non sapevo di dover raccogliere
informazioni
sulla sua vita privata.
Quanto
al resto, pensala come vuoi.
D.
Si
soffermò a rileggere quelle poche righe, sperando che il
loro tono
sbrigativo e superiore avesse ragione della leggendaria
ottusità di
Harry Potter, quindi le affidò al piccolo sgorbio bianco
perché le
consegnasse al suo sgorbio di padrone.
C'era
scritto che il primo era stato Draco, perché era un
ragazzino. C'era
scritto che prima avevano testimoniato alcune sue vittime, o presunte
tali, e che quasi tutte avevano testimoniato contro di lui. Soltanto
qualche ragazzetto aveva ammesso che in qualche occasione, quando era
sicuro di non poter essere visto, Draco Malfoy aveva evitato un paio
di punizioni e anatemi a qualcuno, ma era difficile capire chi
parlasse per pura onestà e chi per risentimento, per odio
nei
confronti di ciò che Draco e il suo cognome rappresentavano,
o chi
invece lo facesse per rispetto di quelle stesse cose. C'era scritto
che Harry Potter si era presentato come testimone straordinario e
aveva affermato di essere stato aiutato da Draco Malfoy in due
occasioni: quando aveva finto di non riconoscerlo, al Manor durante
le vacanze di Pasqua, e successivamente lasciandogli la sua bacchetta
magica poiché Harry ne era sprovvisto.
Per
qualche istante, rimase sbigottito nel leggere quelle parole. Gli
atti le riportavano proprio così: “lasciandogli la
sua bacchetta”.
Ma Harry l'aveva presa per conto proprio, la bacchetta di Malfoy, e
non ricordava assolutamente di aver mentito al processo.
C'era
scritto che poi era stato il turno di Narcissa, ed Harry Potter, tra
i tanti detrattori, aveva di nuovo testimoniato a suo favore,
sostenendo che gli aveva salvato la vita nel dire a Voldemort che lui
era morto, quando invece sapeva che non era vero perché si
erano
parlati. Narcissa Malfoy gli aveva chiesto se Draco fosse vivo e lui
aveva risposto affermativamente.
C'era
scritto che invece proprio nessuno aveva testimoniato in favore di
Lucius.
Il
suo sguardo tornò al paragrafo su Malfoy, rileggendolo, e
poi saltò
in avanti di pagine e pagine, alla ricerca delle righe che riferivano
dell'emissione delle sentenze.
Per
Draco Malfoy, scoprì, era stato stabilito che
l'entità delle sue
colpe, unita alla sua giovane età e al fatto che si fosse
ravveduto,
appoggiando Harry Potter, non giustificavano un'eventuale reclusione
nel carcere di Azkaban. Tuttavia sarebbe stato necessario, per il
bene della comunità, privare il suddetto Draco Malfoy
dell'uso di
bacchetta magica e surrogati, oltre che di una sorveglianza della sua
persona costante. Una volta alla settimana doveva recarsi al
Ministero di Londra per un rapporto e una firma di presenza, e la sua
abitazione privata era passibile di reiterate e improvvise
perquisizioni. Inoltre non aveva diritto di partecipare a concorsi
pubblici, di effettuare atti notarili e scambi economici importanti
senza una garanzia esterna, di lasciare il territorio britannico, di
assumere cariche pubbliche e una quantità di altre cose
elencate a
seguito. I provvedimenti avrebbero avuto un valore di anni tre.
L'imputato era prosciolto fino a prova contraria.
Gli
venne in mente in quel momento, come se fosse appena esploso qualcosa
nella sua testa.
“ L'imputato
è prosciolto fino a prova contraria.”
Aveva
visto la sua faccia diventare ancor più bianca del normale e
le sue
ginocchia cedere. Era stato un Auror a tenerlo in piedi,
perché
Draco era sembrato proprio incapace di restare dritto. Gli si erano
riempiti gli occhi di lacrime di sollievo, l'aveva visto anche da
lì,
e lo Slytherin si era guardato intorno confuso, tremante. Aveva da
poco compiuto diciotto anni, in una cella.
Si
ricordava anche della sentenza di assoluzione di Narcissa, di come si
fosse quasi avventata sul figlio, con urgenza, e di come in quel caso
fosse stato lui a sorreggerla, distaccato, trasognato. Harry si
ricordava, adesso, di quanto spasmodicamente l'avesse osservato,
cercando chissà cosa. Ma Draco continuava a fissare il banco
degli
imputati.
Ricordava
benissimo la sentenza di Lucius, anche. Il giudice che annunciava la
reclusione a vita ad Azkaban. Narcissa aveva emesso uno strillo acuto
che contrastava con tutta l'eleganza e la signorilità
mostrate fino
ad allora, ma era stato Draco, era stato lui a scagliarsi avanti,
bloccato dalla presa di un altro Auror. Aveva teso il braccio verso
il genitore ed Harry aveva visto, più che ascoltare, il
movimento
delle sue labbra che articolavano ripetutamente una sola parola:
papà. Papà. Papà.
Non
gliel'avevano lasciato avvicinare. L'avevano tenuto fermo e lui
allungava il braccio, ed era scoppiato in singhiozzi violenti.
Harry
se lo ricordava molto bene, adesso, perché gli
tornò in mente che a
quel punto aveva avuto bisogno di alzarsi e uscire, per prendere una
boccata d'aria perché troppo turbato: non tanto per la
visione del
suo vecchio avversario così evidentemente schiacciato dal
dolore, ma
per qualcos'altro. Per quello che respirava da questo lato del banco
degli imputati, e non da quell'altro.
Soddisfazione.
La platea, compiaciuta, osservava i colpevoli espiare le loro colpe,
anche se in quel momento specifico “i colpevoli”
era un ragazzino
di diciotto anni che stava perdendo per sempre il proprio padre.
Se
lo ricordava perfettamente, e adesso ricordava perfettamente anche il
momento in cui aveva testimoniato. Era stato per la stessa ragione
per cui era uscito più tardi dopo la sentenza che,
volutamente,
aveva pronunciato quella frase falsa. Draco Malfoy non si era mai
sognato di lasciargli la sua bacchetta magica, ma lui l'aveva
sostenuto lo stesso, sotto giuramento, perché si sentiva
soffocare
dall'atmosfera che sentiva intorno, dall'aria gelida che proveniva da
tutte le parti, dagli osservatori, dalla giuria, ovunque. Era un'aria
di linciaggio, e lui aveva pensato che, semplicemente, per quanto
fosse uno stronzo e un mezzo psicopatico, Draco Malfoy il linciaggio
non lo meritava. Nessun tribunale in tempo di pace avrebbe condannato
uno studente ad Azkaban, e il
Wizengamot di Dumbledore
non avrebbe mai emesso una sentenza simile. Era il suo cognome a
condannarlo, ma Harry non aveva fatto tutta quella fatica, guardando
morire tutta quella gente, perché poi alla fine non
cambiasse niente
e si continuasse a basare il mondo sui nomi e sul sangue.
Perciò,
dopo aver giurato, aveva mentito. Aveva guardato con i polmoni
serrati le facce intorno, affamate di giustizia sommaria, e aveva
mentito tranquillamente.
Semplicemente
perché non era per quello che James
Potter, Lily Evans,
Sirius Black, Remus Lupin, Fred Weasley, Nimphadora Tonks e tutti gli
altri erano morti.
Inspirò
profondamente, con un tremito, ritornando a sfogliare indietro le
pagine. C'era scritto che Draco non poteva usare la bacchetta per tre
anni. Erano tanti, tre anni, per un mago fresco di diploma. Bastavano
a dimenticare quasi tutto quel che si era imparato.
Perché
sì, ne era quasi certo, il nome di Draco era con gli altri
nella
lista di quelli cui veniva fornita la possibilità di
ottenere i MAGO
senza ripetere l'anno. Non poteva giurarlo, dal momento che in quel
periodo era a malapena cosciente di essere Harry Potter,
assolutamente non del resto del mondo intorno, ma così gli
pareva.
Le
sue elucubrazioni vennero interrotte dalla comparsa di Tolomeo, che
sbatacchiava contro la finestra le ali candide. Harry gli sorrise
automaticamente, si alzò dalla sedia ed andò ad
aprirgli, leggendo
con urgenza il biglietto di Malfoy.
Quando
l'ebbe fatto, con una distratta carezza al piumaggio del gufo, si
tornò a sedere e rispose.
Va
bene.
Allora
facciamo che mi fai avere la
documentazione
al più presto, così
posso
leggere tutto con calma prima
di
firmare. Ma ho una condizione. Voglio che
la faccenda rimanga tra noi due e che
la mia partecipazione non diventi di
dominio pubblico.
Harry
Non
voleva far partire di nuovo Tolomeo, che aveva già fatto un
bel giro
quella notte, perciò chiuse la busta e si ripromise di
spedirla
l'indomani mattina. Il gufo, però, non sembrava minimamente
intenzionato a riposare – e d'altra parte era notte fonda
– e
quando Harry lo vide svolazzare verso il davanzale, realizzando che
desiderava uscire, non poté che complimentarsi mentalmente
con Ginny
per l'ottima scelta e rifilargli la nuova lettera. Vedendo che il
rapace non reagiva male ma anzi sembrava ben felice di poter fare un
altro volo, lo lasciò partire.
Ormai
tranquillizzato, presa infine la decisione, si tuffò di
nuovo nella
rilettura degli atti processuali dei Malfoy; nel giro di tre minuti
la sua testa era precipitata in avanti, ed Harry Potter si
addormentò
scompostamente, mezzo stravaccato sullo scrittoio. Erano le quattro e
mezza del mattino.
Quando
un bussare persistente alla porta d'ingresso lo riscosse, Harry
sussultò e rischiò di cadere dalla sedia
tirandosi dietro fogli e
boccetta d'inchiostro. L'orologio a pendolo segnava le sette e venti
del mattino e lui si stropicciò gli occhi con un sospiro,
domandandosi perché mai Hermione dovesse presentarsi a casa
sua il
sabato a un orario così indecente. Perché doveva
trattarsi per
forza di lei, dal momento che tutte le altre - pochissime –
persone
a cui era consentito raggiungere casa sua, cioè quelle che
lui aveva
istruito in merito, di sicuro stavano dormendo. Non ce lo vedeva,
Ron, ad alzarsi alle sette il sabato per fare colazione con lui.
Sbuffando
sonoramente, si tirò sulle gambe a stento a
barcollò giù per le
scale, abbandonandosi a peso morto oltre ogni gradino. Ci fu un nuovo
bussare, poi uno scampanellio.
“ Arrivo,
'Mioneeee!” biascicò spazientito, prima di
appendersi alla porta
con un afflato d'insofferenza e spalancarla stancamente. “Hai
idea
di che ore so...?”
La
sua sentita protesta s'interruppe lì, mentre i suoi occhi si
sgranavano.
“ Tu
sei schizofrenico, Potter,” affermò Draco Malfoy,
sventolandogli
in faccia la lettera di quella notte.
Harry
aprì la bocca, la richiuse, starnutì e si
grattò la zazzera
scompigliata, sotto lo sguardo un po' schifato dello Slytherin che,
impettito e sdegnoso, rimaneva impalato davanti a lui.
“ Cosa...
ci fai qui, Malfoy? Nessuno può arrivare a questa casa se
non lo
decido io,” domandò con voce roca, scrutandolo
sospettoso.
“ Non
ci sono più le protezioni dell'Order su
quest'edificio,” sentenziò
Draco, indifferente.
“ E
quindi?” borbottò Harry. “Ce ne sono
altre.”
“ E
quindi credo che una manciata di decenni prima che tu portassi il tuo
sedere Gryffindor in questa casa, qualcun altro abbia deciso che
qualunque membro della famiglia Black può arrivare qui anche
senza
il tuo signor permesso.”
Harry
rimase ancora per qualche secondo con la bocca semiaperta, come
indeciso, quindi la richiuse e la storse leggermente. Giusto, Draco
era il figlio di Narcissa Black Malfoy. Geneticamente era un Black.
“ Mh,”
biascicò. “Beh, non mi piace.”
“ Me
ne farò una ragione, Potter.”
Harry
sbuffò di nuovo, sbadigliò ampiamente e si
appoggiò allo stipite
della porta.
“ Cosa
ci fai qui, comunque? Sono le sette e mezza del mattino. Non
è
questa l'ora di presentarsi a casa della gente.”
“ Non
venire a insegnare l'educazione a me, signor Harry
Sono-cresciuto-nel-sottoscala Potter,” ribatté
Draco, che non
sembrava per niente di buonumore. “A parte il fatto che hai
un
disturbo della personalità, visto che un attimo mandi
lettere
deliranti di recriminazioni e il momento dopo ti va tutto bene, ti
avevo detto di necessitare una risposta entro venerdì,
cioè entro
ieri. E ieri non è stamattina. Se tu non fossi
così Gryffindor e
pressapochista...”
“ Malfoy,
non ti sto ascoltando,” confessò candidamente
Harry, interrompendo
il suo monologo concitato. “Mi sono appena svegliato.
Vuoi...”
Esitò per un paio di secondi, gettando lo sguardo alle
proprie
spalle. “Vuoi entrare a fare colazione?” si decise
a proporre
infine.
Draco
lo guardò con estrema condiscendenza.
“ Ti
ho portato una copia del contratto con tutte le clausole, insieme a
tutti i documenti che ti concernono. Hai tre ore per leggerli, se no
mi va a monte la vendita.”
Harry
spalancò gli occhi, esterrefatto da tanta faccia tosta. Gli
stava
facendo un favore, e quello pretendeva di schiavizzarlo.
“ Ma
io sto ancora praticamente dormendo,” osservò,
prima di
accigliarsi lievemente. “Malfoy, per chi ti sei
preso?”
“ Guarda
che hai fatto tutto tu, Potter,” lo liquidò
l'altro. “Sicuro di
aver tempo per fare chiacchiere e colazione?” aggiunse,
mellifluo.
Harry
gli lanciò un'occhiata non scevra di un certo livore, alla
quale
Draco reagì irrigidendosi impercettibilmente. Poi il
Gryffindor gli
tese il braccio, seccato.
“ Vedere,”
brontolò.
Al
solo soppesare il plico, Harry realizzò che l'impresa era
impossibile.
“ Negativo,
Malfoy,” affermò. “Non ce la
farò mai a leggere e capire tutto
in tre ore.”
“ Immagino
che capire sia il problema maggiore,” commentò
Draco, tagliente.
“ Guarda
che c'è una soluzione,” gli fece notare Harry,
dando una scorsa
alla prima pagina.
“ C'era,
vuoi dire. Purtroppo l'Oscuro è morto senza riuscire a
risolvere il
problema,” aggiunse Draco, asciutto.
Harry
gli scoccò un'occhiataccia.
“ D'accordo,
senti, se questo è il tuo modo di collaborare mentre io ti
sto
facendo un favore credo che...” sbottò,
spazientito.
“ Quale
soluzione, Potter?” domandò Draco, con l'aria di
fargli una gran
concessione.
Harry
assaporò quel piccolo personale trionfo, prima di stringersi
brevemente nelle spalle.
“ Mentre
io sfoglio i documenti tu mi fai un riassunto sommario e spieghi i
punti salienti,” propose, pratico.
Malfoy
serrò appena la mascella con gli occhi che si sgranavano,
diede uno
sguardo al cielo e concluse con un sospiro rassegnato.
“ Sei
riuscito a togliermi la capacità di replica,
Potter,” gemette
sconfitto.
Harry
sorrise, trionfale.
“ Te
l'avevo detto che serviva, la colazione,” ribatté,
spalancando la
porta per permettergli di entrare in casa.
Draco
scosse un'ultima volta la testa e, con il suo più riuscito
sguardo
di spregio, oltrepassò il suo ospite per entrare al dodici
di
Grimmauld Place.
___________________________________________
*(Mi
sono dimenticata di allegarla alla scorso capito)
NOTA
Il
Serpentine è il lago artificiale che
collega i Kensington
Gardens e Hyde Park. Ha una forma allungata e abbastanza sottile,
curva, come il corpo di un rettile. Verso l'estremità nord
del lago,
di fronte alla riva, è collocata la statua di Peter Pan in
questione.
|