“E' mia
moglie.”
Tino si imbarazzava
da morire, ogni volta che l'amico -sì, l'amico, nonostante
quel modo di chiamarlo, lui insiste testardamente a considerarlo
tale- lo definisce in quel modo. Moglie.
E' un uomo, dovrebbe
essere incredibilmente furioso per essere scambiato a) con una donna
b) per la sua consorte, eppure... Quella definizione è quasi
azzeccata.
Certo, manca una
buona parte di quello che caratterizza un rapporto tra marito e
moglie, ma non sembra un azzardo definirlo tale. Berwald c'è
sempre stato. Quando sono fuggiti da Danimarca, era la sua mano
sempre tesa a sollevarlo e dargli coraggio, a recuperarlo dal fango e
la neve in cui precipitava quando era troppo stanco. Gli dava
coraggio, quella mano.
Non gli dispiace poi
tanto chiamarlo marito, quando capita. Magari quando non c'è
nessuno ad imbarazzarlo, o quando scherza, in un momento in cui sono
soli e non sono troppo seri. Definisce perfettamente l'appiglio che è
diventato con il tempo, anche se ha volte si scopre a chiedersi se
sia giusto.
Conosce i suoi
sentimenti, sono così evidenti che non può fare a meno
di pensare che, nonostante la sua natura silenziosa, Berwald gli
gridi in ogni momento che è innamorato di lui. Basta un gesto
gentile, un sorriso quasi non percepibile, sotto l'espressione
terribile... e quella parola.
Moglie. Sa che
esiste un universo di frasi dietro ad essa, a seconda della sua
intonazione, dell'occasione. A volte anche allo svedese capita di
scherzarci su, ma il più delle volte usa un tono solenne, come
se facesse una dichiarazione d'amore di fronte al mondo.
Tino non ha mai
sentito l'amico -sì, insiste!- dire che lo ama. Mai gli ha
rivolto una frase romantica o melensa, mai lo ha baciato. Eppure il
finlandese sa.
Ogni volta che lo
chiama moglie, ormai sente ti
amo.
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