Papa, can you hear me ( EFP )
La seguente fanfiction è ambientata esattamente dopo gli
avvenimenti degli episodi 200 e 201 mai andati in onda in Italia ma che
potete trovare qui ( 200 & 201 ).
La storia è narrata in seconda persona ma è comunque un
racconto introspettivo che vede Eric Cartman protagonista, per questo
ha un linguaggio per certi versi cartmaniano,
conforme alla sua visione della realtà e molti passaggi possono
sembrare appunto stupidi, infantili e bizzarri, ma appunto
perchè ho voluto mantenere il suo punto di vista; non credo che
Eric sia OOC, nonostante mostri una certa fragilità, ma credo
sia più che giustificabile in una situazione tanto critica e ho
inserito quel po' di fluff e -se vogliamo chiamarlo così- pre-slash alla fine perchè credo ne necessitasse.
La tematica religiosa e della fede è evidente, soprattutto
necessaria vista la canzone adottata per sviluppare la song-fiction,
non è comunque il tema fondamentale della storia ed è di
sfondo, lo dico nel caso siate atei. Il tema principale rimane comunque
la citazione che ha ispirato questo racconto; ho pensato a come Eric
poteva sentirsi alla scoperta della scioccante verità su suo
padre che tuttà la città gli ha nascosto per futilissimi
motivi, se l'avesse saputo prima la tragedia dei Tenorman non sarebbe
mai successa, perciò... come poteva sentirsi? E son stata sicura
che qualcuno -nel passato e nel presente- potesse comprenderlo,
nonostante Eric è sempre incompreso perchè contorto e
psicologicamente insano.
La
canzone Papa, can you hear me è di Barbra Streisand, dal film ( e
omonimo album ) Yelt! Consiglio comunque di ascoltare la versione di
Lea Michele da Glee qui.
La storia è dedicata alla mia stupenda persona di WindGoddess -era per il suo compleanno-
perchè come me ama tanto Eric e ha sofferto per quegli episodi.
Papa, can you hear me?
Acoltandolo,
mi venne in mente che in quel momento l'unica cosa in grado di darmi
qualche soddisfazione sarebbe stata dare fuoco al mondo intero e
bruciarci dentro anch'io.
(...) come se mi avesse letto nel pensiero,
sorrise mostrando i denti e annuì.
< Io posso aiutarla, amico mio. >
Il vento ti accarezza, subito dopo un
brivido sale lungo la tua schiena, ma non per il freddo. C'è un
ombra senza volto davanti a te, ti sorride, è un ghigno, ti gela
il sangue nelle vene e ti fa trattenere il respiro, mentre un altro
brivido sale e si ferma alle spalle.
Te la stai per fare sotto dalla paura ma spinto da chissà cosa
ti avvicini all'ombra, essa si dissolve con nuova ventata e ora un
lampione che sembrava fulminato si accende come d'incanto. Noti
qualcosa sotto di esso, nell'esatto punto in cui stava quell'ombra
dalle sembianze antropomorfe.
Gli occhi si dilatano, le gambe diventano rigide come due tronchi: davanti a te c'è una ciotola di Chili.
"Kyle, Stan, non è affatto divertente!" urli e tutto scompare,
apri gli occhi in una realtà che non è di certo migliore
dell'incubo. Rimani a contemplare la tua stanza nel buio, cercando di
calmare l'affanno e aspettando che tua madre arrivi come ogni volta che
hai degli incubi. Ti ricordi presto però che le hai detto di non
avvicinarsi a te e sono tre giorni che va avanti così, che non
le rivolgi la parola: è una puttana.
'Puttana, puttana, puttana'
ripeti nella tua testa, non avresti mai immaginato che ti saresti
ritrovato a insultarla così, ma se lo merita, non può
capire come ti senti ora, come ti ha spezzato il cuore, metafora per
modo di dire, visto che a te fa male davvero lì, all'altezza del
petto, come se qualcuno gli avesse usato violenza.
Col dorso della mano scacci via le lacrime, prima che possano scivolarti sulle paffute guance.
Rimani seduto per un tempo indefinito sul letto, guardi fuori dalla
finestra, la luna è quasi piena. Sarebbe bello se con la luna
nuova ogni brutto ricordo sparisse e con esso ogni dolore, ma anche se
hai nove anni sai che nella realtà non funziona così, la
coscienza può ignorare il dolore ma la memoria non dimentica,
può fingere d'aver dimenticato, ma mostra di ricordare in altri modi.
Lo sguardo ti cade sul poster di Mel Gibson e poi su quello di Brian
Boitano, cerchi in loro risposte, ma poi ti rendi conto che i
pensieri che hai formulato sono sciocchi: non puoi agire e cambiare le
cose, non puoi ritornare indietro nel tempo, forse un giorno il tuo
geniale cervello troverà un modo per organizzare viaggi nel
tempo e cancellare o modificare l'evento, ma ora sai che non puoi far
nulla. Proprio nulla.
Però... -guardi fuori il cielo stellato- ...non ce la fai a
stare fermo lì, buono e tranquillo e con uno scatto sei fuori
dal letto, a indossare la tua giacca rossa e il cappellino celeste,
calzi le scarpe da ginnastica e con passo veloce, cercando di esser
silenzioso, esci fuori, lì, dove c'è il buio. Devi
controllare che sotto il lampione davanti casa non ci sia nessuna
ciotola di chili, che sia tutto a posto, ma una volta che non trovi
nessuna ciotola non ti senti certo meglio.
Non c'è. Non
c'è nessuno.
Prendi fiato, cerchi di regolare il respiro,
inspirare ed espirare, in modo regolare, mentre gli occhi si abituano al
buio lontano dalla luce del lampione. Chiudi gli occhi e li riapri, per
confermare -in modo puramente irrazionale- che non compaia quella
maledetta ciotola di cui senti ancora l'odore, come se non ti fossi
lavato bene il volto e fosse ancora impregnato di quell'odore che non
ha più nulla di gustoso, è diventato nauseante.
E' l'odore del senso di colpa, la paranoia, l'incubo, il suo peso.
Alzi lo sguardo, il cielo è stupendo, oscuro, ma stupendo; le
poche luci di South Park lo rendono ancor più meraviglioso, una
tela nera in cui son stati gettati con distrazione granelli di oro e
argento. Ti chiedi se tutte le cose preziose possano essere lì
ad osservare, a giudicare, a guidare... ricordi ancora il sogno che per
tanto tempo ha battuto nel tuo petto: volare. Ti piacerebbe raggiungerlo; 'Lo incontrerò di nuovo?' Padre
Maxi dice che al momento della morte si va all'Inferno o in Paradiso e
tu sei convinto che non puoi che meritare il Paradiso, insomma hai un
buon dialogo con Dio, vai a messa, hai fatto la tua prima confessione e
la comunione e non sei come quell'ebreo, non hai mica crocefisso
Gesù e sei abbastanza convinto che se un giorno Dio volesse
andare in pensione lascerebbe tutto in mano tua, però...
però... lui come reagirebbe nel vederti?
Lo sguardo si scosta dal cielo e poi incontra una croce, la grande
croce e il campanile della chiesa di South Park. Tremi, e non
perché la temperatura è sotto zero. Non capisci
razionalmente cosa sta succedendo ma le tue grosse gambe si stanno
muovendo velocemente, il fiato è corto, e non sai perché;
ti sembra di impazzire e per questo hai paura.
Non credi nemmeno te al fatto che sei davanti alla chiesa solo una
decina di minuti dopo, non puoi davvero credere che le tue gambe ti
abbiano portato lì, anche se una parte di te sa che ogni
risposta è chiusa in un angolo buio e ignoto della tua mente.
Oh God-our heavenly Father.
Oh, God-and my father
Who is also in heaven.
Inizi a fare i gradini, quegli stupidi
quattro gradini. Ti sembrano altissimi, ti sembra proprio di star
scalando una montagna. Hai il fiato corto e la tachicardia, non
è fatica, ma ansia.
Ansia per la paura dietro l'angolo, un'invisibile e inesistente angolo
che può essere ovunque, anche lì 'Oh Dio Padre' parlare
con Dio sai che ti fa bene, ti rilassa, lui sa tutto e può
tutto, sai che che lui può ascoltare e aiutare il piccolo Eric,
ma c'è il dubbio questa volta, un massiccio, oscuro e
terrificante dubbio, la vera essenza della tua paura che cerchi di
nascondere, di ignorare, ma sai benissimo che è presente, che
è lì, perché essa è ovunque, soprattutto
dentro di te.
"Dio... Padre..." batti i denti mormorando quelle parole, mentre tutto
si offusca, diventa liquido e poi una goccia scende lungo la tua
guancia. Un brivido ti percorre la spina dorsale, è freddo,
soprattutto dietro le tue spalle, in un passato che non può
più tornare.
Ricordi l'ultima volta che hai visto il volto di Jack Tenorman, senza
vita, freddo, prima che prendessi la mannaretta e con forza facessi a
fette ogni parte del suo corpo, prima a fette, poi a cubi, mentre il
sangue zampillava e le ossa si frantumavano sotto i colpi decisivi e
carichi di forza che gli hai inferto. Ricordi il tuo sorrisetto
soddisfatto, mentre immaginavi con sadico piacere Scott in lacrime,
deriso anche dai Radiohead.
Ora davanti a quel luogo, la casa del Signore, per la prima volta pensi
che ci sia qualcosa di sbagliato in te -e tremi-, non sei poi
così tanto sicuro che il Paradiso ti accolga a braccia aperte,
ma non lo trovi così importante ora, piuttosto dai ascolto a una
vocina e flebile e recondita che sembra voler consolare il tuo ego,
sussurrandoti che non sapevi chi era Jack Tenorman.
Come se quella giustificazione possa realmente consolarti, farti star meglio.
Decidi di entrare, con la speranza di un miracolo, un surrogato di una
scala per il Paradiso, qualcosa tipo un Fax; perché senti il
fottuto bisogno di parlare con lui.
May the light of this
Flickering candle
Illuminate the night the way
Your spirit illuminates my soul.
Entrando la temperatura senti che non
è di certo più calda e un altro brivido serpeggia lungo
le tue braccia. La luce così flebile delle candele rende quel
posto inquietante, per il tuo senso di colpa quel luogo è
infernale. La Madonna, i Santi, i Crocefissi sembrano tutti guardarti,
tenere gli occhi fissi su di te, giudici.
Decidi di fermarti sull'ala sinistra, in prossimità dell'altare,
in una rientranza poco profonda dove c'è un crocefisso in legno
povero e proprio sotto di esso delle candele -poche- che bruciano,
testimoni di preghiere chissà quando fatte.
Ti avvicini e lasci
che le tremolanti fiamme ti illumino il volto che alzi subito verso il
Cristo sofferente, fino a qualche anno fa ti impressionava molto quella
scultura, immaginavi quanto nella realtà quell'espressione
potesse esser sofferente e la colpa era di ebrei come Kyle, la colpa
è anche di Kyle!
Per la prima volta però questo pensiero ti mortifica davanti a
una candela, come se quella piccola fiammella potesse aver fatto luce
dentro di te.
Tu sei peggiore di Kyle.
Serri la gola.
Tu hai mandato quell'uomo e sua moglie a morire.
Deglutisci dolorosamente.
L'hai fatto hai pezzi con minuziosa e indifferente cura.
Tutto si offusca di nuovo.
Hai fatto a pezzi anche sua moglie, una mamma come la tua.
Cadi sulle ginocchia, fa male ma non esce un solo lamento dalle tue labbra.
Li hai cucinati, li hai fatti diventare Chili.
Sbatti la testa contro il banco di preghiera e in quel momento il pianto diventa reale, convulso.
Tremi -e non perché è un luogo freddo- ma perché
per la prima volta hai sbattuto la faccia contro la realtà,
contro l'immagine reale e apparente di te stesso e senti il bisogno di
vomitare dal disgusto, perché nessuna scusa può reggere,
inutile puntare l'indice verso Kyle che in questa storia non centra
proprio nulla.
Non sei un assassino -sei peggiore- sei un mostro.
Ora che conosci l'identità di quell'uomo, Jack, capisci il senso
e il peso del tuo gesto, come un'incudine legata attorno al tuo collo,
che ti soffoca, fa male, sembra ucciderti ma... non cade, non
precipita, non può realmente farti morire. E forse questo
è un miracolo, anche se non hai inserito nessuna monetina e
acceso alcuna candela, quello che ti sta succedendo sembra proprio
essere un miracolo; Eric Cartman ha un cuore, marcio ma umano, che ha
finalmente realizzato che quello che il crimine commesso è
terribile a chiunque succeda, perché per chi rimane in vita la
scomparsa di una persona è dolorosa come per te lo è
quella di Jack, perché chiunque può essere importante
quanto lui per te.
A notizia calda, appena appresa ricordi che frignavi nello stesso modo,
piangevi e davanti agli occhi pieni di compassione di quell'ebreo di
Kyle, quel hippie di Stan e quel morto di fame di Kenny e... non hai
saputo dire di meglio che il problema di Jack Tenorman era l'essere un
pel di carota, non sai perché l'orgoglio ha reagito in quel
modo, perché l'hai detto, eri convinto che era quello il
problema, ciò che ti stava uccidendo dentro e terrorizzava. Ora
non c'è nessuno però, c'è il buio e c'è Dio
che sa tutto, soprattutto quel che non sai, perciò il tuo pianto
diventa ancora più disperato; non te ne frega niente se Jack
Tenorman era un pel di carota e... non ti importa nemmeno se era un
Denver Broncos.
C'era -c'è- un'unica cosa che davvero conta, per il quale hai pianto e ancora stai piangendo.
"Papà... il mio... papà..."
Papa, can you hear me?
Lo chiami. Bisbigli, sussurri, mormori e
poi stanco urli quella parola, Papà. Sei sfinito, sai che non ti
risponderà come mai ha fatto, come mai ha potuto fare.
Non è tanto diverso questo tuo pianto, dai pianti e dagli incubi
di tante, troppe, forse tutte le notti prima di questa. L'hai sempre
cercato, aspettato, invocato, esasperatamente, senza mai arrenderti,
nel sonno, dentro i tuoi sogni distorti e terribili, tra realtà
di nuvole rosate di zucchero filato e distorte e sporche immagini di
realtà; l'hai chiamato, e chiamato, e richiamato, producendo
come ora un'eco doloroso e senza risposta.
E ora sai di per certo che questa risposta non arriverà mai e poi mai.
Però tu hai fede, sai che Dio ti ama, ti ha sempre aiutato anche
nella peggiore delle situazioni, no? E ora non gli chiedi molto,
cosa puoi chiedergli d'altronde?
Se mai il tuo papà potrà risponderti, allora deve
ascoltarti, perché lui non può che essere lì
vicino al Padre dell'umanità, insomma... dove altri potrebbe
essere un Denver Broncos, se non al fianco di Dio?
"Papà..." ti fai il segno della croce, attento ad utilizzare la
mano destra come ti hanno insegnato a catechismo, e poi congiungi le
mani, tremano, come le fiamme delle candele.
"Papà, puoi sentirmi?".
Papa, can you see me?
Papa can you find me in the night?
Papa are you near me?
Papa, can you hear me?
Papa, can you help me not be frightened?
La tua voce non è che un
tremolante mormorio, la schiarisci, perché non vuoi fare brutta
figura con lui, perché vuoi che almeno una volta ti ascolti,
forte e chiaro.
"Papà... sono Eric."
Non aggiungi altro, sai che non ce
n'è bisogno.
Cerchi di sistemare meglio le ginocchia sul
banchetto di legno, perché ti fanno male, con la tua robusta
massa è normale.
"Papà, io non so se tu puoi vedermi... non saresti di certo
orgoglioso di me... non sono un bel figurino" col dorso della mano ti
asciughi quella che speri sia un'ultima lacrima. Tua madre aveva
ragione con la dieta, per un incontro tanto importante ci sarebbe
proprio voluta, ma d'altronde tu fai sempre come vuoi, ti piace
mangiare, ti piacciono i dolci, il pollo fritto con le patatine, tutta
quella roba ricca di grassi saturi.
"Papà, ti ho cercato a lungo, ovunque, ma tu... non c'eri" no,
quella di prima non era l'ultima lacrima. Non riesci proprio a fermarle.
"Io, ho sempre sperato di incontrarti e... e abbracciarti" ti sembrano
tanto parole degne di quella strachecca di Butters, ma non te ne curi, per una volta vuoi essere onesto, anche con te stesso.
"E volevo anche che tu... tu sapessi che io... " sono tanto difficili
da dire quelle parole "...non ti giudico, non importa se non mi hai
voluto con te" hai fatto bene.
Quella fastidiosa voce che è tanto simile a quella di Kyle, sai
che non è altro che la tua coscienza "Io posso... posso provare
a capire le tue ragioni. Ma non è questo comunque che volevo
dirti, io... " guardi emozionato al tuo fianco, come ci fosse qualcuno,
aspettandoti che possa esserci, hai fede, dunque sei certo che ci sia.
"Io ti voglio bene, papà."
E rabbrividisci, ancora. Perché temi la sua risposta che comunque non ti arriverà.
L'hai ucciso, come potrebbe avere solo delle briciole d'affetto per te?
L'odio, è la sola risposta ragionevole, la cosa che temi
più di ogni altra.
Il tuo pianto non può che ritornare ad essere disperato, della
stessa intensità del senso di colpa che ti sta avvelenando, la
paura che ti accompagnerà -ormai lo sai- fino alla tomba e tra
un singhiozzo e un rantolio, con la voce spezzata dall'emozione e dalla
sofferenza ti perdi in una litania, che ripeti fino a quando non chiudi
gli occhi sfinito.
"Papà ti voglio bene, perdonami, ti voglio bene."
Looking at the skies I seem to see
A million eyes which ones are yours?
Where are you now that yesterday
Has waved goodbye
And closed its doors?
The night is so much darker;
The wind is so much colder;
The world I see is so much bigger
Now that I'm alone.
Papa, please forgive me.
Try to understand me;
Papa, don't you know I had no choice?
Sobbalzi al rumore di un auto passata di
corsa davanti alla chiesa; ti accorgi di esserti addormentato esausto
dal pianto. Non sai che ore sono, ma non hai più voglia di stare
in quella in chiesa, ma tornare al caldo, nel tuo letto. Mediti anche
la possibilità di abbracciare la tua mamma al mattino, non hai
più voglia di essere arrabbiato con lei, dopotutto è
l'unica persona che ti ama incondizionatamente, sempre pronta a
coccolarti, viziarti e a farti ascoltare le parole che desideri
sentirti dire.
"La mamma è grande" sussurri mentre le labbra si increspano in
un sorriso malinconico, che prova nostalgia dei giorni precedenti alla
grande verità. Provi nostalgia anche per colui che eri fino a
qualche giorno prima: eri terribile, ma almeno non sentivi davvero niente, non avevi una coscienza con la voce maledettamente simile a quella di Kyle.
Tiri su col naso e provi a metterti in piedi, non senti le gambe, sono
anchilosate, hai bisogno di qualche minuto per reggerti correttamente
in piedi, sentirle e poter camminare. Senti la stessa difficoltà
che può avere un bambino di un anno che ha bisogno dei genitori
per esser sicuro di non cadere e poter imparare a camminare
correttamente. L'analogia ti scalda un po' all'altezza del petto: forse
sei difettoso proprio per questo, eppure non riesci a dare la colpa
né a tuo padre, né a tua madre, perché sei al
primo a sapere che tanti sbagli si fanno con le più buone
intenzioni.
Aperta la porta della chiesa, il vento ti schiaffeggia le guance
paffute, sembra averti frustato e scosso ti metti le mani in tasca,
maledicendoti per non aver preso i guanti; non hai pensato molto quando
ti sei fiondato fuori, volevi solo controllare che sotto quel lampione
non ci fosse nessuna ciotola di chili, non immaginavi saresti arrivato
tanto lontano.
Il vento ti fa alzare lo sguardo, è lo stesso cielo di sempre,
di prima, eppure provi una grande emozione, ti lasci incantare da
quella sensazione di stupore, dalla meraviglia: è
l'immensità che stai guardando, una squarcio di essa e ti chiedi
dove esattamente sia Dio, dove tuo padre: su qualche nuvola? Oppure...
sono quello che vedi? Che quelle costellazioni siano in
realtà siano migliaia di occhi che osservano i mortali come te?
Forse ci sono anche i suoi occhi tra quelli, per qualche minuto cedi al
gioco, tentando di immaginare quali possano essere ma se guardano te,
che razza di espressione possono avere?
Sono tutte magnifiche quelle stelle, se lì ci fossero gli occhi
di tuo padre supponi che in essi non ci sia che sprezzo, uno sguardo di
certo non degno di quello splendore che regna nel cielo. Se quelli sono
occhi, sono tutti stupendi, fieri, fieri probabilmente di ciò
che vedono, probabilmente lo sguardo di Jack veglierebbe su colui che
considera il suo unico e vero figlio, veglierebbe su Scott e sarebbe fiero di
lui, anche se per te non è altro che un bullo, uno stronzo che se non
ti avesse offeso a quel modo, non avresti mai fatto quel che hai fatto:
volevi dargli una lezione, fargliela pagare per essersi preso gioco dei
sentimenti di un bambino, volevi farlo in modo doloroso e... ci sei
riuscito. Ma l'unico che alla fine sembra averci perso sei stato
proprio tu.
Stringendoti il maglione alle spalle riprendi i tuoi passi per la via
verso casa; tutto sembra più buio, più grande, tu solo un
piccolo punto che potrebbe venir ricoperto di neve e dimenticato da
tutti, solo il cielo sarebbe testimone della tua scomparsa e non pensi
proprio che sarebbe un fatto degno di nota per alcuno, se non per tua
madre.
E' una paranoia stupida quella che sta crescendo dentro di te e non sai
se è colpa dell'ora, di quella visita in chiesa o della
coscienza, quello che sai però è che dal giorno in cui
hai fatto quella scoperta -con Scott che ti teneva la testa dentro una
ciotola di chili- non sei più lo stesso, sei come come un
bambino sperduto in una giungla metropolitana di menzogne e ipocrisia,
e la parte più divertente di tutto questo, la crudele ironia del
destino, è che tu non sei meglio di loro, ma peggiore.
Forse Kyle nelle sue parole cattive contro di te aveva ragione.
E questo ti fa rodere il culo in maniera inimmaginabile.
Calci violentemente la neve, la calci con tutta la rabbia che hai
dentro, con tutto l'odio che scorre nel tuo sangue, l'odio che che di
solito sfoghi contro hippies, ebrei, pel di carota, fan dei Griffin,
High School Musical, Jonas Brothers... e sì, anche contro Barbra
Streisand che ti ha preso per il culo, contro tutti loro prendi a calci
quella cazzo di neve ogni presente ad ogni tragedia, sicuramente anche
il giorno stesso in cui sei stato concepito; inciampi, ma non per
questo la tua foga si paca, a mani nude, in ginocchio, prendi a pugni
quell'odiosa massa bianca.
Odi South Park, odi tutta quella fottuta gente col sorriso sempre in
bocca, le loro casette colorate e felici, piene di bambini ridenti,
mamme puritane e papà che pensano a portare lo stipendio in
casa, che non lasciano che la loro adorata moglie si prostituisca per
per regalare un po' di felicità alla loro famiglia, per nutrirli
e dargli 20,0 $ per divertirsi. Scott era come tutti loro, quell'odioso
testa di cazzo viveva in quell'utopia, quando ti ha offerto la
pubertà per 20,0 $ credevi che la tua vita fosse risolta, se
maturavi prima potevi essere l'uomo di casa, lavorare, essere
indipendente, non permettere a tua madre di vendersi per farti
mangiare... eri più piccolo a quel tempo, più ingenuo,
più sognatore e con quei preziosi 20,0 $ -che chissà
come aveva preso la tua adorata mamma- credevi di risolvere tutto,
invece oltre ad essersi preso gioco di te, ti ha fregato quei soldi.
Avevi provato in ogni modo a farteli ridare, in modo diretto e gentile,
anche, ma non aveva sentito ragioni e aveva continuato a prenderti per
il culo, a ridere di te... quello stronzo.
L'umiliante ricordo ancora ti fa versare lacrime.
Prendere a pugni la neve, con le mani ormai gelate e sanguinanti le nocche, ancora non ti soddisfa.
"Odiosa città di merda. Dovresti bruciare, bruciare!"
Per la prima volta vorresti vederla rasa al suolo, tutta, con tutti i suoi abitanti, te compreso.
Stringendo i pugni, ignorando il dolore alle nocche immagini lì
la brutta faccia di Scott, il primo che avrebbe dovuto crepare, avresti
dovuto avvelenarlo quel chili, almeno saresti col cuore in pace e Jack
sarebbe vivo 'sarebbe solo il mio papà'.
Volevi ferirlo -ripensi ossesionatamente a queste due parole- volevi ferirlo.
"Che avrei dovuto fare? Avevo scelta?" non comprendi essenzialmente
dov'è stato il tuo errore, nella tua infantile convinzione di
avere la ragione in mano.
"Papà, a quanto pare... i tuoi figli sono degli stronzi. Ognuno
a modo suo."
Can you hear me praying,
Anything I'm saying
Even though the night is filled with voices?
"Tu non meritavi né me, né
Scott."
Dopo un colpo più debole a terra ti fermi, rimanendo
sempre sulle ginocchia. Attraverso i jeans la neve si scioglie, bagnata
penetra.
Congelare sarebbe una giusta punizione? Il giusto prezzo per quello che hai fatto?
"Vorrei davvero sapere qual'è la cosa giusta."
Tuo padre sicuramente sapeva qual'era la cosa giusta,
sempre. Era uno dei Broncos che vinse il SuperBowl, ergo un mito
vivente -come tutti i Denver Broncos, del resto- e i miti, gli idoli,
non sono forse quelli che sanno sempre tutto? Se no, come potrebbero
vincere?
E' davvero frustrante non aver potuto conoscere quel mito di padre e al
pensiero un'ultima lacrima ti cade, quella che giuri è l'ultima.
Un'ultima amarissima lacrima, perché sei stanco di esser tanto
debole, invece, lui... "Tu sì che eri forte, papà" lo
dici senza sapere, solo da tifoso.
"Avrei davvero voluto che tu mi avessi insegnato ad esser forte e a fare la cosa giusta."
Lo dici col cuore in mano, come una preghiera. Sai che non sarà
mai realizzata, ma ti hanno insegnato a catechismo che parlare con il
cuore mette in contatto con Dio, che le preghiere raggiungono il cielo,
per questo stanotte, da quando hai fatto quel segno della croce, stai
parlando col cuore.
E sei certo che Jack ti stia ascoltando, magari, non vorrebbe, ma ti
sta ascoltando. E speri che capisca quanto amore c'era riservato per
lui, quante preghiere, quante speranze, anche se ormai non rimangono
che rimpianti, per ciò che sarebbe potuto essere, per ciò
che avreste potuto fare.
"Fa male non conservare neanche un ricordo."
Mormori, prima che una voce familiare nel buio chiami distintamente il
tuo nome. Ne seguono altre di familiari, confuse, unite e stai per alzare
la testa quando un fiocco di neve cade sulla tua fronte.
Dilati gli occhi, è un tocco che ti ricorda qualcosa, di parecchi anni prima, un buffetto.
Si scioglie come si slega un ricordo prima prigioniero del tuo inconscio.
Quelle voci non hanno più tanta importanza.
I remember everything you taught me
Every book I've ever read...
Can all the words in all the books
Help me to face what lies ahead?
"Vaffanculo a Stan, vaffanculo a Kyle e vaffanculo a Kenny."
Avevi sei anni e avevi appena detto le tue prime parolacce, per rabbia. Quei tre ti hanno sempre fatto rabbia.
Avevate giocato un'importante partita di football, ma non era colpa
tua se avevate perso, non eri un bravo difensore, ma non capivi
il perchè di tutti quelli gli insulti, esagerati e crudeli,
sulla tua stazza, sul tuo sedere 'non sono grasso, ho le ossa grosse, lo dice anche la mamma'
pensavi mentre tiravi su col naso, seduto dopo la partita tra gli spalti sporchi
di coca-cola, buste di carta e briciole di patatine e pop-corn.
Non eri come non sei tutt'ora
brillante negli sport, è vero, ma non è colpa tua; quando
corri hai subito l'affanno e ti stanchi in pochi minuti, e quando avevi
sei anni ti sembrava ancor più faticoso, ricordavi quel giorno
quanto ti eri sentito umiliato: avevi cercato di difendere la palla con
tutta la tua forza, mettendoci anche un po' di coraggio e poi ti eri
ritrovato con risa ed insulti, la maggior parte di Kyle, che si
credeva tanto figo quando era quarterback a quel tempo.
E proprio su quei gradini, mentre cercavi di non ascoltare quelle
parole che la memoria rendeva eco, desiderasti che tutto bruciasse, che
tutti fossero risucchiati da qualche buco in terra o che una tempesta
portasse via ogni cosa, senza lasciare traccia, neanche di te.
In fondo -pensavi- a cosa serviva nascere come un perdente? Se non
c'era nulla di buono nella realtà in cui vivevi, te compreso,
che senso aveva che tutto continuasse, che la vita continuasse?
"Tutto ok, figliolo?"
Alzasti lo sguardo verso un tipo in tenuta sportiva e un berretto blu
con rifiniture arancioni, con al centro un cavallo rampante bianco con
criniera arancio, lo ricordi ancora, i tuoi occhi erano fissi su quel
cappello con visiera, era... figo, davvero. Per un attimo avevi
scordato tutto, ma quando l'uomo ripeté la domanda ritornasti
alla realtà.
"No. Ma se può aiutarmi a spazzar via questo buco di culo di paese allora sarebbe ok."
L'uomo rise alle tue parole e si sedette al tuo fianco. Non avevi idea
di chi foste, ma il fatto che tifasse Broncos lo rendeva simpatico ai
tuoi occhi.
"Anch'io tifo Broncos. Loro sì che sono dei gran fighi, non noi
Cows" con una nota dolente ammettesti che voi facevate
davvero pena, che un giocatore professionista avrebbe vomitato se
avesse assistito a quella partita, ammetti anche che te stesso in campo
sei stato pessimo, ma di certo quel quarterback ebreo non era migliore
di te, non sapeva neanche reggere la palla e tirarla oltre i suoi
piedi, senza contare quel kicker biondino tremolante di Stotch che
è riuscito a inciampare sui suoi piedi prima d'aver sfiorato la
palla.
Il tuo racconto sui tuoi compagni divertì alquanto quell'uomo, si fece
serio però quando iniziasti a parlare di tutti gli insulti rivolti a te, sulla
tua stazza e la tua goffaggine, detti da chi poi? Da Kyle che non aveva
la stoffa del leader, da Stan che come Runningback era più lento
di un asino e da Kenny che nel ruolo di guardia era riuscito a farsi
mettere letteralmente i piedi in testa ed era stato sostituito
perché aveva riportato ferite serie.
"Capisce? Son dei buoni a nulla, però se la prendono con me per
i loro fallimenti, perché io sono grasso per loro..." ti
vergognasti come un ladro nel dirlo "...ma io ho solo le ossa grosse."
L'uomo ti accarezzò i capelli, come nessuno, tranne tua madre, aveva mai fatto.
"Sarebbe bello se ogni cosa scomparisse. Se questo cavolo di posto
scomparisse, me compreso. Io non ci voglio vivere in una merda di posto
come questo."
"Anch'io l'ho pensato tante volte, sai? Quando ero ragazzo. E sono
felice di non averlo fatto altrimenti non sarei chi sono adesso, non
avrei potuto trovare persone da amare e... non sarei felice."
Si tolse il berretto mettendolo sulla tua testa e rivelando alla luce del sole una chioma rossa e dei baffi che avevi notato.
Non avresti mai dovuto scordare quella faccia, mai.
Perché solo ora la ricordi chiaramente?
"Ciò che non ti uccide ti rende più forte,
diceva un filosofo. E questo berretto è tuo ragazzo: i Broncos
oggi sono fortissimi, ma hanno subito durissime e umilianti sconfitte,
lo sai?"
L'avevi guardato senza capire pienamente quelle parole, ma pensavi suonassero bene, fighe in un certo senso.
"E poi ti ho notato mentre giocavi, alcune azioni erano davvero da campione."
"Dice davvero?"
Non eri certo che dicesse il vero, anche se lo speravi,
ma quell'uomo sorrideva in quel momento e ti guardava negli occhi.
"Dico davvero. Hai delle buona potenzialità, devi... lavoraci, ecco tutto."
Non ti perdonerai mai di aver dimenticato quello sguardo, eppure
-ironicamente- il tuo inconscio non aveva mai scordato quell'uomo e
quelle parole, perché ricordi di aver cercato il filosofo di cui
ti aveva parlato, Nietzsche, di aver letto -nonostante la tua giovane
età- quei libri, cercando di far tue quelle idee che suonavano così fighe, soprattutto da citare.
Un buffetto poi concluse quella conversazione.
Ti hanno ferito, in tanti, nel profondo,
ma aveva ragione: non sei morto, sei stato forte, tanto da... aver cose
terribili e aver dimenticato -quando hai fatto a pezzi Jack- che lui ti
aveva quel cappello così figo.
The trees are so much taller
And I feel so much smaller;
The moon is twice as lonely
And the stars are half as bright...
"Cartman!"
Ritorni bruscamente alla realtà. Ti senti così misero,
insignificante... pensi di odiare ardentemente Kyle, Stan e Kenny, te
lo ripeti, anche se provi un profondo desiderio di abbracciarli,
abbracciarli forte.
Non ti volti verso la provenienza di quelle voci -chiare e distinte-
preferisci sederti a terra, cingerti le gambe e gelarti il sedere dando
le spalle a chi ti chiama.
Ti eri ripromesso niente lacrime, ma dopotutto sei ancora un bambino, e
-sì- sotto tutta quella ciccia c'è un cuoricino che batte, che
ha dei sentimenti, oltre a tante ferite.
Ti vergogni a mostrarti così ad altri.
"Eric! Stai bene, sei ferito? Hai... mal di pancia?" una testolina
bionda è la prima a precipitarsi da te, a inginocchiarsi davanti
alla tua figura e a rivolgerti parole particolarmente premurose.
Dannata Strachecca, perché cavolo non è a dormire con il suo peluche di Hello Kitty?
"Ehi, Cartman, amico, stai bene. Tua madre ha chiamato i nostri genitori
e siamo tutti usciti a cercarti. Che ti è successo?" quando
senti la luce della torcia sulla tua faccia, vorresti darla in testa a
Stan, ma le sue parole ti fanno comunque piacere, invece che quelle del
tuo formale Migliore Amico che mormora dentro il suo parka 'Possiamo andare a casa, ora che l'abbiamo trovato? Sto morendo di sonno', certe volte vorresti proprio ucciderlo con le tue mani Kenny, ma in fondo -lo sai- è stato solo onesto.
"Odio South Park." soprattutto ora che convivi con la più dura realtà.
"Dovrebbe sprofondare all'Inferno."
La testa ritorna volta verso il basso, con la fronte premuta contro le
ginocchia, ma le tue parole son state sentite distintamente dai
presenti. Una mano si poggia sulla tua testa, coperta dal berretto
celeste ormai zuppo, ricorda una di quelle carezze che riservi a Kitty
quanto fa la brava gattina. Non sai chi ti abbia riservato quel gesto,
ma quando senti la voce dell'ebreo così vicina, rabbrividisci:
cos'è? Compassione? O, peggio, pena?
"Lo penso spesso, anch'io. E' tutto così fottutamente assurdo
qui, la gente è folle e forse lo diventeremo anche noi, o
semplicemente lo siamo ma non lo sappiamo ancora. Ti darei
volentieri una mano per una volta, sai Culone? Radere al suolo South
Park sarebbe davvero uno spasso e -sarò sincero- vorrei tanto
andassi al diavolo anche tu tante volte." Che diamine ti accarezza la testa allora?
"Eppure che senso avrebbe? Questa è sempre e comunque la mia
città, ci sono nato, ci vivo e ci sei anche tu che fai parte di
essa e della mia vita, della nostra vita che... non avrebbe
assolutamente senso senza tutto questo, senza te."
Alzi il volto, con gli occhioni umidi, stupiti dalle parole di Kahl,
che è lì, con una specie di sorriso e sguardo apprensivo.
Una volta avevi pensato una cosa molto simile, era tanto tempo fa e...
te l'aveva messa in testa proprio quell'hippie di Stan.
Vuoi dire qualcosa ma Kyle non te ne dà modo.
"Sarò forse uno stupido per te, ma io credo che le cose, sempre,
possano cambiare in meglio ma dobbiamo prima di tutto volerlo noi,
agire noi, allora se cambiano desideri simili non ne avremo più.
Tu stesso Cartman non credi di essere cambiato un po'?"
Sei un po' imbarazzato dalla situazione, perciò rispondi nel tuo
solito modo arrogante, da cazzone "No, io sono sempre lo stesso figo di
sempre." Kenny ti sfotte, ride dentro il suo cappuccio mentre Stan si
stringe con le dita la base del naso e Butters fa scontrare nervoso gli
indici.
Kyle però ti conosce fin troppo bene per prendersela anche in
quel momento "All'inizio pensavo davvero che piangessi perché
tuo padre era rosso, ma ora, il semplice fatto che sei qui con questo
stato d'animo, dimostra sei cambiato, stai crescendo e... sta nascendo
qualcosa di buono in te."
"Ho ucciso mio padre Kahl, che cosa vuoi ci sia di buono?!" Sbotti, quasi ringhi, nervoso e frustrato.
La reazione di Kyle è l'ultima che ti aspetteresti.
Ti abbraccia.
Senza pensare, senza vergogna, come se tu fossi quella checca del suo Super-Migliore-Amico o Ike.
"Lo dimostra questo. Lo dimostra che sei pentito e... che hai imparato
qualcosa da un tuo gesto" e subito dopo senti l'abbraccio di Butters
sovrapporsi e singhiozzare il tuo nome. Si aggiunge anche
Stan, mentre Kenny rimane in disparte "Che bello spettacolo gay"
commenta, ma basta un rimprovero di Stan per farlo unire a
quell'abbraccio.Per una volta ha ragione Kenny: questo è davvero gay.
Non ti senti più così minuscolo ora, né il freddo
è tanto pungente; Scott avrà avuto pure un padre e una
madre sempre vicini, ma di sicuro non ha avuto quel tipo di famiglia
non sanguinea che c'è sempre, vi odiavate davvero, loro sono la
causa di tanti pianti da bambino, ma cosa possono fare dei ragazzini
tanto piccoli se non giocare a prendersi in giro? Se solo l'avessi
capito prima... è bastato tra l'altro poco per diventare loro
amico, indossare quel cappello facendo il fighetto e chiamare stupido francesino Pip.
Ti chiedi se tuo padre -magari con silenziose preghiere- non sia stato
proprio lui a desiderare per te una famiglia speciale come questa.
Domani sai già che li prenderai per il culo tutti quanti, come
nulla fosse successo, e loro faranno lo stesso, così
funzionano le cose alle elementari, così funzionano tra maschi,
per ora vi godete però quello speciale momento, che non sapresti
descriverlo a parole, perché -come hai sempre ammesso- non sei
bravo ad esprimere i tuoi sentimenti con le parole ma ti viene una
canzone alla mente.
Non c'è più freddo, solo un piacevole torpore.
Heat of the moment.
Pensi irritato, mentre hai solo il desiderio di rimanere solo.
Papa, how I love you...
Papa, how I need you.
Papa, how I miss you
Kissing me good night...
E'
un dondolio piacevole, senti un brusio di sottofondo. Non hai la forza
di riaprire gli occhi, ti crogioli nella confortevole e calda
morbidezza dei sedili, oltre a lasciarti a peso morto alle leggi della
gravità che ti fanno cadere su qualcosa di morbido, ti ci
strusci, sembra una felpa, forse i giocatori di football la indossano
spesso per andare agli allenamenti, perché è così,
no? La tua mamma sta guidando verso casa da Denver, dalla sede dei
Broncos, ti senti sciocco ad esserti addormentato con tuo padre
presente, ma sei stanco ed è una bella sensazione dormire vicino
al proprio papà, senti il suo odore, odore di sigaretta, della
sigaretta post partita; lo chiami, un mormorio leggero nel sonno e
qualcosa di morbido ti sfiora la fronte, è il bacio della
buonanotte.
"Ti voglio bene" è un mormorio che si conclude con un sorriso il tuo, il sorriso di un bambino che sa di essere amato.
*
"Non toccargli i capelli Kyle, lo sveglierai. E... papà, spegni quella sigaretta, mi dà fastidio"
"Shhh... Stan, così lo
svegli tu" il sussurro di Kyle è gentile, come il suo sguardo
posato sul paffuto bambino che si è accomodato sulla sua spalla,
che inizia a dolergli. Non lo caccia via però, né ha la
minima intenzione di farlo.
Stan dall'altro lato del sedile guarda preoccupato il
suo migliore amico, poi rilassa la sua espressione e parla col tono
più adatto e discreto al momento.
"Suonava molto gay il discorso che gli hai fatto, Kyle."
"Credo ne avesse bisogno. Sarà sempre Cartman, ma ha avuto delle giornate pesanti."
"Come facevi ad esser certo che il problema fosse suo padre?"
Kyle guarda per un attimo Stan, sta per aprir bocca quando Eric si
struscia e chiama suo padre, l'ha scambiato per lui? Non lo sa il
piccolo ebreo, ma abbozza un sorriso "Intuito forse."
"Lo stesso che ce l'ha fatto trovare."
"Già."
"Sai che ti prenderà in giro per quello che hai detto e fatto, vero? Ti sfotterà con tutti a scuola."
"Forse no" Kyle è ottimista, lui crede che ci sia sempre
qualcosa di buono, in tutti "il nostro piccolo uomo sta davvero
crescendo."
Stan soffoca una risata sentendo quella frase da paparino amorevole,
mentre Kyle sistema attento ad Eric la frangia, poi sospira, vuole
ignorare che il suo migliore amico lo stia deridendo e alza gli occhi
al cielo, dove c'è una stella brilla più delle altre,
attira la sua attenzione questo, ma dura solo un secondo... "Ti
voglio bene" è il sussurro di Eric che sorride felice.
Kyle, spera possa essere un sogno davvero felice mentre la stella schizza via, illudendo gli occhi che cada in terra.
"Che cosa inquietante: coccolalo ancora un po' e si innamorerà di te, Kyle."
"Fanculo, Stan."
"Il nostro piccolo uomo sta crescendo, no? Parole tue Kyle."
Da molto tempo desideravo scrivere una fanfiction in reazione
agli episodi 200 & 201 e alla fine -grazie all'ispirazione data dal
concorso La Sombra del Viento- ce l'ho fatta.
La storia è sviluppata intorno alla canzone ironicamente di
Barbra Streisand, perchè l'ho trovata perfetta per Eric, per
esprimere il suo stato d'animo.
Per il momento non ho molto altro da dire, mi sono impegnata
però a realizzare nel modo più delicato possibile un tema
difficile e -sì- alla fine ho messo del Fluff pre-Slash
perchè voglio tanto bene a Eric, e mi sembrava giusto dargli
l'affetto che merita.
Questa fanfiction è stata scritta per il contest "La Sombra del Viento" contest
che è sopravvissuto solo grazie a NonnaPapera che si è occupata di
giudicare le storie anche se non era stata lei a indire il concorso e
la ringrazio personalmente per aver accettato di giudicare le nostre
storie e per i giudizi espressi di cui sono più che felice e che
riporto qui sotto.
Grammatica e lessico: 9
Ci
sono alcune ripetizioni e ho notato anche un errore grammaticale giusto
nella primissima riga. Per il resto il lessico è molto scorrevole e la
scelta di scrivere l’intero racconto in seconda persona l’ho apprezzata
moltissimo
Originalità: 15
Questa
storia si che è originale. Insomma non avrei mai immaginato di leggere
una fic sull’introspezione di Cartman e del suo “rapporto” con il
padre. Lo sviluppo è lineare ma comunque la storia lascia il lettore
incollato allo schermo fino a che non ha finito.
Caratterizzazione dei personaggi: 13,5
Ecco
qui secondo me sei andata leggermente OOC per quanto riguarda il
personaggio di Eric. Insomma per chi lo conosce un pochino pare
difficile immaginarlo sommerso dai sensi di colpa che non lo fanno
dormire la notte. Soprattutto quando pensa di essere un mostro, quel
passaggio mi è parso poco aderente al suo carattere folle ed
assolutamente dissoluto.
Consequenzialità causa effetto: 10
Nulla da segnalare, la storia è piacevole da leggere ed ogni passaggio e chiaro e ben delineato.
Apprezzamento personale: 15
Fic
davvero particolare. L’ho amata alla follia fin dalle prime battute. A
parer mio sei riuscita a ricostruire molto bene tutta l’atmosfera
cinica e disincantata che permea questa scorretta serie televisiva.
Note per capire meglio la lettura.
Scott Tenorman Must Die & 200/201: Eric
nella quinta stagione della serie di South Park ha teso una trappola ai
genitori del bullo Scott Tenorman che disse loro di andare a prendere
un cavallo che credeva volesse morderlo ai genitali. I signori Tenorman
andarono dal cavallo, convinti avesse bisogno d'aiuto, che fosse solo e
maltrattato ma il contadino -come Eric aveva previsto- gli sparò.
Quella era solo la prima parte del suo piano di vendetta, sapeva che
Scott avrebbe mandato -senza saperlo- a morire i suoi genitori. In
seguito Eric ha preso i cadaveri dei due Tenorman, li ha fatti a pezzi
e con la loro carne ha preparato del Chili che poi ha fatto mangiare a
Scott.
Nella quattordicesima stagione si scopre che il Padre di
Scott Tenorman era anche il padre di Eric, il padre che aveva sempre
cercato disperatamente.
Brian Boitano:
campione olimionico di pattinaggio artistico americano. Nel primo film
di South Park, i ragazzi in difficoltà si chiedono cosa avrebbe fatto
Brian Boitano al loro posto e cantano l'omonima canzone.
Viaggi nel tempo: citazione al fatto che l'Eric Cartman del futuro è il presidente dei viaggi spazio-temporali.
Radiohead:
idoli di Scott Tenorman che l'hanno deriso vedendo l'adolescente in
lacrime, ma senza sapere il vero motivo. Era la ciliegina sulla torta
della vendetta di Eric.
The Passion: quando Eric rimane
impressionato dal crocefisso è perchè ha il ricordo ancora vivo del
film di Mel Gibson, The Passion e per questo è osessionato dall'idea
che gli ebrei siano dei crudeli assasini che meritano l'inferno; ciò
non rispecchia minimamente comunque il mio pensiero, né quello di Mel
Gibson in tutta onestà, Eric si è solo concentrato su questo
particolare.
Denver Broncos: squadra di fottbal di punta di
Denver, del Colorado, squadra per cui tifa tutta South Park, visto che
Jack Tenorman -di South Park- era nella squadra. E' mitizzata
all'interno della serie vist che gli autori ne sono accaniti tifosi e
per questo i bambini protagonisti trovano mitica questaa squadra e la idolatrano.
I colori della squadra sono il blu e l'arancio e un cavallo bianco lo stemma/mascotte.
La
fede di Eric: Eric è cattolico e nonostante bestemmi e non sia affatto
un buon cristiano, lui prega -quando gli fa comodo- e tenta di
manipolare Dio con le sue richieste. Comunque crede in lui e ha un
rapporto stretto con Dio.
Strachecca: nome che Eric ha affibiato a Butters.
SuperBowl: campionato di Footbal più importante.
Eric Bambino: da quello che disse Pip nell'episodio Damien,
Eric era un bambino preso in giro da tutti come lui, ma quando Eric ha
avuto il coraggio di prendere in giro Pip, Kyle e Stan l'hanno
considerato figo e l'hanno voluto come amico, anche se nelle prime
serie si approfittano di lui, come fece Scott Tenorman e solo da
quell'episodio Eric inizia a diventare un bambino terribile e
temuto.
Heat of the moment: canzone cantata da Eric nell'episodio Kenny Muore, per esprimere il sentimento che prova in quel momento.
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