MONOLOGO
DI UNA RAGAZZA SPEZZATA
Credete
che sia vero quando dicono che c’è un limite al
dolore?
Credete
che sia vero quando la gente dice che, se precipiti in un incubo, poi
puoi sempre
uscirne, per quanto possa sembrare impossibile?
Beh,
no. Non è vero niente!
Io
so che dal dolore viene generato altro dolore. Io so che
l’orrore genera altro
orrore e che il male genera altro male e che una vita che va in pezzi
non può
essere ricostruita. A meno che non si possegga la forza necessaria per
farlo.
Io non ce l’ho. Non ce l’ho quella forza, cazzo.
Non più. Non sono come
pensavo.
Ho
abortito.
Non
ricordo molto di quel giorno. Solo che sono stata trasportata in
ospedale e che
qualche tempo dopo ne sono uscita. Vuota.
E
urlante.
E
vuota. E urlante.
Urlavo
e urlavo e urlavo e urlavo e urlavo e nessuno diceva niente
perché credevano
che avrei smesso prima o poi. Poi qualcuno mi ha iniettato qualcosa e
allora...
ho smesso. E non ho più urlato. Non ho più aperto
la bocca. Ho urlato dentro di
me. Ho urlato nel baratro nero che si era aperto sotto i miei piedi. Ho
urlato
alla voragine che si era aperta nel mio ventre. Ho urlato al dolore. Ho
urlato
alla notte che si chiudeva su di me. Ho urlato, sì. E basta.
E nessuno mi
sentiva.
Un
sacco di gente è venuta da me.
Mia
madre.
Oh,
mia madre è dolce e gentile e pacata... è stata
lei a consigliarmi (ordinarmi,
pregarmi) di abortire, perché tanto cosa avrei potuto dare
io a quel bambino?
Non ho nemmeno diciotto anni... non ho un lavoro ed è
già tanto se so badare a
me stessa. Sì, sono state queste le parole. Proprio queste.
Mi ha detto che
questo... non è stato altro che un rimandare. Ho mandato il
bambino in sala
d’attesa e quando sarò pronta ne avrò
uno.
In
una sala d’attesa! Capite? Sala d’attesa!
Mio
padre.
Oh,
no, lui non ha saputo niente. Che cazzo, mi divorava viva... mi avrebbe
picchiata.
Certo. Lui, il padre sempre orgoglioso delle scelte di sua figlia...
I
miei amici. La mia migliore amica.
Anche
lei, con un sacco di belle parole. Con un sacco di parole inutili!
È
arrivato lui. Il mio ragazzo.
Ma
io l’ho guardato senza vederlo. Come se si trattasse di un
estraneo piombato in
casa mia senza permesso.
Sorrideva.
Sorrideva quando è venuto perché forse crede di
poter capire l’orrore che si
prova. Pensa di poter capire quello che si prova. Invece no! Non
capisce!
Perché a lui non è mai fregato un cazzo del
bambino! Lo odio! Stupido! Porco e
maiale! E sul diario avevo pure scritto che lo amavo, che lo
desideravo, che
era stato bello fare l’amore con lui... stronzate. Ho
strappato le pagine e non
so più dove le ho buttate.
E
poi...
Ah,
i sogni. Poi sono arrivati i sogni.
Io
nella camera coperta da un lenzuolo sporco di sangue. Rumore di carne
che si
lacera. Una risata. Una risata demoniaca. Una risata stridula. Accuse.
Voci che
sono come echi che si spezzano e riecheggiano. Pianti. Lacrime
sprecate.
Dolore. E rabbia. E senso di colpa. E un lago rosso in cui vorrei
annegare. E
un deserto di ricordi. E occhi che mi guardano. E mani che mi toccano.
E ancora
echi... parole... aborto, bambino, figlio, anima, Dio, aborto, vita,
morte,
vuoto, cuore, ragione, cervello, battito, madre, padre, colpa. Buio.
ODIO.
Odio verso di lui, che non mi ha aiutata. Né amata.
Né protetta.
ODIO.
Odio verso me stessa.
Credete
ci sia un limite anche all’odio?
Non
c’è. Non c’è come non
c’è limite al dolore.
L’orologio
ha smesso di funzionare. Le lancette sono ferme, aghi rossi morti,
rossi come
il sangue, rossi come l’odio, rossi come la colpa. Rossi...
Basta.
Devo
andare, adesso. È molto tardi.
Non
ho lasciato foglietti. Non ho lasciato messaggi. Non devo dire niente a
nessuno. A nessuno, capito? A nessuno, mai.
Voglio
volare. Perché io so volare, sapete? Adesso andrò
di sopra, sul tetto. E
volerò. Vi assicuro che volerò. Volerò
in alto e giù in picchiata e di nuovo in
alto.
Volerò
e forse tutti mi guarderanno... tutti quanti tutti quanti tutti quanti
tutti
quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti
tutti
quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti
tutti
quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti quanti tutti
quanti...
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Angolo
autrice:
In
questo monologo ci sono evidenti ripetizioni, “errori di
punteggiatura”, frasi
spezzate. È tutto voluto. Essendo un flusso di coscienza, mi
sembrava
innaturale scrivere un testo che fosse completamente corretto. Quindi
se notate
strafalcioni nella punteggiatura si tratta semplicemente di una scelta
personale.
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