Ebbene sì, alla fine mi sono fatta
convincere a fare un seguito de L’ultima metà del cielo… anche se poi
era un’idea che mi frullava in testa già da prima di terminarla._.
Volevo fare un paio di chiarimenti
(adoro fare chiarimenti a quanto pare-_-): è possibile che qualcuno di voi si
ricordi di una mia vecchia fic che arrivò appena al primo capitolo, Sole di
mezzanotte, appunto. Beh, dato che non riuscivo proprio a trovare il modo
di continuarla, ho pensato di inglobarla con questa: la trama è esattamente quella
che avevo in programma per allora. Non so quanti capitoli durerà questa: non
credo che sarà lunga quanto UMC, ma chi può dirlo?... come al solito nemmeno io
ho le idee chiare. Credo comunque che per leggere questa fic non sia del tutto
necessario aver letto UMC… c’è solo qualche riferimento qua e là che poi viene
anche spiegato, quindi direi che si può leggere tranquillamente anche solo
questa. Spero comunque che questo primo capitolo possa piacervi… qualsiasi
commento, opinione e critica costruttiva lo sapete, sono bene accetti.
TWO YEARS LATER.
[Due anni dopo.]
“I’m here without you baby “Sono qui senza te
but you’re still on my lonely mind ma tu sei ancora nella
mia mente sola
I think about you baby penso a te
and I dream about you all the time e ti sogno tutto il tempo
I’m here without you baby sono qui
senza te
but your still with me in my dreams ma nei miei sogni tu sei ancora con me
And tonight girl it’s only you and me” e stasera siamo solo io e te.”
Three Doors Down
Nove del mattino.
Ron Weasley dormiva della grossa sul letto, mentre tutte le
coperte giacevano per terra stropicciate.
Senza bussare, qualcuno entrò nella sua stanza.
Una ragazza dai lunghi capelli rossi, vestita di tutto
punto, lo guardò disgustata.
-
Non dovresti essere a Diagon Alley, a
quest’ora? –
Ron mugugnò.
-
Ron. Rooon, datti una svegliata! Oggi non
avevi un esame? –
Il ragazzo si voltò dall’altra parte, in silenzio. Dopo
qualche secondo scattò a sedere.
-
Che giorno è? –
Ginny Weasley sorrise ironica, incrociando le braccia.
-
Venerdì. –
Ron fece un’espressione terrorizzata.
-
Oh, cazzo! –
Si catapultò giù dal letto, raccolse alcuni vestiti a caso
da terra, sorpassò Ginny urtandola e si chiuse in bagno sbattendo la porta.
Ginny scoppiò a ridere e si accostò alla porta del bagno.
-
Che esame hai? Sei sicuro che ti
ammetteranno, ormai? –
Sentì l’acqua della doccia cominciare a scorrere. La
raggiunse la voce di suo fratello, attutita dalla porta.
-
Ho lavorato come un deficiente per farmi
ammettere a quel diavolo di esame! Se non mi prendono sono morti! –
-
Mi sa che sei tu che sei morto, se non lo
dai. Ma insomma, possibile che tu non ti sia svegliato? Che hai fatto ieri
sera, che non ti abbiamo nemmeno sentito rientrare? – ridacchiò Ginny.
L’acqua della doccia smise di scorrere. Ron uscì come un
fulmine dal bagno, con l’accappatoio sopra i jeans ed i capelli ancora bagnati,
ed andò a frugare nella sua stanza alla ricerca di una maglietta decente.
Ginny lo seguì allegramente.
-
Allora? Com’è che stai zitto? –
Ron si spazientì, ficcandosi alla bell’e meglio una delle
sue quindici magliette dei Chudley Cannons.
-
Senti, perché sei così allegra, oggi? Non
avevi una specie di colloquio non so cosa? –
Ginny fece spallucce.
-
Ce l’ho, ma fra due ore. E comunque, è
per accedere al corso di Auror, come se non lo sapessi! L’hai fatto anche tu. –
Ron si infilò le scarpe alla velocità della luce e prese lo
zaino. Ginny si accorse che aveva un po’ di schiuma da barba sotto il mento, ma
per ripicca fece finta di niente.
-
Sì, beh, non sai in che casino ti stai
ficcando, cara mia. Ci fanno sgobbare come animali! –
Ginny lo guardò alzando un sopracciglio.
-
Harry non mi sembra così distrutto. –
-
Perché Harry non è un essere umano, è una
macchina da guerra. Altrimenti non si sarebbe preso una come te. –
Ginny fece un’espressione indignata, ma prima che potesse
tirargli un cuscino in piena faccia, Ron si smaterializzò ridacchiando.
Nove del mattino.
Harry tamburellò le dita sul tavolo, guardandosi intorno.
Possibile che quel cretino dovesse arrivare in ritardo proprio oggi? Tutti gli
altri stavano prendendo posto, con aria nervosa.
Era il secondo esame del corso per Auror: eppure sembrava il
decimo, tant’erano difficili. Non scherzava la McGrannitt quando aveva detto
che avrebbero fatto una fatica terribile. Harry, a forza di studiare fino a
notte inoltrata, si ritrovava spesso a pensare di mollare tutto e mettere su un
allevamento di Schiopodi Sparacoda.
Però, ridendo e scherzando, alla fine perfino Ron ce l’aveva
fatta ad essere ammesso al corso, nonostante i suoi voti a Hogwarts non fossero
certamente eccellenti. In quei tre mesi si era impegnato parecchio: non poteva
buttare tutto all’aria arrivando in ritardo al secondo esame, che non si poteva
neanche ridare.
Appoggiò la fronte al banco, stremato.
-
Che aria stanca, Harry! Dovresti essere
allegro, è già venerdì. –
Lui alzò faticosamente la testa.
L’espressione allegra di una graziosa ragazza dai capelli
biondo cenere gli si parò davanti. Strinse gli occhi, come se vedesse
d’improvviso un gran sole dopo essere stato delle ore in una stanza buia.
-
Non ho l’aria stanca, Cloe, io sono
stanco. –
-
Io per niente. –
-
Forse perché tu sei una specie di genio e
se leggi un libro una volta lo sai già a memoria. –
-
Non esagerare, anche tu te la cavi. A
proposito, ma dov’è finito Ron? Lo sa che questo esame non si può ridare, se lo
si manca? –
-
Lo sa, lo sa. Solo che è un
deficiente. –
Cloe sorrise e fece per dire qualcosa, ma entrò una donna
sulla mezza età, vestita di un orrido giallo, che proclamò di sedersi ai loro
posti.
La ragazza andò a sedersi al suo banco, e Harry si sentì
furioso. Dove diavolo era, quell’idiota?
La donna cominciò a distribuire i fogli ed a controllare che
non avessero bigliettini o penne magiche nascosti dentro le mutande (beh, in
realtà controllò solo nelle giacche).
La porta si spalancò con un botto.
-
Scusi il ritardo! –
Ron, completamente sudato e con il fiatone, si trascinò
verso il suo posto poco lontano da Harry e si sedette.
La donna lo squadrò dall’alto in basso come se fosse il
peggiore scarto umano che avesse mai visto.
-
E’ in ritardo. Si rende conto che potrei
squalificarla? Così dovrebbe ripetere anche il primo esame. –
Ron riprese leggermente fiato ed ostentò un sorriso.
-
Ma non vede che sono corso qui come un
matto solo per lei? Ed ora vuole buttarmi fuori? –
Tutta la classe scoppiò a ridere.
Harry trattenne un sorriso. Notò un’ombra decisamente
preoccupata negli occhi di Ron. Non era proprio reale il suo atteggiamento da
sbruffone.
La donna comunque gli fece un cenno infastidito e decise di
lasciarlo perdere. Ron era piuttosto popolare per le sue uscite spiritose, un
po’ come a Hogwarts, con la differenza che adesso parecchie studentesse gli
ronzavano attorno con interesse perché giocava tutti i sabati mattina in una
squadrucola locale che però dalle parti di Diagon Alley era assolutamente
adorata.
Anche Harry aveva la sua dose di ammiratrici, ma per
carattere tendeva a non farci particolarmente caso: di solito quando c’era una
ragazza che gli piaceva, gli piaceva quella e basta. E ce l’aveva da parecchio,
una ragazza che gli piaceva.
Calò il silenzio e gli studenti cominciarono a scrivere.
Nove del mattino.
Hermione se ne stava seduta sul letto della sua stanza con
cinque o sei libri piuttosto spessi attorno. Leggeva ad alta voce e la
bacchetta accanto a lei scriveva su un blocco per gli appunti. Si fermò per
sorseggiare un po’ di caffè ma ormai era freddo. Era sveglia da due ore.
L’unico giorno in cui aveva la mattina libera, e lei lo
passava a studiare. Il fatto era che non riusciva proprio a dormire fino a
tardi. Ad un certo punto le mancava il sonno, ecco. E non aveva niente di
particolare da fare, a parte studiare, appunto.
Sentiva al piano di sotto la radio accesa, e sua madre che
canticchiava lavando i piatti, mentre suo padre faceva colazione sfogliando il
giornale, sicuramente nell’inserto sportivo.
Riprese la bacchetta, sbuffando. Si annoiava. Ormai aveva
finito di studiare. Come avrebbe fatto dopo, quando non avrebbe più avuto nulla
da fare?
A volte pensava che avrebbe dovuto iscriversi al corso per
Auror. Harry e Ron sembravano sempre così indaffarati… ad esempio, quella
mattina avevano addirittura un esame importante. A proposito: se Ron ne avesse
combinata una delle sue come al solito, lo avrebbe ammazzato. Sperava
sinceramente che si fosse svegliato in orario, dato che tutta la sera prima (ed
anche le precedenti) le avevano passate praticamente solo studiando. Anche se
lui era sempre così dannatamente distratto, da chissà quali pensieri, poi.
Sentì bussare alla porta.
Sua madre fece capolino.
-
Tesoro, hai visite. La tua amica Ginevra
sta salendo – abbassò sensibilmente la voce. – santo cielo, ma non potresti
chiederle di avvertire prima di comparirmi nel camino così, all’improvviso? Per
poco tuo padre non si affogava con una ciambella. –
Hermione sorrise, trattenendo invece una risata.
Sua madre se ne andò lasciando il posto a Ginny.
-
Buongiorno – disse la ragazza, allegramente,
reggendo due sacchetti bianchi in mano. – ti ho portato dei cornetti al
cioccolato. E del caffè solubile. E delle bustine di thé. –
Lei alzò un sopracciglio.
-
Cos’è, volevi fare la spesa alla babbana?
–
-
Oh, io adoro entrare in quei negozietti.
I babbani hanno un’aria così ingenua e fra le nuvole… a parte quando il
commesso mi ha detto che le monete che gli avevo dato non valevano. –
-
Come te lo devo dire che a Londra si
usano le sterline? –
-
Beh, insomma. –
Ginny si sedette sul letto e scartò un sacchetto.
-
Chissà, forse ti dovresti trasferire a
Diagon Alley. –
-
Sì, e con quali soldi? Non ho tempo di
trovarmi un lavoro. –
-
Non si può mai dire. –
Hermione la guardò stranita, ma decise di lasciar perdere.
Addentò un cornetto.
-
Ma tu non avevi un colloquio? –
-
Sì, ma ne manca di tempo. Nel frattempo,
non sapevo che fare. Facciamo schifo, quando Ron e Harry sono impegnati noi ci
ingozziamo. –
Hermione fece un’espressione altezzosa.
-
Parla per te – disse, però a bocca piena.
Ginny rise.
Nove del mattino.
Sotto le lenzuola bianche, Draco dormiva a pancia in giù,
tranquillamente, con il respiro lento.
Seduta su una sedia, Pansy appoggiò la tazza piena di
caffelatte. Erano già diversi minuti che lo guardava dormire.
Lui fece un lungo sospiro.
Lei sorrise.
Inconsciamente strinse le dita, toccando il cerchietto d’oro
che circondava l’anulare sinistro.
Avrebbe dovuto rivestirsi, ma non ne aveva voglia. Stava
così bene lì a guardarlo…
D’improvviso, Draco aprì gli occhi grigi.
-
Buongiorno – sussurrò Pansy, alzandosi per
andargli a dare un bacio.
Lui non rispose. Si mise a sedere ed afferrò una canottiera
da in fondo al letto. Se la infilò in silenzio.
-
Che ore sono? – chiese, andando a
prendere i jeans.
-
Le nove. Vuoi fare colazione? –
-
Sì. Ma fuori. Qui dentro c’è tanfo. –
-
Cerca di resistere. Rodolphus ha detto
che tra qualche giorno ti sposteranno. –
-
In qualche altra stanza schifosa. Questo
castello è uno schifo di per sé. –
Pansy tacque. Evidentemente, era uno di quei giorni in cui
Draco non era di buon umore. Cioè, di buon umore non lo era mai. Però, si
notava dal suo sguardo, quando ti sopportava e quando ti avrebbe ucciso se
avesse potuto.
C’erano stati giorni, specialmente all’inizio della sua vita
nel castello, che Draco non sopportava niente e nessuno. Era capace di alzare
la voce perfino con Rodolphus, che era stato praticamente assegnato a ‘tutore
dei nuovi’. I nuovi erano Draco e Pansy, naturalmente.
Gli unici con cui non sembrava mai perdere la pazienza anche
con l’umore nero erano suo padre ed il Signore Oscuro.
Anche perché, se avesse fatto una cosa del genere, entrambi
non ci avrebbero pensato due volte ad ucciderlo.
Poi, però, sembrava che con il passare del tempo si fosse
adattato. Smetteva di trattare chiunque come se fosse feccia. Giusto in tempo
per il matrimonio.
Cioè, matrimonio. Niente celebrazioni, figuriamoci. Si erano
solo messi gli anelli ed anagraficamente, a partire da una domenica di giugno,
erano sposati.
Però, in realtà, non era cambiato un bel niente tra loro.
Dormivano in camere separate, lei spesso si infilava nella sua, ma non rimaneva
mai a dormire. Sapeva che era una delle cose a cui Draco era intollerante.
Odiava dormire con qualcuno.
Pansy lo guardò legarsi la cintura.
-
Allora, stasera… -
Draco andò allo specchio, la mascella contratta, si pettinò
i capelli.
-
Stasera cosa? –
-
Andiamo. E’ tutto pronto? –
-
Non me ne occupo io, Pansy, è inutile che
me lo chiedi. Ci hanno chiesto di andare e noi ci andiamo, come abbiamo sempre
fatto. –
Pansy non si scompose.
-
Tuo padre? –
-
Non viene. Insomma, non è mica una
missione di importanza mondiale. Andiamo solo a spaventarli un po’. –
Lei lo guardò, inclinando leggermente la testa.
-
L’altro giorno… cosa ti ha detto il
Signore Oscuro? Ha convocato solo te. –
-
Se ha convocato solo me, vuol dire che
non sono cazzi tuoi. –
Lei ancora non rispose. Proprio di umore pessimo. Forse
aveva solo bisogno di una boccata d’aria, in quella stanza davvero c’era un
orribile odore di chiuso.
Draco aprì la porta.
-
Il mantello, Draco… -
-
Non ne ho voglia. E smettila di
controllarmi. –
Uscì. Scese le scale del castello, non salutò quelli che
incrociò.
Ma nel giardino vide che era una giornata di sole e si sentì
ancora più irritato.
Fumò una sigaretta chiedendosi perché si era scelto quella
merda di vita monotona.
Suonò la campana.
Hermione chiuse il libro, soddisfatta.
Ora che si era fatta due ore buone di Cura delle Ferite
Interne (sotto materia di Cure da Veleno) si sentiva di umore decisamente più
positivo. Prese la borsa e ci ficcò dentro libri, appunti e bacchetta. Adorava
il ritmo dell’Università. Poteva metterci ore ad andarsene dall’aula ma non
arrivava nessun professore a urlare di darsi una mossa.
Percorse i corridoi affollati dell’edificio ed arrivò fuori.
Era stata una bella giornata soleggiata: perfetta per l’inizio della primavera.
Faceva ancora piuttosto freddo, specialmente ora che il sole stava per
tramontare: però, le giornate così le mettevano allegria comunque.
Lui era seduto sugli ultimi gradini della scalinata fuori
dalla scuola, che si leggeva un libro… no, un fumetto. Beh, si sarebbe stupita
del contrario.
-
Sei fra i piedi, Ron – disse, quando gli
arrivò alle spalle. Effettivamente, ostruiva un po’ il passaggio.
Lui si voltò, pronto a tirare uno o due insulti, poi vide
che era lei e fece un sorriso ironico.
-
Ma come siamo carini, oggi. Cos’è, non
hai preso mille ad un esame? –
-
Anche tu sei molto simpatico, oggi. E
comunque, no, niente esami – si sedette sul gradino accanto a lui.
-
A proposito di esami, non ne avevi uno
tu, stamattina? – chiese, casualmente, anche se lo sapeva benissimo. Rabbrividì
sotto una folata di aria fredda.
Ron scrollò le spalle e si slegò un po’ la sciarpa che aveva
annodato al collo.
-
Sciarpa? – fece, offrendogliene metà.
-
Risultato dell’esame? – ribatté lei,
prendendola comunque per riscaldarsi un minimo.
-
Che hai da fare stasera? –
Hermione roteò gli occhi.
-
Niente, a parte cercare di capire perché
eludi le mie domande. –
-
Bene. Quando hai finito, Harry ha
prenotato una tavolata al ristorante. –
-
Ron, se non mi dici subito il risultato
di quell’esame, impazzisco. Dimmelo! – esclamò lei, perdendo la pazienza. Per
rafforzare la sua domanda tirò violentemente un lembo della sciarpa nel
tentativo di strangolarlo.
Ron tossì e si allentò frettolosamente la stretta
sghignazzando.
-
Va bene, va bene, non c’è bisogno di
uccidermi! Sono passato. –
-
Cosa? –
-
Oltre che violenta sei pure sorda? Sono
passato. –
Hermione batté le mani, assolutamente entusiasta.
-
Ma è fantastico, Ron! Questo era uno
degli esami più difficili! Non sei contento? –
Evidentemente lui aveva fatto uno sforzo immane per non
tradire un’enorme soddisfazione con l’espressione, che però in quel momento gli
sfuggì in un sorriso beato.
-
Abbastanza – disse, però con un sorriso
che andava da un orecchio all’altro.
-
Ma quanto sono stata brava e paziente? Se
non fosse stato per me, non avresti studiato neanche se te l’avessero chiesto
in ginocchio. A questo punto, urge un premio! –
Ron fece un’espressione disgustata.
-
No, un momento. Sono io quello che è
stato bravo e paziente. Sono io che ho studiato. Sono io che merito un premio!
–
Hermione si alzò, togliendosi la sciarpa con indifferenza.
-
Beh, allora spero che tua madre ti dia un
galeone come paghetta. –
Lui scoppiò a ridere e la seguì. Imboccarono una stradina
che portava alla via principale di Diagon Alley. Passarono anche davanti alla
Scuola per Auror di Ron.
-
Allora, ci vieni stasera? Anche Harry è
passato. Festeggiamo, no? –
Hermione fece spallucce.
-
Spero solo che i miei non facciano
storie. Ultimamente si lamentano un sacco perché torno tardi la sera, come se
non sapessero che vengo solo da te ad aiutarti a studiare. Pensano sempre male,
quelli lì, e non mi va di rivoltarmeli contro. –
Ron schioccò la lingua con netta disapprovazione. I genitori
di Hermione gli erano sempre stati simpatici e la cosa era anche reciproca,
però negli ultimi tempi erano incredibilmente sospettosi sul suo conto.
-
Hermione, hai diciotto anni. Non
dovrebbero intromettersi così nella tua vita… -
-
Parla quello che non si muove da casa
senza l’approvazione della mamma. –
-
Ma mia madre è un demone… -
-
Beh, anche la mia può diventarlo. -
-
Allora, digli che stanotte vai a dormire
da Ginny. –
Hermione trattenne un sorriso.
-
Ron, quella è anche casa tua. –
-
Oh! Già, è vero… beh, due piccioni con
una fava. –
Lei gli lanciò un’occhiataccia.
-
Comunque, per stasera non credo ci siano
problemi. Cercherò solo di non fare troppo tardi. –
Ormai erano a Diagon Alley. La gente camminava allegramente
guardando le vetrine dei negozi, ed i lampioni si stavano lentamente
accendendo.
Hermione si voltò verso Ron.
-
Bene, allora vado. Sei troppo stanco per
Smaterializzarti alla Tana? –
-
Uhm, non sono stanco. E poi vado a casa
di Harry. Ti vengo a prendere? –
Lei scosse la testa.
-
Ma no. Uso la Polvere Volante. –
-
Sicura? Lo sai che di sera non si può
andare in giro da soli. –
-
Ti dico che uso la Polvere Volante,
arrivo dritto dritto nel ristorante. –
-
La tua indipendenza è estremamente
irritante. –
Anche se pensava che fosse irritante, questo non gli impedì
di chinarsi a baciarla, ma lei si voltò di scatto e le sue labbra finirono a
baciare il suo orecchio.
Hermione era rossissima in viso.
-
Siamo nel bel mezzo di Diagon Alley. –
Ron alzò gli occhi al cielo.
-
Infatti. Se avessi voluto molestarti ti
avrei portato in un posto deserto. –
Hermione, suo malgrado, rise.
-
Ci vediamo stasera – disse, e prima che
Ron potesse protestare lei si Smaterializzò.
Sospirò. Uffa. Le poche volte che lui prendeva l’iniziativa
(quel giorno era particolarmente di buon umore, ed era stato ardito), o era il
momento sbagliato, o il posto sbagliato.
Stavano insieme da due anni, ormai: eppure sembrava che il
loro rapporto non si fosse evoluto per niente. Per strada non si tenevano mai
per mano; figurarsi se si baciavano davanti a qualcuno. Forse avevano una sorta
di ‘deformazione professionale’… in fondo, erano stati più tempo amici che
‘ragazzo e ragazza’. Però, insomma… va bene che Hermione per lui era anche
un’amica, ma lui mica era di pietra. Se lui provava a spingersi solo
leggermente un po’ più ‘in là’ del soliti baci… lei lo respingeva subito. La
cosa più che farlo arrabbiare o stupire, lo faceva impazzire. Capiva che dopo
le esperienze al sesto anno, avesse bisogno di tempo per riadattarsi a fare
un’esperienza ‘da grandi’, per questo non insisteva mai più di tanto. Però,
cioè. Voi capite.
Si diresse verso l’appartamento di Harry. Uhm, chissà,
magari anche lui se la poteva trovare una casa.
Ginny si lisciò i jeans e si alzò dal letto. Si diede
un’occhiata allo specchio mentre indossava un paio di orecchini d’oro.
Non si piacque. I lunghi capelli rossi incorniciavano un
viso stanco ed aveva l’espressione spenta. Di solito, quando era con gli altri,
il suo viso era totalmente diverso: era sorridente, aveva le guance rosee e gli
occhi vispi, come suo solito, peraltro. Però, forse perché non sopportava
rimanere da sola, in momenti come quello era come se si spegnesse di botto.
Mise sotto gli occhi un prodotto per alleviare le occhiaie.
C’era anche da dire che aveva studiato parecchio per il colloquio, quindi non è
che avesse passato notti molto tranquille. Poi a lei piaceva anche andare in
giro, quindi si stancava anche di più.
Andò alla scrivania e dal cassetto estrasse una scatola di
latta. La aprì con uno schiocco e si mise a cercare qualcosa da mettere alle
mani. Alla fine decise di indossare un grazioso e semplice cerchietto d’oro
bianco.
Lanciò un’occhiata molto veloce all’unico anello che non
aveva toni chiari. Un anello nero.
Richiuse la scatola ed andò a pettinarsi, senza pensare a
niente.
Al ristorante cominciava a raccogliersi parecchia gente.
Harry era arrivato in anticipo, visto che era stato lui ad
organizzare i ‘festeggiamenti’. Poco dopo era arrivato qualche compagno di
corso, e si erano messi animatamente a chiacchierare sull’esito delle Finali ai
Mondiali di Quidditch.
Luna Lovegood arrivò puntualissima, alle otto spaccate.
-
Ciao, Luna. – disse Harry, andandole
incontro mentre i suoi compagni di corso lo guardavano strano.
Effettivamente, Luna, come suo solito, non aveva potuto
lasciarsi sfuggire l’occasione di vestirsi in modo... ehm, fuori dai canoni.
Sarebbe stata carina se avesse avuto soltanto quel grazioso vestito lilla al
ginocchio, solo che ci aveva aggiunto bracciali di forme assurde (ma quelle che
le pendevano dal polso erano piccole ossicine?), degli stivali di materiale
sospetto ed i suoi inconfondibili orecchini enormi. Quella sera erano a forma
di mappamondo. E c’erano veramente tutti i continenti e gli Stati.
-
Ciao, Harry! Congratulazioni! –
-
Grazie. –
-
Cosa festeggiamo? –
Harry sorrise trattenendo una risatina. Era proprio da lei,
probabilmente.
La cosa assurda era che dopo la scuola avrebbe benissimo
potuto perderla volutamente di vista, ma per qualche motivo lui, Ron ed
Hermione (naturalmente anche Ginny, ma lei era notoriamente una sua amica)
avevano continuato a frequentarla. Sarà stato l’evento di due anni prima,
comunque pareva proprio che fossero diventati tutti amici. E ormai Harry non
faceva nemmeno più caso alle frasi imbarazzanti od all’abbigliamento eccentrico
di Luna. Anche se ancora, a volte, si chiedeva veramente se ci fosse o ci
facesse.
-
Io e Ron abbiamo passato un esame
importante al corso di Auror. Non te l’avevo detto? –
-
Oh, sicuramente me l’hai detto, ma io mi
dimentico le cose. Hai letto il mio articolo sugli Ippogrifi Scarlatti? –
Harry si versò un po’ d’acqua.
-
Sì. Esaltante – mormorò. Vero che l’aveva
letto, falso che lo trovava esaltante, anzi, era spaventoso.
Luna faceva gavetta al Cavillo, era dipendente di suo padre.
C’erano ottime probabilità che in qualche anno lei stessa sarebbe diventata la
nuova direttrice. Nel frattempo, si divertiva parecchio ad andarsene in giro
per i boschi e per i posti più strani alla ricerca di strane creature, che
puntualmente non trovava mai, allora finiva che i suoi articoli diventavano
vaghi viaggi mentali su quello che avrebbe potuto trovarsi nel tal lago o nella
tal caverna.
Neville e Ginny arrivarono chiacchierando.
-
Ciao, ragazzi – disse allegramente lei,
baciando Harry su una guancia e sorridendo a Luna. Indossava una bella camicia
bianca sopra i jeans. – io e Neville ci siamo incontrati all’entrata. –
-
Pensavo di aver sbagliato ristorante –
disse Neville, con aria sollevata. – ciao, Harry. Ciao, Luna. –
Pochi minuti dopo arrivò Hermione. Aveva i capelli sciolti e
sembravano un po’ più domabili del solito. Non aveva azzardato quanto Ginny:
indossava un discreto dolcevita a collo alto.
-
Complimenti, Harry! – disse,
abbracciandolo con un sorriso. – non avrei scommesso niente su voi due, ed
invece ce l’avete fatta. Forse state maturando un po’… -
Ginny scoppiò a ridere.
-
Chi, maturo? Lui? – disse, tirando con un
po’ troppa violenza una guancia ad Harry deformandogli la faccia.
-
Ahia! –
-
Oh, poverino, gli ho fatto male alla
guancina – ridacchiò Ginny, mentre lui si massaggiava contrariato la parte
lesa.
Hermione si guardò intorno.
-
Ron non è ancora arrivato? Non doveva
venire con te, Harry? –
-
Sì, ma ci metteva troppo per mettersi in
tiro e l’ho lasciato a casa mia. –
Lei alzò gli occhi al cielo. Ron, per sua fortuna, arrivò un
attimo prima che tutti si mettessero a tavola per ordinare.
- E allora le dico: ma se ho fatto tutta questa corsa solo
per lei? E mi vuol buttare fuori? – diceva Ron, a voce un po’ troppo alta,
quando tutti finirono di mangiare e stavano arrivando i caffè.
- Ron, questa l’hai
raccontata troppe volte, ci hai stufato! – esclamò Harry, ma se la rideva un
sacco. – vi devo raccontare di quando… -
Hermione e Ginny si lanciarono un’occhiata rassegnata. Ormai
erano tutti parecchio brilli e parlavano a voce altissima. Neville si era fatto
i capelli dritti con della gelatina. Non lo reggeva per niente bene, l’alcool.
Perfino Luna, che era sempre stata astemia, aveva bevuto appena un po’ di vino
ed era totalmente fuori gioco. Se ne stava zitta a guardare nel vuoto.
A quanto pareva, le uniche lucide erano proprio Hermione,
che per principio non beveva mai troppo (in realtà, non faceva mai troppo di
niente: a parte che studiare, ma per lei non era mai troppo), mentre Ginny
quella sera non poteva bere perché se Molly la beccava appena un po’ brilla
gliele suonava (questo perché una volta era tornata da una festa delle sue
compagne del corso di preparazione ubriaca fradicia: comunque, anche se sua
madre non l’avesse sgridata a morte, avrebbe deciso lei stessa di non fare mai
più una cosa del genere; al solo ricordo di come si era sentita male dopo, le
si rivoltava lo stomaco).
Quando Harry, Ron e Neville cominciarono ad intonare il
vecchio inno di Hogwarts abbracciati, Ginny non ne poté più e si alzò.
-
Vado a prendere una boccata d’aria.
Vieni? – fece, rivolta ad Hermione.
Lei sospirò, guardando di sbieco i ragazzi.
-
No, voglio godermi il momento in cui il
loro divertimento cesserà di botto. In una decina di minuti si fionderanno
tutti in bagno a vomitare. –
Ginny sorrise. Indossò la giacca ed uscì dal ristorante,
seguita ancora dai canti di giubilo degli amici.
L’aria era fredda e pungente: però, era quello che ci voleva
dopo una serata passata in quel caldo asfissiante.
Sapeva che teoricamente non era prudente che uscisse da sola
per la strada di sera: ma per una volta che Harry non se ne accorgeva, aveva
voluto cogliere l’occasione.
La strada terrosa era deserta. Erano ai confini di Diagon
Alley, e tutto era molto tranquillo. Il cielo era sereno: significava che
avrebbe fatto freddo ancora per qualche giorno. Si vedevano tantissime stelle,
e la luna era al primo quarto.
Camminò un po’. Attorno c’erano poche case, e tutte con le
luci spente.
Mentre camminava, sentì improvvisamente uno scricchiolio. Si
voltò si scatto, trasalendo.
Un gatto nero la guardò, immobile.
Ginny tirò un sospiro di sollievo. Faceva tanto la
coraggiosa, però a volte sudava freddo. Si avvicinò al gatto, che la guardò
malissimo e se ne zampettò oltre la staccionata di una casa buia.
-
Cattivo – mormorò lei.
Fece per tornarsene indietro al ristorante, ma all’improvviso,
una luce fioca fioca attirò la sua attenzione.
Una persona assennata se ne sarebbe andata e di corsa: di
quei tempi indugiare e fare i curiosi non era mai una buona idea. Ma Ginny,
assennata?
Guardò meglio. Veniva da dietro la casa dove era sparito il
gatto.
Le parve di sentire delle voci.
E se fosse stato qualcuno che aveva bisogno d’aiuto? In
quella parte di Diagon Alley non c’era molta gente disposta ad aiutare uno
sconosciuto.
Deglutì, indecisa. Poi si disse che in fondo a Diagon Alley
in un innocente venerdì sera non poteva esserci niente di male.
Scavalcò la staccionata, finendo con i piedi in una
pozzanghera. Borbottò ma continuò a camminare, con cautela.
Le voci si facevano sempre più chiare, anche se erano
sussurrate.
-
… dopo, potrete scappare. Però, tornate
al castello entro domattina. Vorrà sapere com’è andata. –
Era una voce maschile. Le suonava strana alle orecchie. Già
la conosceva, quella voce. Ed ebbe un pessimo presentimento, ma ormai le sue
gambe andavano da sole, e la curiosità era troppo forte.
Si accostò ad un muro e, con estrema attenzione, fece
leggermente capolino.
Sì sentì il cuore mancare un battito. Anzi, pensò che avesse
totalmente smesso di battere per la paura.
Stretti attorno ad una bacchetta che produceva quella luce
fioca, c’erano delle persone. Erano in tre, tutte vestite di nero… e,
naturalmente, incappucciate. Chiunque li avesse visti lì, così all’improvviso,
si sarebbe spaventato, Ginny era pronta a garantirlo. Era impossibile spiegare
la sensazione terrificante che quelle figure le davano, nonostante sapesse
perfettamente che erano normali esseri umani.
Non riusciva a vederli in viso. Vide il gatto nero, o
meglio, i suoi occhi gialli, accarezzare con la coda le gambe di uno dei
Mangiamorte.
-
Tesoro, non è il momento – disse una voce
femminile, affettuosamente, ed il gatto venne accarezzato da un paio di mani
sottili.
Stavolta la voce la riconobbe, e bene. L’aveva sentita tante
volte, anche se distrattamente, l’aveva irritata tante volte, e pensava che non
avrebbe dovuto sentirla mai più.
Rimase ghiacciata sul posto, come se non potesse scappare.
-
E tu cerca di non essere innovativo come
tuo solito – disse la voce maschile di prima, sprezzante.
Qualcuno schioccò la lingua.
-
Come no. – disse.
Bastarono quelle due parole per riconoscere quella, di voce.
Si scostò di scatto e si appiattì contro il muro, con gli
occhi sgranati nel buio ed il cuore che le batteva all’impazzata. Le gambe
sembravano faticare enormemente per tenerla in piedi.
Doveva scappare. Doveva correre.
Fece a fatica un passo.
Il gatto nero guardò verso di lei e miagolò furiosamente.
Tutti e tre si voltarono.
Ginny non ebbe il tempo di nascondersi né scappare né
respirare che loro la videro.
Improvvisamente, le gambe ripresero a funzionarle.
Non riusciva a pensare a nient’altro. Corri, corri, corri.
E lo fece.
- Ci hanno sentiti! – esclamò la voce femminile. La voce di
Pansy Parkinson, che era riconoscibilissima.
Nel corso di preparazione per Auror tenevano molto alla
corsa. Perché se si era Auror bisognava saper rincorrere e trovare, e saper
scappare e non farsi trovare. Per questo negli ultimi mesi Ginny era diventata
particolarmente veloce, tanto che per un attimo speranzoso pensò sinceramente
di averli seminati, o comunque che avessero rinunciato a rincorrerla.
Anche se non aveva mai sentito di Mangiamorte che rinunciano
a fare del male a qualcuno.
Ma ebbe appena il tempo di sentire dei passi veloci dietro
di lei che qualcuno le tappò la bocca con la mano così violentemente che sentì
il labbro spezzarsi. Cercò di liberarsi e urlare, ma la tenevano ferma per le
braccia e si sentiva soffocare.
Venne strattonata in una strada secondaria, dove era
particolarmente buio.
Ginny aveva talmente tanta paura che ormai non riusciva
neanche più a capire quanta. Eppure la sua bacchetta era lì, nella tasca
posteriore dei jeans.
Magari non era un genio in incantesimi, ma era rapida. Bastò
che per un attimo la persona che la teneva ferma estraesse la propria bacchetta
che riuscì, anche se facendosi parecchio male al braccio, a prendere la
bacchetta ed a spingerlo lontano.
Si sentì quasi salva fino a quando lui non parlò.
-
Ehi, come siamo agitati. Stai buona,
voglio solo cancellarti la memoria. –
Era quella voce. Non si sentì più salva. Non aveva la forza
di dire nulla, e quasi sembrava che non respirasse proprio più. Il labbro le
sanguinava ed il braccio le faceva incredibilmente male, ma non era per quello
che aveva paura.
Strinse forte la bacchetta, e non appena lui fece per
avvicinarsi gli lanciò contro uno Schiantesimo, rabbiosamente.
-
Scudo! – gridò lui, e
l’incantesimo le si rivoltò contro sbattendola con violenza contro il muro.
La bacchetta le scivolò dalle mani e lei cadde a terra,
dolorante. Non aveva mai provato tanto dolore tutto insieme. Sembrava che tutte
le ossa del suo corpo si fossero spezzate.
Lui raccolse la bacchetta e le si avvicinò. Si chinò
puntandogliela alla tempia.
Lo sentì sogghignare.
-
Obliv…-
Improvvisamente, la luce al secondo piano di una casa poco
lontana si accese.
E non fu più così buio.
Gli occhi grigi la fissarono, ma non ebbero alcun
tentennamento. Fu la fermezza con cui teneva la bacchetta a tradirlo: la punta
della bacchetta dalla tempia di Ginny si allontanò impercettibilmente.
Si fissarono per un lungo istante e lei ebbe una paura folle
che avrebbe terminato l’incantesimo.
Però poi si ricordò di com’era fatto lui, e capì che non
l’avrebbe fatto. Non per riguardo; non c’era una ragione particolare. Era solo
che lui era fatto così: non avrebbe saputo spiegarselo meglio.
Si allontanò da lei e rimise la bacchetta in tasca.
-
Sparisci – le intimò.
Ginny si alzò a fatica. Il braccio le faceva male da morire.
Il sangue del labbro doveva essersi seccato.
Lei lo sapeva benissimo che avrebbe dovuto solo andarsene,
ed in fretta, senza dire una parola. Però… erano due anni che non lo vedeva.
Ora, non che si fosse distrutta a pensare a lui per tutto quel tempo. C’era
stato un periodo in cui il solo pensiero l’aveva fatta impazzire, ma quando la
ferita era ancora fresca ed i ricordi erano ancora veri.
Ora come ora, i ricordi che le venivano alla mente erano
molto vaghi, come la trama di un libro che si ha solo sfogliato. Però i ricordi
c’erano, e lei non gli voltava mai le spalle.
-
Malfoy – mormorò, sentendosi vagamente
stupida. Sperò che non l’avesse sentita.
Lui non la guardò, come se lei non esistesse. Ma era chiaro
che aveva fatto solo finta di non averla sentita.
-
Cosa stavate facendo qui? –
-
Non te ne sei ancora andata? – chiese,
con una tale freddezza che Ginny rabbrividì.
Era parecchio tempo che qualcuno non la trattava con tanta
freddezza.
-
No, anche perché mi devi aver spezzato
qualcosa – disse, imitando il suo tono gelido.
Draco si voltò a guardarla, inarcando le sopracciglia.
-
Dovresti ringraziarmi per non averti
uccisa. –
Ginny non poté trattenersi.
-
Non credo l’avresti fatto. –
Lui la guardò malissimo.
-
Vedo che sei insopportabile come al
solito. Non mi hai sentito? Ti ho detto di sparire. –
Lei esitò. Ma capì che non era una conversazione che poteva
andare avanti.
Ormai per lei era come parlare con un estraneo.
Con il cuore che per qualche motivo le batteva
all’impazzata, sopportò il dolore e corse via, reggendosi il braccio.
Corse via con il respiro affannoso e gli occhi strani e la
paura.
Qualcuno la vide uscire dal vicolo e sparire nella strada verso
il ristorante.
Vide anche Draco uscire da quello stesso vicolo, rimettendo
la bacchetta in tasca.
-
Dovevi ucciderla – disse Rodolphus
Lestrange, mostrando un ghigno nell’ombra del cappuccio nero.
Draco non lo degnò nemmeno di uno sguardo.
-
Non ne valeva la pena. Le ho cancellato
la memoria. –
Rodolphus lo fissò con un sorrisetto incredibilmente odioso
che gli si allargava in viso.
-
Sbaglio o era Ginny Weasley? –
Lui si voltò a guardarlo, non rispose.
-
Oh, andiamo, Draco, non c’è in giro
nessun’altra ragazza con i capelli così rossi – sogghignò Rodolphus, che
sembrava gongolare del silenzio di Draco. – pensavo l’avessi rincorsa apposta.
–
Lui gli lanciò un’occhiata gelida.
-
Perché avrei dovuto? –
-
Perché una volta eravate… come dire?...
amici è la parola giusta? –
-
No. – sbottò Draco.
Rodolphus rise. Rodolphus, se mai ti ricapiterà di vedere
Ginny Weasley, perché non le chiedi di unirsi a noi? In fondo, all’epoca del
diario di Tom Riddle non mi parve poi così dalla parte dei ‘suoi’. Una ragazza
sola ha più probabilità di cambiare idea.
Chissà, forse il Signore Oscuro aveva ragione. Forse era il
caso di lavorarci sopra. In fondo, con tutta probabilità era al corrente di
parecchi segreti dell’Ordine della Fenice.
Poi, naturalmente, la uccideremo.
Quando Draco si voltò, non poté impedirsi di sorridere.
Hermione era in piedi, con la schiena appoggiata alla porta
del bagno degli uomini. Da dentro provenivano rumori molto spiacevoli di
qualcuno che non si sentiva affatto bene.
Quando ritornò il silenzio, bussò.
-
Tutto bene? Sei ancora vivo? –
La serratura fece un clak e la porta rivelò un Ron
parecchio verde in faccia.
-
No – mormorò, ed effettivamente non
sembrava molto tra i vivi.
-
Tu non lo reggi l’alcool. Te lo dicevo
che non dovevi bere. –
-
E’ stato Harry a costringermi… -
-
Beh, Harry lo regge molto meglio di te,
si è già ripreso – vedendo il viso in stato comatoso di Ron, l’espressione di
Hermione si addolcì un po’. – dai, adesso ripeschiamo Ginny che ti riporti a
casa. –
Ron si appoggiò con la fronte al muro.
-
Non voglio andare a casa… - mugolò.
-
Ah, sì? E dove vuoi andare? –
Lui la guardò con gli occhi lucidi per il post sbronza.
-
Fammi dormire a casa tua. –
Hermione sbuffò.
-
Ron, in che lingua te lo devo spiegare
che casa mia per te è off limit? Io vivo con i miei genitori, santo cielo. –
Ron fece un’espressione sofferente e le si avvicinò,
appoggiando il mento sulla sua massa di capelli castani.
-
Allora metterò da parte dei soldi e
cercherò una casa. Se l’ha fatto Harry… -
Hermione rise contro il suo petto.
-
Harry aveva un’eredità da parte, Ron. –
-
Non mi rovinare i miei viaggi mentali,
Hermione… -
-
Ragazzi, avete visto Harry? –
Hermione guardò oltre la spalla di Ron. Ginny aveva i
capelli tutti spettinati, un labbro sanguinante e si reggeva il braccio
sinistro con la mano destra. In più, era pallida come un cencio.
-
Ginny, ma cosa ti è successo? – disse
Hermione, scrollandosi di dosso Ron con somma disapprovazione di lui. Poi anche
Ron si accorse che c’era qualcosa che non andava.
Ginny parve imbarazzata.
-
Ehm… ero fuori da sola, e… beh… - cercò
di far lavorare la sua mente il più possibile. – mi hanno rapinata. –
-
Che cosa? – esclamò Ron,
ritornando improvvisamente lucido e guardando furiosamente alle spalle della
sorella come se i rapinatori potessero spuntare da un momento all’altro dalla
porta del bagno delle donne.
Ginny si vergognava tantissimo a mentire così
spudoratamente.
-
Ecco… ho opposto resistenza, così mi sono
fatta un po’ male. Comunque, sono scappati poco dopo, anche perché non avevo
nulla con me. – sperò ardentemente che nessuno notasse che avrebbero benissimo
potuto toglierle l’anello e gli orecchini d’oro.
-
Se li vedo gli spacco la faccia… - disse
Ron, digrignando i denti, poi però dovette di nuovo correre al bagno a
vomitare.
Hermione aveva un’espressione molto preoccupata ma non
diceva niente. Ginny si chiese se a lei poteva dire la verità, ma sapeva che
non era il caso. Che poi, in fondo non era successo poi niente… va bene, era
stata aggredita da un Mangiamorte, ma niente di più, e poi quel Mangiamorte lo
conosceva, quindi tecnicamente non… va bene, il ragionamento faceva acqua da
tutte le parti. Ma sapete quando uno si impunta che non vuol fare una cosa?
Così Ginny si impuntò a non voler dire la verità.
Harry arrivò con addosso il giaccone, seguito da una Luna ancora
un po’ scossa dalla sbronza ma con gli occhi finalmente normali.
-
Ah, Ginny, ti… beh, cosa ti è successo? –
Lei improvvisamente ammutolì. Oh, non aveva per niente
voglia di mentire a Harry, proprio per niente.
-
Era uscita a fare una passeggiata, e l’hanno
aggredita per rapinarla – la precedette Hermione, con suo sommo sollievo.
Harry parve furioso, e cominciò a chiedere un sacco di
particolari ed a guardarla e controllarle il braccio e dirle che doveva andare
al San Mungo a farselo sistemare. Ginny annuiva, o rispondeva a monosillabi.
Alla fine Hermione riuscì a convincere Harry che non c’era
bisogno di andare all’ospedale, ma che bastava che cercasse alla Tana una
pozione per l’aggiustamento delle ossa (in una famiglia con sei figli ce ne
doveva per forza essere un po’) e si facesse una bella dormita.
Harry però insistette per accompagnarla a casa. Lui ed
Hermione andarono nel bagno degli uomini per trascinare via Ron di peso.
Luna sorrise a Ginny.
-
Sai che una volta ho letto che quando una
persona risponde solo ‘sì’ o ‘no’ vuol dire che non dice la verità? –
Lo disse senza la minima traccia di malizia od allusione,
anche se Ginny ebbe la spaventosa impressione che sapesse, ma l’espressione di
Luna era assolutamente sincera, l’aveva detto solo per parlare.
Però, quando Luna era così sincera, faceva venire sensi di
colpa così forti che per un attimo si finiva per odiarla.
-
Bene, allora cercate di riposarvi – disse
Hermione, squadrando Ron e Ginny con attenzione.
-
Devo accompagnarla a casa, Harry? –
biascicò Ron, che faticava a reggersi in piedi.
-
Sì, certo Ron, adesso la accompagniamo a
casa… - disse, trascinandolo via e salutando Hermione.
Lei sorrise e si Smaterializzò.
-
Draco? –
La porta si socchiuse lasciando uno spiraglio di luce.
Lui era da un po’ che teneva gli occhi aperti al buio. Non
era che non riusciva a dormire, era che non aveva voglia di dormire.
Tuttavia, non rispose.
Lei aspettò un po’ sulla soglia, poi pensò che dormisse e
richiuse la porta.
Non era che non riuscisse a dormire, era che non aveva
voglia di dormire.
A volte si tengono gli occhi aperti al buio e ci si abitua,
ma quando arriva la luce ti accorgi che è tutta un’altra cosa.
E tutto iniziava lì, da quella sera, da quel buio e da
quella luce.
**
Allora?._. Come vi è sembrato?._. Spero vi sia piaciuto
(logicamente)… fatemi sapere!
A presto!
Miwako__
P.S. Come al solito, se ne avete l’occasione, vi consiglio
di ascoltare la canzone Here without you dei 3 Doors Down, che mi ha
ispirato questo capitolo>_<