Cap. I
Questa storia ha partecipato al "Modà Contest" indetto da xela182, meritando il secondo posto.
I giudizi del giudice saranno riportati al termine del terzo capitolo.
Autore: Ely79
Titolo: Diventeremo eroi?
Avvertimenti: Missing Moment
Genere: Introspettivo, malinconico
Rating: Giallo
Introduzione: Charlie è entrato a far parte dell’Ordine
della Fenice e, per la prima volta in vita sua, si trova a riflettere
sulla sua vita e su quella di chi gli sta attorno.
Citazioni utilizzate: Volevo dirti: “Ci sono notti in cui non so
proprio con chi parlare perché io parlo solo con te”
– “Quando tutta la città si addormenterà
camminerò guardando il cielo per cercare un tuo riflesso”
– “In una di quelle notti dove le stelle siamo solo noi
due”
NdA: la storia prende le mosse dal capitolo 13 della mia Draconarius, ma può essere letta a prescindere da essa.
I
18 luglio 1995, ore 22:28
Maramures, Romania
Sede della Riserva di Protezione dei Draghi
Cucina
… era lì, per terra.
Harry piangeva e non so, non capivo. Da dove eravamo noi pensavamo
chesi era fatto male, che era svenuto. Erano stati via un sacco. Invece
no. Miseriaccia. Charlie nessuno ci voleva credere. I Diggory sono
saltati in piedi, la mamma ha cercato di tenere la signora, ma sembrava
una pazza, si è messa a correre e chiamava Diggory. Harry
gridava, io non ci capivo niente. Hermione ha detto qualcosa
però non ho capito. Io non ho capito niente. Poi Harry si
è messo a gridare che era stato Vo
Tu-sai-chi, ma lui lo chiama per nome, lo sai, non gli fa paura. La
gente è stata zitta e poi ha cominciato a parlare a bassa voce.
I Diggory non li vedevamo più, ma la mamma diceva che erano
là, che forse Cedric stava solo male e che Harry era troppo
stanco per rendersi conto della situazione. Anche Bill parlava che
diceva che sì, sì, era sicuramente così, che
l’idea della Passaporta come ultima prova del labirinto era stata
troppa eccessiva, che dovevano essere sfiniti. Lo sai che Bill ci
capisce di queste cose, ma si sbagliava miseriaccia. Diggory è
morto davvero e lui LUI è tornato. Hanno scoperto che il
Malocchio che avevamo come insegnate non era quello vero: l’hanno
trovato nel fondo del suo baule e quello che ci ha fatto lezione e ha
cacciato Harry nei guai anche quest’anno è un Mangiamorte,
il figlio di Crouch che tutti pensavano fosse morto ad Azkaban. Non
bastava averne avuto uno in tasca
per casa per tanti anni? Ho anche studiato con quello lì.
Charlie, non diventerò anche io uno di quelli, vero? No,
perché lui mi piaceva come spiegava. La mamma non me la fa
passare liscia se succede. Però è vero che i guai corrono
dietro a Harry come Thor con la ciotola, non so più di chi
è colpa. Harry è mio amico, ma certe volte mi viene da
chiedere se non era meglio che finisse da un’altra parte
se dovranno continuare queste cose e per quanto. Non so se posso
continuare io. Ogni anno succede qualcosa, per la miseria! Sta
diventando difficile. Comunque ci ha preso in giro tutti, quel vecchio
schifoso. Ho chiesto a mamma come facciamo a fidarci di quelli del
Ministero se sono tutti dei delinquenti con una doppia vita e pronti a
farci fuori senza pensarci due volte e lei mi ha dato uno scappellotto.
Ha detto che anche papà ci lavora, cos’è, non mi
fido di papà? Va bene, miseriaccia, ho detto una scemenza, non
ci avevo pensato. Ma come facciamo?
Ti lascio.
Adesso vado a dormire, se ci riesco. Qui siamo tutti in piedi da ieri e
la paura non ci fa neanche sedere. E sto morendo di fame e ho finito le
Tutti i gusti +1 e le Cioccorane. Meglio che dormo, così non ci
penso. Tanto oggi le lezioni sono sospese, oggi. E Harry è in
infermeria. Meglio se dormo, sennò Hermione è capace di
prendere la scusa di rilassarci un attimo da quel che è successo
e mi fa ripassare Storia della Magia. Sì, meglio che vado a
dormire.
Stammi bene.
Almeno tu, che qui è un disastro.
Ron
Ron aveva scritto la missiva il giorno successivo gli eventi, tuttavia
il vecchio allocco della guferia di Hogwarts aveva impiegato più
del previsto a raggiungere la meta indicata a causa del maltempo che
imperversava tra l’Austria e l’Ungheria. La lettera non era
giunta inattesa. Il figlio di Ioan e Poliana era al seguito della
comitiva di Durmstrang ed aveva già riportato le notizie sulla
tragica conclusione del Torneo Tre Maghi.
Al suo arrivo però, Charlie si trovava a Londra su espresso
invito di Silente, che si era presentato sul prato davanti alla Sede,
come se stesse facendo una normalissima passeggiata.
La rifondazione dell’Ordine della Fenice aveva suscitato una
valanga di proteste da parte di sua madre, che aveva tentato di
proibire a lui e a Bill di prendervi parte. Fortunatamente,
l’interesse mostrato dai gemelli era stato tale da farla
desistere dal proposito iniziale, inducendola a concentrarsi sulle
minacce e le ramanzine ai secondi.
Bisognava ammettere che la versione aggiornata dell’Ordine era
alquanto sconfortante, soprattutto visto il numero esiguo di membri. Ed
era proprio per quel motivo che lui e Bill erano stati convocati: i
loro lavori all’estero li mettevano al riparo dallo sguardo dei
seguaci ancora a piede libero di Colui-che-non-doveva-essere-nominato, permettendo loro di cercare nuove forze oltre confine.
«Come va la spalla?» domandò Ioan, mentre i piatti
passavano diligentemente sotto il getto d’acqua della sua
bacchetta.
Erano andati tutti a dormire dopo la discussione avuta al termine della
cena. Lui si era trattenuto per finire di lavare i piatti e rassettare
la cucina, ligio al proprio turno di faccende domestiche.
«Abbastanza bene. È ancora un po’ indolenzita ma
passerà, come tutte le altre volte» rispose, sbirciando
sotto la maglia.
I segni dei denti di Siglinde erano poco più che linee
arrossate. Quel pomeriggio, memore degli Schiantesimi che le aveva
rifilato perché non ammazzasse il maschio che le avevano
proposto come compagno, la loro bella Zaffiro di Santorini gli aveva
reso la pariglia. Il morso era stato doloroso, dato però con
l’intento di intimorire. Charlie era abituato ai draghi che
cercavano di farlo a brandelli, sapeva distinguere un attacco vero da
uno simulato. E sapeva anche che l’indomani quei pochi segni
sarebbero svaniti, grazie alle proprietà medicamentose della
saliva di drago.
Poliana invece non aveva perso tempo nel ribadire che tenere quel
rettile disgraziato era stata una scelta da idioti. E più idiota
ancora era stato permetterle di prendere dimora nel laghetto davanti
alla Sede.
«Non voleva farmi male» la difese.
Ioan non rispose, ma Weasley era sicuro che stesse sorridendo. Tutti, eccetto la Tzara, erano affezionati a Siglinde.
«Era solo arrabbiata. Mi ha sempre considerato un amico, si
fidava di me. Voleva solo fosse chiaro che non devo permettermi mai
più di trattarla così» puntualizzò.
«Molto femminile, da parte sua. Se non avesse le squame, penserei
davvero che è il tipo ideale per diventare la tua
fidanzata» lo schernì, chiudendo con un solo movimento di
bacchetta tutte le ante ancora aperte.
«Me l’ha detto anche Bill» ammise.
Nonostante il tono apparentemente scherzoso, Charlie parlava a bassa
voce, ancora demoralizzato dall’esito della riunione. Quella
sera, i membri dello staff avevano comunicato le loro decisioni in
merito al dare o meno appoggio all’Ordine della Fenice. Aveva
sperato in una collaborazione più ampia, ma dei suoi sei
colleghi, solo Andrea e Stefan si erano schierati dalla sua parte. Gli
altri – Ioan, Poliana, Helia e Burak – avevano deciso di
non prendere parte alla crociata di Silente, ciascuno per motivi
più o meno condivisibili.
Il morfologista tornò a guardare sconsolato la lettera del
fratello. Se l’era portata appresso per tutta la settimana, quasi
fosse una sorta di talismano. Purtroppo non aveva funzionato come aveva
sperato.
«Sai… quel Diggory. Abitava vicino a casa mia. Lo
conoscevo. Abbiamo giocato insieme qualche volta, quando eravamo
piccoli» disse, scrutando il proprio riflesso nelle finestrelle
della stanza. «Non voglio che succeda ancora».
Di fronte a lui fluttuarono due bicchieri, che una bottiglia riempì diligentemente con della ţuică*.
Il collega lo raggiunse poco dopo, le mani ancora avvolte nello
strofinaccio. Restarono in silenzio per parecchio tempo, sorseggiando
il liquore. Per Ioan era un’enorme trasgressione: la moglie gli
aveva vietato di bere prima di andare a letto, perché detestava
la nota d’alcol nel suo respiro.
«Dimmi la verità. Cosa ne pensi di questa faccenda? Faccio bene a preoccuparmi tanto?»
Ioan gli posò una mano sulla spalla.
«Cosa ne penso? Penso che ora stiamo vivendo le cose
sull’onda di emozioni troppo violente. Non siamo abbastanza
lucidi per pensare con chiarezza, rischieremmo di travisare ogni cosa.
Vattene a letto e cerca di dormirci su» consigliò
affettuosamente alzandosi.
«Tu però…» iniziò il giovane, scrutandolo di sottecchi.
Il Guardiadraghi si fermò sulla porta della cucina.
«“Tu però” cosa? Però sono stato
dall’altra parte della barricata? È questo che vuoi dire?
Credi che sappia come pensano e agiscano quei maghi?»
domandò senza voltarsi.
La sua voce calma e pacata all’improvviso si era inasprita.
Charlie annuì lentamente, perché, pur volendola
conoscere, temeva la sua risposta. Ioan gli aveva confidato di aver
fatto parte di un gruppo di terribili aguzzini del regime, i Vinatorii.
Aveva preso parte ad azioni turpi e vergognose, spinto dalla cieca
fiducia nei suoi superiori e negli ideali che questi gli avevano
inculcato. Ma quel Ioan, spietato e sanguinario, era stato cancellato,
era stato sepolto in un luogo lontano. L’amore per Poliana lo
aveva spinto a ripensare alle sue azioni, alla sua vita ed al
significato che voleva darle. Era stata una seconda possibilità.
Il romeno fece un profondo respiro e riprese posto al tavolo,
sfilandosi gli occhiali. Restò in silenzio, massaggiando la
radice del naso. Quando tornò a fissare il collega, il suo volto
era irrigidito dal peso di vecchi ricordi.
«Charlie, la verità è che non si può
comprendere il male dall’esterno. E se una volta ne hai fatto
parte, se sei stato la sua mano…» disse, mostrandogli la
propria ben aperta davanti alla faccia. «Beh, ci pensi almeno un
milione di volte, prima di guadare l’ombra che sta nel cuore
degli altri. Capisci cosa intendo?»
Il ragazzo ci pensò su per qualche secondo.
«Hai paura di rivedere com’eri».
Ioan scosse il capo, deciso.
«No. Hai paura che chi eri ti afferri di nuovo. Anche se
l’hai respinta, se hai tentato di scacciarla,
l’oscurità è sempre lì, in agguato, dentro
di te. E se scopri che qualcun altro la porta addosso, devi distogliere
lo sguardo, allontanarti. Dimenticare se puoi. Non devi permetterle di
riemergere, perché salirà violenta a riprendersi
ciò che le hai tolto. Perderai il controllo e…»
Non concluse quella frase: lo sguardo parlava in sua vece.
L’orrore per i dettami del vecchio regime, il tormento per le
vittime del Vinator che era
stato e che aveva scelto di non essere più, la paura che aveva
inghiottito molti anni della sua vita. Erano ferite ancora aperte
nell’animo del Guardiadraghi.
«Non cercare mai di metterti nei panni di queste persone. Non
accampare la scusa che ti serva per combatterli. Dimentica questa
fesseria. Se pensi come loro, diventi come loro, anche se continui a
negarlo. Ne farai parte e allora, tutto quello per cui avrai
combattuto, non avrà più alcun senso»
mormorò, versando un’ultima volta la ţuică
nei bicchieri. «Non ti so dire se quel che sta accadendo ora
è frutto di un problema autentico o di dicerie, se le
preoccupazioni del tuo Preside siano fondate. Quel che so, è che
troppe volte le persone si fanno trascinare dalle proprie paure. Paura
di ribellarsi, paura di guardare la realtà, paura di vivere.
Anch’io ho avuto paura. Quindi, accetta un consiglio da chi ci
è già passato: pensa bene a ciò che fai e guarda
dove metti i piedi».
Bevvero l’ultimo sorso di liquore divisi da sentimenti
contrastanti. Ioan pervaso dall’amarezza del proprio passato,
Charlie dall’incertezza nel domani.
«Forza, giovanotto. Si è fatto tardi e Ana non mi
perdonerà se la lascio sola ad addormentarsi. Senza contare che
le guerre non sono un buon argomento per conciliare il sonno»
sorrise, inforcando di nuovo gli occhiali.
Uscirono dalla cucina e salirono lungo la scala di legno che portava alle camere.
L’idea che potesse scatenarsi una nuova guerra gli faceva provare
una profonda sensazione di disagio. Era un bambino quando la Prima
Guerra magica aveva imperversato per l’Inghilterra. Troppo
innocente per capire fino in fondo quanto fosse grave la situazione,
quanto pericolo si addensasse nell’aria. Ora, da adulto, quasi
rimpiangeva di non aver compreso gli eventi di cui era stato in qualche
modo spettatore: lo avrebbero aiutato ad essere più preparato.
«Magari diventeremo degli eroi, di quelli che i bambini devono
annoiarsi a studiare sui libri e di cui dimenticano il nome dopo il
primo rotolo di pergamena dato a lezione» scherzò
amaramente Charlie.
«Sì, certamente. Saremo eroi, in una di quelle notti dove
le stelle saremo noi due soli: io a raccontare storie ai miei nipoti e
tu ai tuoi figli» rispose Ioan, socchiudendo appena la porta
della sua stanza. «Loro ci guarderanno ammirati, sentendoci
parlare di draghi sputafuoco, di lunghissime pratiche burocratiche e di
Pozione Lassativa data
all’esemplare sbagliato. E il nostro piccolo pubblico ci
ammirerà lo stesso, perché per loro non conterà se
abbiamo sbaragliato torme di maghi assassini o se ce ne siamo stati a
grattarci il naso in attesa che un Lungocorno finisse di passeggiare su
un gregge di pecore. E sai perché non conterà?
Perché saremo nonno e padre, e questo, per loro, sarà
già eroico».
Ioan parlava dando le spalle all’interno della stanza e non
poté scorgere gli occhi di sua moglie riempirsi di lacrime a
quelle parole.
«Quando parli così sei peggio di mia madre»
brontolò Charlie, imboccando la stretta scala a chiocciola che
portava alla sua camera nel sottotetto.
*ţuică: grappa di prugne.
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