A Ttattoo To Remember
A Tattoo To Remember
Custodisco gelosamente il tuo ricordo in fondo all’anima,
li da dove nessuno potrà mai portarlo via. Che ironia…
L’ultima promessa che ti ho fatto, altro non era che una
menzogna. Se l’avessi messo al riparo nel mio cuore, a
quest’ora ti avrei dimenticato. E sarebbe stata tua la colpa.
Sarebbe stata colpa tua che morendo mi hai strappato il cuore dal
petto, frantumandolo in mille e più pezzi. Dimmi, speravi forse
che così facendo avresti potuto cancellare quello che, a tutti i
costi, volevi considerare come un errore?
A me non è rimasto niente, niente davvero.
Ho urlato.
Ho pianto.
Ero solo, così solo.
Mi specchiavo e l’immagine che mi rimandava lo
specchio era quella di un corpo nudo e denutrito, un petto squassato da
singhiozzi strazianti che nemmeno mi rendevo conto di emettere, senza
forze, percorso da migliaia di ferite sanguinanti, ferite che nessun
occhio oltre al mio poteva scorgere. Erano ferite invisibili, date da
un amore segreto.
Quanta pena per me stesso provavo.
Mentre tutti festeggiavano, mentre il riso ipocrita della gente
rimbalzava per le strade e leniva il dolore del mondo come un balsamo
miracoloso, io rimanevo in silenzio, nascosto. Ripensavo a te.
Tu, che capivi quando mentivo.
Tu, che sapevi quando ero serio.
Tu, che non avevi eguali a parole.
I tuoi insulti che velavano sentimenti contrastanti mi risuonavano costantemente in testa. Mi chiamavi Sfregiato
ma non eri forse sfregiato anche tu quanto me? Non eravamo marchiati
entrambi da un destino troppo grande e ingiusto per noi? Non ci stava
forse stretto questo mondo stretto nella nera mano del conflitto?
Eri affascinato dalle arti oscure, ammaliato dal potere ma non
cattivo, non sei mai stato crudele, mai stato nient’altro che un
ragazzo. Tutti gli adolescenti hanno il diritto, quanto il dovere, di
compiere i loro sbagli. Ma tu… Tu ti sei ritrovato invischiato
in un affare troppo grande, e quando hai messo da parte l’orgolio
e hai chiesto aiuto, era troppo tardi.
Il mio amore non è riuscito a proteggerti.
Mangiamorte nel corpo ma non nell’anima.
Ci siamo amati come solo due disperati sanno fare. Con la
consapevolezza che ogni respiro, ogni attimo, ogni bacio, ogni carezza,
ogni sguardo e ogni fugace contatto erano importanti perché
forse sarebbero stati gli ultimi.
Ti è stato affidato un incarico e mi hai tenuto all’oscuro.
Sei scappato.
Abbiamo combattuto su fronti avversari.
Sei rimasto fino all’ultimo tra le schiere dei seguaci di
Voldemort. Tuttavia, vedevo la tua bacchetta lanciare maledizioni
contro quelli che, sono sicuro, non dovevi considerare tuoi compagni.
Hai scelto un modo scenografico per andartene. Davvero una
pessima interpretazione… Chiederei volentieri il bis… Non
sei mai stato un tipo originale ma arrivare perfino a copiare la morte
di un altro… E’ troppo squallido perfino per te.
Perché l’hai fatto non l’ho ancora capito.
Forse pensavi che non ti amassi più, che ti avessi dimenticato,
che avrei potuto anche solo prendere in considerazione l’idea
di spedirti a marcire ad Azkaban.
Hai raccolto la bacchetta che mi era caduta dalle mani, ironia
della sorte era proprio la tua, e poi, così, senza
motivo… Ho sentito l’ultima volta la tua voce.
- Potter!
E mi sono girato. Giusto in tempo per vedere l’unico, vero, sorriso che mi hai mai rivolto.
- Avada Kedavra!
- Expelliarmus!!!
L’ho fatto per riflesso.
La scena si è ripetuta uguale a pochi attimi prima.
Lo scoppio fu come un colpo di cannone e le fiamme dorate che
eruppero tra le bacchette, segnarono il punto in cui gli incantesimi si
scontrarono. Ho visto il lampo verde che mi hai scagliato contro urtare
il mio incantesimo, ho visto la tua bacchetta volare in alto, scura
contro l'alba, roteare come aveva fatto quella di Sambuco impugnata da
Voldemort pochi minuti prima contro il soffitto incantato, verso il
padrone che non avrebbe ucciso. Ma questa volta non la presi al
volo. Restai a guardarti mentre cadevi all'indietro, le braccia
spalancate, le pupille dilatate che inglobavano quasi completamente
l’argento spento dei tuoi occhi che si giravano verso l'alto.
Crollasti sul pavimento, morto. Ucciso anche tu, dal rimbalzo della tua stessa maledizione.
Io rimasi a fissarti; le braccia, inermi, stese lungo i fianchi,
le ginocchia, deboli, che faticavano a sostenermi, le orecchie sorde
alle urla di giubilio tutt’attorno e le lacrime congelate negli
occhi.
La guerra finì quel giorno. La pace tornò sovrana ma il mondo per me rimane piccolo.
Strano, vero? Solitamente quando ci si ritrova da soli, la Terra
appare troppo grande, le distanze incolmabili… Invece… Da
quando mi hai lasciato sento di vivere all’interno di uno spazio
angusto e claustrofobico. Forse… E’ solo perché
cerco una scusa per venirti a trovare…
Una volta mi hai detto che se ci saremmo mai divisi, non avremmo
avuto l’opportunità di rincontrarci. Dissi che il paradiso
ci era precluso e che l’inferno non avrebbe accolto le nostre
anime.
Cosa se ne fa Iddio di anime corrotte e assassine come le nostre?
Cosa se ne fa Lucifero di anime splendenti d’amore?
Non avremmo mai avuto un posto che fosse stato della nostra
misura, avremmo solo cessato di esistere… Per sempre.
Fulgida luce che rischiaravi le mie giornate, ti sogno come
figura silente che mi cammina affianco. Con un sorriso enigmatico sulle
belle labbra e una tristezza sconfinata negli occhi.
Ti sei disperso come granelli di sabbia al vento lasciando dietro
di te solo il rumore del nostro sogno infranto e come te, anch’io
sono scomparso.
Svanito.
Harry Potter non è mai stato ritrovato dopo l’ultima battaglia.
Vissi tra i babbani, rifiutando categoricamente
qualsiasi contatto con tutto ciò che avrebbe potuto ricordarmi
la mia natura di mago. Quelle stesse persone che disprezzavi con tutto
te stesso mi hanno accolto e donato un alcova sicuro dove rifuggire dal
passato, da me stesso. Qui, in questo mondo non magico che, quasi, mi
pare un universo a parte, il cielo viene oscurato tutti i giorni da
stormi di gufi e civette alla ricerca di chi sa che cosa. Il caro
ministro, chiunque esso sia, non si è arreso al fatto che il
famigerato eroe del mondo magico sia scomparso nel nulla e
tutt’ora, continua le ricerche in ogni parte del globo.
In quanto a me, non sono andato lontano.
Abito sempre a Londra, vicino alla zona di Hide Park. Ho un bel
appartamento spazioso. L’affitto è salato ma i soldi non
mi mancano. Non ho toccato uno zellino del mio conto alla Gringott. Mi
sono trovato un lavoro ben pagato qui tra la gente comune: consulente
di moda. Se adesso fossi qui sarebbe stato sfaldato il leggendario mito
dell’imperturbabile contegno Malfoy.
Probabilmente ti staresti rotolando sul pavimento in preda alle
più grasse risate al pensiero di uno come me, che non sa
indossare nemmeno i calzini dello stesso colore, sia diventato uno dei
più famosi consulenti di moda d’Inghilterra… Si
vede che sei riuscito a deviarmi almeno un pochino. D'altronde, eri il
migliore, no?
Ho conosciuto anche una ragazza.
È un po’ più alta di me. Bionda, ma non come
te. Il suo è un biondo sporco, niente a che vedere con il tuo
chiaro di luna.
Portava i capelli lunghi ma gli ha accorciati dopo che le ho
detto che sarebbe stata maglio con un taglio maschile.
È magra, sottile, affusolata… Troppo gracile in
confronto a te. Quando facciamo l’amo… Sesso… Ho
paura di romperla.
Ha i tratti leggermente spigolosi e il mento un po’ appuntito.
Gli occhi sono chiari, di un azzurro slavato. Non ho più
trovato nessuno che avesse l’argento nell’iride.
A volte mi intrattengo con lei fino a tarda notte. Mi fa spesso i
complimenti, anche in questo campo, del resto, ho avuto un ottimo
maestro.
Non mi importa seriamente di lei ma sto cominciando a pensare che
dovrei davvero dimenticarmi del passato. All’inizio ho
effettivamente sperato di risvegliarmi un giorno e realizzare di non
avere ricordi antecedenti alla sera prima poi però, mi sono
sempre maledetto per aver anche solo permesso a un simile pensiero di
sfiorarmi la mente.
Io non voglio, non posso dimenticarmi di te e con te, non posso
lasciarmi alle spalle tutte quelle morti che pesano come macigni sulle
mie spalle… Ma ho bisogno di andare avanti e conservando il
ricordo di ciò, non è realmente possibile.
Ho preso la mia decisione.
So cosa devo fare.
- Papà, papà!
Un bambino di circa sei anni mi corre incontro felice. E’
tutto sporco e sudato perché ha passato le ultime ore giocando
insieme ai sui amichetti, nel parco dietro a casa.
- James stai attento! Non correre altrimenti chi la sente tua madre se…
Non faccio nemmeno in tempo a concludere la frase che il mio
scapestrato figliolo decide che il sentiero di ghiaia sul quale sta
correndo risenta di una grave carenza d’affetto e per questo,
spalanca le braccine e ci si spalma sopra come un formaggino.
Un classico.
Prima che possa iniziare a strillare incontrollato, mi precipito
da lui e me lo prendo in braccio, portandolo su d’una panchina li
vicino e prendendomelo in grembo.
- Ecco, visto? Che cosa ti avevo detto? - cerco di rimproverarlo
con voce dura ma non riesco minimamente a nascondere il tono
preoccupato.
- Sono caduto… - sussurra imbronciato, rivolgendo
un’occhiata tradita al vialetto che, poverino, non ha nessuna
colpa.
- Mmm… Sicuro che in realtà non avessi solo voglia
di un abbraccio e, sfaticato come sei, hai pensato che io fossi troppo
lontano, decidendo così che sarebbe andato bene anche
abbracciare il suolo?
Lui mi fissa serissimo. Rimane alcuni attimi in silenzio e poi mi
abbraccia stretto, stretto, esclamando; - Naaaa… Tu sei molto
più comodo e ti preferisco!
Quanto amo il mio bambino.
James Green.
Il nome l’ho scelto io. Non so perché ma quando dopo
il parto, il medico ha chiesto se avevamo già pensato a un nome,
senza riflettere ho subito dichiarato che il piccolo si sarebbe
chiamato James, James Green. Lucy, mia moglie, ha acconsentito senza
protesta alcuna, affermando che, secondo il suo parere, quel nome
doveva essere senza dubbio appartenuto a qualche persona importante del
mio passato. Un passato di cui non conservo ricordo.
Non ho memoria dei miei anni di vita antecedenti all’incidente.
Il mio primo ricordo è il volto preoccupato di Lucy, una
camera vuota dalle pareti bianche e l’odore del disinfettante
usato negli ospedali che mi fa lacrimare gli occhi.
Trauma cranico e conseguente amnesia totale.
Niente parenti, niente amici… Sembrava che non fossi mai esistito.
L’unica persona che mi rimase accanto fu quella che, in seguito, diventò mia moglie.
Non mi ricordo niente.
Vuoto.
Un enorme abisso buio.
Non ricordo niente e nessuno. Nemmeno il mio nome.
James si agita sulle mie ginocchia.
- Raccontami una storia!
- Che storia vuoi sentire? - domando sorridendo.
Prima mi chiedeva sempre di raccontargli di quando anch’io
ero piccolo come lui. Alla fine, io e Lucy avevamo deciso di spiegargli
di come il papà avesse avuto un brutto incidente e non
ricordasse più niente di quando era bambino. Da allora, ogni
mattina James mi sveglia saltando sul letto e urlandomi nelle orecchie
il suo nome e il suo rapporto di parentela con il sottoscritto, nel
timore che, durante la notte, mi sia dimenticato anche di lui. Lo
rassicuro sempre, sussurrandogli che non potrei mai e poi mai
dimenticarlo, perché gli voglio troppo bene.
- James… Cosa stai facendo?
Mio figlio mi accarezza la pelle che ha scoperto dalla manica
della felpa, tracciando con un dito i contorni del tatuaggio.
- Alla mamma non piace… Perché non te lo fai
togliere? - domanda con il faccino interessato - Si può fare
sai? Lo Zio Adam l’ha tolto il suo! - conclude con aria da
piccolo Platone e grande intellettuale.
Fisso lo sguardo sul tatuaggio che nemmeno ricordo di avere fatto.
Perché non lo tolgo?
Non lo so.
Ogni volta che ci penso, ho l’impressione che cancellandolo
compirei una specie di sacrilegio. Ho la sensazione che quel tatuaggio
sia davvero importante, che sia qualcosa che devo custodire a tutti i
costi. Lucy crede che sia frutto di una qualche pazzia adolescenziale,
frutto di chissà quale forma di ribellione verso le convenzioni.
Può darsi che abbia ragione. Eppure, continuerò ad
oppormi fermamente all’idea di togliermelo.
Più volte abbiamo litigato per questo motivo;
l’ultima è stata davvero pesante. Ho rischiato il
matrimonio per conservare quello che, per quanto ne so, potrebbe essere
stato un errore di gioventù, una scommessa fatta con degli
amici, un gesto avventato dopo una notte da bagordi.
Però… Sento che in quel disegno è contenuto il
riassunto della mia vita dimenticata.
- Papà-a?! Sei vivo?!
Guardo mio figlio e gli sorrido.
- Vieni Jamie, andiamo a casa.
Getto un’ultima occhiata all’avambraccio. Una chiazza
nera più del catrame mi imbratta la pelle caramellata.
L’unica nota di colore sono due piccoli punti.
Rosso rubino: un rosso che ferisce gli occhi quando lo fissi
troppo a lungo, il rosso del sangue. Una labile sensazione di rabbia mi
coglie ogni volta che vi poso gli occhi sopra.
Argento: un colore particolarissimo, non grigio ma semplice
argento, lucido e brillante. Nostalgiche sensazioni di rimpianto che
gli stringono il cuore in una morsa dolorosa lo avvolgono quando lo
guarda.
E’ spaventoso ma non lo cancellerò per nessuna ragione al mondo.
- Andiamo papà!
Abbasso la manica della felpa e copro quel marchio sulla mia pelle.
Ho preso la mia decisione.
So cosa devo fare.
Cerco freneticamente un foglio di carta e delle matite.
Traccio i contorni di ciò che ha rovinato la mia vita e mentre disegno, inizio a piangere.
Con il nero, colore della morte, dell’oblio, della
malvagità, abbozzo quello che spero assomigli vagamente a un
teschio.
Una lacrima bagna la carta e ne increspa la superficie.
Traccio le spire di un grosso serpente.
Un’altra lacrima sbava leggermente il disegno.
Afferro il foglio e faccio per mettermelo in tasca, ripensandoci all’ultimo.
Afferro il rosso, colore del sangue e dei suoi occhi. Coloro una delle orbite vuote del cranio. La sinistra.
Prendo il grigio, colore dell’inverno e dei suoi occhi. Coloro l’altra orbita. La destra.
Infilo il foglio in tasca.
Entro in camera e mi piego per afferrare un piccolo scrigno da
sotto al letto, aprendolo appena l’ho in mano. Dentro è
vuoto fatta accezione per un cofanetto stretto e lungo, nero. Lo apro e
sul fondo, poggiata sul rivestimento rosso in velluto, c’è
la mia bacchetta.
Apro la porta del mio appartamento e scendo le cinque rampe di
scale che mi separano dal portone d’ingresso. Ad ogni gradino mi
sembra che l’aria si condensi nei polmoni, soffocandomi.
È sera, tardi.
Arrivo davanti al negozio di tatuaggi che fortunatamente rimane aperto fino a mezzanotte.
Entro deciso e mi avvicino all’uomo nerboruto che siede
accanto a quello che sembra, in tutto e per tutto, un lettino del
dentista.
Gli piazzo il foglio in mano e gli dico; - Voglio questo.
Tiro su la manica sinistra del maglione e glI indico l’avambraccio; - Qui.
Lui fissa il teschio imponente che risalta sul bianco candido del
foglio, il corpo sinuoso del rettile che gli fuoriesce dalla bocca
spalancata come fosse la brutta imitazione di una lingua.
Annuisce e non parla… Che abbia capito l’importanza di tale gesto per me?
Mi fa stendere sul lettino e inizia a incidere. Il dolore
è davvero insignificante paragonato a tutto quello che ho
già subito. Perciò mi rilasso e osservo con interesse
malato la mia carne martoriata dall’ago e il marchio nero mentre
viene inciso a vita.
Qundo l’uomo ha quasi terminato la sua opera e manca solo un occhio, il tuo, lo fermo.
- Lo voglio argento.
Lui annuisce di nuovo e conclude il lavoro.
Quando esco dal negozio, il vento freddo della notte mi sferza il
viso. Faccio giusto in tempo a pensare che ci sia aria di temporale che
scoppia a piovere improvvisamente. Il cielo inizia a lampeggiare
furioso. Seguono forti tuoni, esplosioni assordanti. L'acqua cade
fitta, mi inzuppa i vestiti e penetra fino alle ossa… Non si
vede a un palmo dal naso. L'odore di azoto bruciato mi avvolge,
impregnando il tessuto fradicio degli abiti e i capelli.
Faccio pochi passi e mi fermo sul ciglio della strada dove
paziente aspetto, la bacchetta stretta nel pugno. Accarezzando sulla
lingua le sillabe dell’incantesimo che sarà il mio addio
alla magia, il mio saluto al passato.
Scorgo la luce fredda, artificiale, di un paio di abbaglianti
avvicinarsi sempre di più. Non vedo l’auto a causa di
tutta quell’acqua e la nebbia che è calata rapida.
Probabilmente, nemmeno il guidatore riesce a vedere me.
Perfetto.
Stringo la presa sull’impugnatura in legno
della compagna fedele che mi ha affiancato in tante prove e con
decisione mi getto in strada e premo contro la mia stessa tempia, la
punta della bacchetta.
L’auto si avvicina rapida. L’uomo alla guida non
riesce a scorgermi in tempo e sterza all‘ultimo secondo: troppo
tardi.
Un dolore lancinante mi implode in testa mentre cado a terra dopo
un volo di almeno mezza dozzina di metri. Una pozza di sangue si crea
sotto il mio corpo e prima che il buio riesca ad avvolgermi nelle sue
spira, con l’ultimo barlume di coscienza, lo sussurro…
- Oblivion.
The End
Lumos!!!
Salve a tutti!!!
Eccomi qui con una
nuova Drarry che spero vi sia piaciuta!!! Ringrazio tutti coloro che
hanno avuto la pazienza di leggere questa schifezzuola che non so da
dove mi è uscita…GRAZIE!!!
Fatemi sapere cosa ne pensate ricordandovi sempre che le recensioni sono il pane quotidiano di uno scrittore e NON creano dipendenza!!!
Nox…
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