Equilibrio precario
Equilibrio
precario
Marik
tremò leggermente, mentre i suoi passi risuonavano in modo innaturale
all’interno di quelle stanze vuote. “Si può sapere dove mi hai portato?”
protestò, annusando attorno l’odore di obitorio che veniva emanato da vasche
piene di liquido puzzolente.
Bakura proseguì diritto verso la sua
strada, attraversando una stanza dopo l’altra. “La casa della vita di Anubi”
disse infine, giunti all’ultima stanza, che conteneva una solo vasca piena.
“Il luogo della mummificazione”
“Vuoi dire che lì dentro…?” domandò
leggermente Marik, indicando quella costruzione che ora gli sembrava simile ad
una lapide.
“C’è un cadavere, si” Bakura non
sembrava altrettanto schifato.
L’egiziano aprì lo schermo della
macchina del tempo e controllò la data: primo mese della stagione della semina
dell’anno ventunesimo del regno del faraone Horemheb. All’incirca, quindi,
nel periodo che Satre aveva loro indicato. “Non dirmi che pensi che lì
dentro-”
“Se le mie deduzioni sono esatte” lo
anticipò Bakura. “Solo i principi reali avevano diritto alla mummificazione
lunga, che dura settanta giorni, perciò venivano immersi nel natron nelle
ultime stanze…” Si avvicinò al bordo della vasca. “Comunque, adesso
controlliamo” Immerse le mani nel liquido e afferrò il cadavere che vi si
trovava all’interno, facendolo emergere fino all’addome.
Marik trattenne il respiro: era veramente
il Faraone Senza Nome, o Ramses, come avevano scoperto chiamarsi. Solo, era
morto. Il natron stava agendo sulla sua pelle, atrofizzandogli i muscoli e
incollandogli al pelle alle ossa, tanto che numerose macchie scure lo
ricoprivano già. Gli occhi erano chiusi, ma nessuno avrebbe mai potuto pensare
che stesse dormendo, vista la smorfia che avevano assunto le sue labbra livide e
ormai rovinate. L’addome era abbassato, perché privato di tutti gli organi
interni, e diviso a metà da un profondo taglio, ancora più inquietante perché
non perdeva sangue, come fosse un pezzo di plastica.
Bakura, sempre tenendo il cadavere in
posizione semi-eretta, prese il coltello a serramanico che teneva in tasca e
iniziò ad incidere la pelle accanto ad un piccolo foro che aveva individuato
all’altezza del cuore. Quando il taglio fu abbastanza lungo, rimise a posto il
coltello, perfettamente pulito, e infilò le dita nella ferita, rimestando
all’interno come se non stesse frugando in un cuore umano, ma nel fango.
Marik scostò lo sguardo: non era un tipo
facilmente impressionabile, ma non amava i particolari macabri e risvegliarsi
con il cadavere sanguinante del padre, da lui stesso ucciso, era stato
abbastanza per lui. Riaprì gli occhi solo quando sentì il rumore del corpo che
veniva immerso nuovamente nel natron.
“Guarda” Bakura allungò la mano
sporca verso di lui, mostrando un piccolo oggetto rotondo, nero.
“E’ un proiettile!” esclamò Marik,
riconoscendolo.
“Come volevasi dimostrare, qualcuno dal
futuro lo ha davvero ucciso” L’albino scoccò uno sguardo alla vasca, con il
liquido ancora in movimento. “Ora, se non altro, sappiamo da cosa dobbiamo
salvarlo”
L’altro annuì, preparando la macchina
del tempo. “Dove andiamo?” Poi si corresse: “a quando andiamo?”
Bakura rispose senza esitazione.
“Quattro giorni prima di ora”
*-*-*
“Ma… Sei Yuugi?”
Bastò questa semplice frase, pronunciata
da una voce troppo familiare, a far fermare il ragazzo, che aveva iniziato a
correre, con le lacrime trattenute che bruciavano nel viso, giusto per
dimenticare verso che futuro stava andando. “Raphael?” chiese, un po’
titubante, al ragazzo biondo e muscoloso che lo aveva chiamato, non sicuro di
averlo riconosciuto. Poi, quando dietro di lui spuntarono altri due ragazzi,
dalle inconfondibili pettinature rosso fuoco e castano alla Goku di Dragon Ball,
non ebbe più dubbi. “Amelda, Valon… Ciao”
“Stai piangendo?” chiese Raphael,
preferendo quella domanda, più diretta, al semplice come stai.
Yuugi scostò lo sguardo, mordendosi il
labbro. Non voleva coinvolgere anche loro, ma non si poteva negare che fossero
già implicati in tutta la storia, per non parlare del fatto che né Kaiba né
Jounouchi si fidavano di loro. Alla fine, pensando che sfogarsi con degli
estranei lo avrebbe fatto stare meglio comunque, si decise a raccontargli tutta
la storia della distorsione temporale.
“Ecco, figuriamoci” fu il commento di
Amelda, alla fine del racconto, allargando le braccia. “Quando succede qualche
casino, c’è sempre Kaiba di mezzo…”
“Spero proprio che non sospettiate
anche di noi…” Raphael si chinò verso Yuugi con viso poco amichevole.
“No?”
Il ragazzino si limito a fare un
sorrisetto imbarazzato. Ci aveva fatto un pensierino, in effetti, su di loro.
“Non ci sarebbe servito a niente
uccidere il Faraone!” proseguì allora il biondo. “Dopotutto, è stato Darz
a rovinarci la vita, al massimo avremo colpito lui…”
“O Gozaburo Kaiba…” aggiunse Amelda,
che, nonostante tutto, non riusciva a dimenticare la figura di quell’uomo che
si congratulava per la distruzione della città e per la morte di tanti
innocenti, tra cui suo fratello.
“O Jounouchi… Stavo solo
scherzando!” si giustificò un istante dopo Valon, all’espressione sconvolta
del ragazzo dagli occhi viola.
“Yuugi, sei qua!” Puntuale come del
proverbio del diavolo e delle corna, Jounouchi comparve nella strada,seguito dal
resto della banda. “Perché sei scappato via in quel modo? Ci hai fatto
preoccupare…”
Allora, lui si asciugò le lacrime.
“Scusatemi, è solo un po’ di stress” Non sapeva perché, ma parlare con i
tre ex-guerrieri di Doma gli aveva ridato un po’ di tranquillità, e si
sentiva nuovamente pronto per tornare alla ricerca del colpevole.
“Vogliamo andare a casa mia, allora?”
intervenne Otogi. “Così vi dimostrerò che mio padre è innocente…” Tutti
annuirono, compresi Raphael, Valon e Amelda che erano ormai curiosi di sapere
come sarebbe terminata quella storia. Magari, senza la presenza del faraone,
sarebbe stato Dartz a vincere la guerra!
*-*-*
Bakura cercò di mantenere una calma che
non aveva. Affondò ancora di più i piedi nella sabbia, mentre si avvicinava ai
due ragazzi, vestiti di tutto punto per una battuta di caccia. “Perché
diavolo voi due non ve ne restate a casa?!”
“Ma che vuoi?” Ramses, con la lancia
stretta fra le mani, e l’arco appeso alla spalla, guardò l’esplosione di
rabbia con indifferenza. Accanto a lui, Satre stringeva il laccio della faretra
in modo che non le toccasse il capezzolo, e guardava Bakura come se fosse pazzo.
Marik rise sommessamente: a quanto pare,
i due ragazzi preferivano starsene a cacciare per conto loro nel deserto,
piuttosto che rimanersene chiusi a palazzo. Dopotutto, era la medesima cosa che
lui stesso prediligeva, perciò non poteva pretendere che gli ubbidissero quando
non aveva la facoltà di convincerli a fare dell’altro.
“A proposito, sai cosa mi è venuto in
mente?” disse ad un certo punto Ramses a Satre, ignorando completamente Bakura,
che fumava per il nervoso. “Una volta, anche io quand’ero bambino sono stato
salvato da dei coccodrilli. E ricordo che il merito andò ad un ragazzo molto
coraggioso che da allora ho sempre cercato di imitare…”
“Davvero?” Satre spalancò
leggermente i suoi occhi blu. “Che coincidenza!”
“Sembrano il cioccolato con la
panna…” pensò Marik, mentre guardava i due. Bastava notare semplicemente il
modo in cui lui la guardava ridere, o le leggere occhiate che di tanto in tanto
lei gli scoccava, per capire quanto fossero legati, se non già innamorati. Ma,
per una volta, Bakura aveva ragione. Se fossero rimasti a palazzo, sarebbe stato
molto più difficile per il misterioso assassino riuscire nel suo intento.
“Anche secondo me dovreste tornare a
casa, credo che oggi sia un giorno nefasto…” disse, serio come un
professore. Però, Ramses era totalmente concentrato a levare una mosca rimasta
incastrata nei ricci intrigati di Satre e non l’aveva nemmeno sentito. La
stessa cosa valeva per la ragazza, tutta impegnata ad osservare i gesti del
compagno. “Ma mi state ascoltando?!”
Non ebbe il tempo di ascoltare la
risposta, perché Bakura lo afferrò per un braccio e lo trascinò un centinaio
di metri lontano dai ragazzi. “Che diavolo fai?” esclamò Marik liberandosi
dalla stretta.
Bakura si sedette sulla duna di sabbia,
nella classica posizione giapponese, ed, estratto dalla tasca il suo coltello
portatile, se lo puntò verso il ventre, pronto a fare harakiri. “Marik, ti
prego di eseguire il kaishatsu” disse serio.
“Idiota!” Marik scoppiò a ridere.
“Non sei mica un samurai!” Poi si guardò attorno. “E dove la trovo in
mezzo deserto una katana per tagliarti la testa?”
“Ma ti rendi conto?!” Bakura balzò
in piedi e, dopo averlo afferrato per le spalle, iniziò a strattonarlo. “Io
gli ho dato il suo nome segreto, io l’ho fatto diventare forte e coraggioso,
io l’ho trasformato nel mio peggior nemico…!” Lo lasciò, voltandosi
dall’altra parte. “Voglio solo morire…”
“Ah, non preoccuparti, ci penserà il
Faraone ad accontentarti, fra poco” fu il solo commentò di Marik.
Bakura gli scoccò un’occhiata furente.
“Che cosa vuoi dire…?”
“Sono sempre più strani” commentò
Satre, che osservava la scenetta a distanza.
“Però sono divertenti” aggiunse
Ramses, che non riusciva a capire nulla delle cose che dicevano in giapponese,
ma li sentiva così vicini, così in sintonia, da provare una sorta di invidia
nei confronti della loro amicizia, qualcosa che comunque non aveva nessuna
ragione di provare, per due motivi essenziali. Il primo era che lui stesso aveva
dei migliori amici, che avrebbero dato la vita per lui, come Mahado, e il
secondo… Marik e Bakura non erano affatto amici!
Poi, Ramses sentì un rumore alle sue
spalle, e si voltò: in lontananza, sopra un’alta duna, correva veloce un
grosso animale, alzando spruzzi di sabbia al suo passaggio, galoppando. “Un
orice!” esclamò, passando l’arco nelle mani di Satre. “E’ mio!”
Quindi, si mise a correre nella sua direzione, perché dal punto in cui si
trovava precedentemente la luce del sole era troppo forte per poter mirare
precisamente, e nel frattempo si appoggiò la lancia sulla spalla, pronto a
lanciarla quando fosse venuto il momento giusto.
Correva
come un orice nella pianura…
“Minchia!”
Bakura ricordò solo in quel momento la frase che Satre, due anni dopo, o
un’ora prima a seconda della prospettiva, aveva detto loro, e ricollegò ciò
che la ragazza aveva cercato di dire tra i singhiozzi. “E’ adesso il
momento!” capì, e iniziò a correre.
Marik si guardò intorno e, nel riverbero
dei raggi solari, vide una figura eretta, come un obelisco. “Là!” gridò,
sperando che qualcuno lo ascoltasse. In quell’esatto momento si sentì un
colpo di pistola.
“Ah, cos’è?!” si spaventò Satre,
non abituata ad un rumore così forte, tappandosi le orecchie con la mano.
“Là!” tentò ancora Marik,
affiancandosi a lei. Un attimo dopo la ragazza, ripreso il controllo di sé e
notato la figura in controluce, afferrò una freccia e la scoccò verso la
misteriosa persona. Subito dopo, però, abbassò gli occhi per la luce troppo
forte, e li asciugò dalle lacrime che le stavano uscendo.
Anche Marik abbassò gli occhi e, quando
ebbe la forza di alzarli di nuovo, perché il bruciore si era attenuato, non vi
era più nessuna figura sulla duna. “L’hai preso?”
Satre scosse la testa. “Ra era con
lui” Ed intendeva dire che la luce del sole era troppo forte.
Poi, entrambi voltarono lo sguardo per
controllare la situazione. Bakura si era gettato su Ramses per fargli schivare
la pallottola, ma entrambi giacevano ancora a terra, mentre la sabbia che
avevano alzato scendeva lentamente su di loro.
Finalmente, Bakura alzò leggermente la
testa, scrollando leggermente la lunga capigliatura per pulirsela, con movimenti
non molto diversi da quelli di un cane. Sotto di lui, Ramses rise leggermente.
“Si può sapere cose di prende?” sbottò irritato l’albino.
“Mi
stai facendo il solletico sul collo…” rispose il ragazzo tra una risata e
l’altra. Solo allora Bakura notò la posizione imbarazzante in cui entrambi
erano finiti, e si scostò di scatto. Ramses invece non si mosse, ma allargò
semplicemente le braccia e le gambe,rimanendo con la schiena sulla sabbia, fino
a toccare la sua lancia, che era caduta a terra nello scontro. “Mi hai fatto
perdere la preda…” mormorò infine.
“Oh, scusa tanto!” ribatté seccato
Bakura. “Non l’ho certo fatto apposta!” E si pentì subito, perché quella
frase suonava quasi come una giustificazione.
“Lo so” Ramses si alzò. Sebbene non
sapesse dire esattamente cosa fosse successo, sapeva che quello strano ragazzo
gli aveva appena salvato la vita. Lo capiva a pelle. “Grazie” Quindi gli
voltò le spalle e si diresse verso la duna inondata di luce, dove Marik e Satre
si erano recati, dopo essersi accertati della salute dei due compagni, per
scovare delle tracce del colpevole.
Bakura tergiversò un poco prima di
seguirlo. Aveva notato nei suoi occhi viola una luce diversa, un ringraziamento
ben più profondo, come se quel gesto, assieme alle altre avventure che avevano
vissuto, avesse formato per l’altro un legame indissolubile. “Modificare il
passato è davvero strano…” pensò, mentre si avvicinava agli altri.
Evidentemente, il motivo per cui Ramses, ai suoi tempi, aveva lottato con tanta
determinazione doveva derivare anche dal fatto di sentirsi tradito da una
persona che credeva amica: lui stesso.
Lasciò perdere questo discorso. Non gli
importava nulla di ciò che il Faraone avesse provato, né quali motivi lo
spingevano a combattere. Sapeva solo una cosa: l’avrebbe sconfitto. Almeno,
questo era ciò che cercava di ripetersi, quasi una sorta di autoconvincimento,
anche perché non riusciva a dimenticare l’espressione sul viso di Ramses
quando l’aveva ringraziato.
Quando finalmente arrivò sulla
collinetta, trovò Satre, delusa perché la sua freccia aveva solo sfiorato il
colpevole, ed era quindi sporca di sabbia e sangue, Ramses che cercava di
consolarla e Marik che rideva a squarciagola senza che nessuno gli desse peso.
“Ma che cazzo fai?” fu la domanda di Bakura, che era già irritato per i
fatti suoi.
L’egiziano smise finalmente di ridere.
“Ho scoperto il colpevole. So chi è”
“Davvero?!”
“Si, e ho anche le prove…” Alzò il
guanto. “Finché il capo supremo non ci chiama, abbiamo tempo per fare
un’altra cosuccia…” E toccò pericolosamente il tasto blu della macchina
del tempo.
Nella
prossima (e ultima) puntata:
Finalmente,
è venuto il mio turno di darmi da fare, visto che finora ha fatto tutto solo
Bakura, e difatti si è vista l’utilità delle sue azioni… Lasciamo perdere,
va’… E comunque, il mio nome è Ishtar, Marik Ishtar, e il colpevole sei tu!
Prossima
puntata: “elementare, mio caro Bakura” Non perdetela!
Hola!
^_^ In
questo capitolo viene nominato l'harakiri e il kaishatsu (che spero vivamente di
aver scritto giusto, perché ho perso il volume di Love Hina dove l'avevo letto
-_-), che sarebbe, appunto, il suicidio tipico dei samurai (lo sa bene chi legge
Ranma): in pratica, il malcapitato si tranciava il ventre con la sua spada
mentre un altro gli tagliava la testa. Almeno, questo è quello che ho letto,
spero sia esatto ^^ Grazie
ancora a tutti per aver letto la storia e soprattutto a Ayuchan (non
preoccuparti per la nota, era colpa mia che mi ero scordato di dirlo ^^'' Mi fa
piacere che Ramses come l'ho costruito ti sia piaciuto, vista la tua passione
^_- ma come, adesso ti fidi più di Bakura che di Marik?!), Death Angel (se
Bakura ti abbia fatto pena mi fa piacere, ma non l'avrò reso troppo drammatico?
Spero di no!), Ita rb (non preoccuparti, grazie della recensione), Kim (con
Yuugi temo di essere stato un po' sadico, mi dispiace, ma credo che davvero lui
si sia sentito perduto nell'accorgersi di non essere riuscito a diventare forte
senza l'altro se stesso... Credo che tu possa capire che intendo ^_-) e Evee (
la tua è un'ipotesi interessante... Dovresti dirlo a Marik prima che sbagli
persona! Spero comunque di riuscire a rispondere a tutte le tue domande in tempo
utile... ù_ù). Alla
prossima, spero presto. Hui
Xie
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