“In
generale, non sono brava nelle relazioni interpersonali, ma penso di
aver acquisito una certa esperienza in questo campo con la mia
famiglia. Dovendo mettere comunque in piazza ogni magagna della stessa,
probabilmente faremmo una versione “extended” della
trasmissione di Magalli. In un libro della Littizzetto ho letto un
bellissimo proverbio che recita più o meno così:
se tutti scendessero per strada e si scambiassero le loro croci, ognuno
tornerebbe a casa con la propria. E’ comunque vero: in ogni
famiglia, dove più, dove meno, ci sono i famosi
“scheletri negli armadi”, non come a Wisteria lane,
ma in certi casi ci avviciniamo.
Taccio
dei casi in cui si lede la fisicità della persona coinvolta,
ma per il resto non è che stiamo messi bene: la Sig.ra U.
sembra rifiorita da quando il marito è morto: è
una vedova felice e si è trovata anche lo spasimante, a 80
anni suonati (questo può dare adito a sospetti); la
negoziante S. ha una sorella svanita che ogni tanto scappa di casa, e
deve essere sorvegliata costantemente; le sorelle F. sono una
più matta dell’altra, ma non lo danno a vedere.
Il
fatto è che a volte non te lo puoi impedire, viene fuori da
sé: la costante vicinanza con la persona o le persone in
questione e i continui litigi, discussioni, urla, pianti e lacrime,
fanno sì che la sopportazione scenda a livelli minimi e la
saturazione sia invece al massimo, per cui o si scoppia (e qui le
conseguenze sono molteplici) oppure, e questa forse è la
soluzione migliore, si cambia aria. Cambiando aria, però, ci
lasciamo dietro strascichi che forse non si possono rattoppare,
coinvolgendo anche persone che c’entrano e non
c’entrano…”
E
qui Emma si fermò: si rese conto che di tutto quello che
aveva in testa aveva fatto un gran minestrone e il risultato non era
dei migliori. Il problema era mettere nero su bianco quello che
sentiva, e non era facile: le parole hanno vita propria e se non le
tieni a bada, se ne vanno per conto loro. Chiuse il pc con uno scatto e
si alzò dalla sedia. L’intento di scrivere una
sorta di diario per quella sera era sfumato. Non poteva farci niente:
non riusciva a mettere giù quelle sensazioni così
personali: scriverle sarebbe stato come confessarle al mondo, anche se
non era quello lo scopo. Da sempre poi ad Emma succedeva che, se
scriveva nei dettagli di qualche sensazione oppure di qualche
sentimento, gli stessi sfumavano dal suo cuore, come se dalla penna o
dalle dita potessero trasferirsi sullo schermo del computer o sulla
carta e da lì non uscire più. Era sconcertante ed
Emma, a volte, quando le succedeva qualcosa di positivo, per
scongiurare questo rischio, anche se le prudevano le dita dalla voglia
di scrivere, non lo faceva.
I
sentimenti si appiattivano, le sensazioni sfumavano, si ritrovava
svuotata, e non era assolutamente questo che voleva. In quel caso,
però, la tentazione era stata troppo forte e ci aveva
provato.
Raggiunse
il frigorifero per prendersi una birra fresca nonostante non facesse
eccessivamente caldo, anche se erano gli inizi di maggio. Era assetata.
Era come se tutte le parole affannate che aveva buttato giù
poco prima le avesse pronunciate e adesso avesse la gola secca.
Controllò l’ora, erano appena le nove e mezzo. Si
accese una sigaretta e pensò con un sorriso che
rappresentava proprio l’immagine della quasi trentenne single
del terzo millennio: pochi amici, impiegata in un lavoro che non le
dava più emozioni ma in compenso molte ansie, automunita,
single e sovrappeso.
Prese
il cellulare, aprì lo sportellino e come al solito non
c’erano messaggi per lei.
Per
forza, le sue migliori amiche erano impegnate con i propri fidanzati ed
era impensabile che stessero sempre a sua disposizione per ascoltare le
sue lamentele. Inoltre, era un tipo molto timido, per cui se nessuno le
chiedeva di parlare delle sue beghe, non era di certo lei a partire per
prima. Sentì le chiavi nella porta: il suo coinquilino stava
rientrando. Finalmente: qualcuno con cui scambiare due chiacchiere.
Gustavo
era, secondo il parere di Emma, semplicemente un mito: aspetto fisico
nella norma per un quarantenne “e qualcosa”, anzi,
forse più in alto della media, dolce, simpatico,
intelligente, molto caustico nei suoi commenti (tendenti a volte al
pettegolezzo). Quella sera però era particolarmente nero.
“Ciao.
Gus.”
“Oh
Emma, ciao”
“Tutto
bene?”
“Da
Dio”, rispose, prendendo del prosciutto dal frigo.
“Non
sembrerebbe, però. Che hai?”
“Niente,
le solite beghe con Mariano”, farfugliò con una
fetta di prosciutto in bocca.
“Non
sembrano le solite, sembri particolarmente incazzato
stasera”, disse Emma, accendendosi un’altra
sigaretta e preparandosi ad ascoltare i problemi del suo amico con il
suo ragazzo. Anche in questo, Emma si inseriva alla perfezione nel
ritratto della single tipo del 2000: il suo amico, purtroppo per
l’universo femminile, ma principalmente purtroppo per lei,
era gay. Il suo ragazzo, Mariano, era il traino della coppia: quello
che Mariano diceva, era legge, e Gustavo in genere ubbidiva come
ipnotizzato. Quella sera, evidentemente, qualcosa era però
andato storto.
“Il
punto, con lo stronzo, è che o si fa quello che vuole lui,
oppure si fa quello che vuole lui ugualmente…”
“Gus,
però te l’avevo già fatto notare
più di una volta: non è una
novità…”
“Ah,
sì? Me l’avevi già fatto notare? E
quando? Non me ne ero accorto!”
“Gus…”
“Anche
tu con i “te l’avevo detto”…
Che palle! E’ possibile che tutti veniate fuori solo dopo con
queste frasi? Non è che potreste insistere un po’
di più prima? Prima che mi crolli il mondo
addosso…”
Porca
miseria: crisi nera.
“Gus,
cacchio, non è che ti posso legare alla sedia: hai
quarant’anni “e qualcosa”, sei grande e
vaccinato, e di queste cose te ne dovresti accorgere tu per primo: non
sei un pischellino alle prime armi con l’amore… E
comunque chi è anche che ti avrebbe sparato il
“Te l’avevo detto?” ”
“Nicola…”
“E
da quand’è che ti confidi con tuo fratello? Dovevi
essere proprio disperato…”
“L’ho
incontrato nel locale dov’ero.. E comunque c’hai
ragione pure tu, però lì per lì non
è che te ne accorgi: l’amore non è
né statistica né matematica, non è una
scienza esatta: solo sbagliando si impara…”
“E
nemmeno sempre.. Comunque, dai, dimmi che ti è
successo…” chiese Emma schiacciando la sigaretta
nel posacenere.
“Va
bè… avevamo fissato di trovarci alla solita
pizzeria per mangiare un boccone insieme, poi dovevamo rientrare ognuno
a casa propria... Non voleva nessuna “distrazione”,
lui, stasera. Lui domattina si alza presto…”
“Gus,
non voglio avere la cronaca dei bioritimi di Mariano!”
“Che
palle fai! Comunque, ci troviamo alla pizzeria, ci sediamo, ordiniamo,
tutto nella norma, facciamo un brindisino, ad un certo punto lui fa:
“Domenica siamo con Andrea e Valerio””
“E
chi sono questi?”
“Due
amici suoi… Comunque, il punto è che io gli avevo
detto che domenica avrei lavorato, che era fondamentale per me, un
po’ di soldi in più fanno sempre comodo, anche in
vista della convivenza…”
Questo
fatto della convivenza rattristava molto Emma: come avrebbe fatto senza
gli sbalzi di umore di Gus, le sue paturnie e le sue chiacchiere?
Praticamente, era come guardarsi allo specchio… Le sarebbe
mancato però anche il suo sorriso, il suo affetto, e il suo
appoggio nei momenti bui, che da quattro mesi che stava lì
erano stati tanti, e altri ne sarebbero venuti… Senza
contare che avrebbe dovuto trovare un altro coinquilino, ed era una
scocciatura non da poco: un altro come Gustavo non lo avrebbe trovato
più. Ma da come stava procedendo il racconto del ragazzo, il
rischio convivenza tornava ad essere remoto…
“…
E quindi glielo faccio presente” continuò Gustavo
“ e lui sai che dice? “Va bè, prendi
libero”, ma con un’aria, un’aria,
Emma…”
“A
presa di culo?”
“Appunto…
Allora gli dico “Prendi libero una sega!”
“Gustavo!”
“Oh,
così gli ho detto… Comunque, a quel punto, lui si
incazza di brutto e comincia a dire che lui per me
c’è sempre e io per lui mai, che sta facendo un
sacco di sacrifici per noi e io sto sempre lì a lamentarmi,
che per una volta potrei essere un po’ più
elastico… Sì sì, ha detto proprio
così: elastico.. A quel
punto non ci ho visto più e gli ho vomitato addosso tutto
quello che mi passava per la testa!”
“Oddio
Gustavo, no..”
“Appunto…
Insomma, gli ho detto che mi ero rotto, che non era vero un cazzo
quello che aveva detto, che il culo per noi me lo sono sempre fatto io,
che lui è Attila, dove passa lui non rimane nulla e che si
deve sempre fare come dice lui e che io a quel punto ne avevo
abbastanza! Mi sono alzato, ho preso il cappotto al volo e ho fatto per
uscire… travolgendo mio fratello che era lì che
aspettava un tavolo…”
“Ed
è li che è partito il “te
l’avevo detto”…”
“infatti…
solo che me lo dice dopo due anni che me l’aveva
detto… Sai, non sono Pico Della Mirandola, tendo a
dimenticare le conversazioni dopo un paio di settimane che sono
avvenute…”
“Scusa,
e dopo due anni che non vi parlate l’unica cosa che ti dice
è “Te l’avevo
detto”?”
“Boh.
Probabilmente essendo la pizzeria piccola ha assistito a tutta la scena
da “dietro le quinte””
“Scusa,
fammi capire… Tu ti alzi incazzato come una iena, travolgi
tuo fratello e, invece di un “Scusa… Oh Nicola,
ciao! Che bello vederti””Ciao Gustavo, come
va?” o qualcosa del genere – non sono molto brava
in drammaturgia -, lui come un oracolo ti spara quella frase?”
“Sì
e anche con il tono di chi te lo fa cadere
dall’alto… Non ho fatto in tempo a dire nulla
prima perché è stato così
repentino… E non gli ho dato il tempo di dire altro
perché sono fuggito via dalla rabbia che mi era
presa…”.
E
qui, inaspettatamente, Gustavo si mise a piangere.
In
quattro mesi che abitavano insieme, Emma l’aveva visto
ubriaco, felice, entusiasta, oppure fuori dalla grazia di Dio, ma non
gli era mai successo di vederlo piangere… Non era il gay da
film, il tipo moooolto sensibile, fantastico arredatore di interni o
stilista o pubblicitario o qualsiasi professione stereotipata affibbino
ai gay nei film, cosa che nell’intento di rappresentarli li
rende ancora più discriminati che mai. Gustavo era un uomo
semplice, e se in quel momento stava piangendo voleva dire che la
situazione era seria.
“Dai
Gus, non fare così… Vedrai che fra un
po’ Mariano ti chiama e sistemate tutto come
sempre” disse Emma poco convinta, dato che, con tutta la
buona volontà che ci poteva mettere, a lei Mariano proprio
non piaceva…
Emma
continuò nella sua concione abbracciando l’amico.
“Dai
calmati, Mariano è così… E’
un po’ kapo ma è una brava persona, di sicuro si
sta rendendo conto della cazzata che ha fatto e fra un po’ ti
telefona e ti chiede scusa… Su, Gus, non piangere
più…”.
Il
pianto sommesso dell’amico era infatti diventato un
singhiozzare disperato.
“Non
è per lui che piango, Emy, cioè anche per
lui…” spiegò Gustavo cercando di
prendere fiato “Stavo piangendo per le parole di mio
fratello…”.
“Vedrai
che si sistema tutto anche con lui. Guarda, adesso ti preparo una
camomilla doppia, anzi tripla, e me la bevo anch’io,
così andiamo a letto e vediamo se in due riusciamo a dormire
una notte intera… Nel caso, c’è sempre
la Nutella come misura di emergenza!” esclamò
Emma, strappando a Gustavo un debole sorriso fatto solo con le labbra,
e non col cuore, ma era già qualcosa.
Nel
silenzio che seguì, Emma preparò la camomilla
fumando l’ennesima sigaretta, Gustavo andò a
prepararsi per la notte e, quando la camomilla fu pronta, la sorbirono
in silenzio in cucina, gustando la quiete dopo la tempesta e fumandosi
uno spinello in due… Il fornitore ufficiale della famiglia
era Gustavo che in quei momenti però controllava il
cellulare ogni due minuti smanettandoci sopra. Emma lo
lasciò fare, tanto… come aveva pensato prima? Era
come guardarsi in uno specchio… Non se la sentiva
perciò di stigmatizzare i comportamenti
dell’amico, li riconosceva troppo come suoi…
Finita
la camomilla e lo spinello, Gustavo disse che se ne andava a letto,
perché gli era montato un mal di testa micidiale. Emma
seguì l’esempio dell’amico non prima di
aver fatto un altro tentativo con il computer, naturalmente andato a
vuoto.
Per
quella sera apparentemente Mariano non chiamò, anche se ad
Emma sembrò di sentire nella notte una voce concitata
provenire dalla stanza di Gustavo, ma probabilmente era solo
immaginazione.
Prima
di addormentarsi, Emma pensò che mai come quella sera aveva
avuto prova che l’amore è veramente un sentimento
universale: prescinde dal sesso delle persone e dal legame che le
unisce: se davvero te lo deve mettere in quel posto, lo fa, e basta.
La
mattina seguente Emma era in ufficio senza voglia di lavorare come da
un anno le succedeva costantemente: come al solito, la tensione si
tagliava col coltello: troppe pressioni interne, troppi problemi e
soprattutto troppo lavoro e troppo poco personale per
svolgerlo…
Durante
la pausa pranzo, chiamò Gustavo per sapere se
c’erano novità, e non ce n’erano.
L’umore dell’amico era ai minimi storici: era
fatalmente depresso… Emma cercò di rassicurarlo
per quanto poté, poi tornò al lavoro. La giornata
scorse lentissima, non le passava più… Appena
riuscì a liberarsi, scappò a casa, decisa a
preparare una cenetta terapeutica per l’amico.
Arrivata
sotto il portone, si sentì chiamare, si voltò e
si trovò davanti nientepopodimeno che il Sig. Mariano in
persona, lo stronzo egoista che aveva fatto piangere il suo amico.
L’atteggiamento di Emma nei suoi confronti in quel momento
non era esattamente neutrale…
“Ciao
Emma”
“Ciao
Mariano” rispose Emma, nascondendo le chiavi in borsa,
cercando di inviare un messaggio subliminale al nemico, in modo che
capisse che LEI non l’avrebbe fatto di certo salire.
“Senti,
c’è Gustavo in casa?”
“Ti
ringrazio per avermi chiesto come va. Comunque, in caso te lo fossi
scordato, il ragazzo di Gustavo sei TU, sei TU che dovresti sapere se
c’è o non c’è, dato che in
teoria dovresti passare la maggior parte del tuo preziosissimo tempo
con lui,”chissà perché, con lui il
“TE” toscano non le veniva “TU che
dovresti dirlo a me, TU che stai investendo tutto su di voi, TU
che…”
“Emma…”
“…
Che c’è!” esclamò la ragazza
, senza fiato.
“Lo
so che ieri sera ho fatto una cazzata, so anche che Gustavo pensa che
io mi senta superiore a lui, e inoltre so anche che –
conoscendolo – Gustavo adesso starà controllando
il cellulare ogni pochi minuti per vedere se gli ho scritto o se ha
perso una mia chiamata…”
“Perché?
Non l’hai fatto? So che fino alle una non è
successo perché mi sono sentita con Gustavo, ma speravo, mi
illudevo che perlomeno nel pomeriggio la coscienza ti rodesse almeno un
po’ e che avresti alzato il culo per chiamarlo, per farti
sentire!”
“Senti,
ne dobbiamo discutere per forza in mezzo alla strada?”
“Sì,
perché Primo: non ho intenzione di farti salire a
prescindere; secondo: se ti facessi salire e Gustavo fosse in casa,
scoppierebbe il finimondo; Terzo: non ti ho certo chiamato io, e
quarto… non lo so, ma insomma, non voglio che tu
salga!”
“In
questo caso, perché non ne parliamo davanti ad un
tè caldo?”
Freddino
quel giorno faceva freddino, non c’erano altre vie di uscita,
ché se Gustavo fosse rientrato in quel momento sarebbe stato
un macello, per cui Emma accettò.
In
un locale vicino, davanti ad un bel tè fumante, Emma chiese
a Mariano il perché della sua comparsata.
“Capiscimi,
Mariano, ti avrò visto sì e no cinque volte,
stasera mi capiti fra capo e collo così, trattandomi come se
fossimo amiconi, cosa che non siamo… La cosa mi è
sembrata un tantino ipocrita… Tanto più che
– te lo puoi immaginare – Gustavo sta da cani, e io
non posso vederlo così”
“Hai
ragione Emma, purtroppo sono un tipo impulsivo… Stavo
girando con l’auto sotto casa vostra, per capire se avevo il
coraggio di salire, ma non ce l’avevo….”
“Non
hai detto che sei impulsivo?”
“Dipende
dai frangenti…”
“Mah…
Prosegui, su” lo esortò Emma un po’
impaziente, soffiando sul tè bollente e pregando di
cavarsela presto: la speranza della cenetta per l’amico non
era ancora svanita del tutto.
“insomma
ti ho vista e ho avuto l’idea di parlare a te…
Perché se avessi parlato a Gustavo, sarebbe andato tutto a
puttane… E’ ancora troppo
presto…”
“Troppo
presto per cosa?”
“Troppo
presto in generale: Per quanto tu sia di parte, lo sai bene che quando
Gustavo è incazzato non ragiona…”
“A
parte che Gustavo non è che è incazzato,
è semplicemente molto triste e stanco, e comunque dovresti
dire a lui quello che vuoi dire a me…
Cos’è poi che mi vuoi dire?” lo
esortò di nuovo Emma, guardando l’orologio, nel
chiaro intento di far capire al belloccione lì davanti che
l’ora era tarda.
“Voglio
che tu chieda a Gustavo di sposarmi!” esclamò
Mariano con tanto di sorriso Durbans stampato sulla faccia abbronzata.
Emma
cadde dalle nuvole.
“Cioè…
Scusa, fammi capire bene… Ieri sera litigate, Gustavo se ne
va di corsa, prendendo di striscio suo fratello, l’avrai
visto… Non lo chiami per tutto il giorno, ieri sera poi gli
hai detto cose terribili, e adesso lo vuoi sposare?”
“Sì”
“Come
sì!” esclamò Emma ormai esasperata.
“Sentimi bene: se vuoi prendere per il culo lui, liberissimo,
a me dispiace un casino ma in fondo sono fatti vostri, che tu poi venga
però a prendere per il culo me mi pare un tantino eccessivo!
Dov’è poi che lo sposeresti, in Spagna?”
chiese Emma sarcastica.
“Sì”
Di nuovo quel “sì!” serissimo che deve
aver mandato in bestia Gustavo più di una volta.
“Ascolta
Mariano” disse Emma calmissima ormai prossima a saltargli al
collo per definire il problema una volta per tutte
“parliamone seriamente. Poniamo che io davvero faccia da
Cupida per voi due, glielo dico, poi cosa pensi che succeda? Lui ci
crede, va in estasi, organizzate tutto e, alla prima telefonata di
lavoro che ricevi mandi tutto all’aria dicendo che
sarà per un’altra volta, perché
sarà così che succederà, sai? Gli
attori sono diversi, ma è un film che ho già
visto!”
“Non
succederà!”
“Ah,
no?”
“No,
perché ieri per la prima volta ho avuto paura di perderlo
per le mie stronzate. Se ieri sera ti sembrava che guardasse il
cellulare per vedere se l’avevo chiamato, ti faccio presente
che stava solo rifiutando la anzi le mie
telefonate (sai, il ragazzo mette la vibrazione quando non vuole essere
disturbato). Sul tardi, poi, sono riuscito a parlarci, ma mi ha
praticamente attaccato in faccia. Non era mai successo prima: doveva
essere proprio stufo! E adesso che non lo chiamo avrà
certamente il cellulare fisso in mano”
“Quindi,
l’hai chiamato fino a ieri sera ed oggi mai:
perché?”
“Perché
avevo deciso che era meglio parlargli di persona”
“E
dopo che hai fatto questa bella pensata, sei diventato
irreperibile”
“Sì,
ero venuto per parlargli, poi però ho incontrato
te…”
“E
hai pensato bene di mollare la patata bollente alla sottoscritta! Ma lo
sai che sei un bel pezzo di…”
“Emma,
per favore, non essere volgare!”
Emma
non ne poteva più.
“Parlo
come mi pare, tesoruccio! A parte questo, tu aspetti di scatenare
‘sto casino prima di renderti conto che Gustavo è
l’uomo della tua vita? Stammi a sentire, bello mio, non puoi
pretendere di comandare anche in questo caso. Tiri la corda fino a
farla consumare e poi pensi a ripararla quando è
già rotta? Con un exploit degno di Raffaella
Carrà pensi di sistemare tutto in una volta? Quando sareste
stati in Spagna, se andava bene lo sposavi e poi lo mollavi
lì mentre tu ti facevi tutta la movida madrileña
o catalana o quel che sarebbe stato, oppure tornavi di volata in Italia
per una qualsiasi cacchio di emergenza al lavoro? Te”
finalmente le era uscito il “TE”
“personalmente non ti conosco, ma un altro come te
l’ho conosciuto bene… la vostra vita è
il lavoro, non avete altro che quello… poveretti voi,
aggiungerei. Comunque, io glielo dico, a Gustavo, ma a modo mio; non
puoi chiedere altro, mi spiace. E grazie per il
tè” concluse Emma alzandosi lasciandogli il conto
da pagare, tanto i soldi gli uscivano dalle orecchie.
Mentre
camminava furiosa, un pensiero però le balzò alla
testa: avrebbe dovuto litigare più spesso con Mariano: non
era mai stata così spigliata prima di allora.
La
cena ormai era andata, il tempo per un aperitivo veloce e casalingo
c’era, però. Emma decise di parlare a Gustavo
mentre si bevevano un Coca e Martini sul divano. Più Martini
che Coca, a dirla tutta: un po’ d’alcool in
più in quel frangente non ci stava comunque male.
Emma
si impappinò più volte, perché in
fondo un po’ si vergognava della sfuriata fatta a Mariano, ma
Gustavo la stette ad ascoltare in silenzio mentre beveva il cocktail.
Era tornato tardi dal lavoro, ed era esausto, ma Emma non ne poteva
più e al primo momento buono lo placcò. Appena
finito di parlare, Emma si tirò indietro sul divano e attese
che l’Uomo Del Monte Gustavo si pronunciasse. Era lei confusa
per prima, non sapeva quali reazioni avrebbe avuto l’amico,
se si sarebbe incazzato con lei o con Mariano. Con Gustavo non si
poteva mai dire. Era proprio un bell’uomo, non nel senso
classico del termine, ma aveva un profilo volitivo, e la testa rasata e
la barba incolta gli davano un aspetto vissuto. Emma non sapeva dire se
era innamorata di quel tizio, se era solo affetto fraterno o che altro:
il sentimento era strano, si sorprendeva ad osservarlo mentre leggeva
il giornale o mentre si preparava da mangiare e provava un misto di
tenerezza e qualcos’altro.
“Emma,
è tutto?” chiese Gustavo insolitamente pensieroso.
“Sì,
Gus, è tutto. Prima che tu parli, però ti devo
chiedere scusa in anticipo per avere fatto il grillo parlante versione
incazzata con Mariano. Dopotutto, non me l’avevi chiesto.
Solo, e perdonami se te lo dico di nuovo, mi è sembrato
così arrogante e così egoista, che lì
per lì mi sono messa nei tuoi panni ed ho reagito a modo
mio, cioè nemmeno poi tanto a modo mio, ma
insomma…”
“Che
vuoi dire?”
“Lascia
stare, ora non importa… Piuttosto, dimmi che ne pensi,
sempre che tu voglia dirmelo…” sussurrò
Emma.
“Emy,
Emy… Se non ne parlo con te, con chi ne devo
parlare?” disse Gustavo prendendole il mento tra il pollice e
l’indice e scuotendole leggermente la testa.
“Non
so, non sei obbligato…” rispose Emma, un
po’ turbata.
“Tranquilla,
se non ne volessi parlare non lo farei… Tipico di Mariano,
cercare di sistemare tutto con un coup de theatre così. Non
mi sarei aspettato niente di meno da lui, ma adesso mi ha proprio
stufato”
“Eh?”
disse Emma incredula. In fondo, aveva pensato che Gustavo, dopo una
proposta del genere, sarebbe corso tra le braccia di Mariano.
“Sì,
Emma, sono stufo marcio di questa situazione. La nostra storia procede
sempre così: una battuta di arresto, la crisi, la clamorosa
riconciliazione, e poi di nuovo il tran tran quotidiano fino alla
litigata successiva sempre ad opera sua. Non voglio più
niente del genere, voglio stare tranquillo, e basta”
“…
E quindi?”
“E
quindi domani lo chiamo, ci vediamo e lo mollo”
Emma
rimase in silenzio per un po’: non sapeva cosa rispondere, e
se effettivamente c’era qualcosa a cui rispondere: si sentiva
parte di un gioco a cui non aveva voluto giocare, ma ci si era trovata
tirata dentro da quel mollusco di Mariano e non aveva fatto altro che
seguire il suo cuore.
“Gus…”
mormorò Emma mettendo una mano sulla spalla
dell’amico.
“Grazie
di tutto, Emy” disse Gustavo alzandosi “Sono
stanco, perdonami se non ceno ma domani sarà una giornata
campale e vorrei dormire un po’. Buonanotte”
“Buonanotte,
Gus, e scusami”
“Scusarti
di che? Dormi serena, piccola”
Emma
andò a letto con il famoso “ovosodo” del
film, che non andava né su né giù. In
quel momento si sentiva in parte responsabile della decisione di
Gustavo. Appena prima di prendere sonno però si era
autoassolta da ogni possibile accusa: se Gustavo aveva preso quella
decisione, di sicuro ci stava meditando già da un
po’.
Il
giorno successivo Emma in ufficio fu sbadata e sprecisa, tanto che si
beccò una ramanzina dal capo. La notte precedente si era
perdonata il suo comportamento, ma alla luce del giorno non era
più così tanto convinta. Da qualunque parte la
rigirasse, sentiva che c’era il suo zampino nella decisione
di Gustavo. Appena uscita dal lavoro, lo chiamò subito per
cercare di rimediare, non si sapeva precisamente a cosa.
“Gus?
Sono io”
“Ehi!”
la voce sembrava tranquilla.
“Senti,
ci ho rimuginato e credo che tu debba pensarci su ancora un
po’…”
“Emma,
te l’ho detto: non ne posso più, e non ti devi
sentire in colpa se me ne sono accorto dopo una vita”
“Gus,
non è questo, è che… Mentre ti
raccontavo, ho un po’ gonfiato la cosa…”
“Scemotta
che sei, me ne ero accorto da solo! Ho comunque colto il senso di
tutto; tranquilla, non hai nessuna responsabilità,
semplicemente “qualcuno” ti ha fatto versare nel
vaso la goccia che lo ha fatto traboccare. Se ti può
consolare, ti prometto che se capita a te, farò
altrettanto!”
“Allora
segnatelo sull’agenda, Signor Pico Della Mirandola,
perché non credo che succederà tanto presto,
purtroppo!”
“Sei
tremenda! Mi sa che stasera non ci vediamo, ho fissato con Mariano, mi
cambio qua e vado direttamente.”
“Non
voglio sapere cosa vi siete detti al telefono, ma sappi che ti
aspetterò in piedi!”
“Non
pensarci neanche, stupida! Dormi che ne riparliamo domani”
“Ma…”
“Niente
MA né PERÓ, quando torno voglio vederti a
letto!”
“Ok,
mammina: chiedimi se ho messo la maglia di lana…”
“Ciao,
cretinetta”
“Ciao,
Gus”
Emma
era un po’ più tranquilla: il Gustavo che aveva
sentito al telefono non era il Gustavo scanzonato di sempre, nonostante
le parole allegre, ma non era nemmeno il Gustavo prostrato della sera
fatidica, e di questo Emma si rallegrò.
Nonostante
le raccomandazioni dell’amico, Emma non riusciva a prendere
sonno. Alle due e mezzo si alzò per fumarsi una sigaretta,
per vedere se il nervosismo si placava un poco, e vide che Gustavo
ancora non era rientrato. Da una parte sperava nella
“clamorosa riconciliazione”, come l’aveva
chiamata lui, dall’altra sperava che Gustavo avesse chiuso
una volta per tutte con quel bastardo; purtroppo, non lo si poteva
definire altrimenti.
Tornò
a letto, si rigirò un sacco di volte, aveva perso la
cognizione del tempo; ad un certo punto, sentì le chiavi
nella toppa della porta. Prudentemente, spiò dallo stipite
di camera sua prima eventualmente di palesarsi, per capire
più o meno come era andata dall’atteggiamento
dell’amico. Appena Gustavo accese la luce nella sua stanza e
il suo viso si illuminò, Emma rimase perplessa. La faccia di
Gustavo era come assente, non esprimeva emozioni: era come se fosse
tornato in quel momento dal lavoro e stesse per andare a farsi la
doccia o in salotto a leggere o qualsiasi altra cosa facesse quando la
situazione era, per così dire, tranquilla. C’era
senz’altro qualcosa che non andava: non era normale in
Gustavo. Con lui le opzioni erano due: poteva essere euforico o
disperato, ma distaccato, quello mai.
Questo
pensiero fece uscire Emma dal suo nascondiglio.
“Gustavo…”
“Ti
avevo detto di non aspettarmi…” disse
l’uomo con voce incolore; ecco cos’era: era
ubriaco. In Gustavo, funzionava al contrario che con il resto del
mondo: a lui la sbornia provocava una sensazione di vacuità,
lo placava, e non provocava euforia né gli ispirava gesti
impulsivi né depressione profonda.
“Ero
andata a letto, ma non riuscivo ad addormentarmi, e poi quando ci stavo
riuscendo sei arrivato te, e…”
“Scusami
per aver disturbato il tuo sonno” rispose Gustavo appendendo
la giacca nell’armadio.
“Oh,
Gus, lo sai che non è questo che volevo dire… Ti
va di raccontarmi com’è andata?” chiese
Emma avvicinandosi a lui ed entrando nel fascio di luce.
“No,
Emma non mi va” sospirò Gustavo togliendosi la
scarpe.
“Porco
Giuda, Gustavo, ti vuoi fermare un minuto ed ascoltarmi?”
Gustavo continuò a spogliarsi “Oggi mi dici che
non ci sono problemi, che non sono responsabile della tua decisione, e
adesso mi tratti come se ce l’avessi a morte con
me!” Gustavo si fermò, alzò gli occhi e
fissò i suoi. Nessuna parola, niente in più,
semplicemente l’attirò a sé e la
baciò. Sul momento, Emma rimase di sasso: era
l’ultima cosa che si aspettava da chiunque in generale in
quel periodo, ma da lui in particolare e in quel momento. Il suo
secondo, immediato pensiero, però, fu che l’aveva
sempre desiderato e si lasciò andare a quel bacio. Gustavo
baciava normalmente, niente di trascendentale, ma era però
la passione che ci metteva a renderlo tremendamente eccitante. Il bacio
di Gustavo si trasferì poi sul viso e sul collo di Emma, la
quale rispondeva alle sollecitazioni come doveva. Anche le mani di
Gustavo cominciarono a muoversi sul corpo di lei, accarezzandola,
leggere ma decise. Emma abbracciò le spalle forti di
Gustavo, e gli tirò via la maglia, facendolo rimanere a
torso nudo. Ben presto anche gli indumenti di Emma andarono a tenerle
compagnia. Il ritmo stava crescendo, la temperatura nella stanza era
salita alle stelle, i due non si rendevano più conto di
niente, erano un’unica entità. Come se
levitassero, si trovarono senza saperlo praticamente nudi sul letto di
lui. La luna salutò questa coppia anomala facendo capolino
ironica da una nuvola mentre sotto di lei due persone stavano facendo
semplicemente l’amore, in qualsiasi forma lo si volesse
intendere.
Eccoci
qua... Primo capitolo... Ossignur, sono emozionatissima: è
la prima volta che questa storia vede la luce "in pubblico", e sono
terrorizzata dall'impressione che farà... Come specificato
nell'introduzione generale della storia, qui su EFP ho pubblicato solo
fanfiction e quindi questo è una specie di salto nel
vuoto... Non ho mai bazzicato il "reparto originali" del sito
e non so quali siano le aspettative di lettori e lettrici. Spero che
come inizio vi sia piaciuto e che lasciate un segno del vostro
passaggio, soprattutto per farmi capire cosa ne pensate... Come detto,
è una storia vecchia, tante cose sono cambiate nel
frattempo, quindi mi fa un po' strano pubblicarla... Insomma, fatemi
sapere ^_^! *** ANSIA *** |