Nata tempo fa per un concorso poi
andato in fumo. Peccato, perché è la mia
preferita fra le cose che
ho scritto finora su FFXII. Spero che piaccia a voi. :)
Non avrebbero saputo dare un nome a
quelle colline. “Rozarria”, declamavano le mappe
dalmasche in
mezzo a uno spazio vuoto come se fosse terra di nessuno e loro vi
avevano puntato il timone per la sola ebbrezza del poterlo fare, per
vivere sul rombo costante dei motori in cerca di un cielo
più blu.
Pace: notturno in jagd
Passato il confine al calar del sole,
la Bay Rouge aveva coperto miglia di nebbie e valli, pascoli e
villaggi spenti coperti dal velo blu della notte. Forse già più
blu.
Ora le nuvole graffiavano il cielo in
lunghe striature parallele che iniziavano a colorarsi dei primi cenni
di luce del nuovo giorno. Gli scarichi della nave tracciavano
un'altra riga, più bassa e sottile, che il vento contrario
lasciava
intatta a marcare il suo passaggio. Il canto che si spandeva dalla
cabina di pilotaggio veniva disperso nell'aria tersa del primo
mattino.
Vaan si svegliò sentendosi ancora
addosso sogni confusi: il passato si popolava di fantasmi, tutto
morto, tutto di un grigio fitto dominato da una voce eterea alta e
melodiosa.
D'improvviso non vedeva nulla e la voce
era diventata quella di Penelo. Si stropicciò gli occhi e si
alzò
barcollando.
Penelo cantava a occhi socchiusi, in
piedi sotto la cupola di vetro della cabina, accennando piccoli passi
di danza ai sobbalzi del ponte. L'unico faretto acceso sembrava
illuminare solo lei, come una calda luce della ribalta.
“Rubi le stelle, Penelo”, disse
Vaan fermo sull'ingresso, spalancando gli occhi e allungando l'ultima
sillaba in uno sbadiglio.
Abbassando di colpo la voce fino a
finire la strofa in un sussurro, la ragazza si voltò a
salutarlo.
“Non dire sciocchezze,Vaan. Vieni a vedere,
piuttosto”, disse
invitandolo con un gesto a seguirla vicino al vetro, “guarda
in
alto! Stiamo correndo insieme a una flotta di navi
invisibili...”
“Chi è che dice sciocchezze, ora?
Wow”, commentò studiando il fascio di linee che li
sovrastava. “E
stiamo perdendo! Più potenza a quei motori,
navigatore!”
“Farò del mio meglio, signor
capitano”, rise. “Ti ho svegliato? Non pensavo, era
una canzone
per una notte così bella, ma voleva restare fra me e
lei.”
“Sì”, sbadigliò Vaan
d'istinto,
stupito dall'espressione di disappunto che si stava dipingendo in
faccia all'amica. Aveva detto qualcosa di male? “Ma sono
contento
di averti sentita”, aggiunse in tutta fretta per sicurezza.
“È
una bella canzone. Non ne cantavi, prima.”
“Avevo il raffreddore, scemo.”
“Non un-mese-prima,
quattro-mesi-prima, scema. Quando eravamo in viaggio.”
“Scemo tu, in guerra non si canta.
Non canzoni piccole, almeno, non quando sei un soldato. Torna a
dormire”, lo scostò con una gomitata,
“l'alba non ti si addice.
Siamo in automatico, controllo io la rotta.”
Vaan sbadigliò un ringraziamento e
arretrò a tastoni lungo il corridoio, con la testa incassata
per
evitare i cavi che ancora pendevano dal soffitto già basso,
fino a
tornare ad arrampicarsi sulla cuccetta e abbandonarsi alla
ninna-nanna che veniva dall'ala alla sua sinistra. Le battute dei
pistoni, l'aria che sibilava sulle paratie e il brusio armonioso dei
campi di forza degli anelli glossair erano il suo canto di
libertà:
si sentì scendere quella melodia nella pelle e si
addormentò
abbracciato al cuscino con un sorriso.
“E... Vaan? Un giorno andiamo a
rubarla davvero, una stella”, sussurrò Penelo
quando si fu
allontanato.
Nel sogno era
tornato in cammino in una distesa grigia, un mondo di
possibilità e
desideri. Non in cammino, allora: in volo, sentendo il metallo e la
magicite stringersi attorno alla sua carne in quella che solo in un
sogno sarebbe passata per un'aeronave. Nel sogno, bastava. Era se
stesso e al contempo quello che voleva diventare e quello che voleva
diventare – e poteva farcela, in volo – erano le
stelle di quel
cielo, una luce accecante con la sua corte. Lui che era stato un
ragazzo di strada poteva entrare a far parte di quel mondo sospeso,
fare alla guerra, a suo modo reggere lo strascico alla sua regina che
aveva scoperto essere così vicina e vibrante e impossibile.
Anche nel sogno,
“fare alla guerra” si erodeva fino a restare solo e
ineluttabilmente “guerra”. Si trovò
costretto da cavi, ferro,
catene, che erano tutto quello che non capiva, la politica, le
necessità – o forse più simili a
barriere al contrario, brutture
che gli toglievano spazio di manovra fino a lasciargli un'unica
strada, in circolo, che non portava da nessuna parte. Fino a fermarsi
del tutto in un bianco abbagliante che iniziava ad assomigliare
troppo a una stanza di ospedale, bianchi i muri, bianco il letto,
bianco il camice e no Reks no. Restava fermo in
aria, incapace
di andare in su o in giù.
Non c'era più magia sotto le sue ali.
Rimanevano le stelle sopra la sua
testa, splendide e immobili e oltre il suo livello. Avrebbe voluto
ancora raggiungerle: si tendeva, nel vuoto, sforzando ogni muscolo.
Ma le vide grigie e morte e poi più nulla.
Quando si svegliò, il sole di
mezzogiorno filtrava da oltre un pezzo di cuoio malamente affisso
sull'oblò. Vaan strizzò gli occhi per abituarsi
alla luce e si
obbligò ad aprirli del tutto, scostando il cuoio e
concentrandosi
sul blu delle coperte chiazzato ai bordi d'olio scuro, sull'acciaio
impeccabile attorno al vetro, sul rosso acceso del giglio di Galbana
che spuntava dal collo di una bottiglia legata, inchiodata e
incollata a un'asse sopra i suoi piedi. Scrollò la testa.
Solo
quando tornò a sentirsi colorato e vivo si mosse dal letto
per
scacciare il sonno residuo, col tranquillo rito di ogni mattina
dacché aveva deciso di poterselo permettere.
Non sapeva quando si sarebbe abituato a
poter scegliere. Sperava mai.
Strisciò quindi giù dalla branda fino
alla piastra da cucina, attivò la magicite che la alimentava
e restò
a osservarla trasognato mentre si scaldava, svuotando del tutto la
mente nel tentativo di esorcizzare le ultime propaggini del sogno.
Buttò le bacche tostate dello tsai in un
pentolino pieno
d'acqua e tornò ad aspettare. Finì per sentirsi
troppo vuoto e
troppo poco Vaan. Calciò qualcosa e si fece male a un piede
e si
sentì pieno di male a un piede e un po' più Vaan.
Il mondo però
restava fragile, come se la pace in cui stavano volando fosse poco
più che un paravento sugli orrori passati, e continuava a
sembrargli
sul punto di rompersi e tornare a costringerlo a terra.
Penelo lo trovò seduto sui gradini di
poppa, con lo sguardo fisso sull'orizzonte azzurro e le gambe a
penzoloni oltre la ringhiera, tenute sollevate dall'aria veloce sotto
di loro. Aveva in mano una tazza fumante e combatteva meccanicamente
con la mano libera affinché le ciocche di capelli in balia
del vento
non finissero alternativamente sugli occhi, a solleticargli il naso o
a sguazzare nello tsai; sicuro era che, nonostante
i suoi
sforzi, dietro alle orecchie non sarebbero rimaste. Preannunciandosi
con una pedata amichevole, si chinò a rubargli la tazza e
gliela
restituì subito con una smorfia al sentire la bevanda
così dolce
che sembrava densa come zucchero sciolto.
“Vaan! ...ecco dov'eri”, corresse
all'ultimo stabilendo che, di tutte le abitudini grandi e piccole da
rimproverargli ogni giorno, la tendenza a rendere gli infusi pappette
imbevibili si classificasse troppo in basso per curarsene davvero.
“Volevo prendere una boccata d'aria”,
rispose senza voltarsi.
“E, considerato quello che hai
combinato all'assetto del nostro decollo l'ultima volta, sei venuto
qui dietro dove non puoi far danni...”
“Non è colpa mia se
chi ha progettato questa bellezza ci ha messo dei finestrini
apribili. Mi sono limitato a...”
“...a non richiuderli prima
di partire. Non è mai colpa tua tranne quando hai ragione,
certo,
certo. Come fai a stare con le gambe così all'infuori? Non
ti fai
male?”
“Volevo sentire l'aria”, mugolò.
Gli cinse le spalle con un braccio.
“Dai che prendi freddo. Oh, Vaan. Ti manca, vero?”
“Chi?”
“Non fare il finto tonto.” Penelo
aggrottò le sopracciglia e mise il broncio, indurendo i
tratti del
suo viso solare. Si scostò la frangia sulla destra e
portò con
sussiego le sue treccine in avanti, come se fossero lunghe ciocche
ribelli. Sfoderò una spada immaginaria e restò
indefessa a puntarla
all'orizzonte. “Guardavi il cielo come se ci fosse una fetta
vuota
a forma di lei”, disse concludendo la sua imitazione.
Vaan sbuffò. “A te no?”
“Sì,
tantissimo. Ed è sempre la nostra regina.”
“E continua a non essere libera...”
Allungò una mano come a salutare la silhouette che davvero
sentiva
ancora chiamare nel cielo, il loro centro di gravità di quei
giorni
difficili. Doveva staccarsi da quel mondo per tornare a essere il se
stesso che era infine riuscito a poggiare le chiappe sulla cabina di
pilotaggio di un'aeronave e poteva raggiungere ogni continente
allungando una mano sull'acceleratore. Così facendo
finì per
offrire nuovamente la tazza a Penelo che, pur consapevole di quello
cui andava incontro, si servì di un altro sorso.
“Forse anche lei lo è più di
allora”, commentò pensierosa. “Bruciava,
ma era così spenta. Ma
non ti sto aiutando molto, vero?”
“Forse sì”, la contraddisse. Non
era solo. “Noi ce la faremo.”
“Certo che ce la faremo. Possiamo
fare qualsiasi cosa, noi.”
“Nel senso – Basch. Larsa. Ashe.
Anche... anche gli altri”, disse, incerto sul fare il nome
dei
troppi caduti che si erano lasciati alle spalle. “Non
ricordano
com'è svegliarsi nella città bassa senza avere
nulla, guardare i
palazzi e sentire tutta Rabanastre come un campo immenso a tua
disposizione. Io lo ricordo.”
“E io ricordo te con sguardi che
non promettevano nulla di buono.”
“La guerra era lontana.”
“Non erano sguardi da soldato, no.”
E quando anche lo erano diventati
ricordavano ancora la terra viva – sentivano il cielo. Sotto
a
tutto, sapevano vedere il mondo in un'esplosione di colori.
“Possiamo diventare qualsiasi cosa,
noi.”
I motori della Bay Rouge tornavano a
tracciare le loro tinte sopra un manto grigio.
Dalla cabina di pilotaggio si spandeva
un canto.
Sentivamo la mancanza delle iniziative
con i prompt sparsi a manciate come grano ai piccioni? Io non lo so,
ma dopo Gradi di solitudine (FFX) e In due dimensioni (original),
fiere dei loro otto prompt integrati cadauna, ci ho riprovato XD Qui
i prompt erano da arraffare a piacimento e in quantità
variabile fra
una pagina di Wikiquote, tre canzoni e tre immagini. Io ho preso le
tre immagini, due canzoni e mezzo e due citazioni dalla pagina sul
Soldato, picché onestamente le altre non mi piacevano
proprio, per
quanto mirassi al 3x3.
In ordine:
- dai gorgheggi di Angelotti ho preso
Potrai capire che
cos'è la libertà…
cos'è...
Se riesci a vivere
e fare quello che ti va…
come descrittore generico della situazione: Vaan e Penelo si sentono
addosso questa nuova libertà: dopo gli anni di oppressione e
dopo le difficoltà del gioco, infine riescono a seguire un
loro sogno e andare dove vogliono sulla loro nave.
- Anche il detto italiano “I migliori soldati
vengono dall'aratro” mi ha fatto da base, in
un'interpretazione un po' personale di cosa sia un “miglior
soldato”: secondo me, è quello che uscito dalla
guerra riesce a ritrovare o a rifarsi una vita, scrollandosi di dosso
le sue brutture. Vaan e Penelo non vengono propriamente dall'aratro ma
sono comunque gente semplice e nella fanfic ritrovano in fretta
(relativamente parlando) i loro colori dopo il grigio della guerra.
- La citazione “I soldati sono cittadini di una
grigia terra di morte”, per l'appunto, descrive il passato
recente e ricorre in un discorso e, graficamente, nel sogno di Vaan.
- L'immagine dell'alba con la nebbia e le strisce di nubi fa
da setting puro e semplice, con le strisce che ricordano anche la scia
di un'aeronave... Temporalmente, invece, mi posiziono un po' prima e
parecchio dopo l'alba.
- La canzone “Small song” è
quella che canta Penelo all'inizio: come dice il testo è una
canzoncina piccola, inventata da lei, cantata di notte fino all'arrivo
del mattino, quando ha dovuto ricominciarla da capo.
- L'immagine della donna a letto col gatto mi ha dato il
sogno di Vaan: ignorando i soggetti, ho pensato a una scena a
gravità zero in un bianco abbagliante.
- La canzone “Touched”, presa nel suo
senso generale di “I'll never find someone quite as touched
as you”, rappresenta i sentimenti di Vaan, ma anche di
Penelo, nei confronti di quell'incredibile carrarmato che è
la loro regina. Che è speciale. Ma proprio tanto. <3
- L'immagine della silhouette della ragazza che salta, presa
nel senso di sagoma nera in mezzo a un cielo all'alba, si ricollega al
prompt precedente nel mostrare quanto Ashe manchi loro – ma
anche il resto delle persone straordinarie con cui hanno viaggiato, la
cui assenza resta come un buco in mezzo alle loro giornate.
|