Dietro le
quinte di una gabbia invisibile ~
prompt: #022,
nightingale
Le
riprese andavano avanti da tempo immemore.
Si era parlato di concludere in poche settimane, all’inizio; ma
l’avvento del technicolor – e le scarpette rosse e il sentiero
dorato e tutto il resto – li aveva presto portati a ricominciare
praticamente daccapo. Per non parlare degli incidenti. A quel punto, era
piuttosto normale per chiunque
iniziare a dare segni di scontento e impazienza: Bert
si era già lamentato spesso con Fleming in persona; Jack asseriva da
tempo di aver perso il sonno, per via del cigolante rumore di latta che ormai
lo accompagnava anche una volta smesso il costume di scena; e lo stesso Ray
– anche se detestava ammetterlo – in ogni ora del giorno e della
notte si sentiva in volto il fastidio ruvido della paglia che imbottiva i suoi
vestiti. Davvero, quel film sarebbe probabilmente diventato un successo
mondiale [‘La più grande
emozione cinematografica dai tempi di Biancaneve!’] ma di certo lo
sarebbe stato a caro prezzo.
Soltanto Judy non manifestava
alcun cedimento. Allegra e determinata, continuava a sorridere e a impegnarsi,
alla stregua della Dorothy Gale che era stata chiamata a interpretare. Nemmeno
per lei era facile; l’avevano trasformata in una tale serie di diverse
Dorothy che Ray si meravigliava che potesse ancora riconoscersi – eppure
mai, neanche una volta, gli era parsa scoraggiata. Be’, forse soltanto allora, quando avevano deciso di
tagliare la parte intermedia della loro prima scena insieme. Quello le era proprio dispiaciuto. E non
solo a lei, dopotutto.
Ray sapeva bene, lo aveva capito
dal primo minuto passato con lei sul set, quanto Judy volesse dimostrare di
potercela fare: e forse era per questo che continuava a sbirciarla, non visto,
in cerca di un qualsiasi avviso di stanchezza, un qualunque minimo pretesto per
poterle tendere la mano e dirle non sei
sola in questo mondo.
Perché – per quanto bene recitasse – anche Judy era
stanca. E lei aveva solo sedici anni. Non era nell’età giusta per
stancarsi di niente.
C’erano tante piccole cose
a suggerirglielo, cose che magari non notava nessun altro: il modo in cui gli stringeva
più forte la mano, dopo l’ennesima prova del numero del Jitterbug, come a
cercare il suo sostegno per continuare; o gli sguardi assonnati che gli
lanciava alla sera, prima di augurargli la buonanotte con voce fin troppo
smorzata; oppure anche quei lunghissimi minuti che passava sola nella sua
stanza ogni giorno – no, non il tipico ritardo femminile e adolescenziale:
Judy era molto zelante. Se si teneva tutto quel tempo stretto addosso, non
poteva che servirle a costruirsi quella maschera di ottimismo con la quale
andava incontro a tutti loro.
E a Ray – più della
paglia – questo faceva male da
morire.
Era stato con quei pensieri che quel
pomeriggio aveva bussato alla sua porta, l’abito di scena già
indosso, la tela sul viso e la gabbia sotto il braccio.
«Ti ho portato una
cosa.»
Judy gli aveva aperto subito,
anche lei pronta [bellissima] nel suo vestitino azzurro, gli occhi pieni di
nient’altro che non fosse curiosità e la pura gioia di vederlo.
Gli facevano sempre un certo effetto, quegli occhi. Dovevano esserci tante cose
non dette, dietro, ma ciò che
era in bella vista non lo lasciava meno confuso e nervoso.
«Che cosa?»
L’aveva lasciato entrare
guardando il panno che copriva la gabbia. Ray si era fermato sulla soglia, un
po’ impacciato; solo dopo un lungo momento – in cui si era concesso
di studiare con garbo il suo sorriso incoraggiante – aveva tirato via la
stoffa per mostrarle l’uccellino.
«Mi hanno fatto un regalo
di compleanno che credo sia molto più adatto a te.»
Ora, era da diversi secondi che
Judy andava con lo sguardo da lui alla gabbia, un po’ smarrita. Ray si
chiedeva se comprendesse il vero motivo di quel gesto: ne avevano parlato,
qualche volta, di quella gabbia più grande e più bella e
più invisibile che era il loro universo, e nella quale nessuno –
nella quale lei non meritava di
finire intrappolata facendo finta che nulla fosse successo, che niente
compromettesse i suoi giorni forzandola a indossare un’aura dorata anche quando
dentro aveva voglia di urlare. Ne avevano parlato; e Judy era una ragazza
troppo intelligente per non capire. Anche se quell’aura era bendisposta
ad accettarla.
Ma per una volta, per una sola
volta, smascherata da un amico e dal canto triste di un usignolo in gabbia,
Judy Garland concesse ai propri occhi lucenti
d’offuscarsi.
E fu molto più commosso, e
più umido, ma anche più vero il sorriso con cui si rivolse di
nuovo a Ray.
«Anch’io ho una cosa
per te.»
Non aspettò di ricevere
una risposta. Scostò appena la gabbia con l’usignolo,
perché non fosse più d’ostacolo tra loro; e si
sollevò sulle punte delle scarpette rosse, e sfiorò i lembi della
maschera grezza che gli copriva il volto. Ray si tirò indietro, con un po’ meno convinzione di quella
che avrebbe voluto e dovuto avere.
«No, cosa – ferma! Ci vorranno altre sei ore
per...!»
Ma quel sorriso gli spense le
parole in gola.
Quando neppure la maschera fu
più un ostacolo, e con quello stesso sorriso Judy gli sfiorò le
labbra, Ray dovette impegnarsi a fondo per ricordarsi che lei aveva solo sedici anni.
«In scena tra due minuti!»
Al grido del megafono di Fleming,
Judy si ritrasse e rivolse quell’espressione incantevole che aveva solo
per lui all’usignolo; e davvero, per un attimo ne fu geloso. Poi, mentre lei prendeva con delicatezza la gabbia, lui
fece del suo meglio per risistemarsi la maschera, nascondendo l’imbarazzo
dietro la solita allegria da Spaventapasseri.
«Ho, ehm, paura che ce ne
vorranno più di due.»
Risero piano insieme, e dopo aver
posato la gabbia accanto al suo letto, Judy lo prese per mano e lo guidò
fuori alla ricerca di una truccatrice sfaccendata.
«A proposito... Grazie,
Ray.» Anche stavolta lo strinse più forte, ma non fu per
debolezza. C’era una nuova forza nel suo tocco. «E buon
compleanno.»
Ray ricambiò, grattandosi una guancia con la mano libera, e
canticchiando qualcosa che suonò come then perhaps I’ll
deserve you and be even worthy
of you [si
augurò di vederlo libero, quell’usignolo. Prima o poi. E anche
Judy] if I only had a brain.
Nota: Nessuna coppia di attori al
mondo può aver sviluppato un legame come quello che Il Mago di Oz fece nascere tra Judy Garland e Ray Bolger. Per tutta
la sua vita, Judy continuò a chiamare Ray ‘il mio Spaventapasseri’,
un pensiero dolcissimo che – a dirne una – non ebbe invece nei
confronti di Jack Haley e Bert
Lahr, il Boscaiolo e il Leone, e che – a dirne
un’altra – ha portato a più recenti collaborazioni, come
quella del 1963 nel Judy Garland Show, che sono esempi di raro e sincero
affetto. Mi piace vederlo come un amore mai compiuto, e spero di non risultarvi
melensa ma, sul serio, per me quei due si amavano e si sono sempre amati.
Le riprese del capolavoro in technicolor del 1939 si conclusero
ufficialmente in quel febbraio. Il compleanno di Ray Bolger
era il 10 gennaio, pertanto questa shot vuole
ambientarsi circa un mese prima della fine della lavorazione al film. Il verso da lui canticchiato nel finale è tratto dalla scena tagliata dal numero di If I only had a brain; lo Spaventapasseri cantava quelle parole a Dorothy.
Tutti i riferimenti alle sofferenze causate dalla produzione sono
assolutamente reali: si ricominciò daccapo dopo aver scelto di usare il
technicolor, e per lo stesso motivo si modificarono particolari importanti del
copione quali la presenza delle scarpette rosse e la pelle verde della Strega
dell’Ovest; i costumi di scena erano realizzati in modo tanto realistico
da risultare dannosi per la salute degli attori; Judy Garland,
allora sedicenne, fu costretta per tutto il tempo a recitare, cantare e ballare
con indosso una fascia che le stringesse il seno, nascondendo l’evidenza
fisica della sua vera età – e naturalmente a partire da questo
momento lo show business la inglobò, segnando per sempre tutta la sua
vita, nel modo tragico che conosciamo più o meno tutti. Fu un lavoro
estenuante che portò a taluni incidenti quasi fatali. Eppure, il
risultato è un’autentica magia, che ha avuto il massimo merito di
unire persone straordinarie.
A Ray e Judy, ovunque siano,
sperando che siano insieme. ♥