unobuono
1. Di Spade e di Penne.
Firenze.
Sembrava una qualunque giornata d'aprile, quella, nella vita della
potente città.
Da poco era stato stipulato, in quella che ancora non possedeva il nome
unificante di "Italia", una pace che si poneva come obbiettivo quello
di porre fine al continuo scontro che era il Paese in quel momento;
forse così anche la tua Firenze, dove con il rosso si
coloravano
da tempo sia i quadri che le strade, nelle mani laboriose degli artisti
e nel danzare delle lame delle opposte anime nere e bianche* si sarebbe
quietata. Di fatto la città era diventata così
violenta
che il signor Lorenzo dei Medici si era visto costretto a regalarti per
il tuo compleanno, al posto di fiori e dolciumi, una pesante armatura.
Poco più che bambina eri diventata un cavaliere, difensore
del Magnifico e della sua famiglia, a cui tanto dovevi.
Quel giorno ti trovavi ad accompagnare i due rampolli della famiglia,
Lorenzo e Giuliano, nella parata lungo Firenze che si sarebbe
interrotta solo alla vista della Santa Maria del Fiore.
Camminavi al loro fianco, tenendo la mano sulla spada per puro caso,
non ancora per abitudine, troppo impegnata a osservare il bel viso del
tuo Principe, sulla quale i riccioli d'ebano cadevano con dolcezza; lo
adoravi: ti eri affezionata sin da quando il vecchio Piero l'aveva
fatto diventare il tuo compagno di giochi preferito e adesso che, uomo,
ti riservava lo stesso sguardo di quand'era bambino, il sentimento nei
suoi confronti non aveva fatto altro che aumentare.
<< Sei molto carina, così pettinata, bambina
mia. >>
Disse, carezzando con il palmo una ciocca di capelli delle due code;
arrossisti, non negando però un sorriso gigantesco.
<< Grazie, messer Lorenzo! >>
<< Dimmi, Marina, ti dà fastidio l'armatura?
>>
<< Oh, no Signore. E' stato un regalo davvero molto
utile, la ringrazio! >>
<< Suvvia, Lorenzo, Non fare l'ingenuotto!
>>
Interruppe il fratello Giuliano, lanciandogli un'occhiata di
rimprovero. Nonostante non fosse al livello del fratello, anche
Giuliano si distingueva, non finendo con l'essere l'ombra dell'altro de
Medici.
Fece per parlare di nuovo, ma, alla velocità con cui tu
stringesti le dita intono all'elsa, un arto abbracciò il suo
collo, cogliendo tutti voi decisamente di sorpresa.
<< De Pazzi! >>
Esclamò Giuliano, dopo aver voltato il capo verso la persona
che
l'aveva sorpreso; riconoscesti nel suo viso Francesco della famiglia
sopra citata e, subito dietro di lui, il volto rilassato di Bernardo
Bernardini, servo che da poco si vedeva al fianco dell'altro uomo.
Anch'esso abbracciò il minore, battendogli le mani sulla
spalla
come se lo avesse conosciuto da sempre e continuando a elogiarlo.
Faceva così da quando Giuliano era uscito di casa,
trovandoseli inaspettatamente di fronte.
<< Messere, mi dica, è passato il malessere
del giorno precedente? >>
<< Sì, sì. >> Rispose
Giuliano,
spicciolamente, quasi disturbato da quell'esagerato contatto fisico.
<< Va tutto bene, come ti ho detto anche quando sono
uscito.
>>
<< Menomale. >> Disse Francesco,
sorridente. << Ci
è dispaicuto sapere il motivo per cui il rinfresco di eri
è stato annullato. Che sfortuna, eh? >>
<< Già, che sfortuna. >>
Questo era Lorenzo, il cui tono fu ancor più secco e
tagliente
di quello del fratello, che si limitava a ostentare sarcasmo in ogni
sillaba.
Capivi la loro diffidenza, anzi, non avevi ancora sciolto bene le dita
dall'impugnatura preziosa; tra Medici e Pazzi non vi erano mai stati
grandi rapporti, si potevano definire come cani e gatti, e tutto
quel'affetto e quella cortesia improvvisi erano decisamente sospetti.
Francesco si bloccò, per poi sospirare e tirarsi indietro,
non dopo aver lanciato uno sguardo all'altro.
<< Meglio andare, adesso. A dopo, messeri!
>>
Detto ciò si allontanarono, mischiandosi nuovamente nel
corteo;
seguiste tutti e tre le due figure, fin quando furono abbastanza
lontane, allora Giuliano si voltò, guardando il fratello
come se
nulla fosse accaduto.
"Una mosca che passa davanti agli occhi."
<< Dicevamo, fratello? >>
<< L'armatura di Marina... >>
<< Oh, certo. Dicevo: guardala, poverella! Ci sguazza
dentro! Ne hai fatta realizzare una fin troppo grande! >>
<< Ma come? >>
Rispose quello, osservandoti. Effettivamente gli arti metallici erano
più lunghi delle tue eslili braccia e il petto era
così
grande da permetterti di star china.
<< Eppure il fabbro aveva detto che era su misura...!
>>
<< Oh, certo, " Su misura " ! Non ti preoccupare, Marina,
ci
penso io, non appena finiamo qui. Ti farò realizzare
un'armatura
che ti starà a pennello, bambina! >>
Concluse, con un sorriso alla quale tu rispondesti con fatica.
In realtà quell'armatura la portavi solo perchè
era un
loro regalo, avresti preferito di gran lunga farla fondere e
realizzarvi un gioco. Da quei pensieri di distrasse la mano di Lorenzo,
che in un segnale silenzioso sfiorò il tuo braccio; alzasti
lo
sguardo, vedendolo sorridere, e lui con un movimento della testa ti
face segno d'alzare il braccio come avevi fatto con gli occhi.
Obbedisti e lui strinse la tua piccola mano ferrata, chiudendola nella
sua. La gioia invase il tuo corpo e stringensti ancor più le
dita, sorridendogli sorniona.
Per lui avresti indossato la più pesante delle armature.
<< Siamo arrivati, amichetti. >>
La voce di Giuliano ti distolse da quel momento di bambinesca
felicità, riportandoti dentro l'armatura e lontanto dal
profumo
dei gelsomini e dei gigli bianchi tra i quali tu e Lorenzo, nel
giardino dell'enorme proprietà, trascorrevate il tempo
libero.
Alzasti lo sguardo e vedesti davanti a te l'imponente figura del Duomo,
in tutta la sua purezza. L'avresti visto così ancora per
poco.
I due fratelli presero posto, tu affiancasti Lorenzo, assieme a
Poliziano e i tuoi due "compagni di squadra", ovvero i due Cavalcanti,
e la messa potè iniziare.
Stranamente la folla non si era aquietata come le volte precedenti: era
silenziosa, sì, ma le tue orecchie udivano strani sussurri.
Sussurri che, per uno strano motivo, ti diedero un lungo brivido.
"E' il vento."
ti ripetesti, stringendo un braccio attorno all'altro.
" In questa armatura passano gli spifferi.".
Il latino del cardinale echeggiò nell'aria, e la ritmica che
prese ti parve di colpo macabra.
" Oh, smettila con queste fantasie, Marina, ti sei fatta influenzare
dal manoscritto che hai letto ieri notte! "
Era arrivato il momento della solenne elevazione; tutti
s'inginocchiarono, iniziando a recitare l'ennesima preghiera, mentre il
religioso, come sempre, prese ostie e boccale,preparandosi per
l'eucarestia.
Nessuno avrebbe pensato che le ostie quel giorno non sarebbero state
bagnate dal vino.
<< Muori! >>
Un coltello, i tuoi occhi che scattano, Lorenzo che urla, la folla che
impazzisce, il Bardini che svelto riporta nelle sue mani la sua lama;
Giuliano che cade, in un lago di sangue.
<< Fratello! >>
Lorenzo si buttò su di lui, mentre tu ti scagliavi, o
meglio,
cercavi di scagliarti, senza capire, completamente alla cieca,
sull'aggressore, facendo in tempo solo a vedere una seconda lama;
quella che il prete lanciava contro il Magnifico!
Non facesti in tempo a separare la spada da quella del Bardini, urlando
il nome del tuo signore, che uno dei nobili di conoscenza del
Magnifico, tale Francesco Nori, gli fece scudo con il suo stesso corpo.
<< Marina, Marina! >>
Altre urla, questa volta quelle di uno dei due cavalcanti, nemmeno
riuscisti a capire quale, nelle confusione.
<< Prendi Lorenzo, portalo via, veloce! >>
Non te lo facesti ripetere due volte: la mano libera si strinse a
quella dell'uomo, notando solo allora il sangue che usciva dalla sua
spalla, sollevandolo e trascinandolo via, la tua spada davanti a fare
strada in quella calca, dove non si distingueva il buono dal cattivo,
muovendosi come un toro impazzito.
<< Corra! Corra! >>
Urlasti,con la voce rotta dalla paura, mentre salivi le gradinate della
sacrestia.
<< Ha la chiave, vero!? >>
Alla tua domanda Lorenzo reagì con un muto segno del capo,
mentre prendeva dalla cintura la chiave e la inseriva nella serratura.
Ti voltasti a guardargli le spalle, con gli occhi che tremevano ancora
di più delle mani, e solo allora vedesti un uomo correre a
tutta
velocità verso di voi, tenendo tra le mani una spada dalla
lama
tremendamente lunga: altri due passi e vi avrebbe trafitto, tutti e due
e in un colpo solo.
Non c'era tempo di pensare, non c'era tempo di avere paura, di tremare,
di rimanere fermi o d'immaginare la morte. Non c'era tempo, non c'era
tem-
<< ... Uh. >>
Il gemito dell'uomo di spettinò i capelli, la sua spada
cadde al tuo fianco.
E la tua?
Oh, eccola:
grottescamente conficcata nella metà del suo collo.
... che diavolo era successo? Quando avevi agito?
Il grande portone di legno cigolò. aprendosi e svegliandoti,
e
Lorenzo sparì dietro la sua metà, tendendo una
mano verso
te.
<< Marina! Entra, veloce! >>
Il tuo sguardo vagò da lui al corpo che faceva da cornice a
quella lama che era stata appena battezzata con il sangue, fino a
quello che stava avvenendo alla fine di quelle scalinate.
Cosa fare, in un attimo, ti parve ovvio... e facilmente realizzabile.
<< Non posso. >>
Sussurrasti, spingendo dentro la chiesa il tuo signore, senza dargli
tempo di controbattere con un ordine che saresti stata costretta a
seguire, e chiudendo la porta;
silenzio.
Per un attimo, tutto ti parve slenzioso.
Ti voltasti verso quel corpo, sul ciglio delle scale, in cui stava
ancora la spada; la impugnasti di nuovo, poggiasti un piede sulla carne
morta e, in un gesto veloce, spingesti via, buttandola giù,
facendola rotolare lungo le scale.
Il più lontano possibile da te.
Il sangue gocciolò sulla punta, splendendo come un rubino
alla luce del sole;
quell'uomo era stata la tua prima uccisione a sangue freddo.
La prima di una lunga serie che, quel giorno, si sarebbe inaugurata.
Un cigolio di un imponente portone in lengo interruppe il silenzio di
una chiesa immensa, illuminata solo da poche candele e dalla luce del
tramonto, che filtrava nelle alte vetrate colorate, offrendo al vuoto
un meraviglioso gioco di ombre e colori.
Davanti all'altare, ecco un uomo: stava in ginocchio, tremava, la testa
china sulle sue mani, strette, come i denti, in una preghiera bagnata
di lacrime.
Dalla spalla del vestito di alta manifattura, impreziosito qua e
là da qualche meravigliosa gemma, restava la scia di un
sangue
secco che aveva smesso di colare solo da poco, a differenza del pianto
che ancora bagnava il suo volto; non era cosa da fare, piangere, per un
uomo così importante, era segno di debolezza.
Ma per Lorenzo de Medici, in quel momento, più che di
debolezza, quello era il segno di una profonda umanità.
Sussultò, nel sentire la grande porta aprirsi. Oltre a lui e
al
parroco -che aveva visto cadere per la lama di uno dei Cavalcanti-
c'era solo un'altra persona a possedere la chiave della sacrestia.
Il sorriso, come una crepa, si delineò a scatti sulle sue
labbra e il busto ruotò, fin troppo velocemente.
<< Giuliano! Fratello, allora se vi-
>>
La voce si mozzò, nel vedere la lunga ombra che attraversava
tutta la navata, nella più orrenda delle previsioni, e, a
seguire, la figura dalla quale era proiettata.
Oh, il fratello dell'uomo c'era, certamente;
Ma stava avvolto nella bandiera della Signoria Medicea, macchiata di
sangue là dove doveva stare la testa, volta a guardare verso
l'alto (attraverso il velo, Lorenzo poteva intravedere la bocca
pressata sulla stoffa, a cercare un respiro che mai sarebbe stato
preso), tenuto in braccio da un cavaliere di dimensioni minute rispetto
alla media e dai capelli lunghi e castani, l'armautura che in un primo
secondo, al Signore, era sembrata scarlatta per via del troppo sangue.
Tu.
<< Mio Signore... sono mortificata.
>>
Quelle tre parole, alla quale avevi pensato dal primo momento in cui il
corpo era stato depositato tra le tue braccia, che fino ad allora
avevano brandito come non mai una spada, uscirono dalla tua bocca in un
sussurrare debole.
<< Non c'è... non c'è stato nulla
da fare... il
taglio alla nuca era troppo profondo, aveva perso sangue, e-e...
>>
La frase, detta con voce spezzata e fin troppo velocemente per esser
compresa, venne spezzata dalla vista del tuo Signore.
Lentamente l'uomo si avvicinò, togliendo dalle tue braccia
tremanti il fratello e prendendolo nelle sue braccia tremanti; poi si
voltò, camminando fino all'altare. Non una parola, non un
respiro.
Delicatamente, poggiò la salma sul marmo freddo.
E scoppiò a piangere di nuovo, attanagliandoti il cuore.
<< S-Signore... >>
Mormorasti, guardandolo mentre si accasciava a terra; non l'aveva visto
così nemmeno alla morte del padre.
<< Marina, vieni qui. >>
Le parole ti fecero sussultare e per un attimo non sapesti cosa fare;
poi, lentamente, con il suo stesso passo, ti avvicinasti, facendo
rimbombare il cigolare della tua armatura; gocciolando sangue non tuo
fino a un metro da lui.
<< Mi dica, Signore. >>
<< Cosa sta succedendo, là fuori?
>>
Chiese, con tono distaccato, come se si stesse occupando di un comune
affare politico.
<< I Pazzi, mio Signore. Jacopo è sceso in
piazza,
pensando di trovare la situazione favorevole... ma lo stesso popolo lo
ha aggredito. Il sicario assunto da Francesco De Pazzi e altri sono
riusciti a fuggire. Io... >>
La tua voce per una ttimo si fermò; estraesti la spada,
mostrandola a colui che te l'aveva regalata: rossa, dall'elsa fino alla
punta.
<< Ho ucciso ogni soldato che mi si è messo
davanti.
Nessuno è riuscito a mettere piede anche sul primo gradino
della
cattedrale. >>
Ti eri stupita di te stessa.
Dopo la prima vittima, tante altre se n'erano ammassate in un cumolo ai
piedi della chiesa; avevi agito automaticamente, in gesti fluidi, come
se tu stessi ballando, nonostante i nemici fossero tanto più
grandi e molto più armati di te.
Ti era riuscito fin troppo facilmente.
E di questo, non sapevi se compiacerti o disprezzarti.
<< Avvicinati... avvicinati, bambina mia. >>
Obbediente, muovesti altri due passi, ma quello ti chiese di venire
ancora più avanti, e avanti ancora, fino a quando non ti
trovasti esattamente a dieci centimetri da lui. Ti osservò,
per
qualche attimo, poi, con una certa tranquillità,
portò le
mani alla tua armatura.
Tlack, il primo pezzo cadde.
Cloc, ecco il secondo.
E il terzo, il quarto, tutti, fino a lasciarti con una semplice veste
di maglia che portavi sotto di essa. Allora le due braccia si
allargarono ancora di più, circondandoti, e portandoti poi a
contatto contro il suo petto.
Un abbraccio.
Tremasti, a quella stretta così potente, portando con fatica
le braccia attorno al suo collo, premendo il viso contro la
spalla ferita e pulendoti alla sua veste.
Silenzio,
lacrime,
sangue.
<< Questa armatura... è diventata troppo
Piccola. Te ne farò fare una nuova. Una bellissima.
>>
Stretta, già, lo era diventata tanto da toglierti il respiro.
Ma se adesso il tuo corpo stava lì, tra le braccia di
quell'uomo tanto debole e tanto forte...
... la tua anima era rimasta imprigionata per sempre dentro acciaio di
quell'armatura scarlatta.
*
Firenze.
Poteva essere una qualunque giornata di dicembre, quella, nella
città.
Poteva, se non fosse stato per qualcosa che attraeva i tuoi occhi.
In piedi, in un'armatura più grande, adatta ad un corpo che
improvvisamente era cresciuto, eri rimasta lì anche quando
la
folla era iniziata ad andarsene, dopo giorni e giorni, a osservare la
novità che, ormai, era diventata abitudine.
I tuoi occhi ondeggiarono ancora, a seguire la cosa che dondolava dal
Palazzo della Signoria, scossa dal vento.
Un cadavere.
Accanto a lui altri, logorati dal freddo e dal tempo.
I nocciolati vagarono ancora, annoiati, mentre seguivi il ritmo di
quegli ondeggiamenti ticchettando le tue dita coperte d'acciaio
sull'elsa della spada;
disgustata? Oh, no.
Soddisfatta. Vendetta era stata finalmente fatta.
E adesso?
Ti eri abituata fin troppo a quell'armatura, tanto che la toglievi solo
per dormire. Lorenzo ti abbracciava poche volte, rinchiuso in un lutto
fatto d'arte o poesie recitanti l'incertezza del domani, e sentivi
pervadere in te un senso di freddo. Come quando, in quei mesi, si
faceva l'abitudine a essere colpiti in faccia dal vento gelido.
<< Oh, ma tu guarda! >>
Sussultasti di colpo, facendo saltare i pezzi della tua armatura: e
adesso chi era che pareva tanto felice con tutto quel freddo da
mettersi a parlare da solo?
Ti voltasti, osservando basita quella figura:
un uomo, di circa venticinque anni, cosa che si poteva dedurre dalla
leggera barba bionda adatta a quelli che non erano più
ragazzi;
con una mano simulava una lente, puntata dritta sul cadavere
penzolante, mentre con l'altra teneva un foglio, una penna e un
calamaio.
Sotto i tuoi occhi stupefatti si sedé nel bel mezzo della piazza,
srotolando il foglio sulle sue gambe e inumidendo nella boccia nera la
piuma bianca.
<< Ehi, scusa. >>
Disse, facendoti uno strano segno con la mano.
<< Potresti... spostarti? Sai, mi occupi tutta la
visuale. E ci
tengo a farlo bene, questo disegno... me l'ha ordinato Lorenzo de
Medici, mica qualche nobilotto qualunque! >>
A quelle parole, oltre al toglierti dalla sua mira, come ti era stato
detto, decidesti finalmente di aprire bocca; inoltre, sentivi una
strana sensazione, la stessa che provavi quando Lorenzo ancora ti
trattava come la sua piccola pupilla.
<< Oh... lavora per i Mio Signore? >>
Chiedesti, educatamente.
Gli occhi azzurri di quello, che già aveva iniziato a far
scivolare la penna, schizzarono veloci sui tuoi, facendoti addirittura
arrossire.
<< Oh! Aspetta, aspetta... >>
Esclamò, sfiorandosi il mento con la piuma leggera.
<< Ma certo! Oh, come ho fatto a non riconoscerti! Sei
Marina,
vero? La piccola Marina! Quella che se n'è andata fino in
Turchia pur di riprendere il Bardini e impiccarlo! Oh, ti devo un gran
favore, è grazie a te che ho il mio primo lavoro importante!
>>
Cocluse, puntando la penna contro il cadavere del sopracitato uomo e
schizzando ovunque l'inchiostro.
Tu annuisti, non sapendo se sentirti elogiata o che altro.
"Ma guarda tu che tip-"
Non potesti nemmeno relizzare tale pensiero che la mano del biondo
strinse la tua, guantata, avvicinandoti tanto a lui e portandoti a
sedere.
Calore.
In un attimo un calore che per tanto tempo non avevi sentito,
tornò a scaldarti meravigliosamente il cuore.
<< Vieni, vieni qui accanto a me! >>
Gioì,
osservandoti dopo ciò. << Oh, sei proprio una
fanciullina
meravigliosa! Ma... questa armatura non si adatta al tuo viso delicato.
Ci vorrebbe un bel vestito di seta, al diavolo se è
inverno!>>
"Cielo, quanto parla."
ti venne da pensare.
Ma in ogni parola che quell'uomo diceva trapelava un'intelligenza che
forse non potevi neanche immaginare, in quel momento.
E... l'idea di vestirti in tale modo, a essere sinceri, non ti
dispiaceva affatto.
In quel momento, accanto a lui, ti sentivi di nuovo una bambina.
<< Mi scusi. >>
Lo interrompesti, guardandolo con le guance leggermente rosse, come non
lo erano da quasi un anno.
<< Lei conosce il mio nome... ma io non so il suo.
Può dirmi come si chiama? >>
Quello ti sorrise, mostrando una fila di denti perlati e un viso che,
se non fosse stato per quella barba e i capelli ricci e un po' lunghi,
ti sarebbe parso quello di un bambino per la sua solarità.
<< Hai ragione, Mia Bambina del Giglio Puro di Firenze.
>>
Disse.
<< Il mio Nome è Leonardo, Leonardo Da Vinci.
>>
- Nel
1478 la famiglia dei Pazzi, con l'appoggio del papa, attenta alla vita
dei due de Medici, riuscendo a uccidere il minore, Giuliano.
L'anno a
seguire, senza che
il Magnifico debba sporcarsi le mani o dare semplicemente ordini, tutti
coloro che hanno partecipato alla congiura vengono uccisi, i corpi
vengono trascinati per le strade, lapidati, torturati, altri impiccati
e lasciati penzolare dallo stesso Palazzo della Signoria.
In questi
anni, alla corte
Medicea si avvicina la figura di un giovane e promettente artista a cui
Lorenzo darà il compito di ritrarre il cadavere
dell'assassino
del fratello; il nome di tale artista è Leonardo Da Vinci,
che
in futuro verrà conosciuto dall'intero mondo.-
________*
Note
dell'Autrice.
* S'intendono i Guelfi Neri e i Guelfi Bianchi.
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