13_Incontro poco gradito
Quando Hilary si
risvegliò, sentì l’ingombro del corpo di suo
fratello accanto a sé, presenza ulteriormente evidenziata dal
braccio che sentiva premuto contro la sua schiena ed il suo respiro,
sommesso e regolare.
La ragazza si volse verso
di lui, trovandosi ad osservare una scena tanto carina quanto buffa:
Roy era steso supino sul letto, scoperto dal ventre in su, i capelli
scompigliati ed un’espressione d’angelica beatitudine sul
viso, la bocca leggermente aperta in una “o” dalla quale
uscivano leggeri respiri.
Sembrava essersi girato
talmente tante volte durante il sonno - ed il come era un grosso punto
interrogativo, date le condizioni di una gamba - da essersi avvinghiato
per metà nelle coperte.
Hilary sorrise,
sfiorandogli con dolcezza una guancia: sembrava un tenero e innocente
bambinone, più che un militare pronto ad ammazzare a sangue
freddo.
In quel momento pareva incapace di nuocere persino ad un moscerino.
Lo lasciò lì,
senza osare né parlargli, né tantomeno smuoverlo, quindi
si alzò e andò in cucina, dove iniziò ad
affaccendarsi attorno ai fornelli per preparargli la colazione.
Mentre cucinava, si
lambiccava su un modo di estrapolargli informazioni circa la sua nuova
conoscenza: doveva eliminarla prima che potesse diventare un potenziale
problema per il loro rapporto familiare, ma senza avere né nome
né particolari dell’aspetto né altro, era ad un
odioso punto morto.
- Be’, tanto vale che
mi dia da fare a scoprire qualcosa da sola! - esclamò tra
sé, decisa: sapeva che Roy non le avrebbe mai detto niente per
evitare che lo intralciasse, ma lei era testarda e di certo non si
arrendeva alla prima difficoltà.
Nel mettere un piatto di
frittelle e una tazza di caffè su di un vassoio, Hilary
ragionò sulle sue opzioni e, mentre portava il tutto in camera,
queste si restrinsero a due sole, tra le quali era facile per lei
decidere.
- Nii-san, la colazione! - esclamò, sorridendo radiosa, entrando in camera.
Roy fu svegliato dal tono
di voce piuttosto alto e allegro. Si mise seduto, gli occhi gonfi di
sonno, grattandosi la testa, guardando confuso la sorellina che si
avvicinava.
- Cosa...? - biascicò.
- La colazione - ripeté lei, posizionandogli il vassoio sulle ginocchia, prendendo posto accanto alle sue gambe.
- A letto? - chiese il moro, inarcando sorpreso un sopracciglio.
- Visto che hai una gamba ferita, ho pensato di portartela a letto - spiegò la minore.
Lui non aggiunse altro: che
cosa avrebbe potuto dire? Era un gesto gentile e premuroso da parte
sua, ma quando mai non era stata così?
Fin da quand’erano
bambini lei si era sempre preoccupata per lui ogni qualvolta gli
capitava qualcosa che lo costringeva a letto. La sua, almeno a parer
suo, era una preoccupazione che sfociava nel morboso.
Eppure non aveva mai nuociuto a nessuno, quindi non vedeva perché rimproverargliela.
- Nii-san... - lo chiamò dopo un poco, mentre mangiava le frittelle.
- Sì...? - rispose lui, tracannando un po’ di caffè.
- Oggi non vengo con te al Quartier Generale -.
Roy sgranò gli occhi, visibilmente scioccato: che cosa le era preso tutto d’un tratto?! Che fosse impazzita?!
- Perché? - volle sapere il maggiore.
In risposta, ricevette un altro sorriso radioso e innocente.
- Voglio andare a fare un giro in città, tutto qui -.
Sembrava una motivazione
buona e giusta; in fondo, era pur sempre una ragazza, e come tale aveva
tutto il diritto di andare a far compere e cose da donne, come tutte le
altre.
- Ah... okay -
replicò semplicemente il moro, comunque un po’ perplesso
dal suo improvviso desiderio di separarsi da lui; proprio lei, che di
solito faceva l’impossibile per stargli appiccicata.
“Be’, ma chi
sono io per dirle di non andare? Anzi, così sarò
finalmente un po’ libero da tutte le sue morbose attenzioni e
potrò andare a fare una visita anche a quelle graziose
segretarie che non vedo da un bel po’...” si disse Roy,
sorseggiando dell’altro caffè “Anche se... potrebbe
essere problematico” aggiunse subito dopo, lanciando
un’occhiata dubbiosa al profilo della gamba ingessata.
Terminato che ebbe di
mangiare, Hilary ritornò in cucina e lavò le stoviglie,
quindi, mentre il fratello era in bagno, si vestì in fretta e
prese la borsa.
- Nii-san, io esco! -
esclamò dalla soglia della camera, al che il moro fece malamente
capolino dalla porta del bagno coi capelli gocciolanti ed
un’espressione perplessa.
- Di già? Ma i negozi sono aperti a quest’ora? - chiese.
- Certo! - mentì la
ragazza, nel tono più spudoratamente convincente che fosse
capace di trovare - Ma dove vivi? - aggiunse con una nota di stizza.
- Ah, okay. Allora... a stasera - la salutò, tornando dentro.
- Bye bye! - replicò
la minore, avviandosi con passo felino verso la porta,
un’espressione maliziosa e perfida stampata in faccia:
l’aveva fatta franca senza neppure impegnarsi.
Suo fratello era un credulone.
- Oh, meglio così. E
ora... a cercare la nuova arpia! - mormorò tra sé mentre
usciva, gli occhi che le scintillavano.
Nel frattanto, ignaro di
tutto, il colonnello, uscito dal bagno, si accingeva a vestirsi. La
cosa, in verità, si rivelò abbastanza facile dalla vita
in su, ma dovette ovviamente faticare un po’ di più per
infilarsi i pantaloni.
Quando fu pronto, armato
delle sue odiate stampelle, uscì dall’appartamento e si
fermò sul marciapiede ad aspettare che il tenente arrivasse: la
sera precedente, prima di scendere dal treno, la donna si era
gentilmente offerta di accompagnarlo all’ufficio finché
non avesse tolto il gesso.
Nel momento in cui la
vettura si fermò davanti a lui e la bionda ne uscì, il
moro provò un incommensurato sollievo nel pensare che non ci
fosse sua sorella: era palese una certa antipatia tra loro due.
- Signore - disse Riza a mo’ di saluto.
- Tenente - replicò l’uomo nello stesso tono, accingendosi a salire in auto.
Il viaggio verso il
Quartier Generale non fu dei migliori: tra loro aleggiava un certo
disagio che era quasi palpabile tant’era opprimente.
Riza continuava a provare
un indiscutibile rimorso per la ferita riportata dal superiore: se lei
fosse stata più accorta e con i riflessi più rapidi,
avrebbe potuto evitare che un simile incidente accadesse. Era una
certezza alla quale non riusciva a non pensare, nonostante se lo
ripetesse più e più volte.
“Ormai quel che
è fatto è fatto” continuava a dirsi, ma non si
convinceva: il senso di colpa continuava a divorarle l’anima,
senza darle tregua.
Da parte sua, Mustang non
si sognava minimamente di addossare la colpa di quanto accadutogli al
tenente, anzi, reputava la cosa come un incidente causato dalla sua
stessa esitazione a dare il colpo di grazia al nemico finché
tutto era calmo.
Giunsero al Quartier Generale pochi minuti dopo.
Riza uscì per prima
dall’auto e fu in un baleno dall’altra parte, a tenere lo
sportello aperto a Roy, che sembrava deciso ad uscire e mettersi in
piedi con le sue sole forze.
Mentre, al fianco della
bionda, si avviava verso l’ingresso dell’edificio, il
colonnello tirò un silente sospiro di sollievo.
“Oggi potrò stare un po’ in pace, visto che non c’è Hilary. Finalmente...!” pensò.
- Nii-san al telefono l’ha chiamata “Amber”... -.
Hilary camminava lungo una
strada del centro di Central City, un dito a sorreggerle il mento,
l’espressione pensosa rivolta al marciapiede.
Era uscita con
l’intenzione di trovarla e farla girare a largo da suo fratello,
con le buone o le cattive, ma nella foga dell’iniziativa aveva
tralasciato un “piccolo” particolare: lei non aveva neppure
la più pallida idea su dove potesse trovare la donna.
“Eppure, non
può essere così difficile da trovare! Insomma, nii-san
frequenta sempre quegli squallidi locali pieni di donnacce. Di certo
lavorerà in uno di quelli!” si disse mentalmente per farsi
più coraggio, mentre svoltava in una delle strade che, al calar
del sole, diveniva la più malfamata dell’intera
città per la compagnia poco raccomandabile che la bazzicava.
“Avanti Hilary! Devi farcela, per il tuo nii-san!”.
E così iniziò
l’ardua ricerca: di locale in locale, la ragazza chiese a tutti
quelli che trovò aperti se presso di essi lavorava qualche donna
di nome Amber e, in caso di risposta affermativa, se di recente
avessero visto da quelle parti un uomo che corrispondeva alla
descrizione di suo fratello, che di volta in volta forniva con
minuziosa attenzione ai particolari.
Ogni volta la risposta era sempre la stessa: “no”.
Passò così
tutto il resto della giornata: anche se non sembrava, i locali poco
raccomandabili erano veramente tantissimi in città.
Quando, distrutta dalla
ricerca, fece ritorno a casa, trovò questa ancora vuota,
inconfutabile segno che suo fratello era ancora a lavoro.
“L’ho lasciato
un giorno in balia di quel tenente, ma meglio se passa una giornata con
lei che con quella donna sconosciuta!” rifletté, mentre si
preparava qualcosa di veloce da mettere sotto i denti.
Nel momento in cui si stava
sedendo a tavola la serratura della porta scattò e Roy si
materializzò sulla soglia, zoppicando all’interno sorretto
dalle stampelle.
Al vedere la sorella si fermò e distolse gli occhi.
- Mi sono dimenticato di
dirti che sarei tornato tardi, oggi... - disse, con un tono di voce che
sembrava rivelare quasi completamente il suo timore di essere fustigato
per la dimenticanza.
- Non importa, nii-san! - rispose Hilary, sorridendogli - Anche io sono appena tornata -.
- Sei stata tutto il giorno in giro? - domandò lui, stupefatto.
- Già... avevo
bisogno di un po’ di svago - ammise lei, mascherando
perfettamente il fatto che stava mentendo - Vuoi qualcosa di
particolare per cena, nii-san? - domandò poi.
- No, scegli te... - rispose lui, andando a sedersi sul divano.
La minore lo osservò: pareva esausto.
- Ti fa male la gamba? -
- No, sono solamente stanco... - la liquidò fiaccamente l’uomo, reclinando all’indietro la testa.
Gli andava bene anche
addormentarsi lì: non aveva mai avuto un’idea precisa di
cosa significasse attraversare tutto il Quartier Generale con le
stampelle, e neanche di cosa volesse dire salire e scendere le scale
con una gamba ferma.
Era stata la giornata
lavorativa più spossante che avesse mai affrontato e la cosa
peggiore era che, con ogni probabilità, tutti i giorni a venire
sarebbero stati così finché non si fosse tolto quel
maledetto gesso.
L’unica nota positiva
era stata il non aver avuto sua sorella intorno, ma non credeva affatto
di poter avere una tale fortuna due volte in una stessa settimana.
Ergo, l’indomani lei sarebbe tornata a lavoro con lui.
Qualcuno bussò alla porta.
- Vado io, nii-san - disse Hilary, allontanandosi da lui per andare ad aprire.
Si trovò di fronte
una donna vestita in modo succinto e prosperosa, che la fissava
dall’alto con sguardo vagamente altezzoso.
La mora stava per sbatterle in faccia la porta, quando suo fratello chiese: - Chi è? -.
- Roooy! ♥ -
chiamò la sopravvenuta, spingendo da parte Hilary in modo non
troppo carino ed entrando nella stanza, andando incontro al militare
con un dolce sorriso stampato in faccia.
La minore dei Mustang
scoccò un’occhiata iniettata di veleno all’indirizzo
della donna, che non le stava affatto simpatica anzi, le era
decisamente antipatica.
- Amber...! Che cosa ci fai
qui? - domandò Roy, guardandola con un’espressione
perplessa e lievemente allarmata: doveva arrivare proprio adesso che
c’era anche la sua sorellina...?!
- Sono venuta a trovarti. Volevo vedere come stavi, ma sembri già in compagnia... -.
Il tono con cui
proferì l’ultima parte della frase sembrava intriso di
puro fiele e lui parve accorgersene, perché si affrettò
ad aggiungere: - Ah... Amber, questa è mia sorella, Hilary -.
- Oh, davvero? -.
Amber pareva essersi
ripresa improvvisamente e sembrava non essere più arrabbiata con
la ragazza, al contrario di quest’ultima, che la odiava sempre di
più ogni istante che passavano nella stessa stanza, condividendo
la medesima aria.
Se era lei la nuova ragazza
del suo fratellone, ed a quanto sembrava lo era proprio, allora
c’era un motivo in più perché dovesse sparire all’istante.
- Mi sei mancato
così tanto in questo periodo, Roy caro... - esclamò Amber
in tono così dolce da essere nauseante, baciandolo di sfuggita
sulle labbra.
Hilary stava letteralmente
rodendo nel tentativo di non saltare addosso a quella strega e
picchiarla: non voleva che il suo nii-san, assistendo, decidesse di
intervenire e fermarla.
Il colonnello si
issò malamente in piedi e, a disagio per la tensione che sentiva
accumularsi nella stanza, se ne uscì con un esitante: - Vado a
prepararti del caffè... -.
Lasciarle da sole era una
mossa azzardata, ma la cucina non era poi così distante e, se
Hilary avesse provato a fare qualcosa di strano, il rumore
l’avrebbe sicuramente allertato.
- Va’ pure, caro! - replicò Amber tutta zucchero.
Solo quando l’uomo
ebbe superato la soglia della cucina, Hilary si decise ad affrontare a
viso aperto l’intrusa: - Ehi, tu. Sta’ lontana da mio
fratello, intesi? -.
Amber si voltò per metà verso di lei, guardandola dall’alto in basso con fare estremamente altezzoso.
- Non prendo ordini da una
mocciosa, chiaro? - disse a mezza voce, chiaramente per non farsi
sentire, sputando veleno con ogni parola - E non impicciarti in affari
che non ti riguardano: tuo fratello è mio -.
- Non permetterò che tu me lo porti via, costi quel che costi -.
Nell’ultima parte
dell’affermazione, la mora diede chiaramente a vedere che nelle
sue intenzioni c’erano anche le “maniere cattive” di
mandarla via, in caso quelle buone non fossero state sufficienti.
- Oh, che cosa commovente,
la sorellina che non riesce a lasciare andar via il fratellone... -
controbatté Amber in palese tono di scherno - ... mi dai il
voltastomaco, bamboccia che non sei altro. Non mi fai paura, chiaro? Se
voglio tuo fratello, l’avrò. Di questo puoi star certa -.
La scintilla di minaccia
che le brillava negli occhi era quasi inquietante e palesava intenzioni
se possibile ancor peggiori di quelle della sorella del suo ragazzo.
Hilary non riuscì a far niente. Per la prima volta si sentì del tutto impotente nei confronti di una nemica.
- Che c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua? - la prese in giro Amber.
La giovane Mustang, non
sapendo cos’altro fare, girò i tacchi e si avviò
verso la porta, aprendola di scatto ed uscendo, sbattendosela con forza
alle spalle, liberando parte della sua innegabile rabbia.
- Amber... è
successo qualcosa? Perché è uscita...? - domandò
Roy stupito, affacciandosi dalla cucina al sentir sbattere
l’uscio.
Era tardi ed Hilary non era
esattamente il tipo di persona che passa la notte in giro. Accadeva di
rado, e solo nei fine settimana.
- Ha detto che voleva fare una passeggiata - rispose Amber, sorridendogli - Sai, tua sorella è davvero una cara ragazza, amore... -.
Angolino autrice
Finalmente torna l'Ispirazione
çOç *abbraccia* e torno a scrivere questa longfic
abbandonata O/ sperando di essere riuscita a scrivere un capitolo
perlomeno decente -.-'' e ringraziando i lettori per la pazienza
>//////<
Non capiterà più ù___ù *ci spera anche lei*
Anyway, ringrazio Kiuxy, Newmoon, Castiel, Kiri Dellenger II e Lupoz91
(°-° quanta gente) per le recensioni allo scorso capitolo e
coloro che hanno aggiunto la fic alle preferite/ricordate/seguite.
Al prossimo chappy! ^^
F.D.
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