Je crois, c'est inscrit dans nos gênes
Envoyer en l'air, sans regard en
arrière
Pour enfin changer d'air dans une autre
dimension
(Tout envoyer en l’air, Kyo)
Le
Presentazioni
del Primo Anno.
“Mi raccomando,
frequenta solo le persone
giuste.”
“Sì, mamma.”
“Le amicizie che ti farai a scuola dureranno per tutta la
vita.”
“Sì, mamma.”
“Comportati come si conviene, non dare confidenza a gente del
cui rango non sei
sicura.”
“Sì, mamma.”
Violet era convinta di essere l’unica ad avere una madre che
invece di
abbracciarla e baciarla forte sulle guance si teneva a tre passi di
distanza fissandola
come se fosse un soldato in missione.
Violet aveva undici anni e
non
aveva la pretesa di capire perché sua madre fosse diversa
dalle altre: non era
importante, come non lo era il groppo alla gola e il desiderio di
abbracciarla.
Perlomeno non era
l’unica a
comportarsi come una bambina: c’erano un sacco di mocciosi
frignanti di fronte
ai cancelli del grande parco di Beaux-Batons.
Si lisciò con le
dita la gonna
di velluto lanciando un’occhiata di sbieco al panorama,
mentre sua madre
continuava a parlare. Da lontano, lontanissimo, si vedevano la linea
color
avorio del grande palazzo che ospitava la scuola. Era oltre la foresta,
una foresta
incantata in una perenne primavera.
Nascose un sorrisetto
mordicchiandosi le labbra.
Beaux-Batons.
Era la prima della sua
famiglia a frequentare la prestigiosa Accademia francese. I suoi
genitori infatti
erano andati ad Hogwarts – un nome piuttosto brutto e scemo
per una scuola.
Beaux-Batons invece aveva un
suono bello, importante. Elegante.
Inspirò, cercando
di tendere
l’orecchio alla cacofonia di suoni francesi attorno a lei.
Cosa ardua, dato che
lo sapeva parlare appena: anche i loro elfi domestici parlavano solo
inglese.
Forse era strano,
rifletté
Violet, essere nati in Francia e parlare un’altra lingua.
Ma del resto – e
qui lanciò
un’occhiata alla madre – sua madre veniva da
Londra, e quindi era giusto che
parlassero nella loro lingua madre e
basta.
Si sentì
strattonare appena
per il colletto del cappotto leggero.
“Violet!”
esclamò sua madre
seccata. “Presta attenzione quando ti parlo!
All’Accademia non vorranno
ragazzine con il naso sempre per aria!”
Violet arrossì: non le piaceva che le venisse ricordato il
naso a patata che
sua madre le aveva detto avesse ereditato dal padre.
“Avanti, adesso
vai a
raggiungere gli altri bambini. Le carrozze vi aspettano.”
“Sì.”
“E guarda dove
metti i piedi!”
La avvolse in un abbraccio frettoloso che sapeva di balsamo con cui gli
elfi
domestici rendevano lucido il collo di pelliccia dei loro mantelli
invernali. Poi
si allontanò senza voltarsi.
Violet si sentì
chiudere lo
stomaco, ma mise un passo dietro l’altro, obbediente. Venne
poi indirizzata
assieme ad altri bambini verso uno studente più grande
– un Préfet,
qualunque cosa fosse – che li
guidò verso le carrozze.
Violet spalancò la bocca, richiudendola prima che qualcuno
le desse del pesce
lesso: le carrozze erano… enormi,
più
grandi quelle che usavano lei e la madre per andare alle feste: erano
tutte
bianche con dettagli in oro. Sembravano grandi torte di panna.
Appena il Préfet
si allontanò ovviamente esplosero le chiacchiere degli altri
quattro bambini. Violet si limitò ad osservarli.
Due saltavano
all’occhio: avevano
entrambi i capelli di un biondo accecante, quasi bianco e i lineamenti
sottili,
belli come in un’illustrazione. Dovevano essere parenti,
perché avevano gli
stessi occhi, azzurri.
Sembrano
principi…
Li poteva spiare comodamente
dato che erano seduti davanti a lei. Sembravano simili di primo
acchito, ma a
ben guardarli lo erano solo nei colori: quello proprio davanti a lei
aveva il
viso spruzzato di lentiggini, e sembrava tipo da aria aperta e voli
sulla
scopa. Sorrideva e parlava concitato con l’altro, che era
invece pallido e
minuto, con gli occhi ancora arrossati di pianto.
Le sue riflessioni furono
interrotte dalla carrozza che si mise in moto di colpo; con suo enorme
spavento
prese poi il volo.
“Mael, c’est super!” esclamò il
bambino lentigginoso sporgendosi dal finestrino.
“Regardez! Nos
parents semblent
très petits!”
Tal Mael per fortuna
lo afferrò trascinandolo dentro.
L’altro per tutta risposta si mise a ridere.
Che scemo
– pensò sentendosi enormemente
più
matura.
Quando la carrozza si
assestò e gli animi si tranquillizzarono,
accadde quello che Violet temeva di più: le presentazioni.
Sapeva che il suo francese non era buono, per niente: aveva un accento
ridicolo
e le costruzioni delle frasi la lasciavano perplessa.
“Comment tu t’appelles?”
La apostrofò proprio il
suo
dirimpettaio scavezzacollo. Violet notò che gli mancavano
due denti da latte e
aveva le labbra rosse e screpolate. Ed era comunque carino.
C’era qualcosa di
meno… volgare… nei suoi lineamenti rispetto agli
altri maschi che aveva conosciuto,
tipo quello stupido del figlio dei
Malfoy.
L’altro non
parve preoccupato dalla mancata risposta. “Je
suis Nicky!” Insistette. Era un nome
che sembrava tanto babbano,
registrò
immediatamente: e anche la felpa che indossava lo sembrava, come gli
strani
pantaloni di tela grezza e blu.
Un Nato babbano.
Di sicuro.
Quindi lo
ignorò, voltando la testa verso il finestrino,
fedele ai suoi principi. E
si sentì
arrivare un calcio. Un calcio vero!
Si voltò
incollerita. “Non azzardarti, babbano!”
sbottò, e
il silenzio calò di colpo dentro la carrozza.
Mamma dice che
è
meglio non dire in giro che i babbani sono brutti e sporchi. Non va
più di
moda.
Però loro
sono
francesi, non
possono avermi capito.
Il bambino a sorpresa
sfoderò un ghigno. “Sei inglese, eh?”
disse, ghiacciandola sul colpo. “ Anche mio papà.
Comunque non sono un Né-moldu¹.
Ma anche se lo fossi, sarei comunque
migliore di te!”
Dopo
quell’affermazione anche gli altri bambini compresero
il senso generale del discorso, perché venne subito
investita dai loro sguardi.
Occhiatacce, nel caso dell’altro biondo ma-senza-lentiggini.
Odiava quando gli
altri la guardavano. E la giudicavano. È
così che faceva la gente, diceva sempre sua madre: meglio
abituarsi subito.
Lei non si era mai
abituata.
Sentì
infatti le lacrime pizzicarle agli angoli degli occhi.
Le ricacciò indietro: doveva essere superiore.
Non ha
importanza. Non me ne importa nulla! È solo uno stupido
sangue sporco!
Doveva essere per
forza uno
di quelli, perché altrimenti non si spiegava
perché fosse così incivile.
Agganciò
saldamente lo sguardo fuori dal finestrino: stavano
sorvolando la foresta, un manto color smeraldo lucente. Si perse a
guardare
quello spettacolo, fantasticando sul suo nuovo, brillante futuro.
“Ehi, sang-pur!
Che guardi?”
Lanciò
un’occhiataccia livorosa all’altro, reo di aver
avuto
l’ardire di rivolgerle nuovamente la parola. Quello per tutta
risposta le fece
un’enorme linguaccia.
Violet lo
imitò senza riflettere, mettendosi subito dopo una
mano sulle labbra: non si faceva!
Il ragazzino invece di
arrabbiarsi rise. Si sentì arrossire,
ma non fece in tempo a darsi della stupida, che la carrozza diede un
brutto,
enorme orribile scossone che li mandò tutti a sbattere
contro gli schienali.
Violet si
sentì di ghiaccio. Che stava succedendo?
Poi un altro scossone. Si accorse di piangere solo al terzo. La
carrozza aveva
aumentato la velocità, ed era certa che non stessero andando
verso la scuola.
Perché cavolo
nessuno veniva a salvarli?
“Domi!”
Singhiozzò il mingherlino biondo. Ma non si chiamava
Nicky?
“Calme-toi, ça devrait etre les chevaux.”
Replicò l’altro con calma
surreale. Era l’unico a non avere le lacrime agli occhi, ma
anzi,
un’espressione determinata. Poi aggiunse. “Je
vais voir.”
È matto! Matto!
“Aspettiamo
gli adulti!” esclamò, con le dita ben artigliate
all’imbottitura dei sedili. “Ti farai ammazzare! I
cavalli sono fuori e noi
stiamo volando!”
“Ma
va’!” Replicò ridendo. “Non
avrai mica paura,
principessa?” Sorrise soddisfatto alla sua bocca spalancata.
Aveva … l’aveva
chiamata… “Non preoccuparti, ci pensa
Nicky!” e detto questo, tra le urla degli
altri aveva aperto il finestrino ed era uscito fuori.
Violet si era
immediatamente sporta. Si era buttato!
E invece no, quel
matto si stava arrampicando sulla scaletta
di servizio che era stata usata per montare i bagagli sul tettuccio.
“Si amazerà…”
Sussurrò angosciato quel
Mael. Si stava
rivolgendo a lei. “Perché lo fa sompre?”
“Fa
sempre questo?”
“Sua maman mi usciderà… le avevo
promeso
di non farglielo fare!”
Violet si sporse
ancora di più per seguire i movimenti dell’altro
bambino. E capì qual’era il problema: il grosso
cavallo alato correva come se
ne andasse della sua vita. Si era imbizzarrito, o qualcosa di simile.
Un nuovo scrollone la
fece precipitare indietro e tutti ripresero
a gridare, lei compresa. Da fuori in compenso si sentì
un’imprecazione
decisamente scurrile e decisamente britannica.
Accadde tutto in pochi
attimi: la carrozza presa a scendere
come se stesse per schiantarsi, ma poi…
Non successe niente.
Non si schiantarono. La carrozza si
posò dolcemente a terra.
Pochi attimi dopo
Lentiggini rientrò con un grosso taglio al
sopracciglio e un sorriso tutto denti.
“Ehi!”
esclamò quando fu abbrancato dal piccoletto singhiozzante.
“… ça va,
ça va Mael.” Lo rassicurò.
“Comment ça va, vous?”
Chiese a tutti
e a nessuno con piglio da vero comandante.
Ci fu un attimo di
sgomento totale. Poi tutti gli si
buttarono addosso, entusiasmati dalla sua bravata.
Violet invece
pensò che non si sarebbe più mossa di
lì. Anche
perché si sentiva tremare le gambe.
Ha calmato il
cavallo. Ha calmato quel cavallo e… e… cavolo, se
ho avuto paura!
Lo odio!
Poi finalmente,
arrivarono gli adulti. Violet ignorò i
tentativi di farla scendere tra le braccia di qualcuno. Con la sua
migliore
espressione sdegnosa scese la scalette da
sola e prese la sua valigia come se non fosse successo niente.
Beaux-Batons era
davanti a lei, in un tripudio di guglie
bianche e celesti, con stendardi beccheggianti al vento. Non poteva
arrivarci
come una bimbetta terrorizzata.
Si sentì
toccare la spalla.
“Stai
bene?” Era quel Nicky, o Dom o…
Fece una smorfia
altera. “Certo e tu hai fatto una
stupidaggine! Saresti potuto cadere!”
“Andiamo, era un Abraxan²… mica un
drago!” Poi scrollò le spalle. “Ah, ma
poi
qual è il tuo nome, Sang-pur?”
Chiese.
“Non me l’hai mica detto!”
“Che ti
importa?” Ribatté per dispetto, in
realtà contenta
che avesse mollato gli altri per parlare in inglese
con lei. E poi era alto, e biondo. Come un principe.
Pure il coraggio
di un principe… - le
suggerirono le sue letture.
Il momento fiabesco
durò due secondi, perché l’altro la
scrollò
per la spalla. “Eddai, dimmelo! Come ti chiami?”
Non doveva essere abituato a sentirsi dir di no. Sembrava Malfoy.
“Non
strattonarmi così, stupido!”
“Dimmi il tuo nome, o ti chiamerò Sang-pur per
sempre!”
Si era sbagliata:
Scorpius non era così zoticone. “Non ti
azzardare!” Esclamò: sì, era
una
purosangue, però in francese suonava malissimo.
Inoltre, le disse una vocina, non era quello il modo in cui voleva che
l’altro
la ricordasse. “Senti chi parla comunque, anche tu non vuoi
dirmi il tuo nome…
qual è quello vero? Dom o Nicky?”
“Tutti e due!” Fece spallucce. “Mi chiamo
Dominique³.”
“Io…
” Aveva pure il nome bello! Non doveva essere da meno,
decise. “Mi chiamo Violet Parkinson –
Goyle.” Concluse, alzando il mento come
aveva visto fare a sua madre. “Non azzardarti quindi a darmi
soprannomi
stupidi!”
Il bambino si
ficcò le mani nella tasca anteriore di
quell’orribile felpa sformata con un’aria di chi
aveva voglia di fare tutto il
contrario. “Ma è troppo
lungo…” Si lamentò infatti. Poi si
illuminò. “Ho
trovato… ti chiamerò Piggie!”
“…
cosa?” Era certa che il suo sopracciglio fosse davvero
altero, ma aveva anche una gran
voglia di dargli un ceffone. Come si permetteva!
“Sì,
beh, il tuo nuovo nome per me.
Violet non me lo ricorderei mai.” Le spiegò
perfettamente
tranquillo. “Assomigli un po’ ad un porcellino,
no?” Notando la sua aria
sconvolta – no, gelida
– aggiunse.
“Però di quelli carini!”
Violet non
trovò di meglio che dargli le spalle e
ricompattarsi con la folla di studenti. Non corse via, se ne
andò dignitosamente.
Come una vera Lady.
Stupido, stupido
Vestito Babbano Pazzo! Ti odio!
Lo avrebbe odiato per
sempre.
Le nude
verità
del Secondo Anno.
Dominique, dopo le sue
prime vacanze estive come
studentessa, avrebbe preferito beccarsi uno schiantesimo piuttosto che
rimettere piede sul suolo di Beaux-Batons.
Ovviamente questa
risoluzione non aveva minimamente convinto
i suoi genitori: e così…
“Domi! Qui
ce n’è una carrozza vuota, vieni!” La
chiamò Mael,
suo cugino. Lo raggiunse, buttandosi sui cuscini soffici e ascoltandolo
pigramente riprendere i suoi cinguettii.
(Sul serio, Mael non
parlava. Cinguettava leziosamente.)
Aveva scoperto di
odiare la scuola: era noiosa, piena di
lezioni barbose con professori che cianciavano di cose che non le
interessavano.
Però…
C’era un
motivo per rimanere: la fichissima foresta incantata
che circondava la scuola, piena zeppa di creature magiche.
Batte Hogwarts
con tutti i suoi unicorni. Qui ne abbiamo ben due branchi!
Il cugino si sporse
dal finestrino per controllare il flusso
di studenti che occupavano le carrozze. Fece una smorfia.
“Guarda, c’è la
Parkinson-Goyle!”
Dom non perse tempo a
sporgersi: non ne valeva la pena. Violet
– Piggie se chiedevano a lei - era la classica piccola,
perfetta purosangue,
circondata da sue copie-carbone. Girava per la scuola con il naso per
aria. Sì,
quando l’aveva conosciuta aveva pensato potesse essere una
tipa simpatica…
Ma mi sono
sbagliata alla grande.
“E
allora?” Chiese annoiata, squadernando l’ultimo
numero di
Marvin il Babbano Matto.
Mael si morse un
labbro, incerto. “No, è che…”
Dom sospirò:
sapeva bene che l’altro era fortemente attratto dal gruppo di
Violet. Erano ben
vestite e parlavano solo di
vestiti.
Il massimo, per
uno come Mael…
Del resto con lei si
parlava solo di draghi, Quidditch e
fumetti.
Il massimo per
me.
“Perché
non vai a sederti con loro? Sarebbero contentissime
…” Lo prese in giro.
“Nah, sono
delle smorfiose!” Disse frettoloso, lanciandole
un’occhiata. “Preferisco stare con te.”
“Che bugiardo.”
“Senti, quelle vogliono che diventi il ragazzo di una di
loro!” Si lamentò a
gran voce, incrociando le braccia. “E io non
voglio!” Fece poi un risolino.
“Però…
quest’estate Sophie, quella con i ricci, non faceva che
scrivermi. Pensano che
tu…” si stoppò con un’altra
risatina.
Dominique inarcò le sopracciglia, suo malgrado incuriosita.
“Io cosa?”
“Beh
… non indossi mai
l’uniforme…” Iniziò sbuffando
con
disapprovazione. “Stai sempre con i jeans!”
“Non è obbligatoria, quindi col cavolo che la
metto. Quindi?”
Mael scosse la testa,
lanciandole un’occhiata divertita.
“Non te lo dico, tanto lo scoprirai da sola!”
“Boh, come
ti pare.” Se non voleva dirglielo pazienza. Non
sarebbe certo morta di curiosità.
Sentirono aprire la
porta, e poi a sorpresa salirono proprio
la Parkinson e due delle sue amichette-gemellate.
“Oh,
Weasley.” Disse questa arricciando il naso, quasi fosse
scontenta di vederla.
“Ciao
Piggie.” Replicò cortesemente, beandosi
dell’aria
infuriata dell’altra. L’anno prima, le poche volte
che si erano incrociate per
i corridoi – avendo lezione diverse e abitando in dormitori
diversi si erano
incontrate in tutto dieci volte - era stato uno
spasso farla arrabbiare. Sembrava proprio un buffo porcellino
d’India quando
perdeva le staffe.
“Se devi
cominciare a dire cavolate ce ne andiamo!” Sbottò
infatti
altezzosa.
“Ma guarda
che…” Si fermò prima di farle notare
che nessuno
l’aveva invitata.
Ma maman dice sempre che sono troppo diretta.
Evvabbeh. Facciamo le cortesi.
“Dai,
c’è un sacco di posto, tu e le tue amiche potete
stare
con noi.” Ad un’occhiata ammonitrice di Mael
aggiunse di malavoglia. “Mi dispiace
per il nomignolo.”
Ma anche no.
L’altra
ragazzina sembrò quietata dalle sue scuse. Sorrise
con evidente soddisfazione. “Allora va bene… forza
ragazze, stiamo per
partire!” Disse alle altre due.
Rispetto ad un
anno fa il francese lo parla meglio…
- notò
spassionata.
Mentre le altre si
accomodavano si buttò nuovamente nella
lettura del fumetto.
“Dove hai
passato le vacanze, Dominique?” Chiese una delle
due amiche di Piggie, con un gran sfarfallare di ciglia.
Sentì Mael
grugnire per nascondere un nuovo scroscio di
risatine.
Ma che gli
è
preso?
“In
Romania.” Rispose cercando di non sembrare scocciata. E
lo era. Voleva sapere come andava a finire quel maledetto fumetto ed
era tutta
un’interruzione!
“Oh, e
perché?”
Porco Crup, che nervi!
“Da mio zio
Charlie. Lavora in una riserva, fa il guardiano
di draghi.”
Le due ragazzine si
produssero in squittii spaventati. Almeno
la Parkinson si limitò ad inarcare un sopracciglio tentando,
male, di mostrarsi
poco impressionata.
“Ed hai
visto un drago?” chiese una delle due vallette, che
aveva trecce bionde e l’aria melensa.
Bleah. Tizie
così
danno una pessima fama alla nostra categoria. È per tizie
così che maman vuole che sia più femminile. Ripeto,
bleah.
“Certo.”
Rispose, perché le era stato insegnato a dar
udienza anche alla più cretina delle domande. “Se
è per questo, li ho anche
toccati.” Aggiunse orgogliosa.
“Sì,
come no!” Esclamò immediatamente la Parkinson.
“Non ci
credo!”
Ah, no? Beh,
affaracci tuoi…
- pensò scoccandole un’occhiataccia.
C’erano poche cose che il suo buon carattere –
l’aveva preso da suo padre, ovviamente
– non scusava.
Quando le persone le
davano della bugiarda era una di
queste.
L’anno prima
si era quasi dimenticata di Dominique e
dell’episodio della carrozza.
Aveva avuto altro a
cui pensare: nuove regole da imparare, abituarsi
a dormire assieme ad altre persone…
e
come se non bastasse, lezioni dove i professori pretendevano molto e
spiegavano
poco.
Non era stato facile.
Per niente.
Aveva avuto persino
problemi nello stringere amicizie; le
sue compagne di stanza infatti si erano rivelate quasi tutte
mezzo-sangue o
Nate Babbane.
Non aveva neanche
tentato di approcciarle quindi, e anche le
altre avevano fiutato subito il suo disprezzo.
Aveva dunque passato i
primi due mesi in totale solitudine. Non
si era mai lamentata a casa: sua madre non avrebbe voluto saperla
debole.
Però quando
la nostalgia di casa si faceva acuta, a volte si
ritrovava a cercare il ragazzino lentigginoso tra la folla. Spesso
l’aveva
scorto in Aula Magna, sempre circondato da altri ragazzi: era piuttosto
popolare.
Non l’aveva
mai avvicinato. Non avrebbe neanche avuto una
scusa, come chiedergli di accompagnarla al dormitorio. Lei era nella
Casa delle
Rose e lui in quella dei Fiordalisi, site in ale opposte del castello.
Ma forse
quest’anno avremo qualche lezione in comune …
Non che avesse
importanza. Ormai non si sentiva più sola.
Aveva delle amiche.
Quando era tornata a
casa per Natale aveva finito per
confessare tutto. Dopo averla rimbrottata, sua madre si era
immediatamente
mossa. Durante le vacanze Violet aveva quindi frequentato le compagnie giuste. Non le aveva incontrate prima
perché erano in case diverse.
Tornata, aveva smesso
di cercare Lentiggini e i suoi assurdi
capelli biondo stinto: le sue nuove amiche erano molto curiose e aveva
paura
che si accorgessero della sua predilezione per quello strambo ragazzino.
È
sicuramente un
babbanofilo, se non ha sangue babbano.
Se fosse venuta a
saperlo sua madre…
Quell’estate
però aveva avuto una sorpresa: sembrava che
Geneviève,
una delle sue amiche persempre,
avesse visto Nicky ad una partita di Quidditch e l’avesse
trovato divino.
Violet
lanciò un’occhiata al divino
che al momento, a dirla tutta, la guardava storto.
Non lo trovava
così stupendo: okay, era molto
più alto della media e sì, aveva un bel viso e
certo, con i
capelli un po’ più lunghi stava meglio,
ma…
Non è
così
bello, ecco.
Comunque, quando le
altre avevano concordato
entusiasticamente con l’amica, lei si era accodata.
E poi, se
proprio qualcuna di noi deve averlo come ragazzo, meglio io. Sono
più carina e
poi già lo conosco. Non bene. Però mi ha dato
quell’orrendo soprannome…
Per questo non si era
ribellata quando Jenny – Geneviève –
aveva ventilato l’idea di sedersi nella carrozza dove si
erano sistemati
Weasley e Delacour.
Si riscosse di colpo,
dato che l’altro la apostrofò con la
solita maleducazione. “Ehi, pensi che dica bugie? Mio zio lavora in quella riserva. Ho toccato un
Ungaro Spinato!”
“Può essere.” Corse ai ripari, vedendolo
sul piede di guerra. “Ma i draghi sono
animali feroci e tu hai dodici anni. Pensi di essere un guardiano di
draghi?” Chiese,
trincerandosi dietro il sarcasmo.
“Lo
sarò.” Replicò fieramente, e Violet
pensò che poteva anche
crederci dopotutto; Weasley non era il genere di persona che sparava
smargiassate tanto per farsi bello agli occhi degli altri.
Non ne ha
bisogno, accidenti a lui.
“Saresti un bellissimo
guardiano di draghi, Nicky…” Tubò Jenny
e Sophie, l’altra amica, la seguì in un
assenso concitato.
“Bellissimo?” Le
apostrofò confuso. “Non sono un ragazzo!”
Cadde un silenzio
pesantissimo e Violet sentì la bocca spalancarsi
proprio come sua madre odiava vederle fare.
Nel frattempo Delacour
si era messo a ridere come un matto, nascondendo
la faccia tra le mani.
“Ma certo
che lo sei!” Non si diede per vinta Jenny, pallida
come un lenzuolo.
“Vuoi che mi
abbassi i pantaloni?” Propose con un ghigno quasi
malvagio. “Mael, diglielo tu, magari a te credono.”
“Mi dispiace…” Confermò
questo tirando su con il naso per le troppe risate.
“… anche
se è un maschiaccio, e si veste sempre malissimo posso
assicurarvi che Domi è davvero
una ragazza.”
Da quel giorno Jenny
smise di lodare il divino e quando
la notizia del fraintendimento giunse alle altre,
tutte reputarono fosse doveroso non parlarne mai
più.
Violet fu
d’accordo: ma non smise di cercare quella testa
argentata tra la folla.
****
Il Colpo di Pluffa del
Terzo Anno.
“Letty,
attenta!”
“Oh, Morgana! Violet!”
“L’ha
presa in
pieno!”
Un lampo bianco e
… era avvisaglia di morte sentirsi
fluttuare nel vuoto?
Il mio karma fa
schifo.
Naturalmente non era
una cosa che Violet avrebbe mai detto
in giro. Aveva una reputazione da difendere ed era il caso che
rimanesse lustra
e brillante lì dov’era.
Violet era il tipo di
persona che sapeva di dover pensare
almeno tredici volte prima di parlare: era così che sapeva
sempre dire la frase
giusta, ed era per questo che si manteneva sulla cresta delle popolari
del suo
anno.
Ciò non
toglieva che un po’ sfortunata doveva esserlo per
forza.
Perché di
tutto il maledetto stadio era stata l’unica a fare
da bersaglio ad una Pluffa.
Naturalmente, era
tutta colpa di Dominique Weasley.
Quella bifolca era una
punizione del Destino per peccati che
non aveva commesso: certo, era snob, sì, guardava tutti
dall’alto in basso, ma
Morgana, non era come uccidere gattini o ridere delle disgrazie altrui.
(Okay, l’ultima cosa la faceva, ma quella stupida
dell’Azoulay se lo meritava
se continuava a vestirsi come se fosse sua nonna).
Per tornare al
discorso, era certa che la Weasley fosse una
punizione che qualche entità superiore le aveva affibbiato
alla nascita. C’era solo
voluto un po’ prima che le loro strade si incrociassero.
Quella bionda stramba,
sempre troppo alta, sempre troppo ridacchiante
era pericolosa.
Inutile che tutta la
scuola non facesse che osannarla e
seguirla come un cucciolo scodinzolante.
Violet Parkinson-Goyle
non avrebbe cambiato idea su
Dominique Weasley. Mai.
Mi ha colpito
apposta, ne sono certa!
Insomma, quante
possibilità c’erano che durante il Campionato
Continentale Tra Squadre di Quidditch Scolastiche fosse lei, tra
più di
cinquecento studenti, ad essere presa in pieno da una palla lanciata
dalla
Cacciatrice con la precisione di tiro migliore di tutta la squadra?
Pochissime. E invece.
Sperò che
almeno la sua morte avrebbe sbattuto quella
deficiente dove meritava di stare: ad Azkaban. Così
pensando, Violet fluttuava.
… quando
riprese coscienza, era viva e in infermeria. Le
volte slanciate e bianchissime del soffitto l’abbacinarono e
dovette chiudere
gli occhi prima che le esplodesse la testa.
Poi sentì
un fruscio accanto a sé. Si irrigidì: qualcuno
era
rimasto con lei? Giusto e doveroso. Ma perché sentiva un
acuto odore d’erba e
pioggia come se quel qualcuno avesse passato le ultime ore a giocare a
Quidditch?
Era forse Mathieu, il
suo spasimante – sua madre le aveva
consigliato di chiamarlo così?
“Ehi, ti sei
svegliata Piggie?”
Oh, no. Non lei.
… e invece
sì. Dominique Weasley era al suo capezzale con
quel suo dannato sorriso beffardo: indossava ancora la divisa di
Quidditch e
aveva schizzato di fango il pavimento.
“Che diavolo
ci fai qui?” Cercò di sembrare irritata, ma
riuscì solo a pigolare. La testa le faceva davvero male.
“Dovresti essere ad
Azkaban.”
“Eh?” L’altra la guardò
perplessa, poi si sporse. “Hai preso davvero una brutta
botta, vero?”
“Sono perfettamente in me, stupida!”
Sibilò, contenta di riuscire a fare
perlomeno quello. “Mi hai quasi ammazzata! Avrebbero dovuto
arrestarti!”
La Weasley
scrollò le spalle con odiosa noncuranza. “Non
l’ho
mica fatto apposta, la Pluffa mi è scivolata di
mano.”
“Sì,
come no!” Sospirò. Urlare non era una buona idea.
Si sentiva
l’eco in testa e non doveva essere un buon segno. Odiava il
Quidditch. “Di
cinquecento persone, hai preso proprio
me!”
“Veramente è la palla che ha preso la direzione
della tua testa.” Obbiettò con
tono ragionevole, giocherellando con i guanti di cuoio con aria
annoiata. Avrebbe
voluto farglieli ingoiare. “Smettila di lagnarti. Sai quante
Pluffe in faccia
mi sono presa io?”
“Ma io non sono una zoticona che gioca a fare
l’uomo!” Ritorse. Dominique
ridacchiò. Morgana, quella
era la
cosa che più detestava di quella bionda senza cervello. Non
se la prendeva mai
per nulla. Sembrava che qualsiasi offesa fosse una simpatica
barzelletta per
lei.
Tutta la sua vita
è una barzelletta.
“Già,
in effetti sei più una bambolina che gioca a fare la
principessa del palazzo.” E poi aveva quel brutto vizio di
risponderle per le
rime. Violet odiava quando qualcuno lo faceva: era tipa da prima
battuta, non
da seconda.
In pratica non
riusciva a controbattere.
Si sentiva frustrata
in presenza dell’altra: le loro vite
correvano parallele e raramente si incrociavano. Diverse amicizie,
classi,
dormitori e vite…
Eppure quando
calpestavano lo stesso angolo di castello,
alla stessa ora, succedeva qualcosa.
Di solito litigavano.
O meglio, io le
finisco per urlare addosso, e lei se la ride.
Però
c’erano delle volte in cui Violet si incantava a notare
come la luce che filtrava dai grandi finestroni giocasse con riflessi
argentati
trai capelli dell’altra, o come a volte scoppiasse a ridere
portandosi una mano
dietro il collo sottile e bianchissimo.
Allora arrossiva
puntualmente e distoglieva lo sguardo,
ignorandola e tirando dritto.
Si sentiva sempre
stupida quando si accorgeva che l’altra invece
non l’aveva neanche notata.
Non riusciva a capire
perché trovasse la Weasley bella.
Non considerava una ragazza migliore
di lei, mai. Sarebbe stato controproducente, diceva sua madre. Avrebbe
alimentato
i suoi già presenti complessi.
Ma Dominique era
bella, anche con i suoi capelli sforbiciati
corti, le labbra sempre screpolate e qualche livido o graffio causato
da chissà
quale creatura magica.
Quando c’era
lei, riempiva un’intera sala con la sua
presenza. Non perché fosse rumorosa o attirasse
particolarmente l’attenzione. Semplicemente
perché era lì
e rideva.
Violet detestava
Dominique nella stessa misura in cui l’ammirava.
“Ehi,
Piggie… hai sete? Vuoi un bicchier
d’acqua?”
Violet fece una smorfia, ignorandola. Le lanciò comunque
un’occhiata, attenta a
non esser notata: era strano che nessun ragazzo le si fosse ancora
avvicinato. Era
molto popolare, e nonostante fosse un maschiaccio aveva comunque sangue
Veela
che la rendeva molto più aggraziata della media.
È strano,
no?
Lei per esempio aveva
Mathieu. Mathieu era figlio di un
funzionario del Ministero molto in vista e amico di sua madre. Era per
lui che
si era seduta su stupidi sedili di legno congelandosi il sedere per
quasi un’ora.
Pubbliche relazioni.
Qualunque cosa voglia dire.
Ricordando la partita,
si tirò di scatto a sedere. “Che ore
sono?” Doveva essere già finita, se la Weasley era
lì. Perché non c’era Mathieu
al suo posto?
“Ora di cena…” Le fu risposto a conferma
dei suoi sospetti. “Allora, questo
bicchier d’acqua?”
“Non devi per forza vegliarmi, Weasley.”
Sbuffò irritata. “Almeno abbiamo
vinto?”
“Ovvio!” Ghignò. “Con tutte le
reti che ho segnato!”
“Mathieu è il Cercatore, è lui che vi
avrà fatto vincere.” Disse con sicurezza,
mentre la Weasley faceva uno strano sorrisetto divertito. Aveva
rinunciato a
capire la sua mimica facciale un anno prima, quando aveva scoperto che
invece
che mago era strega. “A
proposito, dov’è?”
“Il tuo bello è a festeggiare, con il resto della
scuola.” La
Weasley non aspettò il suo assenso per
versare il bicchier d’acqua. Violet tese la mano ma fu
shockata quando l’altra
lo bevve al suo posto.
“Mica hai
detto che lo volevi!” Sghignazzò alla sua
espressione. “Se lo vuoi, adesso chiedi per favore!”
“Stupida
bifolca! Vattene subito!” Sbottò furente e
umiliata. Era così che si sentiva accanto
all’altra. Sempre.
Sembra che
niente la tocchi. Cavolo, quanto la detesto!
La Weasley infatti si
produsse in una delle sue risate. “Va
bene, va bene Piggie, me ne vado. Cerca di non urlare troppo. La bocca
ti
diventa grande come un calderone, sai?”
Fu un vero miracolo se non tentò di affatturarla –
e meno male che non sapeva
dove fosse la sua bacchetta.
Quando
l’altra fu uscita, si abbandonò sui cuscini, vinta
e
con un’emicrania pulsante.
Pochi attimi dopo
arrivò l’infermiera guardandosi attorno alla
ricerca di qualcuno.
“Oh, Weasley
è andata via?” Chiese infatti. “Avevo
paura di
doverle preparare il letto accanto al tuo.”
“Perché?” Chiese tentando di mostrarsi
disinteressata. C’era qualche motivo per
cui quella scema avrebbe dovuto dormire in infermeria?
Forse si è
fatta
male durante la partita? Ma no. Scoppiava di salute come al solito.
La donna
scrollò le spalle. “È stata qui con te
tutto il
pomeriggio. Si è rifiutata persino di andare a cambiarsi,
non voleva lasciarti
da sola.” Le spiegò mentre eseguiva complicati
movimenti di bacchetta per
controllarle i parametri vitali.
Violet
ammutolì: sì, aveva notato che l’altra
indossava
ancora l’uniforme inzaccherata di fango.
Ma pensavo
perché
… beh, è la Weasley! È sempre vestita come una stracciona. Non è il
genere di persona a cui dà fastidio qualche macchia di
fango…
… pensavo.
“Perché?”
Ripeté e stavolta l’infermiera le
scoccò un’occhiata
preoccupata, quasi che sentirle ripetere la stessa parola fosse indice
di
qualche complicazione post-trauma. Si schiarì subito la
voce. “… cioè,
intendevo dire, è rimasta davvero qui tutto il
pomeriggio?”
“Tutto.” Confermò la strega.
“Era così preoccupata … nonostante
l’arbitro non l’abbia
ammonita ha abbandonato la partita ed ha preteso di rimanere qui
finché non ti
fossi svegliata.” Fece una piccola smorfia, da autentica
tifosa di Quidditch. “Per
fortuna non è la nostra Cercatrice!”
Violet non credeva alle sue orecchie.
Sembrava che
stesse qui per sbaglio… addirittura pensavo che la Preside
ce l’avesse
costretta visto che mi ha quasi ucciso.
Dominique Weasley, si
rese conto, era un maledetto, continuo
mistero.
“Oh cara, ti
si sta alzando la temperatura! No, queste
guance rosse non mi piacciono affatto!”
Note:
Questo Plot!Bunny
mi girava in testa da un bel po’. Potevo forse ignorarlo? No,
fidatevi. Spero solo piaccia anche a voi. :) E' la mia prima femslash
(a parte accenni qua è la in AUL).
Qui la canzone. Siamo in Francia, canzone francese.
Anche il testo è
molto attinente. xD
Una parola sul titolo:
l’ispirazione è dovuta a ‘Hannah
is not a boy’s name” un web
comic adorabile che nulla ha a che fare con la nostra storia. A parte
il titolo.
:P
Si
ambienterà, come si può capire, nei sette anni di
scuola francese
di Dominique e Violet.
Per chi non si
ricordasse i loro volti (qui un po’ più
adolescenti che fanciulleschi):
Dominique.
Violet.
1. Né
Moldu: Nato
Babbano in francese. Controllato nell’wikipedia francese. ;)
2. Abraxan:
razza
di cavallo gigante. Simile ad un grande palomino, viene utilizzato per
tirare la
carrozza da viaggio di Beaux-Batons nel quarto libro della saga.
3. Dominique:
è un
nome scomponibile. C’è anche da dire, che
Dominique è un nome unisex in
Francia. Da qui, la confusione di Violet e amichette. xD
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