Era l'1 di settembre, primo giorno di scuola. La stazione di King's
Cross era molto affollata: persone che correvano per raggiungere in
tempo il loro binario, controllori che giravano per le banchine
guardando tutti come potenziali terroristi e, cosa abbastanza insolita,
moltissimi ragazzi che spingevano carrelli per i bagagli carichi di
bauli e gabbie per gufi, animali non propriamente domestici... Intorno
a questi ragazzi c'erano i loro familiari, che facevano mille
raccomandazioni e salutavano i giovani, in partenza per chissà
quale meta lontana. Il controllore che sorvegliava i binari 8, 9 e 10
li teneva sempre tutti d'occhio, controllando che non facessero danni,
ma non appena li perdeva di vista per un secondo questi sparivano senza
che lui se ne accorgesse. Ma il controllore osservava in modo
particolare i ragazzi "nuovi", quelli che non aveva mai visto gli anni
precedenti e che sembravano sempre furtivi: si aggiravano tra i binari
guardandosi intorno e studiando ogni minimo dettaglio della stazione,
spingendo sempre quei carrelli carichi di bagagli insoliti. In
particolare quell'anno, c'erano dei ragazzini quanto mai sospetti. Uno
sembrava essere molto ricco: camminava per la banchina sicuro di
sé, con sguardo fiero e orgoglioso mentre spingeva un carrello.
Accanto a lui un ragazzo biondo, ben più grande che sembrava
fargli una predica infinita. Erano seguiti a breve distanza da due
ragazze, una bionda e una mora, forse coetanee. Il controllore distolse
lo sguardo dal gruppetto per concentrarsi su una coppia, una ragazza
dai capelli rossi e un ragazzo coi capelli neri, che salutavano le
rispettive famiglie. Più in la ancora un ragazzino grassoccio
stava correndo, spingendo affannato il suo carrello, accompagnato dal
padre e la madre, altrettanto affannati. Probabilmente erano in
ritardo, pensò il controllore. Spostò ancora lo sguardo,
che cadde su un ragazzo con i capelli neri arruffati e degli occhiali
tondeggianti. Aveva un sorriso smagliante, mentre annuiva alle parole
dei genitori, che probabilmente facevano le classiche raccomandazioni.
Un passante chiese al controllore da dove partisse il treno per
Brighton, e lui nel distrarsi si perse la sparizione di tutti quei
ragazzini che, appoggiatisi distrattamente a una colonna o correndole
incontro, l'avevano attraversata ritrovandosi sulla banchina del
binario 9 e 3/4 . Quando alzò lo sguardo era troppo impegnato a
controllare la situazione per accorgersi della mancanza di quei
ragazzi. Circa dieci minuti dopo notò un ragazzino che si
guardava intorno spaesato, trascinandosi dietro un baule dall'aria
pesante. Non appena vide il controllore si diresse verso di lui,
titubante, e quando lo raggiunse lo guardò con degli occhi che
sembravano d'oro.
– Mi scusi, dove si trova il binario 9 e 3/4? – gli chiese.
L'uomo lo guardò sconcertato. Era ovvio che stesse scherzando, ma i suoi occhi sembravano sinceri...
– Scherzi, vero? Qui non c'è nessun binario contrassegnato con quel numero! – gli rispose.
Il ragazzino lo fissò allibito, come se avesse appena scoperto
una cosa terribile. Lo ringraziò e si allontanò
trascinando il suo bagaglio. Si sedette su una panca e si prese la
testa tra le mani. Possibile...?, pensò. Sollevò lo
sguardo puntando gli occhi sulle rotaie, ma qualcosa di scintillante
sulla banchina catturò la sua attenzione. Si alzò e si
avvicinò al piccolo oggetto. Si chinò a raccoglierlo,
scoprendo che era una spilla su cui era inciso uno stemma, come di un
casato nobiliare. Se la rigirava tra le mani, cercando di capirne la
provenienza, quando una scritta gli svelò il mistero:
"Proprietà della famiglia Black". Si chiese chi potessero mai
essere, quando con un gesto improvviso qualcuno gli tolse l'oggetto
dalle mani.
– Questa non è roba tua, pezzente. – disse un ragazzo dai
capelli biondi, quasi bianchi, sprezzante. – Tieni, e vedi di non
perderla di nuovo, sciocco. – Si era rivolto a un ragazzo alle sue
spalle, cui la mise sul palmo destro. Il ragazzo bofonchiò
qualcosa, forse un "grazie" e con la coda dell'occhio guardò
l'altro allontanarsi. Dopodiché si rivolse all'altro, dicendo: –
Grazie per aver trovato la mia spilla – con tono gentile.
– Oh, figurati. – rispose quello con un sorriso timido.
Il moro non aggiunse nulla, ma si voltò e lanciò con furia il piccolo oggetto in mezzo alle rotaie.
– M... Ma che fai?! – gli disse guardandolo allibito.
– Cosa c'è? – chiese l'altro.
– È sicuramente preziosa! Io se avessi un oggetto del genere non lo butterei... –
– Se avessi una famiglia come la mia, rappresentata dallo stemma su quella spilla, la getteresti anche tu, fidati. –
Il ragazzo non rispose, ma abbassò lo sguardo, imbarazzato. Poi gli venne in mente una cosa.
– Ah... Senti, non è che per caso sai dov'è il
binario...? –, non fece in tempo a finire la domanda che questo rispose.
– Ma certo, seguimi! Sai, sono anch'io del primo anno! –, disse con
aria allegra. Forse perché almeno ora conosceva qualcuno
all'infuori del ragazzo di poco prima, un suo probabile parente?
Comunque, il ragazzo corse a recuperare il suo baule ma non appena si
voltò l'altro era sparito. Si
chiese che fine avesse fatto, quando si sentì chiamare.
Guardò in direzione della voce e quasi gli venne un colpo: la
testa di quel ragazzo spuntava da una colonna, come se ci fosse
cementata dentro!
– Ehi, che ci fai li imbambolato? Così attiri l'attenzione! Vieni qui! – gli sussurrò.
Un sussurro rumoroso, a dire il vero, dato che il controllore si
voltò nella loro direzione. Quando vide una testa che spuntava
da una colonna prima spalancò gli occhi, poi li chiuse un paio
di volte, e poi se li stropicciò. Quando finì la testa
non c'era più, così come il ragazzo li di fronte, che era
stato trascinato con tutto il baule nella parete. Quest'ultimo fu molto
sorpreso quando, anziché spiaccicarsi sui mattoni della colonna,
si ritrovò su tutta un'altra banchina. Sulle rotaie un
treno a vapore scarlatto aspettava quieto i suoi passeggeri, ragazzi di
varie età che salutavano per l'ennesima volta i genitori che li
avevano seguiti fin li e che iniziavano a salire sul treno per poter
trovare un buon posto. Alcuni controllori erano impegnati a caricare
pesanti bauli e gabbie dagli ospiti inquieti nel vagone bagagli, mentre
altri soffiando nel loro fischietto davano il segnale che il treno era
in prossimità di partire.
– Lascia la il tuo baule, te lo metteranno sul treno. – disse il moretto.
– Ah... Va bene! – rispose l'altro, un po' intimidito dal tono autoritario del ragazzo.
Una volta lasciato il baule, sentì la voce dell'altro dirgli:
– Comunque... Il mio nome è Sirius Black. –
– Oh... Molto piacere! Io sono Remus Lupin. – disse.
Voltandosi vide che il ragazzo era rimasto sulle scalette davanti ad
uno degli ingressi del treno ad aspettarlo. Quando vide che lo
osservava gli sorrise dicendogli: – Sbrighiamoci a trovare posto, il
treno sta per partire. Non vorrai restare qui, vero? –
– Oh... Certo che no! – rispose sorridendo di rimando.
Sirius salì sul treno, seguito subito da Remus. Iniziarono a
viaggiare per i vagoni, cercando uno scomparto vuoto, finché non
si ritrovarono in un vagone pieno di ragazzi più grandi,
probabilmente del sesto anno. Erano quasi a metà del corridoio
quando una porta si aprì lasciando spuntare fuori la testa di
una ragazza dai capelli neri.
– Ehi, Sirius! Perché non vieni qui con il resto della famiglia?
Vogliamo far vedere agli altri il nuovo acquisto dei Serpeverde! –
disse.
– Bella, quante volte ti ho detto che io non sarò un Serpeverde
come voi? Voglio essere un Grifondoro! – ribatté l'altro,
visibilmente contrariato.
La ragazza replicò a quell'affermazione con una smorfia di
disgusto, quasi l'altro avesse detto chissà quale
oscenità.
– Come ti pare, ci rinuncio. Tanto si sa già dove ti
porterà il tuo sangue, e la risposta è: Serpeverde! –
sibilò, per poi scomparire subito dopo nel proprio scomparto.
Remus aveva assistito allo scambio in un silenzio attonito, quasi non
riuscisse a capire il perché di tutto quell'astio tra due membri
della stessa famiglia. Osservò Sirius, il quale fece un gesto
abbastanza eloquente in direzione del punto nel quale la sua parente
era appena scomparsa. Poi si voltò e riprese a camminare come se
nulla fosse, sebbene i suoi occhi tradissero un certo nervosismo. Remus
sperò che quel ragazzo tanto gentile solo un attimo prima non
fosse mutato in un prepotente come sembravano essere i suoi familiari a
causa di quel breve diverbio, e lo seguì nonostante questo suo
timore per forza di cose: non ci teneva a restare da solo. Neanche
era arrivato ad Hogwarts e già si sentiva un potenziale
bersaglio per i bulli, come era sempre stato nella sua vecchia scuola
babbana!
Ma il sorriso dell’altro, che si era voltato per segnalargli che
aveva trovato uno scompartimento libero, bastò a rincuorarlo a
sufficienza. Lo seguì senza esitazione, sedendosi nel sedile
accanto al finestrino, di fronte a quello di Sirius, che ora continuava
a scrutarlo sorridendo. E ci vollero pochi istanti perché Remus
arrossisse, a disagio sotto il suo sguardo curioso.
– Sei un Mezzosangue, vero? – domandò
improvvisamente Sirius, e Remus volle sprofondare all’istante nel
proprio sedile. Era così evidente che non discendesse da una
famiglia di stirpe magica come l’altro?
Si agitò nel proprio posto, a disagio, prima di annuire. –
Si, i miei genitori non sono maghi. – sussurrò,
guardandosi i piedi. Chissà che questo non significasse che la
loro amicizia era giunta alla fine ancor prima di incominciare. Ma di
nuovo, Sirius si limitò a sorridere ed annuire, allegramente.
– Questo significa che dovrò insegnarti tutto ciò
che c’è da sapere su Hogwarts, eh? – disse, come se
ne fosse felice. Ma perché mai avrebbe dovuto esserlo?
Stava proprio per chiederlo quando la porta del loro scomparto si
aprì di colpo, rivelando un ragazzo moro come Sirius, con gli
occhi vivaci coperti da un paio di spessi occhiali tondi. Remus non
fece in tempo a domandarsi chi fosse che già il suo nuovo amico
si era alzato per accoglierlo. Non proprio calorosamente.
– Cosa vuoi, Potter? – chiese infatti, sprezzante.
– Non fa piacere neanche a me, ma a quanto pare tutto il treno
è invaso dai tuoi parenti, Black. – replicò
l’altro, storcendo il naso. – Per cui questo è
l’unico posto disponibile. Relativamente. – aggiunse, come
a far capire che mal sopportava l’altro.
– Sono anche parenti tuoi, cugino. – ghignò Sirius,
tranquillo. Non ce l’aveva con lui, alla fine; era uno dei
parenti che apprezzava di più. Peccato che...
– Sono imparentato con un gruppo di Serpi, ma che bello! Come mai
non fai loro compagnia? Sono certo che sarebbero lieti di dirti come ci
si comporta da principini a scuola, mh? –
Sirius sospirò, scuotendo la testa. Remus invece restò in
silenzio, ascoltando quello scambio di battute acide come se si
trattasse di una partita di tennis. Non seppe che fare quando Sirius si
limitò a scrollare le spalle e a poggiare il gomito sul ripiano
accanto al finestrino, posando poi il volto sulla propria mano per
guardare il paesaggio che iniziava a muoversi.
Un fischio acuto si espanse nell’aria, segnalando la partenza del treno.
“Potter”, come era stato chiamato dall’altro,
adocchiò con diffidenza Remus, che ricambiò il suo
sguardo duro con uno più timido. Fu probabilmente questo che
convinse l’altro ad occupare il posto accanto al suo, lontano dal
cugino che continuava a guardare fuori dal finestrino.
Per un istante Remus fece guizzare lo sguardo dall’uno
all’altro, e poi si fece coraggio e si voltò verso il suo
vicino, dicendo con voce incerta ma chiara: – Sono certo che ti
sbagli. Sirius non è una Serpe; ha detto di voler essere un
Grifondoro... Qualunque cosa questo significhi. –
Entrambi gli occupanti dello scompartimento sussultarono, come se gli avesse appena detto di avere una testa mozzata nel baule.
– Davvero non sai come funziona Hogwarts? Anche se ci stai
andando? Devi essere un mezzosangue! – esclamò James.
Remus arrossì, capendo perché fosse così evidente
la sua estraneità a quel mondo, e annuì piano. Ecco una
delle prime cose che si sarebbe dovuto far spiegare da Sirius...
Che, stando alla sua frase precedente, sembrava intenzionato a restare
con lui per insegnargli tutto ciò che ignorava.
E infatti, come se gli avesse letto nel pensiero, Sirius si
voltò e interruppe il cugino, che era rimasto a bocca aperta per
lo stupore e stava per dire qualcosa, dicendo: – Pensavo che
sapessi almeno queste cose! Ad Hogwarts ci sono quattro case –
Tassorosso, Corvonero, Serpeverde e Grifondoro – dove gli studenti
vivono come se fossero in famiglia. – iniziò pazientemente
a spiegare, mentre Remus lo guardava con aria concentrata. In
famiglia... Quindi...?
– Quindi i membri della stessa famiglia finiscono nella stessa
casa? – domandò cauto; aveva notato che non era quello che
Sirius desiderava, e il suo presentimento fu confermato
dall’espressione dell’altro, che s’indurì come
a voler contenere una smorfia similare a quella della sua parente di
poco prima, in corridoio.
– Può capitare, si, ma non è detto. E in tutta onestà spero che non capiti a me. –
Quest’affermazione attirò l’attenzione di Potter, che si mise ad osservare il cugino. Lui lo ignorò.
– Ogni casa ha il suo tratto distintivo. Tassorosso ha la
lealtà, Corvonero l’intelligenza, Grifondoro il coraggio
e... – e qui l’altro lo interruppe.
– E Serpeverde il viscidume, come s’intuisce dal nome.
– Probabilmente voleva fare una battuta sprezzante sui propri
parenti per offendere Sirius, che si limitò ad annuire. E ad
aggiungere: – E non solo. –
L’espressione di Remus si fece ancora più confusa per un
istante, prima che il ragazzo accanto a lui sbuffasse: – Piantala
con questa recita, Black. Sappiamo tutti che sei marcio come tutti i
tuoi parenti! –
Lupin restò a bocca aperta, colpito dalla durezza di quella
frase, e sobbalzò quando sentì una specie di ringhio
provenire da di fronte a lui.
– Non osare paragonarmi a quella gente, Potter! – disse,
rabbioso, e Remus già temeva che potesse scoppiare una specie di
rissa, verbale o meno.
Ma, per sua fortuna, la porta dello scompartimento si aprì e un
ragazzo dall’aria impacciata sporse la testa all’interno.
Tutti si voltarono a guardarlo, e fu come se la tensione uscisse dal
piccolo spazio in cui si trovavano.
– Uhm, s–scusate, i–io non so d–dove sedermi... –
balbettò il nuovo arrivato, incerto, probabilmente intimorito
dagli sguardi freddi di due dei tre occupanti dello scomparto, che
però annuirono semplicemente, dando il loro consenso, prima di
tornare uno a guardare fuori dal finestrino e l’altro il
pavimento, le braccia incrociate al petto in un gesto di stizza.
Remus era molto a disagio, per cui osservò il ragazzo sedersi
sul sedile opposto a quello di Sirius, tentando di stare lontano da
entrambi i cugini. Esitò un attimo, e poi si rivolse gentilmente
a lui: – Piacere, io mi chiamo Remus Lupin! – disse, con un
sorriso.
L’altro sembrò arrossire a disagio, ancora più timido di lui stesso; la cosa lo intenerì.
– Io sono P–Peter Minus, piacere di conoscerti... – rispose, balbettando ancora.
Gli altri due si presentarono all’unisono, scoccandosi poi
un’occhiata omicida prima di ripetere i propri nomi con freddezza
ma più calma.
– Sirius Black. –
– James Potter. –
Dopodiché, il silenzio calò nello scompartimento. Remus
si rassegnò al pensiero che la conversazione fosse finita e
tirò fuori un libro dalla tasca del cappotto che indossava.
Iniziò a leggere, la testa piena di pensieri e il cuore di
emozioni,impaziente di arrivare alla scuola. Talmente tanto che
riuscì a leggere solo un paio di pagine fino al momento in cui
la porta si aprì di nuovo.
Sollevò lo sguardo dal volume, curioso, notando che ora sull’uscio c’erano un ragazzo e una ragazza ridente.
– Possiamo sederci qui? – chiese lei, cortesemente. A
questo punto era evidente che il treno fosse pieno. I ragazzi annuirono
tutti tranquillamente, più calmi rispetto a poco prima, ma Peter
saltò nervosamente sul sedile accanto al suo, finendo vicino a
Sirius, quando il ragazzo dai capelli neri che accompagnava la ragazza
dai capelli rossi gli lanciò un’occhiataccia abbastanza
eloquente. L’altra sembrò non notarlo mentre occupava il
posto accanto a James.
– Io sono Lily Evans, piacere! – cinguettò, allegra,
l’emozione palese nella sua voce – E lui è il mio
amico, Severus Piton! – presentò l’altro con un
sorriso, ma ricevette un’altra occhiata torva: era chiaro che
egli non volesse far sapere il proprio nome a degli sconosciuti con
così tanta leggerezza.
Ci fu un altro giro di nomi da parte dei ragazzi, che osservarono la
coppia di nuovi arrivati con curiosità e, nel caso di Peter,
ulteriore timore.
I due si misero a chiacchierare come se fossero soli, parlando delle
loro aspettative e dell’impazienza di lei di arrivare, fin quando
Lily non voltò lo sguardo e notò il volume tra le mani di
Remus.
– Oh! James Joyce? – domandò, iniziando ad
intrattenere col ragazzo una conversazione sull’autore, che a
quanto pare era il suo preferito. James, in mezzo a loro, non
poté non seguire il dibattito su quale fosse la sua migliore
opera con un’espressione annoiata sul viso, mentre i due
scoprivano di avere una passione in comune: la lettura. E il fatto che
fossero entrambi figli di babbani agevolava la cosa.
L’unica differenza era che Lily, conoscendo altri maghi come
Severus, aveva avuto modo di informarsi e studiare qualcosa di magia e
soprattutto sul mondo dei maghi, che a Remus appariva ancora come
ignoto e misterioso.
Presto ebbero fatto amicizia e la conversazione si spostò su
argomenti interessanti anche per gli altri: si parlò delle
lezioni che avrebbero affrontato, le varie materie scolastiche, gli
sport praticabili a scuola, le mille persone che si sarebbero
incontrate e conosciute.
L’intero scompartimento iniziò a parlare: tutti e sei,
eccezion fatta per Severus, più chiuso degli altri, dissero la
propria sul loro futuro, e anche Peter una volta che si fu rilassato si
rivelò essere un chiacchierone.
Tutto andò bene fin quando Sirius e James iniziarono a discutere
con Severus, il quale sosteneva di preferire l’insegnamento delle
Arti Oscure, piuttosto che la difesa contro di esse. Gli altri due
ragazzi lo attaccarono quasi, e Lily s’intromise. Il battibecco
finì con i due che abbandonavano lo scomparto, stizziti e
arrabbiati, sbattendo la porta alle loro spalle mentre James e Sirius
continuavano a parlare tra loro di quell’argomento sul quale
sembravano stranamente concordare.
Remus era atterrito: e lui che pensava di essersi fatto due amici! E
così, senza pensarci due volte, si alzò e seguì
gli altri due fuori dallo scompartimento, ignorando la voce di Peter
che gli chiedeva dove stesse andando.
Raggiunse in breve Lily e Severus, ancora in cerca di un altro posto a sedere, e li fermò nel mezzo del corridoio.
– Mi dispiace per quello che hanno detto i miei amici. – si
scusò, senza sapere perché si riferisse a dei quasi
sconosciuti con quell’aggettivo.
Lily sospirò e si fermò, incrociando le braccia al petto
e guardandolo accigliata. – Non ce l’ho con te, ma mi da
molto fastidio quel genere di comportamento. Attento a non farti
rovinare; mi sembri simpatico. – si limitò a dire prima di
girare sui tacchi e sparire in un altro vagone, seguita in silenzio da
Severus.
Remus sospirò a sua volta, tornando al proprio scomparto.
Ma proprio mentre si stava avvicinando, una porta si aprì e una
mano lo afferrò per il polso, trascinandolo dentro.
– Ma guarda che bel ragazzino! Sei un amico di Sir, uh?
Chissà che ci trova in un patetico Mezzosangue come te! –
disse crudelmente una voce conosciuta.
Lupin aprì gli occhi solo per trovarsi al centro
dell’attenzione di ben sei ragazzi e ragazze riccamente vestiti,
tutti con la stessa spilla che aveva trovato in stazione. E quella
ragazza dalla voce familiare, era niente di meno che la cugina di
Sirius, quella che lo aveva insultato prima!
Il povero ragazzo non poté fare a meno di arrossire a disagio.
Non fece in tempo ad aprir bocca per replicare che un’altra voce
femminile disse: – Che carino, è proprio un peccato che
sia un pezzente! –
– E un moccioso. – aggiunse qualcuno, un uomo questa volta.
Remus si sentì a disagio come non mai mentre quelle parole di
scherno piovevano su di lui come grandine, e per questo si
guardò intorno in cerca di aiuto.
Pensò di trovare conforto in Sirius, seduto in un angolo, ma
subito realizzò di sbagliarsi: si, quel ragazzo somigliava in
maniera impressionante a Sirius, ma non poteva essere lui! Era
più grande, e indossava una divisa scolastica bordata di verde.
Non parlava, si limitava a fissarlo. E se possibile questo lo rese
ancora più inquietante degli altri.
Remus tentò di fuggire dallo scompartimento, aprendo la porta e
saltando fuori, seguito da altre risate, ma non poté fare un
passo in direzione del proprio scomparto che si schiantò contro
un ragazzo più alto di lui, dai sottili capelli biondi. Lo
riconobbe come quello che, in stazione, aveva ammonito Sirius per aver
perso la spilla. Il suo sguardo era superbo e freddo, e Lupin non
riuscì a non arrossire dall’imbarazzo, indietreggiando
appena, incapace di scusarsi.
L’altro sembrava in procinto di dire qualcosa quando una voce venne in suo soccorso.
– Oh, signor Prefetto, presto, c’è un emergenza nel reparto Serpi velenose! – disse, beffarda.
Il ragazzo si voltò e scoccò un’occhiata sprezzante
a Sirius, alle sue spalle, prima di rivolgersi nuovamente a Remus. Un
ultimo sguardo e lo scansò con la mano come se fosse immondizia
di poco conto, rientrando nel proprio scomparto senza una parola.
Il povero ragazzo, a questo punto, schizzò in direzione di
Sirius, deciso ad allontanarsi da li il prima possibile. Guardò
imbarazzato e confuso il suo amico, che con un sorriso rassicurante gli
spiegò: – Non ti vedevo tornare e mi sono preoccupato.
– come se fosse la cosa più naturale del mondo. – E
a quanto pare ho fatto bene; quello è Lucius Malfoy, un altro
mio caro cugino. Cerca di stargli alla larga, non è un tipo
raccomandabile. Non farti ingannare dalla spilla da Prefetto e
dall’aria nobile. Anzi, più precisamente è di tutti
i Serpeverde che devi diffidare. – disse mentre tornavano insieme
al proprio scompartimento.
Remus annuì, confuso. – Ma perché ce l’avevano con me? – chiese, ancora scosso.
L’altro gli mise un braccio attorno alle spalle, confortante.
– Nessuna ragione in particolare, fanno così con tutti.
Forse se la sono presa con te perché prima eri con me. –
disse, scrollando le spalle come se fosse normale.
Quando vide l’altro abbassare lo sguardo preoccupato però si affrettò a correre ai ripari.
– Ah, ma devono solo provarci a farti qualcosa di male! Se
feriscono uno qualunque dei miei amici gliela farò pagare cara!
Quindi, d’ora in poi ti difenderò io! – disse con un
sorriso smagliante.
Remus rimase quasi a bocca aperta, sorpreso da tale dichiarazione. Ma
non si chiese il perché: capì semplicemente che Sirius
doveva essere davvero diverso dal resto della famiglia, e che aveva un
cuore d’oro.
Per cui si limitò a sorridere e a seguirlo all’interno
dello scompartimento, sperando che il resto del viaggio potesse essere
tranquillo.
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