Acqua
viva
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Maggio
«Ciao.»
In quella
tardi mattinata di sabato, seduto sulla panchina davanti alla libreria
internazionale, Alexander alzò lo sguardo dal suo libro
sapendo che non era stata Ami a salutarlo.
Il tono duro, lievemente piccato, apparteneva alla voce di un
passato
distante due anni. Ritrovandosene davanti l'aspetto,
lui pensò che sembrava trascorso molto più tempo.
«Ciao.» Sorrise senza voglia ad Erisa Asami, che
non era affatto
cambiata dai tempi delle superiori.
Stesso sguardo di sfida al
mondo,
medesimo modo di incrociare le braccia - con le gambe un poco allargate
- e l'onnipresente frangia, dritta a mezzo centimetro dalle
sopracciglia. Capelli neri lunghi fino alle spalle come l'ultima volta
che lui l'aveva vista di sfuggita, alla cerimonia di diploma. Bella
come
quando erano stati brevemente insieme, una considerazione oggettiva che
gli suscitava ancora meno interesse di un tempo; d'altronde
nemmeno in passato gli era importato molto dell'avvenenza di lei. Che
fosse di buona qualità era stato un semplice plus ai suoi
occhi. L'aveva valutata come un prodotto da mettere
nel
carrello della spesa.
Lei era perplessa. «Questo
dovrebbe essere un incontro spiacevole.»
Lui chiuse il libro e si alzò. «Forse. Se
fossi stata tu a
lasciarmi.»
Le dita di Asami strinsero la camicia sulle braccia incrociate.
Lui evitò di sorridere e scosse piano la testa.
«Mi
hai salutato di tua volontà. Sono passati due anni,
d'istinto ho pensato che questa fosse una sessione di 'how are you
doing', giusto perché non siamo estranei e non sei nella mia
lista di persone da odiare.» Non che ne avesse una, ma aveva
avuto una lista di persone irritanti e da evitare: Asami ci era finita
dentro dopo che lui l'aveva lasciata, ma era passato troppo tempo
perché lei fosse ancora una persona con il potere di
infastidirlo. Inoltre, nessuno lo irritava più: he was an happy man,
non si poteva essere più felici e sereni di lui.
Asami lo squadrò da capo a piedi e strinse gli
occhi.
«Sei diventato più alto.»
Per un attimo lui aveva pensato di farle notare che era lei ad
essere diventata più bassa. Ma no, era
proprio
lui ad essere cresciuto, e in più modi. «Studio
fisica
alla Todai. E tu?»
«Legge alla Keio. Hai perso il brutto carattere? Se
me lo
confermi non ti credo.»
Non che a lui importasse qualcosa. «Se non hai altro
da dire
forse è meglio che sia io ad anticipare il Sayonara con cui si
concluderà questo incontro.»
Lei piegò le labbra strette verso l'alto.
«Ancora witty
e ancora antipatico. Io pure, ma scommetto che non ne sei
sorpreso.»
Sbagliato, aveva sperato che il tempo fosse passato anche per
lei. Ma
un po' d'ironia era la benvenuta. «Non mi
interessa.»
Asami diede vita
alla stessa espressione risentita che, nei pochi giorni in cui erano
stati
insieme, lui non era riuscito a sopportare, neppure nelle sfumature
più miti e presuntamente dolci. Si era stufato di lei nelle
canoniche due settimane in cui, a quel tempo, era svanito il suo
interesse in una relazione con qualsiasi ragazza.
Anzi,
ricordò,
si era annoiato già con qualche giorno di anticipo rispetto
al
limite medio: come persona Asami gli era andata a genio, ma come
fidanzata lo aveva irritato in continuazione. L'aveva mollata dopo un
mese e non
prima solo
perché allora aveva pensato che lei fosse stata perfetta
sulla
carta: intelligente, simile di carattere a lui, per metà
straniera e quindi capace di parlare inglese fluentemente. Se non
funzionava
con Asami, si era detto, forse avrebbe fatto meglio a lasciar perdere
del
tutto le relazioni.
All'alba dei suoi diciotto anni non era stato pronto a mollare
l'idea di combinare qualcosa che si potesse finalmente chiamare sesso,
ma la sua disperazione aveva cominciato a prendere consapevolezza di
sé.
Se non riusciva
ad avere una sola relazione in cui stesse bene, si era chiesto,
perché continuare a sforzarsi? Ne valeva davvero la pena?
Con Asami aveva risposto a quella domanda, ma non per merito
di lei.
Dopo un anno di tentativi, per lui era semplicemente arrivato il
momento
di smetterla con esperimenti che avevano continuato a dare
sempre lo stesso infruttuoso risultato.
I'm an idiot,
aveva concluso in un giorno di pioggia, nel bel mezzo di una lezione di
matematica. Il cielo aveva pianto al posto suo per il periodo di
astinenza a cui si era condannato con le sue stesse mani, ma
lui era stato sicuro dela sua decisione. Se
sto bene solamente per conto mio, è meglio stare da solo.
Considerava la sua adolescenza terminata il giorno in cui
aveva detto
ad Asami, 'È finita.' Quel giorno era finita davvero: da
allora aveva
pensato solo a studiare e a divertirsi come pareva a lui, senza stare
più ad arrovellarsi per accontentare persone di
cui, in fondo, non gli era importato molto. Era un bastardo asociale
con un
solo amico, ma ne era diventato finalmente consapevole e si era sentito
in pace.
Da quel momento in poi, nell'incontrare ragazze a cui
aveva lanciato una seconda occhiata, aveva sempre dato retta al suo
primo istinto: nel notare una sola cosa che non gli era andata bene,
aveva
lasciato perdere.
Gli occhi di lei si muovevano troppo? Tendeva a distrarsi, non
sapeva
stare concentrata. Quindi non avrebbe saputo sostenere una
conversazione
decente.
Teneva le spalle basse? Era troppo timida e lui l'avrebbe solo
intimidita maggiormente.
Avvicinava una mano per toccarlo? Sarebbe diventata
appiccicosa.
Sembrava fulminata dal suo aspetto? Avrebbe passato il suo
tempo a
fissarlo.
Lui aveva accumulato sufficiente esperienza - oltre venti
pseudo-relazioni - per sapere che aveva ragione quando inquadrava
sommariamente una persona nei primi momenti di conoscenza. Era
percettivo o, se non altro, aveva imparato a riconoscere i segnali dei
tratti di carattere che non poteva soffrire.
Più di cinque mesi addietro, ricordò,
non aveva
trovato
niente che non andasse in una persona a cui ormai pensava tutti i
giorni.
Spalle dritte e fiere, risposta arguta e veloce, poco
impressionata da
lui, occhi blu profondi e grandi. Aveva guardato Ami una seconda
volta e una terza, notando anche il tipo di corporatura sotto il
cappotto scolastico, ma soprattutto il viso. Un misto tra 'very nice' e
'beautiful in the details' che la serietà di lei non gli
aveva
permesso di identificare con chiarezza.
Come combinazione gli era parsa
allettante sin dall'inizio, ma allora non aveva avuto la minima idea
del tipo di espressioni che Ami era in grado di tirare fuori. Ne veniva
steso giorno dopo giorno e ne era felice.
Durante il loro primo vero incontro sul
ponte del parco se n'era andato ugualmente
perché... Perché?
Forse
perché si era abituato a lasciar perdere o perché
si era
trovato bene da solo. Forse perché ad Ami lui non era
piaciuto e
quel tipo di novità non era stata abbastanza curiosa da
interessarlo.
Per fortuna aveva avuto una seconda
possibilità con lei. Il
giorno
dopo
addirittura; la sua buona stella si era concentrata nella settimana
d'oro che gli aveva fatto incontrare Ami tutti i giorni.
«Era questo che odiavo di te, Foster A.
Stavi con me e
pensavi ad
altro, come se starmi vicino non fosse interessante. Ti
avrei lasciato io prima o poi.»
'Foster A', un soprannome orribile che lui le aveva
chiesto subito di
smettere di
usare. Non dubitava che Asami lo stesse ripetendo apposta per
irritarlo.
«Ora che lo hai detto sei
felice?»
Lei non distese l'espressione, eppure -
notò lui - aveva
voglia di farlo.
Provò a risolvere il problema al posto
suo. «Non
mi
avresti lasciato tu, non per qualche altro mese.» Non era il
modo
migliore per cominciare a rasserenarla, ma era la verità.
«Ero la tua sfida, no? Lo sono anche ora, ti costringi a
parlarmi
per questo. Ero il meglio che potevi ottenere nella tua testa e non si
viene lasciati da una persona così senza tenersela dentro.
Non
se si è orgogliosi come te.»
Di malavoglia, Asami stava sorridendo.
«Questo era quasi un tuo pregio invece: sweet as hell
proprio mentre lanci insulti.»
«Ho risparmiato ad entrambi
tempo
prezioso finendola dopo un mese. Ma avrei preferito che
fossi stata tu a rompere: a me non sarebbe importato.» E
soprattutto si sarebbe risparmiato le occhiate d'odio che erano seguite
nelle settimane successive: non avevano frequentato la stessa classe,
ma le
loro aule si erano trovate nello stesso corridoio.
«Okay, okay.» Asami
sollevò le
mani; più che un segno di resa, una richiesta di tregua.
«Non sono così bitchy di solito,
mi sono evoluta anche io.»
Alexander evitò di ridere
apertamente: Asami stava
chiedendo tregua a se stessa.
«Voglio farti una domanda e vorrei che
non la prendessi per
il verso sbagliato» gli disse.
A lui non piacevano le domande che cominciavano in
quel modo.
«Finché non me la fai, non prometto
niente.»
Asami annuì. «È una cosa che
mi
è rimasta qui.» Si picchiettò la parte
alta della
tempia con un'unghia insistente. «A parte l'orgoglio,
è la
ragione per cui ce l'ho ancora con te.»
Well, se poteva aiutarla...
«Tenterò di portare
pace alla tua anima.»
A lei sfuggì una mezza risata.
«Bene, vada per
l'insinuazione potenzialmente più offensiva e
assurda,
anche se io - lo premetto - non giudico. Non sei un'improbabile
omosessuale, vero?»
Lui strinse gli occhi. «No.» E aveva
capito
di cosa stava per parlare lei. «Sono banalmente etero, ma
ragiono con
una testa che sta sempre sopra le mie spalle.»
«Right. Spiegami cosa ti ha detto la
testa
allora: per quale motivo incomprensibile un complimento qualunque ti ha
impedito di
portarmi a letto quando ci eravamo già dentro? Se era una
scusa, adesso puoi dirmelo.»
Lui aprì la bocca per replicare e lei lo
bloccò con
un dito. «Questa volta magari capisco, non sono
più arrabbiata. Mi interessa solo... sapere.»
Alexander aveva compreso già allora che
la sua ritirata era
stata un
colpo senza pari per l'autostima di Asami, ma non gli era
interessato spiegarsi meglio. Nonostante la sua decisione di lasciarla,
si era fatto quasi convincere ad andare a letto con lei: la prospettiva
dell'astinenza senza una chiara fine all'orizzonte - pure senza un solo
straccio di esperienza completa - non aveva spaventato la sua
mente,
ma il suo corpo era stato di ben altro avviso.
L'insistenza di Asami aveva
premuto involontariamente su quell'incertezza. Lei gli era sembrata
cosciente della sua mancanza di coinvolgimento e gli era parsa anche
una ragazza da 'no hard feelings': non si sarebbe sentita tradita da un
po' di sesso privo di sentimenti, magari neppure le sarebbe importato
tanto.
Lui riteneva ancora di avere ragione su quel punto.
'Portarmi a
letto': era quello il riassunto facile che faceva Asami. Non poteva
immaginare di sentire una cosa simile da Ami; non lo avrebbe neppure
voluto.
Tornò a sedersi.
Asami si accomodò accanto a lui,
piegata
in avanti, un gomito sul proprio ginocchio. «Ti avevo solo
detto... Aspetta che mi quoto. "Gosh, sei
così bello che
potresti anche essere stupido". E tu sei scattato all'indietro come se
ti avessi bruciato. Oppure» si mise a
ridere «stavo facendo qualcosa di
tremendamente sbagliato?»
Gli era piaciuto quel tratto di lei: era diretta. A
suo modo lo
apprezzava anche ora, soprattutto perché oramai era
un'estranea per lui.
«Non hai trovato qualcun altro che potesse toglierti il
dubbio?»
«I dubbi me li sono tolti»
ribatté
Asami. «Ma non il dubbio di quel
momento e di quella situazione.»
Il dubbio di essere sbagliata, di aver fallito in
qualche modo. Asami
era una cosa sola col proprio orgoglio.
«Mi hai fatto capire che
noi due non c'entravamo niente.» Fu conciso e poi decise di
parlare la sua lingua. «E siccome non c'entravamo nulla,
non
mi
sarei divertito neppure in quello che sarebbe seguito.» Non
trovò necessario ripetere che era stato comunque sul punto
di
lasciarla: glielo aveva già detto a tempo debito.
Asami arrivò a una conclusione
che trovò
soddisfacente. «Non sai goderti un po' di sana chimica. Sei
un represso.» Fu solo un mezzo scherzo.
Lui lo trovò divertente per una ragione
diversa dalla sua. «Tra noi non c'era chimica.»
«Dici?» Asami si
appoggiò contro lo
schienale della panchina, i capelli neri sistemati su una sola spalla.
«A me non sembrava.»
Non era una dimostrazione di interesse,
quanto
un flirt casuale. Asami era fatta così. Un po' gli ricordava
com'era stato lui.
«La chimica di cui parli è una
combinazione di
pulsioni e
pensieri votati a percepire solo i sensi» le
spiegò.
«Non
c'era niente di tanto nobile nella ragione per cui non mi sono fermato
prima quel giorno.»
Asami lo fissò con occhi sottili.
«Sei ancora troppo
complicato, persino per me. E brutale in cose che non mi piacciono. Hai
ragione, non saremmo andati da nessuna parte in coppia.»
Infatti per lui non c'era mai stata una coppia tra
loro due.
«Trovato la pace?»
Con un sorriso sghembo, lei tornò in
piedi. «Tu,
piuttosto... Credi davvero che troverai la ragazza che cerchi? Te lo
dico
per
il tuo bene: non esiste.»
Ah, doveva esserle sembrato un idealista. Lui non
si era mai sentito
tale: aveva saputo con chiarezza quello che non voleva, ma non
era stato in grado di descrivere cosa stava cercando finché
non lo aveva trovato. «Si chiama Ami.»
Asami rimase interdetta solo per un momento.
«Hm, almeno hai
ripreso ad uscire con qualcuno. Ti sei dato al celibato per un intero
anno scolastico dopo aver rotto con me, era l'unica cosa che mi dava un
po' di soddisfazione. Be', non far diventare questa Ami parte di una
collezione troppo estesa: ha i suoi pregi imparare ad
avere una relazione più lunga di un mesetto
scarso.»
«La mia collezione ha un solo pezzo da
cinque mesi. È
già completa.»
La menzione della durata della sua relazione con
Ami sorprese
Asami. Sorprese anche lui nel pensare che fosse una reazione legittima:
Asami
lo aveva conosciuto quando per lui una cosa simile era
stata inconcepibile. Solo in apparenza, o almeno
così gli piaceva pensare: avrebbe potuto costruire una
relazione con Ami anche in quel
passato. Lei era quella giusta. Continuava a rimanergli il dubbio che
lui non lo fosse stato.
«Allora... La situazione è
questa»
iniziò
Asami. «Una ragazza incontra per caso il suo ex. Si mette a
parlare
con
lui solo per saperlo infelice e mettersi il cuore in pace.
Invece si mette il cuore in pace perché lui le spiega
meglio
quell'episodio che l'ha
scocciata per mesi dopo che hanno rotto. Ah, e le dice pure con sguardo
sognante che è
felicemente fidanzato.» Unì le mani sul
petto. «È cambiato perché ha trovato
quella persona
mitologica che il resto di noi comuni mortali non ha speranza di
trovare.»
«L'ultima parte è abbellita
per rientrare meglio
nella storia?» rise lui.
«Volevo solo chiarire i sentimenti dietro
ciò che
sto per dire: you are
an ass, Alexander Foster. Te lo dico con simpatia,
perciò tieniti l'insulto. Fammi questo graditissimo
favore.»
«Te lo faccio.»
«Perché sei troppo sereno
perché te ne
importi qualcosa. You
are an ass.»
«Siamo già arrivati al
Sayonara?»
«Sì»
annuì Asami e indietreggiò di un passo.
«Me ne vado. Sayonara,
Foster.»
Lui rimase seduto. «Vedrai che
andrà bene anche a
te. Sayonara, Asami.»
Lei provò a parlare ma si
cucì la bocca. Nel
girarsi
pronunciò un silenzioso 'ass' che accompagnò ad
un
sorriso rassegnato e ad una mano alzata.
Alexander l'alzò a sua volta e lei
andò via.
Lui riaprì il suo libro e
tornò a leggere.
Si
interruppe
brevemente per pensare allo scorcio di passato che era tornato nella
sua vita per pochi attimi, ma quando adocchiò la riga da cui
aveva interrotto la lettura, tornò a concentrarsi sul libro.
L'ultima volta che Ami si era nascosta dietro un
palo della luce si era trovata
assieme ad Usagi. Lei l'aveva trascinata dietro un lampione dopo aver
scorto una ragazza
che parlava con Mamoru. Un'estranea che aveva chiesto un'informazione,
aveva poi spiegato lui, e Usagi gli aveva creduto solo
perché
aveva potuto assistere a tutta la scena di persona, a distanza.
Ami non
era riuscita a capacitarsi della poca fiducia di Usagi in Mamoru Chiba:
lui era un fidanzato modello, così chiaramente innamorato e
fedele.
Nascosta in modo stupido dietro un palo molto
più sottile di
un
lampione, cominciò a capire meglio i motivi di Usagi. Aveva
guardato Alexander che parlava con la ragazza ignota per mezzo minuto
buono (ma loro avevano cominciato prima). Non si era nascosta subito,
l'aveva fatto solo quando lui aveva salutato l'altra ed era
parso sul punto di voltare lo sguardo.
Ora, controllò voltando la testa,
Alexander stava solo
leggendo il suo libro. E lei si stava comportando da sciocca.
Durante la conversazione a cui aveva assistito,
Alexander non aveva
lanciato
segnali equivoci, ma le era parso che li avesse lanciati
lei - l'estranea bella e slanciata che lui
sembrava
conoscere
piuttosto bene. Si erano salutati con un sorriso e una mano alta, un
saluto di tipo definitivo. Forse. O magari solo un saluto amichevole,
come a dire 'ci vediamo un altro giorno?'
Perché avrebbero dovuto vedersi un altro
giorno? Magari lei
era
una sua compagna di università? Per questo si era seduta
accanto
a lui con tanta naturalezza? Ed era solita farlo in altre occasioni?
Sospirò. Stava facendo ipotesi su fatti
non accertati, una
cosa completamente inutile. Se era curiosa, poteva chiedere.
Esitò.
Non aveva bisogno di sentire la risposta, la
conosceva
già. Se avesse notato che era preoccupata, Alexander
l'avrebbe rassicurata.
Le voleva bene. Amava lei.
Si allontanò con un passo dal palo.
Lui la chiamava love
accarezzando la parola con la voce, come se fosse felice di poterlo
dire. Dopo che avevano passato ore a parlare, la guardava come se le
volesse un po' più bene di prima. A volte la baciava proprio
come se cercasse di ripetere quello che aveva detto a San Valentino - voglio rimanere con te per sempre.
La fiducia in lui era uno dei regali più belli che Alex
le avesse
fatto.
Smise di guardarlo da lontano e cominciò
ad avvicinarsi
alla
panchina su cui si era seduto.
Non avrebbe macchiata quella fiducia con
domande sciocche. Non
ne valeva la pena.
«Ciao.»
Il secondo saluto di quella mattina gli fu
immensamente gradito.
«Ciao.»
Più che chiudere il libro, si
dimenticò di averlo in mano. La primavera inoltrata stava
cominciando a trasformarsi in estate e lui
aveva iniziato a scoprire Ami in camicie sottili e gonne svolazzanti
che la riempivano di calma, circondandola d'aria e facendola camminare
come su una nuvola. I vestiti azzurri, i suoi preferiti, la rendevano
una principessa allegra e libera.
Lei si chinò in avanti. Posò
le labbra sulla
sua guancia
e le tenne lì, fino a che non sollevò le mani ai
lati del viso, come se volesse custodirlo.
Quando si staccò, lui produsse un
sorriso
incredulo. «Così mi abitui bene.» E
avrebbe dovuto
abituarlo, perché pochi secondi non erano bastati a fargli
godere appieno di quella sorpresa: passati i primi tempi, Ami aveva
smesso di lasciarsi andare a effusioni in pubblico senza controllare
prima che fossero soli; almeno, se si teneva conto dei primissimi
momenti in cui lo vedeva. Di solito preferiva lei prendergli la mano,
ma lui doveva ammettere di preferire i baci.
Le accarezzò la lunghezza di un braccio.
Glielo avrebbe
fatto
capire nel modo che più gli piaceva: senza parole. Passo per
passo, a gesti.
Quando comunicava con lei in quel modo paziente e otteneva la risposta
che voleva,
si sentiva gratificato in una maniera sconosciuta; era sempre una
sensazione nuova.
«Oggi volevo dartene uno.»
«Music for my ears.»
Lei si ritrasse lievemente, stringendogli la mano.
«Sei già
entrato?» Indicò la libreria alle sue spalle.
«No, ti aspettavo.»
Lei accennò a dire qualcosa, ma si
interruppe prima di
cominciare. Per un momento, parve incerta. «Andiamo
allora.»
Sabato era la giornata che passavano insieme da
mattina a sera. Avrebbe
potuto essere domenica, ma entrambi studiavano con impegno quel giorno,
almeno per tutta la mattina e parte del pomeriggio. Poi, verso
le quattro o le cinque, si vedevano per
salutare il fine settimana.
Sabato invece andavano in giro, a pranzo a scoprire
nuovi posti in cui
mangiare, poi in nuove librerie o mostre nella seconda parte della
giornata. Se c'era un film interessante da vedere andavano al cinema,
ma quello che facevano quasi tutte le volte era camminare. Andavano con
la moto di
lui in parti di Tokyo - o Yokohama - che non conoscevano e
passeggiavano enza meta, solo per vedere posti nuovi.
Le sue ballerine dondolavano oltre il muretto che delimitava
la spiaggia. Ami si ritrovò a pensare che sarebbe stato
meglio indossare dei sandali. Faceva inaspettatamente caldo e
le
sarebbe piaciuto sentire il contatto dei piedi con la sabbia,
battezzandoli nell'estate.
Diede un altro morso al panino. Per quel
giorno avevano scelto di mangiare leggeri e farlo all'aperto, a Odaiba,
nella baia di Tokyo. Conoscevano già il complesso di isole,
ma
quel pomeriggio avevano appuntamento in quel luogo con Usagi e
Mamoru.
Alexander avrebbe conosciuto Mamoru per la prima volta.
«Vuoi mettere i piedi nella
sabbia»
commentò lui.
Ami sorrise col cibo in bocca e attaccò
la gamba al muretto
in cemento su cui era seduta. Deglutì il boccone.
«Come hai fatto a capirlo?»
«Stai disegnando monti e valli con la
punta della
scarpa. E poi era un'ipotesi-proiezione: vorrei farlo anche
io.»
«Fa caldo, vero?»
«In questo momento vorrei una spiaggia
californiana, con
acque pulite e tante onde.»
Per i viaggi che aveva fatto, lei lo invidiava.
«Se fa ancora
caldo, potremmo andare in piscina domani.»
«L'acqua rinfresca, ma senza il sole non
è la
stessa
cosa.»
Alexander aveva finito di mangiare da quasi cinque
minuti.
Non sapendo dove buttare il fazzoletto con cui aveva tenuto il panino,
giocava a rotolarlo tra le dita nella parte pulita.
«Intendevo in una piscina
all'aperto»
precisò lei.
Lui drizzò le orecchie. «Ci si
può
già andare?»
«Di solito aprono a metà mese.
Oggi quindi, ma
domani posso controllare.»
Lui gettò la testa all'indietro e
guardò il
cielo
azzurro. Aveva arrotolato le maniche della camincia scoprendo gli
avambracci; aveva fatto lo stesso con i
risvolti dei pantaloni, fin sopra le ginocchia. A lei era sembrata
un'idea un po' stramba fino
a che non aveva visto il look da simil pescatore
che in realtà era qualcosa di molto diverso: associato
ad abiti normali sembrava un insieme
curato, pensato, persino sottilmente elegante.
Lui aveva commentato
distrattamente che era
un'idea che aveva visto da qualche parte.
Di solito non gli piaceva pensare ai vestiti e non
lo faceva
attivamente, ma lei era
sicura che, se fosse stato una donna, Alexander avrebbe potuto darle
decine
di
dritte. Un paio di volte le era capitato di guardarlo mentre si
comprava qualcosa da indossare.
Lei si
riteneva una compratrice di vestiti piuttosto veloce, ma Alexander la
batteva cinque a zero: entrava solo nei negozi in cui era sicuro di
comprare qualcosa e camminava tranquillo guardando a destra e a
sinistra. Senza indugio prendeva in mano solo cose che, a guardarle
dopo, erano di ottima
fattura e con dettagli di pregio.
Lui non le provava, le giudicava a occhio tenendole alte e larghe con
le mani.
Lei aveva pensato fosse una modalità di selezione
poco efficace, ma la prima
volta che lo aveva visto comportarsi così la loro relazione
aveva avuto meno di un mese e lei aveva giudicato poco saggio offrirgli
opinioni non richieste.
Alexander infatti non le aveva chiesto niente: dopo aver
scelto cinque
cose - due felpe, una camicia, un jeans e un altro paio di pantaloni in
tessuto pesante - era andato a pagare senza neppure domandarle 'Cosa ne
pensi?'. Per tutto il tempo aveva continuato a parlare con lei di
fisica quantistica, come se la scelta del suo vestiario non meritasse
una sola parola.
Era stata la prima volta in cui un suo
comportamento le aveva causato
un leggero dispiacere. Si
era
sentita esclusa dopo essersi scoperta a desiderare
di... be', vestirlo. O di poter immaginare cosa mettergli guardando
tra i capi presenti, un po' come faceva per sé.
Nelle settimane successive, nel vederlo di volta in volta coi
capi scelti,
non le era rimasto che dichiararsi sconfitta
senza
possibilità di rivincita: Alex non aveva bisogno di lei per
scegliere i vestiti, aveva un occhio sopraffino. Ma
questo, si era detta poi, avrebbe dovuto già capirlo dal
gusto
di quello che gli aveva sempre visto indossare. Il suo errore era stato
credere che a scegliergli gli abiti fossero Shoko-san
o sua madre.
Con lui aveva toccato
l'argomento in modo diretto solo una volta, facendo riferimento proprio
alla signora Eve.
«Sì» aveva risposto Alexander,
«l'unica
cosa che non manca
di
sicuro
a mother
è il buon gusto nel vestire. Per una che faceva il suo
lavoro, sarebbe un colmo da barzelletta.»
Lei aveva pensato che lui sottovalutasse Eve
Foster. «Sceglieva lei i
tuoi
vestiti da bambino?»
«No, ma ricordo che diceva a Nanny Shoko dove
comprarli.
Finché non ho cominciato a scegliere io, nel mio guardaroba
spuntavano dal nulla cose che non avevo visto.»
La risposta l'aveva confusa. «Nessuno ti ha
mai aiutato a fare
acquisti? Tuo padre?»
Divertito, Alexander aveva aggrottato la fronte.
«Lui ha una sua
idea di
stile tutta inglese, troppo seria. Ora che mi ci fai
pensare,
tanti
anni fa mi ha aiutato a scegliere un completo perché non
avevo
esperienza, ma per il resto... cosa c'è di difficile? Buoni
tessuti, buone finiture, buon taglio.» Alexander aveva
scrollato le spalle. «Mia madre mi
ha aiutato a
distinguere semplicemente osservandola. Cosa ti confonde, la
scelta veloce?»
Lei aveva annuito e lui ci aveva riflettuto
brevemente. «Quando
scelgo ho in mente le
pubblicità dei giornali europei; americani per il casual.
In
Giappone c'è poca roba tra cui scegliere,
è facile notarla con un colpo d'occhio; siete piuttosto
indietro.»
Il 'siete' le aveva fatto spalancare la bocca in
una risata incredula.
Lui si era accorto di quel che aveva detto.
«Presenti esclusi, ma
pensavo più al vestiario maschile.» Si era
messo a ridere e lei lo aveva seguito a ruota. Quel
giorno aveva capito la ragione di un commento di Minako.
«Alexander sembra bravo e alla mano quando lo
conosci, ma a volte ha un
non so che di
snob.»
Lo era per esempio nel vestire, nel modo in cui
sceglieva con
inconsapevole cura la
maniera di presentarsi. Eppure lei era convinta che, se gli avesse
fatto
notare quel difetto, lui sarebbe stato capace di entrare in crisi: per
Alex era molto importante pensare di non dare alcuna
importanza al suo aspetto.
In fondo la cosa più divertente era la
maniera in cui si sentiva strettamente straniero quando si parlava
di gusto nel vestire; neppure coi libri era tanto definito. E se quella
non era una cosa trasmessa da sua madre, che non indossava un solo
accessorio o capo che non fosse importato, Ami avrebbe potuto dire di
non capire niente del suo fidanzato di quasi mezzo anno.
Lui aveva preso a guardare il mare con
intento. «Magari possiamo andare in piscina dopo
l'appuntamento a quattro.»
Era evidente che non conosceva bene Usagi. Inoltre...
«Come potremmo? Non abbiamo niente di quello che ci
serve.»
«Costumi, ciabatte,
asciugamani.» Smise di
guardare l'acqua.
«Potremmo comprarli.»
«Ma ho già queste cose a casa
e poi-»
«Potrei regalartele»
rifletté lui. Qualcosa lo divertì..
«Certo che se ti aiuto a comprare un costume,
poi
non usciamo più dal negozio.»
«Hm?»
«Te ne farei provare un mucchio, Ami love.»
Lei arrossì talmente tanto da affondare
con la testa,
toccando il petto col mento. «Io...»
«Stavo scherzando.» La risata
leggera si librò nell'aria calda del giorno.
Ami inspirò per farsi coraggio. «Io
preferisco i costumi
interi.»
«Come quelli che
metti nella piscina al
coperto.»
Esatto.
L'idea non sembrava infastidirlo neppure un poco e
lei si
sentì in colpa. Forse era troppo chiusa su alcune
cose. «Magari per questa estate posso prenderne uno in due
pezzi.»
Lui la squadrò con un'occhiata rapida.
«Ah-ha.» Distratto, tornò a guardare il
mare.
L'interesse malcelato la fece decidere per un
prossimo acquisto.
«Oggi non possiamo andare in piscina. Usagi
vorrà fare molte cose, è la prima volta
che siamo tutti e
quattro insieme.»
L'idea di un doppio appuntamento
aveva
entusiasmato Usagi sin da quando le era venuta in mente, ma Mamoru non
aveva mai avuto abbastanza tempo da dedicare a un'uscita come
quella: da quando aveva lasciato medicina, si era impegnato due volte
tanto
nel suo nuovo corso di laurea, per recuperare il tempo perso.
Ami era curiosa di sapere che opinione avrebbe
avuto di Alexander, e
viceversa.
«Spero che Mamoru ti piaccia.»
Non poteva dirsene
sicura
solo perché Alexander sapeva ancora sorprenderla nelle
reazioni
che aveva nei confronti di persone sconosciute. Per esempio non avrebbe
mai
immaginato che lui potesse trovare simpatica la ragazza di quella
mattina.
«Alex?»
«Hm?»
Non era mancanza di fiducia, si disse. Solo
curiosità.
«Quante...» No, non voleva ridurre la faccenda a
una questione di
numeri.
«Prima di me... hai avuto altre ragazze.» Non ne
fece una
domanda: era certa della risposta, ne avevano già parlato.
Lui inclinò la testa e la
studiò.
«Sì.»
Lei non seppe come chiedere. Furono le parole a
sceglierla.
«Com'era? Com'eri tu?»
«Disinteressato, non te l'avevo
detto?»
Sì, ma questa volta voleva saperne di
più. Voleva
capire come si era comportato lui in passato: da come ne parlava
Yamato-kun, e da
alcune cose che aveva detto Alexander stesso, le era parso che lui
fosse
stato diverso. Anche adesso, quando non
c'era lei, era diverso con le persone: più cauto,
più
attento, meno aperto; lo aveva intuito da tanti discorsi delle sue
amiche. Ma lei non riusciva a
conciliare una simile personalità con quella di un ragazzo
che
aveva
avuto tante relazioni.
Naturalmente Alexander padroneggiava ancora come
un maestro l'arte del flirt, ma
conoscendolo lei aveva compreso che quello era solo un gioco per lui.
Non era
la realtà in cui gli piaceva vivere: come lei, era
tranquillo e riflessivo. Gli piaceva parlare e parlare.
Immaginare
che lo avesse fatto con altre ragazze con la stessa passione dedicata a
lei era
un pensiero infelice. Ma almeno un poco, ragionò, doveva
essere stato così, visto che lui le aveva detto che lo scopo
principale delle sue precedenti relazioni non era stato...
l'approfondimento fisico.
Poteva credere a una versione simile? Doveva essere edulcorata; non per
artifizio, ma per tatto.
Lui si era sporto verso di lei. «Me
ne sono stato per
conto
mio praticamente sempre, tranne che in seconda superiore. Mi
è servito a capire che non sapevo cosa volevo.»
In che senso?
Alex la guardò in faccia fino a che
non
concretizzò
un'idea. «Sai che oggi ho incontrato una ragazza con
cui
sono stato? Proprio l'ultima. Stamattina, prima
che arrivassi.»
Le scappò il fiato dal corpo. Un'ex-fidanzata.
Quella ragazza alta ed elegante con cui Alex si era scambiato
più
sorrisi aveva avuto una relazione
con lui. Era peggio di quello che aveva immaginato.
Lui stava sorridendo. «È venuta a
parlarmi lei perché ce l'aveva con me.»
«... ce l'aveva con te?»
«Perché l'avevo
lasciata.»
Ami ritrovò tutto il respiro.
«Sono sempre stato io a rompere tutte le
mie precedenti
relazioni.»
Non avrebbe potuto dirle qualcosa di più
bello nemmeno se ci
avesse provato.
Lui la stava ancora guardando, tranquillo.
«Rivederla
oggi mi
ha fatto pensare a quanto
tempo è passato. Sono cambiate tante cose.»
Lei non riuscì a resistere.
«In meglio?»
«Be', sì. A parte l'aaver
imparato cosa significa essere mollato.»
«Oh» si mortificò
lei.
«Quello...» Era stato uno dei più grandi
errori che avesse mai commesso.
«Se mi prometti di non farlo
più, ti dico
un'altra cosa.»
Detestava avergli dato la necessità di
fare di
quell'argomento
uno scherzo. Se il suo più importante segreto avesse
coinvolto
solo lei, avrebbe già trovato il coraggio di rivelargli
tutto, ormai
ne
era sicura. «Io non ti lascerò
mai più.» Era una promessa che poteva fare, anche
se
questo non voleva dire che sarebbero rimasti insieme per sempre. Quella
era solo una magnifica speranza, una decisione a cui lui sarebbe potuto
arrivare solo dopo aver saputo tutto
di lei.
Di quei problemi Alexander rimase ignaro.
«Volevo questo,
Ami.» La indicò con un cenno del mento, quindi,
seduto con
le gambe da una parte e dall'altra nel muretto, allungò
quella
sopra la sabbia verso di lei. Riuscì a mettere la scarpa
sotto
la sua, sollevandole un poco il piede. «Volevo stare bene con
qualcuno. Era importante che non fosse un maschio perché
c'era già Yamato.»
Le scappò un sorriso.
«Prima di conoscerti avevo cominciato a
chiedermi se avrei mai trovato una ragazza così. Sapevo che
il
problema ero io, ma non avevo intenzione di cambiare.»
Ami prestò attenzione alle ultime
parole. «Sei
cambiato?»
Lui ci pensò su abbastanza da renderla
sicura che la risposta
sarebbe stata completa.
«Non proprio. Pensavo di avere difetti che
nascevano da quella che si è rivelata
essere insoddisfazione. In altre cose mi sono
solo... stabilizzato.»
Lei inclinò la testa, cercando chiarezza.
Lui sollevò un sopracciglio.
«Ho un brutto
carattere?»
Ami fermò il 'no' sulla punta della
lingua. A lui sarebbe
piaciuta un'opinione più articolata e veritiera.
«Con me,
mai. Ma... non sei facile.» Per tutti gli altri.
«Volevo dire proprio questo»
annuì lui.
«Sono passato da antipatico a 'poco facile'. Che progresso,
hm?»
Lei gli accarezzò una mano e ne
approfittò per
prendergli il fazzoletto usato per il panino; lo
appallottolò insieme al proprio e lo mise in borsa, dentro
il
piccolo sacchetto di plastica che si portava dietro per ogni evenienza.
«Previdente»
commentò lui. «Sono sicuro che lo eri anche tanti
anni fa. Did you ever
change?»
Oh sì. Era una persona che si evolveva
per amore. Era
cambiata quando aveva conosciuto Usagi e le altre, si era aperta. Ed
era
cambiata quando aveva perso lui. «Mi hai fatto diventare
più coraggiosa.»
Non le era mai mancata la forza
per combattere per altri - per un bene superiore - ma per natura aveva
desistito dal lottare per ciò che voleva lei, se coinvolgeva
altre persone. Il rapporto con la gente la intimidiva: temeva il
rifiuto. Temeva il giudizio, anche se aveva imparato a non dargli
importanza.
Nel caso di Alexander, aveva avuto una paura folle
di quello
che gli stava offrendo: tutto quanto, senza alcuna garanzia che lui, un
giorno, non avrebbe preso la decisione di porre fine alla loro
relazione per validissime ragioni.
Non le importava più. Non aveva
più timore di un
futuro di sofferenza che poteva diventare realtà.
«Ho preso coraggio e ho combattuto per
te.» Fosse solo per avere con lui altri sei mesi, un
altro anno o tra quattro e sei anni: tanto era il tempo che mancava
alla nascita del nuovo regno terrestre.
«Se tu non mi avessi
rivoluta indietro credo... che avrei insistito.»
Vergognandosi
un poco, abbassò lo
sguardo. «Se mi
avessi voluto ancora un po' bene, non mi sarei arresa. Ti
avrei amato fino a farti provare anche solo un poco di quello che
tu mi provocavi-»
«Basta.» Fu una risata debole e
strozzata quella
con cui lui scivolò in avanti. «Mi stai
uccidendo.»
L'abbraccio bastò a farle
capire il motivo.
«Too sweet?»
«Sì, non resisto
più.»
Alexander le
sollevò la frangia con una mano e non fece altro che
guardarla.
Ami comprese il problema, un difetto meraviglioso.
«Sei
timido come me?» sussurrò.
«Forse, molto in fondo.»
«Senti che ti sale il calore alla faccia
ed è una
cosa bella ma non sai assolutamente come gestirla, tanto che entri nel
panico?»
«Non entro nel panico.»
Solo perché lei non era tremenda come
lui. «Mi hai
interrotto.» Ridusse la distanza tra loro andando avanti col
bacino, facendo in modo che le gambe non le fossero d'impaccio. Con una
mano leggera dietro l'orecchio lo tenne fermo, lo sguardo
fisso su di lei.
«Avrei combattuto con
tutta me stessa per amarti.»
Le pupille di lui si dilatarono.
«Avrei smesso di essere timida e
discreta.» Per un
momento, nell'intimità dei loro sussurri, smise di esserlo
anche nel presente e fu... liberatorio. «Se avessi
visto che ti faceva piacere, anche solo un poco, mi sarei
fatta
trovare nei posti in cui andavi di solito.» Gli
accarezzò la tempia. «Sotto casa tua.
Avrei fatto di tutto per rivederti come quando ti sei dichiarato la
prima volta. Con quelle parole mi avevi passato da parte a parte
proprio
qui.»
Lui prese colore sulle guance molto prima di avere
la mano posata
nel centro del suo petto, dove la mise lei stessa.
«'I love you
too'. Dovevo dirtelo, era l'unica cosa che avevo in
mente da giorni, lo provavo sin da quando ci siamo baciati. Avrei
lottato
per avere un'altra occasione di darti la risposta giusta.»
Lui espirò contro la sua bocca.
Gliela prese con la
propria prima che lei potesse far uscire una sola altra parola.
Si staccò velocemente. «Sono
morto, devi ridarmi
un po' d'aria.» Le tenne la testa con le mani e le
catturò di nuovo l'angolo delle labbra, tentando di
inspirarla. «God, sii scrupolosa.»
La mangiò di nuovo, deliziosamente.
«Intensa.»
Ad occhi chiusi Ami faticò ad annuire;
il cuore le sarebbe uscito dal petto tanto batteva forte. Non riusciva
a respirare e non voleva.
Gli prese il collo con le mani e, ricambiandolo,
riuscì a
farlo smettere di blaterare. A fare dichiarazioni
incoerenti furono le mani di lui, tutti i baci che lei gli diede,
che si fece
dare e che cominciarono a essere indistinguibili l'uno dall'altro.
«Che
svergognati!»
Il sussurro distinto fu una doccia gelata.
Ami si voltò e trovò lo sguardo
accusatore
dell'estranea dallo sguardo cupo che aveva commentato proprio lei e
Alexander. L'anziana indignata riprese ad allontanarsi, in braccio i
sacchetti
della spesa.
Aveva dato della svergognata a... lei?
Morì di
vergogna: era
praticamente seduta in braccio a-!
Si scostò tanto velocemente da cadere di
lato.
Sentì la sabbia sotto le ginocchia e pensò
di costruire una buca molta profonda.
«Calm
down.»
La risata trattenuta di Alexander non la convinse ad
alzarsi. Finì anzi con l'attaccarsi al muretto in
cemento, a
scrutare la strada di nascosto. «Io...»
«Tu...» Alexander si
accucciò accanto a
lei, «quando fai una cosa la
fai per bene.»
«No, non è-» Ma lo
era! Non sapendo se
ridere o piangere, ridacchiò in modo ridicolo.
Nascose la faccia tra le mani e non trovò neppure la forza
per opporsi all'abbraccio di lui.
«Non allontanarmi. Ti sei
staccata troppo in fretta, soffro proprio come te.»
Nell'imbarazzo lei riuscì a sorridere
per sventure non sue.
Quando il corpo di lui cominciò a sussultare, la risata che
le uscì dal petto fu piena e genuina.
Ricevette un bacio veloce sulla tempia e
tornò a guardarlo.
«I
felt loved»
le disse Alexander. «Thank
you.»
Grazie per averlo fatto sentire amato? Forse, un
giorno, sarebbe stata
più audace e capace di non vergognarsi di cose che... che
potevano essere molto belle. Per lui, ma anche per lei.
Alexander la tirò piano per un braccio.
«Penso che
sia ora di andare.»
«Hm?»
«Usagi e il suo ragazzo?»
Oh! «Giusto.» Il pensiero di
Usagi la
portò a fare un bel respiro e a ricomporsi, tornando in
piedi. «Sì, dobbiamo andare.»
His
Amything.
Era un'espressione che Alexander aveva coniato da un
minuto. Amything
al posto
di 'everything', tutto quanto. La sua Amything,
provò a sussurrare. Era perfetto, per la sua testa rendeva
l'idea.
Cercò di costringere i muscoli delle
guance a portare
giù gli angoli della bocca, ma quelli non collaborarono.
Anche
mentre beveva l'acqua dalla bottiglietta continuò ad avere
le labbra congelate in una risata silenziosa. Dovette sporgersi in
avanti quando il liquido gli colò giù dal mento.
Ridendo, tossì.
Stava rasentando il ridicolo.
Non gliene fregava
nulla.
Ami era la sua amything.
Guardò la bottiglietta d'acqua.
Letteralmente amything,
ecco un esempio! Da quando
usciva con lei, poteva portarsi l'acqua dietro invece che comprarla in
giro. Ami la metteva nella sua piccola borsa portatutto e l'acqua
andava in giro assieme a loro. Lei sopperiva a ogni suo bisogno, solo
che non poteva creare l'acqua dal nulla e quindi lui doveva andare a
comprare la prima bottiglietta.
Metà dei suoi neuroni si erano essicati.
Who cares!
Amava l'estate! Amava la spiaggia, amava parlare di piscine e costumi
da bagno e
persino di quando lei lo aveva lasciato.
Socchiuse gli occhi in un ansito di sollievo. Ami
era cotta
come lui, thank god for
that.
«Ho capito, Usako.»
Alexander riprese a bere la sua acqua.
«Sì, Usako»
ripeté
pazientemente la voce maschile dietro di
lui. «Dirò ad Ami che ti dispiace per il
ritardo e che non è stata colpa tua se hai rotto la
lavatrice di casa e stai cercando di rimediare.»
La menzione del nome di Ami lo fece voltare.
«Posso darti un consiglio?» A
parlare al telefono
era un ragazzo alto dai capelli neri. «Non toccare niente. Se
è uscita
l'acqua da sotto e si è allagato il bagno, non
sarà stata colpa tua.»
Il tipo stava comprando una bottiglia d'acqua
proprio dal chiosco da
cui l'aveva presa lui. Allungò una banconota al venditore e
attese il resto.
«Vedrai che Ami-chan non
penserà che tu sia
sciocca e irresponsabile.»
Ami-chan?
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, esasperato.
«Non conosco
questo Alexander, ma non gli permetterò di pensare male di
te. Sì. Sì, te lo prometto.»
Il tipo aveva un nome. La Usako del discorso era
Usagi Tsukino,
pertanto
quello che aveva menzionato il nome di Ami e il suo era ovviamente
Mamoru Chiba.
«Usako, se hai finito di asciugare il
pavimento non toccare
nient'altro, dammi retta. Esci e raggiungici qui, tua madre
preferirebbe che non muovessi niente.» Vi fu una
pausa. «Va bene, ti aspetterò con loro. A
dopo.»
Mamoru Chiba infilò in tasca le monete
del resto e chiuse la
conversazione al telefono. Incrociò il suo sguardo di
sfuggita nel voltarsi e, quando notò che lui non lo
spostava,
fece una cosa che Alexander non aveva mai visto fare a nessuno nei suoi
confronti:
sollevò un sopracciglio con noncuranza, senza un briciolo di
interesse. Sì?
domandava quell'espressione.
Non gli piacque. Non gli piacque soprattutto il
ricordo di Ami-chan
nella voce di
lui.
Cos'era tutta quella confidenza? «Penso di
conoscerti.»
Mamoru Chiba attese di sentirlo elaborare con la
stessa attenzione che
avrebbe riservato a una vecchina che incrociava per strada.
«Sono l'Alexander di cui parlavi con
Usagi
Tsukino.»
«Ah.» Si manifestò
solo allora
dell'interesse. Fu come se Chiba lo avesse notato per la prima
volta. «Ami Mizuno?»
«Ci sono molte Ami attorno ad
Usagi?»
Chiba lo prese per uno scherzo. «Una
sola» ammise.
Aprì la propria bottiglia d'acqua, tranquillo.
Al polso
aveva un orologio dal quadrante nero; dall'insieme creato dalla camicia
rosa e dai
pantaloni beige - che colori erano? - Alexander ebbe un'unica
impressione: quel tipo
con Usagi? La serietà di lui si combinava con la follia
allegra di lei come la marmellata col peperoncino.
Chiba
era...
più
di ciò che si era aspettato di incontrare: dov'era il
ragazzo basso e divertente che faceva solo finta di essere abbastanza
serio da studiare alla Todai? Alexander aveva creduto che Mamoru Chiba
fosse piaciuto ad Ami proprio perché, nel profondo, era
simile ad Usagi, che Ami adorava. Non gli era passato lontanamente per
la testa l'idea che Chiba potesse piacere ad Ami perché
somigliava... a lui.
«Usagi mi ha parlato molto di te. Parla
molto di
tutti.» Chiba prese un altro sorso d'acqua. «Ma ti
avevo
immaginato diverso.»
Condividevano un'impressione allora.
«Conosco Ami da molto tempo e quindi
avevo
creduto...» lo indicò con un cenno del mento e,
guardandolo in faccia, sembrò sorridere del proprio
pensiero. «Niente.»
«Molto tempo che ti porta a usare il
'-chan'?»
«Hm?»
«Al telefono hai detto Ami-chan.»
Chiba annuì. «La chiamo come
fa Usagi. La
conosco quanto lei.» Rifletté. «A modo
mio, un po' di più.»
Era in errore. «È un chan
amichevole?» Poteva
sopportare persino di udire 'fraterno'.
«In che senso?»
«Usagi per te usa il 'chan' con un'altra
accezione. In questo
senso.»
Chiba mandò giù l'acqua con
movimenti lenti della
gola. Tenendo le labbra strette, sorrise. «Sei un tipo
geloso.»
Alexander scelse di non commentare e attese una
risposta.
«Ami è la sorella che avrei
voluto
avere.» Chiba alzò una mano appiattita all'altezza
del petto.
«La conosco da quando andava in seconda media ed era un poco
più bassa di ora.»
Bene. Se chan
era solo questo, ben inteso.
«Ami è nel luogo
dell'appuntamento?»
Alexander annuì. Ami si trovava una via
più in
là,
poco lontano.
«Visto che sei in vena di domande
dirette, permettine una a
me. È una cosa
seria?»
«A che titolo lo chiedi?»
«A che titolo mi hai chiesto tu ragione
di un nome che uso da
anni per una persona a cui tengo e che conosco da prima di
te?»
Alexander aprì la bocca e
scoprì di
avere una
risposta pronta solo a metà.
«Ho risposto alla tua domanda. Rispondi
alla mia.»
Sarebbe stato come obbedire ad un ordine, ma non
rispondere
sarebbe parso il capriccio di uno stupido. Fu costretto a scegliere
il male minore. «È una cosa seria.»
«Bene.»
Chiba avvitò il tappo della sua bottiglia, chiudendola.
«Ora smettiamola. Devi essere intelligente se Ami ti
ha scelto quindi concorderai con me: abbiamo finito di giocare
mettendo in chiaro le cose.»
Che?
«Non ho mire su Ami» sorrise
Chiba. «È
tanto ridicolo che mi fa ridere. A te ha fatto ridere che
ti abbia chiesto se era una cosa seria?»
Il cambio di tono lo lasciò interdetto.
«...
sì.»
«Ridiamoci su e ricominciamo daccapo
allora. Dobbiamo, non
sai quello che Usagi dice ad Ami e viceversa. Notano tutto, non
può esserci tensione tra noi due.»
Alexander trovò qualcosa da dire. Fu
cauto nell'esprimersi.
«Se sei solo un amico di Ami... non sei mio amico, ma
potresti diventarlo.»
Chiba studiò le sue parole.
«Solo un amico. E se
tu non vuoi farle del male. io non ho motivo di pensare male di
te.»
Allungò una mano verso di lui. «Daccapo. Mamoru
Chiba.»
Alexander volle dirgli di rallentare, per non
sentirsi
quello che veniva manipolato. Non gli succedeva mai e quando se ne
accorse lo trovò quasi... divertente. «Alexander
Foster.»
Ricambiò la stretta.
Era stato proprio manipolato: poteva
essere
interessante avere a che fare con un tipo tanto acuto.
«Mamoru!»
La voce di Ami distrasse entrambi. Lei raggiunse
l'angolo della strada
in cui si trovavano con una rapida corsa. «Ti ho visto dal
fondo, ciao! Usagi?»
«Arriverà con un po' di
ritardo.»
Perché aveva rotto la lavatrice,
pensò Alexander.
Ah, e Chiba eroe coraggioso le aveva promesso di non permettere che un
certo Alexander pensasse male di lei. Se Chiba manipolava gli altri,
Usagi Tsukino manipolava lui. Ne sorrise e si sentì prendere
una mano da Ami.
«Stavate parlando, vi sarete
già presentati, ma...
questo è Alex.»
Lo presentò proprio come se lo stesse mettendo davanti ad un
fratello maggiore, in cerca di approvazione.
«L'ho conosciuto.»
Chiba guardò solo Ami nell'annuire piano. Se aveva delle
riserve, le tenne per sé e con un solo cenno della testa
fece
felice Ami. Alexander capì di poter apprezzare una
persona
così.
Chiba gli lanciò un'occhiata divertita.
«Parlavo
al telefono con Usagi e ti ho chiamato Ami-chan. Lui l'ha sentito e non
gli è piaciuto.»
Alexander fu costretto a ricredersi.
Pensò di
trovare un sottile rimprovero nello sguardo di Ami. Invece lei era
sorpresa. La sua incredulità si sciolse in un
sorriso felice mentre gli circondava la vita con un braccio,
stringendolo. «Gli piaccio.»
La malcelata soddisfazione lo rallegrò.
«È un po'
poco dire così.»
Le massaggiò la spalla e quasi non riuscì a
credere che le avesse fatto piacere sapere che lui se l'era presa per
il suffisso confidenziale.
Fu distratto dalla sensazione di uno sguardo su di
loro.
Chiba li osservava benevolo: guardava soprattutto
Ami e Alexander ebbe
l'impressione che avesse cercato di fargli un favore più che
un torto.
Well,
who cares? Finito
quell'appuntamento a quattro, avrebbe passato il resto della serata
con
Ami.
He
was an happy man.
Absolutely.
Alcune traduzioni
witty = spiritoso, arguto.
You are an ass! = è un insulto mezzo slang. Secondo
questo
link la traduzione è 'stupido, ostinato o perverso'. Qui
è usato soprattutto nella prima accezione, virando un
pochino verso il volgare :)
Who cares? = Chi se ne importa!
NdA:
da 20
KB che pensavo di scrivere ne ho buttati giù 60 :D Capitolo
lungo, ma trovavo necessario ogni pezzo. Spero che lo sia sembrato
anche in fase di lettura, l'ispirazione ha fatto i salti mortali per
venirsene fuori con qualcosa che legasse bene e in modo interessante
tutti i pezzi del capitolo :)
Alla prossima!
ellephedre