Ringrazio Pepy
per avermi avvisata che la storia non era stata
caricata… ^^;
Silenzio. Solo
il mite mormorio delle onde che accarezzavano lo scafo, nient'altro. Quiete, la stessa che precede l’alba. La
fioca luce dell'aurora a far impallidire la luna bianca e le stelle che pian
piano si andavano spegnendo, come lucciole in agonia. Era stato triste
volgere ancora le spalle alla propria terra, allontanarsi da lì per l'ennesima
volta; per poi tornarvi chissà quando... com’era stato allora che aveva preso
il mare con Rufy... Ma, come
allora, di nuovo, adesso, c’era il calore di qualcuno che l’amava a sostenerla,
c’era la sicurezza del ritorno in una patria felice, c’era la volontà ferrea di
realizzare i propri sogni. Aveva raggiunto la felicità. Consolazione? Non era
certo il termine che avrebbe usato per definire la sua nuova vita, visto che
era quella che aveva sempre sognato: navigare per i mari del mondo rincorrendo
il proprio sogno. Questo bastava a farle dono di un sorriso, scacciando così
ogni malinconia. Nojiko, Genzo...
li avrebbe rivisti presto, in fondo.
Si rannicchiò ancora di più contro quel petto robusto che ora la
stringeva a sé, crogiolandosi del meraviglioso calore che emanava, percependo
il suo respiro, ponendo l’orecchio in ascolto di quel cuore forte che l’avrebbe
protetta per sempre. Sorrise, nella dormiveglia. “Zoro...”. Ora erano di nuovo insieme, finalmente. Faceva
ancora un certo effetto svegliarsi accanto a lui, ma era una sensazione di indescrivibile piacere. Si sentiva in pace con il mondo.
Appiattì il viso contro la sua spalla: lo sentiva così inverosimilmente
vicino... Stava sognando? Sollevò appena il capo, e si
soffermò a scrutargli il bel volto addormentato. Sorrise ancora. Ripercorse
ogni lineamento di quel viso con gli occhi scuri: era possibile amare tanto
qualcuno?
Sospirò demoralizzata e ributtò la testa all’indietro con non molta
grazia, facendolo sussultare nel sonno, ed inducendolo a voltarsi supino,
slacciando quel caldo abbraccio. Lei lo fissò stizzita, il musetto imbronciato
come una bambina. Cosa diavolo le aveva fatto per ridurla in quelle condizioni,
così inverosimilmente... sdolcinata?! Scoppiò a ridere
e si issò sul gomito, tornando a guardarlo con aria di
sfida, i capelli rossi che le spiovevano davanti agli occhi. Li scostò con un
soffio, sporgendo in avanti il labbro inferiore, lo stesso col quale subito
dopo stuzzicò quello dello spadaccino, che di nuovo, parve muoversi. Era bello,
pensò, svegliarsi al mattino sentendo il calore di
qualcuno vicino. Fece scorrere lo sguardo più in basso, al collo, al petto, a
quel sottile lenzuolo chiaro che li copriva a malapena nelle loro nudità, e dal
quale, infine, sbucavano quelle gambe ancora intrecciate tra loro come nella
notte appena trascorsa. Corrucciò lo sguardo, curioso, accorgendosi solo allora
di quanto fosse sottile il suo corpo raffrontato a
quello del suo compagno. Sì, era vero, Sanji aveva
ragione: le donne erano molto più carine e armoniche, indubbiamente più
gradevoli degli uomini, e ora riusciva a notarlo dal modo in cui quel lenzuolo
ricadeva sui loro corpi nudi, prendendo belle forme solo su di lei. Ora capiva
anche come persino quel freddo e distaccato ominide che le dormiva vicino, era
riuscito a farsi abbindolare da lei. Rise ancora, sempre più divertita. “Eppure...” sospirò poggiando anche
il peso del capo sul gomito. Eppure, per qualche oscura ragione, a lei piaceva
molto di più quel ‘freddo e distaccato ominide’...
“Strani scherzi, giocano gli ormoni...” si
disse storcendo il naso. Ma in fondo era meglio così,
si consolò, tornando a rannicchiarsi sul suo petto e richiudendo gli occhi per
estasiarsi del tutto di quel meraviglioso odore virile che il suo compagno
emanava, stuzzicandole di piacere le narici per tutta la notte e ogni qual
volta la stringeva a sé. Ripensò alla vita trascorsa: otto anni, i più belli,
quelli dell’adolescenza, gettati al vento, non vissuti come tutte le altre
ragazze di quell’età. L’amore? Non aveva neanche
avuto tempo di pensarci... e, invece, crescendo avrebbe
dovuto cominciare a provare i primi batticuori, quelle emozioni che assalgono
d’improvviso scombussolando ogni singola parte del corpo, la ragione offuscata
dai sentimenti...
Ma per lei era stato tutto troppo diverso:
niente batticuori, niente emozioni, niente sentimenti, se non quelli che,
anziché piegarle la ragione, la spingevano a continuare per la sua strada,
apparentemente incurante di un’adolescenza mai vissuta. Da bambina a donna. Una
donna a metà, per giunta, senza sapere che gusto avesse
l’amore. Ma le lacrime... quelle sì che sapeva che sapore avessero...
Le erano state asciugate da mani amiche: Rufy.
E poi Zoro, Usop e Sanji. La sua nuova
famiglia, fratelli, compagni, amici, angeli custodi. “Un’unica cosa”,
ripetevano a loro stessi, senza mai esternare a parole l’affetto che li legava:
non ce n’era bisogno. Con loro aveva riscoperto la gioia di vivere, di
sorridere, di amare il mondo.
E l’amore? Non ci aveva voluto pensare. Era
troppo complicato per lei. Stava bene così, con loro quattro e basta.
“Su una nave come questa...” aveva detto una
volta a Bibi, rivolgendole un sorriso luminoso,
testimonianza lampante di quanto quelle parole fossero veritiere. “...si perde
la voglia di preoccuparsi, vero?”.
Ma poi tutto era finito, la loro ricerca, il
loro viaggio. Conclusi con un sapore più o meno amaro,
nonostante il solito buon umore: lo One Piece non lo avevano trovato. E a dare il colpo di grazia a quello stato d’animo già
abbastanza deluso, ci avevano pensato le parole di Rufy:
dovevano dirsi addio... no, arrivederci. Ma per
quanto?
E così era iniziato quel viaggio di ritorno.
Prima tappa: Baratie.
Ed erano, infine, rimasti loro due: Nami e Zoro.
Dopo?
...dopo, nuove lacrime... ma anche la scoperta
di nuove sensazioni, mai provate prima di allora, né per lei, né per lui.
Sorrise. In fondo, non erano che bambini costretti a crescere troppo in
fretta sotto il peso di responsabilità più grandi di
loro... Cos’era l'amore? Quello, lo avevano scoperto insieme, alla fine...
Era grande, immenso e sconfinato: come l’amicizia. Solo... diverso. E per certi aspetti molto, molto più piacevole...
Si riscoprì a sorridere ancora di più: non avrebbe mai e poi mai
immaginato che, nonostante le violenze subite in passato, avrebbe amato alla follia perdersi nei piaceri della carne, completamente
conscia e consenziente, stavolta. Niente più lacrime, urla, percosse. Niente
più doversi estraniare dalla realtà per non dover continuare a struggersi
l’animo nella consapevolezza di quel che le veniva
fatto, in balia di quegli esseri spregevoli.
Ora, invece, era lei a desiderarlo. Era lei a fremere di gioia nel
sentirsi sfiorata, per quelle carezze, il calore di un altro corpo a contatto
col suo, il donare se stessa a qualcuno che l’amava almeno quanto amava lei. Aveva scoperto il significato del vero amore, dell’unione
fisica pura, di quella che la faceva davvero perdere nei baci, negli
abbracci... le anime che si fondevano insieme ai corpi... Come poteva essere
tanto meraviglioso, un qualcosa che aveva odiato con tutta se stessa...?
Di nuovo aprì gli occhi, due nocciole fisse su quel volto abbronzato dai
lineamenti rilassati. Sonno senza sogni? O stava
sognando? Se sì, cosa? Lei? I suoi amici? I suoi
‘stupidissimi’ -come li chiamava lei per canzonarlo- allenamenti? O era Kuina che veniva a rubargli
i pensieri? Stese le labbra: doveva esser gelosa, forse? No, non ne sarebbe mai
stata capace. Aveva imparato ad amarla anche lei, la sua Kuina,
una ragazzina che mai avrebbe potuto crescere...
Il sorriso le si spense lentamente. Lei,
almeno, aveva avuto ancora la possibilità di tornare a vivere. Kuina no. Non era stata
altrettanto fortunata.
“Bellmer... prenditi cura di lei...”. Una
lacrima le scivolò giù per lo zigomo, ma fu abbastanza veloce da asciugarla
prima che andasse a bagnare il suo compagno.
Si alzò a sedere e prese a scrutarsi la punta dei piedi, muovendone le punte in avanti e indietro come una bambina. Sentì il suo
compagno agitarsi accanto a lei, girandosi sul fianco destro e voltandole così
le spalle. La cosa la stizzì non poco. Gli si fece vicino, e si chinò su di lui
fino a sfiorargli l’orecchio con la bocca, solleticandogli il collo con i
capelli rossi e ribelli. Gli posò un bacio leggero sul lobo, e prese tra i
denti uno dei suoi tre orecchini che, dorati nonostante la penombra della stanza,
tintinnarono lievemente. Lo tirò appena, e lo lasciò ricadere subito dopo,
quando vide lo spadaccino fare una smorfia e mugugnare qualcosa. Inarcò un
sopracciglio: voleva averla vinta così? No, si disse, non avrebbe ceduto
minimamente. Si afferrò una ciocca di capelli e tornò a fargli il solletico,
all’orecchio, stavolta. E l’ebbe vinta, perché, stufo, l’altro si girò
nuovamente supino, rischiando quasi di schiacciarla sotto al
suo peso.
Soddisfatta, Nami tornò su di lui, con tutto
il corpo, però, in modo che aderisse perfettamente a quello del suo amante. No.
Zoro era suo marito, ormai. E
felice di questo pensiero, prese a giocare con la sua bocca, ricoprendola di
piccoli baci leggeri e teneri, e risalendo poi al resto del viso.
«Fino a quando dovrò subire questa tortura...?»
fu la domanda che uscì in un sospiro quasi sofferto da quel corpo protettivo
che tanto amava.
Rise divertita, stringendosi a lui ancora più forte e nascondendo il bel
volto nell’incavo del suo collo. Sentì una carezza fra i capelli, l’altra mano
che le circondava la vita sottile, per poi cercare la sua di mano, che presto
fu condotta a quelle labbra morbide e calde, che le carezzarono le lunghe dita
bianche e affusolate, fino a morderle scherzosamente, senza farle male. La donna
si ribellò, ma anziché sottrarre la mano dalla sua, lo attirò verso di sé, e
girandosi sul lato, lo costrinse a voltarsi verso di lei, le dita intrecciate
tra loro, come di nuovo erano tornate a fare le gambe.
«Che c’è?» le chiese l'altro. «Hai voglia di
giocare, stamattina?»
Invece di risposta, quella lo baciò ancora, ma poi gli prese la bocca
fra le labbra, continuando a provocarlo.
«Ci siamo svegliate dispettose, eh?» sorrise lui, stando al gioco e
lasciandola fare. «Ma non lamentarti...» riprese con fare poco raccomandabile. «...se poi vinco io!»
e così dicendo la trascinò con le spalle sul materasso, bloccandole i polsi e
schiacciandola sotto al proprio peso. «Allora?»
Nami lo fissò con aria di sfida. «Che stavi sognando?»
«Eh?»
«Giuro che se scopro che mi tradisci anche solo in sogno...!»
Zoro distese le labbra in un sorrisetto divertito. «Siamo gelose?»
L’altra distolse lo sguardo e mise su il broncio. «Affatto, figurati... Dove la trovi un’altra disposta a passare il resto della sua
vita con un gorilla squattrinato come te? Avessi un
cervello, almeno...»
Lo spadaccino inarcò un sopracciglio. «Ah, beh... Comunque
stanotte era la bella Yoko...»
«Tsk! Scherza, scherza
pure...» rimbeccò la rossa, tornando a guardarlo con
fare provocatorio. «...ma starei attento, di notte...
tu dormi come un ghiro e lasci sempre le tue belle spade a portata di mano...»
«Ehi...» si stizzì l’uomo cominciando a temere
per la propria incolumità. «...niente scherzi, eh?»
«Dipende da te, tesoro...» continuò
imperterrita lei.
Zoro non si lasciò
intimorire ulteriormente, e, anzi, passò al contrattacco tornando a
sfoderare lo stesso sorriso malandrino di poco prima. «Oh, certo... però... in
questo momento non mi sembri proprio nella posizione migliore per minacciare
qualcuno...»
Un brivido percorse la schiena della cartografa. «E-ehi...
a-aspetta un secondo...» cominciò a balbettare,
sudando freddo. «...c-che ti salta in mente, ora...?!
Che intenzioni hai?!»
L’altro sghignazzò ancora. «Te la sei cercata, dolcezza...» e dicendolo si chinò su di lei, lasciandole i polsi e,
anziché mettere in atto i propositi annunciati, facendo scivolare le mani
dietro la sua schiena, la strinse a sé, prendendo a baciarle collo e spalle.
Nami non si oppose, né sorrise. Rimase ferma a
pensare per un secondo; poi esordì con un: «Zoro, tu
l’amavi?»
Quello si bloccò di colpo. «Chi?» cadde dalle nuvole.
«Kuina»
Il samurai la mollò di colpo, rizzandosi a sedere e fissandola con fare
quasi adirato. «Si può sapere che diavolo c'entra adesso?» ribatté nervoso. «E
soprattutto, che razza di pensieri ti sei fatta?»
Anche lei si tirò su a sedere, tenendo però gli
occhi bassi. «E’ che...» ma si fermò.
«‘Che’...?» l’esortò a continuare l’uomo.
La rossa prese fiato e confessò: «Quando
sbarcammo sulla tua isola, mi lasciasti parecchio tempo col tuo maestro,
ricordi?»
«E allora?»
«Il fatto che io sappia di Kuina, a quanto ho
capito, non ti ha stupito più di tanto... sapevi che me ne avrebbe
parlato lui, dico bene?»
«Va’ avanti...» le ordinò. Nami però tacque di nuovo, torturandosi le
mani in grembo. Zoro alzò nuovamente un sopracciglio
aspettando che continuasse, ma niente. Sospirò e si chinò su di lei, posando la
fronte contro la sua. «Allora...?» le sussurrò con
fare gentile. «Ti ha detto che volevo molto bene a Kuina, è così?»
Lei scosse il capo. «No, questo
l’avevo già capito da sola...» rispose. «...e non
pensare che, se anche fosse vero che quel tuo affetto nei suoi confronti fosse
qualcosa di più di una semplice amicizia, anche se vista sotto la prospettiva
di un bambino di undici anni... insomma... non credere
che io sia gelosa di lei... non avrebbe senso...»
«Appunto» puntualizzò lo spadaccino scostandosi da lei. «Ma perché hai tirato fuori questa storia?»
«Non lo so...» mugugnò la rossa, sentendosi una
scema. «Però... stavo anche ripensando a quella lì...»
Di nuovo Zoro cadde dalle nuvole. «‘Quella lì’, chi?»
«La tipa che lavora con Smoker...»
Il samurai imprecò a labbra strette. «Che diavolo c’entra quella, adesso?!»
«C’entra perché è tale e quale a Kuina!»
esclamò lei, alzando finalmente lo sguardo. «Non ti ha sconvolto nemmeno un
po’, la cosa?»
L’altro sbuffò, tuffandosi supino al suo fianco. «Sì, anche troppo...»
ammise. Tacque un secondo, poi continuò. «Ma anche se fisicamente si assomigliano quasi come due gocce
d’acqua... beh, ti assicuro che caratterialmente sono i due opposti... anche se
tutte e due facevano gli stessi stupidi discorsi... bah! Mi spieghi perché, ora,
tutt’a un tratto, ti è
venuto in mente di farmi questa scenata di gelosia immotivata?!»
«Non sono gelosa di Kuina!» ripeté la sua
compagna, stizzita.
«Sì, questo me l'hai già detto...»
«E’ che...» riprese addolcendosi. «...Zoro... in tutta sincerità... perché io?»
Quello volse di scatto il capo nella sua direzione, lo sguardo
corrucciato, segno che non aveva ben afferrato il senso di quella domanda.
«Il tuo maestro mi disse che tu e Kuina non andavate molto d’accordo...» continuò
frattanto lei. «...e questo mi ha fatto subito venire
in mente quel rapporto assurdo che ci ha sempre legato...»
«Sono due cose diverse...» precisò l’uomo,
tornando a chiudere gli occhi.
«Sì, lo so... però...»
«Senti, non ti ho mai paragonata a Kuina, se è questo che stai cercando di sapere» chiarì
ancora, il tono della voce severo. «E smettila di essere
gelosa!»
«Ti ho già ripetuto che non sono gelosa di lei!» rimbeccò la donna,
innervosendosi. «Non potrei mai esserlo!»
«E allora piantala una buona volta di
starnazzare e rimettiti a dormire!»
«Sei talmente idiota da non capire da solo quanto tu sia
insensibile, sai?!»
«Se ti ho aperto il mio cuore, è per una
ragione ben diversa da quella che credi! Tu e Kuina
non vi somigliate nemmeno per la punta dei capelli! Al
massimo potrei dire che avete in comune la stessa
lingua lunga, anche se tu sei di gran lunga molto più rozza e volgare di lei!»
Calò il silenzio.
Passò una manciata di minuti, prima che Nami,
tornando ad accoccolarsi sul suo petto, rifletté a mezza voce: «Non sapevo ti
piacessero le donne ‘rozze e volgari’...»
Le labbra di Zoro si curvarono verso l’alto, e
mentre con le braccia le circondava la vita, sospirò: «Sì, devo avere qualcosa
di sbagliato...»
«Sei pazzo» sentenziò lei richiudendo gli occhi. «...e questo l'ho sempre sostenuto sin da quando ci siamo conosciuti...»
«Sì, me lo ricordo... ma secondo me, sei tu che
sei troppo sensibile al sangue...»
«Tsk!» lo schernì. «Il pazzo
masochista sei tu, non io...»
«Se lo sono io, tu lo sei più di me, visto che
mi vieni dietro...»
«...questo è vero...» s’indispettì quindi con
se stessa. Infine, sussurrò: «Zoro...»
«Uh?»
«Sono incinta»
Il samurai riaprì gli occhi di scatto. «C... cosa...?!» riuscì a
balbettare dopo aver boccheggiato a vuoto per qualche istante, allentando
istintivamente la presa attorno alla vita della bella cartografa.
Questa alzò lo sguardo verso di lui, fissandolo con un certo disappunto.
«Non è proprio la reazione che mi aspettavo, sai...?»
Zoro non rispose subito. Si limitò a
riflettere per un attimo nel silenzio più assoluto, ed infine confessò:
«...effettivamente non era una cosa che mi aspettavo...». Tacque ancora e chinò
lo sguardo su quello della donna. Sorrise. «Maschio o femmina?» chiese tornando
a stringerla a sé.
Lei fece spallucce. «Ha importanza?»
«Affatto. L’importante è che non prenda dalla madre...»
celiò facendola indispettire, al punto che Nami passò
al contrattacco e si issò a sedere su di lui a cavalcioni,
fissandolo con aria di sfida.
«Semmai dovesse prendere da me, mio caro,
avrebbe tutto da guadagnarci, sai?» ribatté. «Almeno non sarà uno stupido
ominide freddo e distaccato...»
L’altro inarcò un sopracciglio. «Guarda che tu sei tale e quale a me...»
Quella mise il broncio, ben sapendo che era la sacrosanta verità. Chiuse
gli occhi stizzita e, scendendo a sedersi nuovamente
sul materasso, dandogli le spalle, fece: «Sì, ma tu sei peggio... non piangi
mai...»
Il samurai non rispose, affissando gli occhi alle tavole di legno che
ricoprivano il soffitto della cabina che fino a poche settimane prima era appartenuta solo a Nami. Di lacrime ne aveva
piante molte anche lui. L’ultima volta era successo contro Mihawk
al Baratie... no, anche se non aveva voluto
ammetterlo nemmeno a se stesso, quelle che gli erano scivolate giù dagli occhi meno di un anno prima, quando aveva stretto Nami
a sé, dopo il primo attacco degli uomini pesce, erano lacrime... calde e
salate... come quelle che aveva pianto anche la sua compagna. Ma lei non se n’era accorta, avvinta com’era dal suo dolore
e dalla sua vergogna.
Lasciò scorrere una mano sul lenzuolo, fino a sfiorarle una gamba e lei
gliela strinse nella sua.
«Ti secca...?»
«Cosa?»
«Ch’io sia rimasta incinta...»
Zoro la fissò in malo modo. «Ma sei scema o
stai solo cercando di farmi arrabbiare?» chiese stralunato.
Si rigirò sul lato sinistro, verso di lei, che ora se ne
stava seduta nell’incavo che l’uomo aveva appena creato curvandosi
attorno a lei. «E’ senza alcun dubbio il più bel
regalo che potessi farmi...» sussurrò circondandole la vita con l’altro
braccio.
Nami sorrise e si chinò a posargli un bacio
sulle labbra. «Allora fammi posto...» fece tornando a
stendersi accanto a lui. «...perché ho intenzione di fartene molti altri...»
L’uomo non le lasciò nemmeno il tempo di accoccolarsi sul suo petto, che
già la prese fra le braccia e la catapultò di nuovo supina
sul letto, stringendola e baciandola con calore: non avrebbe permesso a nessuno
di portargliela via. Mai. Nami era sua.
Dedico questa one-shot a tutti i lettori di Piece Main che, senza saperlo, mi hanno
donato momenti di grande gioia. Ringrazio quanti hanno recensito, dal primo
all’ultimo, in particolare chi ha saputo darmi consigli preziosi, chi ha fatto
di tutto pur di vedere la mia storia sommersa di commenti, e, non ultima, Sawadee: ricevere un parere da lei mi ha riempita di orgoglio.
A breve spero di mettere on line
un’altra one-shot sempre affiliata alla mia
ammiraglia, nonché Ritorno
a Raftel Island, il
famoso sequel che ho annunciato più d’una volta.
Baci a tutti! ^^
Shainareth
J