1- Radici
Roots-
Radici
Radici
"Chissà se anch'io,
quando sono nato, ero così piccolo, caldo e morbido come
quella bambina."
"Che domande, certo che
sì!"
(Alphonse e Edward
Elric, episodio 6)
Il tempo stava per cambiare. Un'altra volta.
Le nuvole più scure venivano da ovest, quindi si trattava
dell'ennesima perturbazione proveniente dall'oceano. Al
guardò
la piccola quercia che aveva piantato alcuni anni prima: quelle piogge
così frequenti la rendevano di un verde eternamente
smagliante,
appena lavato e sempre nuovo. Stava crescendo bene anche lei, come
Trisha e gli altri.
*
* *
Quel posto gli piaceva immensamente: era così diverso dalla
Germania, anche se altrettanto povero, e all'inizio non aveva potuto
fare a meno di pensare che sarebbe piaciuto anche a Ed. Anche se,
forse, tutta quell'umidità non avrebbe fatto bene ai suoi
automail.
La bambina che lui e Tiarnan aspettavano era la prima radice che vi
metteva, e pensò che poteva essere una bella idea rendere
concreto quel senso di appartenenza. Poteva essere davvero quella, la
nuova casa.
- E se piantassi un albero? - aveva detto all'improvviso alcuni mesi
prima, guardando il paesaggio un po' brullo fuori dalla finestra.
- Un albero? - aveva chiesto Tiarnan, alzando gli occhi.
- Sì, un albero. In fondo stiamo finalmente mettendo radici
-.
Delle radici che sarebbero affondate nel terreno, per non lasciarlo
andare mai più. E forse,
finalmente, quella era la volta buona.
Al aveva ormai ben chiaro che le corrispondenze tra il suo mondo e
quello in cui si trovava ora non sarebbero mai finite: era davvero come
in uno specchio, dove destra e sinistra erano sì scambiate,
ma
rimanevano sempre tali. Non avrebbe mai smesso di stupirsene, anche se
ormai si aspettava di trovarne una ogni volta che girava un angolo.
E quando la sua primogenita, Trisha Elric, nacque lo stesso giorno di
quel mese di febbraio in cui lui e Ed avevano compiuto la trasmutazione
umana, non poté fare a meno di sorridere. Di sorridere
perché davvero
certe ferite si curavano da sole, col tempo.
Aveva visto la sua prima figlia l'anniversario del giorno in cui aveva
perduto il proprio corpo, e ogni volta che ci pensava si rendeva conto
che qualunque cosa poteva guarire, in fondo.
E aveva giurato a se stesso che ci sarebbe sempre stato, per tutte e
due: la madre e la figlia. Ed era stato a lungo arrabbiato con suo
padre; lui non ricordava la stessa rabbia, ma forse l'assenza di
Hohenheim durante la sua infanzia era proprio ciò che ora lo
rendeva così deciso.
L'anno successivo ripeté di nuovo lo stesso giuramento, ma
per tre persone.
Alcuni mesi più tardi Edward Elric, a Berlino, ricevette una
lettera dall'Irlanda. Aveva già saputo di Trisha, e sperava
di
leggere qualche notizia sulla sua crescita. Rimase invece a bocca
aperta quando scoprì che Al e Tiarnan avevano raddoppiato.
“Edwin
è nato il tre ottobre, Ed. Ti dice niente questa
data?”.
Più che dirgli qualcosa, Ed la rivide incisa all'interno di
un
certo orologio da alchimista di stato, circondata dalle fiamme di
quando avevano bruciato la loro casa.
Ma Al le programmava al secondo, quelle nascite?
Già quando suo fratello gli aveva scritto della sua prima
nipote, nel sorriso di Ed si erano mescolati gioia e un certo sarcasmo:
e così, la Trisha Elric che avevano voluto far tornare con
una
trasmutazione umana non l'avevano più rivista, ma lo stesso
giorno dello stesso mese di tanti anni dopo, ecco che arrivava un'altra Trisha Elric.
Quanto tempo avevano aspettato?
Ed sbuffò, suo malgrado, scostandosi un ciuffo di capelli
dalla
fronte: a volte c'era di che essere davvero stufi, di quella storia
dello scambio equivalente.
Quando nacque la bambina, Al non si comportò né
come
Hughes né come Rod. Semplicemente non poteva; non poteva
dire,
come aveva fatto Rod: “Guardate! Ha i miei occhi!”,
perché non era così. Perché quella
bambina aveva
gli occhi di Ed. Gli occhi di Hohenheim. Gli occhi di chi, prima o poi,
finiva inesorabilmente per perdersi nell'alchimia.
C'era quasi da tirare un sospiro di sollievo, al pensiero che in quel
mondo non esistesse.
Per quanto riguardava Edwin, invece, era stato subito lampante quanto
somigliasse a sua madre-
a sua nonna.
Gli stessi dolci occhi azzurri, gli stessi capelli castani. Era come un
gioco di specchi nel quale Al rischiava di perdersi quando a volte, la
sera, tentava di fare il punto della situazione. Disteso a letto, col
respiro tranquillo di Tiarnan a fianco, gli sembrava quasi che qualcuno
si stesse divertendo un mondo a confonderlo sempre di più. O
forse erano solo i suoi pensieri, che si mescolavano fin troppo quando
si trovava in posizione orizzontale, anche se ormai non facevano
più la spola da un angolo all'altro di un'armatura di ferro.
Ma poi Edwin si metteva a piangere, perché in quel periodo
aveva
una leggera otite. Al non faceva in tempo a prenderlo in braccio dal
suo lettino che Trisha gli era subito accanto, sveglissima, ad
osservarlo con lo stesso sguardo attento di Ed e a chiedergli
perché Edwin continuasse a frignare.
- Piange troppo – sentenziava, dall'alto del suo anno e
mezzo, i
capelli biondi sparati in tutte le direzioni che portavano ancora il
marchio del cuscino.
- È perché non sta bene – le spiegava
pazientemente
Al – E dato che è troppo piccolo per capire il
perché, si sfoga piangendo -.
Ogni volta che le rispondeva così si ritrovava a chiedersi
se
non la stesse trattando troppo da adulta, solo perché
somigliava
tanto a Ed. Ma ogni volta Trisha annuiva, con l'aria di chi ha capito
perfettamente, pur non condividendo certi comportamenti pusillanimi.
- Però piange troppo -.
Quando Trisha compì quattro anni, le
responsabilità di
una sorella maggiore non l'avevano ancora minimamente sfiorata. Anzi,
non capiva perché suo fratello Edwin si ostinasse a non
obbedirle in tutto e per tutto, dato che era più grande e
più alta di lui. A dire il vero aveva ormai anche un'altra
sorella, ma Cecelia non aveva ancora imparato a camminare, e comunque
non disturbava mai troppo.
Il problema era Edwin.
Edwin che insistette fino all'ultimo per spegnere le candeline della sua
torta, anche se erano quattro- una di troppo, per lui. Edwin che le
rimase appiccicato, seduto sulla sua stessa sedia, per tutto il tempo.
Edwin che, quando lei lo fece scendere a forza, andò a fare
la
spia alla mamma, rivelandole che il latte di quella mattina aveva
dovuto berlo tutto lui, come sempre, perché Trisha non
l'aveva
voluto. Edwin che con quella rivelazione quasi uccise suo padre, visto
come gli andò di traverso l'acqua che stava bevendo.
- Credevo avessi ricominciato a berlo – disse poi Al,
faticando a restare serio.
- Ogni tanto ne bevo un po' – mentì spudoratamente
Trisha, evitando di guardarlo negli occhi.
- Trisha... -.
- Ma non mi piace! Perché devo berlo, se non mi piace? -.
- Perché fa bene -.
- A cosa? -.
- Alle ossa. Contro le malattie. Ti aiuta a crescere – le
spiegò pazientemente Al, pur sapendo che non sarebbe servito
a
molto. Con qualcun altro, almeno, tutte quelle ragioni non avevano
sortito l'effetto sperato.
- Cresco lo stesso. Sono più alta di Edwin –
ribatté lei, per niente preoccupata.
Touché,
pensò
Al. Scambiò un'occhiata con Tiarnan, che aveva smesso da un
pezzo di insistere pur sapendo che Trisha, di latte, non ne toccava
nemmeno una goccia. All'inizio le era sembrato incredibile che una
bambina così piccola potesse essere tanto ostinata, ma Al
era
del parere che la cocciutaggine degli Elric- di certi Elric- fosse
evidentemente ereditaria. E c'era poco da fare, al riguardo: Ed ne era
un esempio lampante.
Al la osservò, mentre lei lanciava occhiate minacciose a
Edwin,
che tuttavia non lo dissuasero dall'avvicinarsi di nuovo alla sua
sedia. Anzi, ci si mise anche Cecelia ad imitarlo: da un po' la piccola
cercava di ampliare il proprio territorio, aggrappandosi ad ogni
appiglio disponibile e tirandosi in piedi. Più in alto
riusciva
ad arrivare, meglio era.
L'istante prima che Trisha iniziasse a protestare contro suo fratello,
Al ebbe il flash improvviso di una bambina della stessa età,
con
lunghe trecce castane e gli occhi azzurri, la cui immagine si
sovrappose a quella di sua figlia. E represse un brivido di orrore
quando ripensò a quel Tucker che aveva fatto della sua
bambina
una chimera. Quanti mostri, avevano incontrato.
Il grido di disappunto di Cecelia lo distolse dalle sue riflessioni: la
piccola apriva bocca così raramente che quando succedeva
zittiva
tutti i presenti, persino i suoi chiassosi fratelli maggiori. In
effetti Trisha e Edwin smisero all'istante di litigare, costretti a
lasciare la sedia perché Al potesse issarvi Cecelia.
Edwin guardò le sue sorelle e poi si rivolse alla madre,
seduta
lì vicino. Le poggiò la testa sulle gambe,
facendosi
accarezzare piano i capelli dello stesso colore dei suoi, e guardandole
il pancione sospirò:
- Non c'è un'altra femmina lì dentro, vero? -.
Il tono era quello supplichevole di qualcuno che è
già
stanco della vita, così serio che Tiarnan si morse l'interno
di
una guancia quasi a sangue per non ridere.
- A dire il vero non lo so – ammise – Ma sono
sicura che andrete d'accordo -.
Lo sguardo di Edwin era così poco convinto da farle quasi
pena,
e stava per dirgli qualcos’altro quando Trisha intervenne.
- Andiamo a giocare – ordinò, più che
proporre qualcosa per consolare suo fratello.
E quando lui alzò la testa e annuì, seguendola,
Tiarnan
fu sicura che avrebbe avuto sufficiente spirito di adattamento da
sopravvivere anche ad un'altra sorella- cosa di cui aveva un certo
presentimento.
- È strano – osservò Al, prendendo in
braccio
Cecelia e arruffandole affettuosamente i capelli. Lei sembrava non
somigliare a nessuno, con quei folti capelli castano scuro e gli occhi
verdi, eppure era da un po' che gli dava lo stesso una sensazione...
familiare. Una sensazione che andava pian piano definendosi, come
quando si ha qualcosa sulla punta della lingua.
- Cosa è strano? - chiese Tiarnan, stiracchiandosi un po' la
schiena. Bambino o bambina che fosse, quel quarto figlio sembrava
più pesante degli altri. O forse era lei che iniziava ad
essere
più stanca.
- Non ricordo molto bene com'eravamo io e mio fratello alla loro
età, ma non mi sembra che litigassimo spesso come loro
–
spiegò Al – E dire che hanno solo un anno di
differenza,
come me e Ed -.
- Beh, dipende anche dal carattere, non solo dalla differenza
d'età – rispose Tiarnan – Non
c'è una regola
fissa: magari il rapporto tra loro due sarà ancora
più
diverso -.
Nel dire ciò aveva accennato a Cecelia, ignara di essere la
più piccola di casa ancora per poco.
- A proposito – fece Al – Hai pensato ad un nome? -.
- A dire il vero sì – rispose lei, che sembrava
però leggermente dubbiosa – Se è una
femmina... che
ne dici di Alice? -.
- Alice Elric – ripeté piano Al, come ad
assaporarne il suono – Lo trovo un bel nome -.
Tiarnan annuì, ma con l'aria di chi deve dire ancora
qualcosa.
- Ad una condizione, però – replicò,
seria – che dopo nessuno la chiami "Al" -.
L'Al interpellato sorrise, ricordando che sua moglie doveva aver
sentito parecchie volte Ed chiamare così Alba, quando ancora
abitavano a Berlino.
- Beh, l'unico che rischierebbe di farlo si trova a centinaia di
chilometri da qui. Finché Ed non si decide a venire a
trovarci,
non credo ci sia questo pericolo -.
- A proposito, dopo quell'incidente l'hai più sentito? -.
L' "incidente" era quello di Alba, nel quale la ragazzina aveva perso
un occhio l'anno prima. Anche se gli era stato chiaro fin da quando
aveva attraversato il portale, che in Germania le cose sarebbero andate
sempre peggio, quando aveva letto la lettera di Ed aveva faticato a
crederci. Cosa ci sarebbe stata, un'altra Ishval?
Aveva scritto subito al fratello che i Mühlstein avrebbero
potuto
trasferirsi almeno in Inghilterra- aveva già sentito di
ebrei
che iniziavano a lasciare la Germania, c'era chi si imbarcava
addirittura per l'America- e sapere del rifiuto del signor Rod l'aveva
reso inquieto come non mai. Sperava con tutto il cuore che si sarebbero
decisi a fare qualcosa prima che fosse troppo tardi.
- Sì, e quello che ha scritto non mi piace per niente
– Al
avrebbe scosso la testa se non avesse avuto Cecelia addormentata su una
spalla, col suo peso caldo e confortante – Spero davvero che
Ed
riesca a convincerli -.
Tiarnan annuì, raddrizzandosi poi a fatica sulla sedia.
- Senti, credi di riuscire a portarmi delle altre pastiglie? Le ho
quasi finite -.
- Ancora mal di schiena? - Al le massaggiò piano una spalla
con
l'unica mano libera, visto che l'altro braccio era occupato dalla
bambina, e Tiarnan rilassò i muscoli stanchi del collo.
- Un po'. Soprattutto la sera – rispose, godendosi quelle
attenzioni.
- Domani ti porto qualcosa – le promise Al, che era riuscito
ad
avere in gestione la farmacia del paese in cui erano venuti ad abitare.
Non era altro che una piccola stanza polverosa gestita da un vecchio
signore ancora più polveroso dei suoi scaffali, ma Al era
riuscito a risistemarla, sbarazzandosi dei farmaci più
improbabili e antiquati e procurandosi, poco alla volta, le medicine e
le sostanze ormai utilizzate in città – Ho
giusto... -.
Un improvviso crescendo di voci sempre più acute li
avvisò che il momento di pace tra Trisha e Edwin era appena
finito; erano entrambi sul piede di guerra, e vista l'ora forse era
anche colpa della stanchezza.
- Vado a metterli a letto – disse Al, passando Cecelia a
Tiarnan
perché le urla dei fratelli non la svegliassero e andando
nell'altra stanza – Su, voi due, buoni -.
- È stato... - stava per dire Trisha, un dito accusatore
già puntato su Edwin, ma la voce di Al bloccò sul
nascere
ogni discussione.
- È ora di andare a letto, avanti -.
Nessuno dei due fece storie, il che voleva dire che dovevano essere
davvero distrutti. Edwin fece uno sbadiglio così enorme che
Al
temette si sarebbe addormentato direttamente sul pavimento.
Ma quando si trovarono tutti e due sotto le coperte, fu chiaro che la
giornata non era ancora finita.
- Papà – fece infatti Trisha –
È ancora il mio compleanno? -.
- Ancora per tre ore, sì – confermò Al.
- Allora voglio la storia dell'armatura magica – disse
Trisha, aggiungendo in un soffio: – Per favore -.
- Anch'io, anch'io! - Edwin trovò la forza di alzarsi a
sedere,
tanto era il timore di essere escluso dal racconto – La
voglio
sentire anch'io! -.
- Va bene – Trisha era troppo stanca persino per fare un
dispetto
a suo fratello, quindi concesse: - Va bene, raccontala a tutti e due -.
Al sorrise, chiedendosi quante volte ancora avrebbe dovuto raccontare
quella storia, inventata attingendo all'enorme miniera dei suoi
ricordi. Ma visto da lì, quello al di là del
portale
poteva davvero sembrare un mondo magico. Un mondo che i suoi figli non
avrebbero mai visto.
- Allora, cominciò tutto in un piccolo villaggio di nome
Resembool, a est di Central City. Questo villaggio si trovava in
campagna e di notte si potevano vedere le stelle, come qui. Un giorno,
in una casa come questa, un bambino a cui non piaceva il latte e suo
fratello... -.
E poi avanti, con opportune omissioni sui particolari più
macabri e sanguinari- meglio evitare incubi notturni- raccontando una
scienza come l'alchimia alla stregua di un'arte magica. Ed sarebbe
inorridito.
Era una storia che ricominciava ogni volta daccapo, giungendo ogni
volta ad un punto diverso, finché non si addormentavano. Non
era
mai arrivato a narrare che i due fratelli attraversavano il portale,
giungendo nel "mondo di qua".
Ma ci sarebbe stato tempo per raccontare anche questo.
"E tu ricerchi là le
tue radici,
se vuoi capire l'anima
che hai..."
(F. Guccini)
Forse mi sto spingendo
un po' troppo
in là con questa serie "Al di là del Portale"...
tuttavia
sono fedele al principio primo di EFP: io scrivo, e chi vuole legga! ^^
Questa storia trae
ispirazione da un
contest di qualche tempo fa, "Come in un CD" di _KeR_: prompt del
contest era scrivere una long i cui capitoli avessero come titoli le
tracce di un determinato CD.
Questa long non ha
partecipato al
contest- anche perché, arrivati a questo punto, dubito che
si
capirebbe qualcosa senza aver letto il resto- ma mi sembra giusto
ricordare chi mi ha dato l'idea.
Comunque sia, il disco a
cui faccio
riferimento è "Radici" di Francesco Guccini (1972), che
dà il titolo all'intera storia. I capitoli non saranno
song-fic,
l'unico legame con le canzoni sarà il semplice titolo.
È
un disco che comunque vi consiglio, e chi lo conosce ha già
in
mano una traccia di questa storia...
Ringrazio i miei quattro
cugini tra
l'uno e i quattro anni per la continua ispirazione: se i fratelli
Elric- di seconda generazione- vi sono sembrati un minimo realistici,
è tutto merito loro.
L'altra storia,
"Hausmärchen-
Fiabe del focolare", essendo una raccolta continuerà in modo
più saltuario. Fatemi sapere cosa pensate di questa! ^^
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