SCHEMAEFP2
«E quello cos'era?»
Sanji, in piedi davanti al lavandino intento a fingere di lavare
boccali che hanno visto scorrere litri di rhum, stringe tra i denti la
sigaretta mezza spenta che ha in bocca e resta immobile, le mani
inzuppate nell'acqua tiepida e densa.
«Definisci "quello",» dice, con una punta di sarcasmo nella
voce, dopo un lungo attimo di silenzio. «Perché non ho
ancora il dono della lettura del pensiero, e in questi ultimi giorni ho
preparato un sacco di roba da mangiare…»
«Non mi riferivo a quello,» ribatte l'altro, sempre serio,
stagliato esattamente al centro della porta, le braccia lungo i fianchi
e l'espressione greve in volto – e tutto questo, lui, lo capisce
solo dal suono della sua voce, a riprova del fatto che lo conosce
davvero fin troppo bene.
«Allora cerca di essere ancora più preciso, perché
mi stai rompendo le scatole e ancora non ho capito che diavolo
vuoi.»
«Cuoco.»
Non è una domanda, né un'invocazione, né un
richiamo rabbioso o chissà che altro. Solo una parola, ma detta
in un modo tale e con una voce talmente intensa che Sanji deve
controllare a forza le sue gambe perché non si voltino troppo
velocemente; fingendo di non star inspirando a fondo si asciuga le mani
meno lentamente di ciò che avrebbe voluto e poi finalmente gira
su se stesso, e lo vede, esattamente come aveva immaginato che fosse,
con le braccia robuste stese lungo il corpo e le ombre invisibili del
sangue a macchiargli il viso e gli abiti, segno fin troppo evidente che
tutta quella storia tornerà a perseguitarlo ancora troppo a
lungo.
Sanji sospira, appoggiando il bacino contro il ripiano e schiacciando
la sigaretta nel posacenere, giusto prima di riaccendersene un'altra.
«Allora?» borbotta, dopo che il fumo caldo e avvolgente
è riuscito ad infondergli un po' di faccia tosta. «Che
vuoi?»
«Cosa diavolo credevi di fare?»
«Il mio mestiere,» ribatte con una scrollata di spalle,
esalando una nuvolette biancastra che si ammassa in un punto
imprecisato tra le loro teste, prima di dissolversi lentamente verso il
soffitto.
Zoro non risponde immediatamente e storce le labbra in una smorfia,
come se stesse lottando con tutto se stesso per controllare i nervi che
pulsano insistenti nelle sue mani e nelle tempie. «Lo
sai di cosa sto parlando, quindi perché non rispondi e
basta?»
«Perché è evidente che non ho la più pallida idea di cosa tu voglia dalla mia vita…»
«Io non voglio niente.»
Uno sbuffo. «Allora a cosa devo questa farsa?»
«Dalla tua vita. Io non voglio niente.»
Sanji sbatte le palpebre, leggermente confuso. Poi inala dalla
sigaretta, mimando un ghigno poco convinto. «Be', brutto
bastardo, me lo auguro proprio. Ci mancherebbe anche solo che tu
pretenda qualcosa da me.»
«È per questo che voglio sapere cosa diavolo ti è saltato in mente.»
Sanji si stacca dal ripiano e si pianta sulle gambe, iniziando a
sentire la testa pulsare rapidamente – d'accordo, forse
ha una qualche idea circa l'argomento di
conversazione, ma non lo ammetterà fino a che non sarà
lui stesso a tirarlo in ballo. «Non so a che ti riferisci.»
«"Che diavolo pensi di fare, sacrificandoti? Che ne sarà della tua ambizione?"»
Sanji morde la sigaretta fin quasi al punto di spezzarla, mentre le sue
stesse parole gli tornano indietro più dure di uno schiaffo,
attraverso l'unica voce che mai sarebbe dovuta arrivare a
rinfacciargliele. «E con ciò?» mormora, poco
convinto, pregando che le sue corde vocali non decidano di tradirlo
proprio in quell'istante, proprio lì davanti a quegli occhi
scuri e profondi che sembra vogliano dilaniargli l'anima.
«Dovrei essere io a chiedertelo. Che diavolo pensavi di fare?»
Sanji ispira a fondo dalla sigaretta, cercando di immagazzinare allo
stesso tempo fumo aria e coraggio e poi si stringe nelle spalle,
stringendo il mozzicone tra la punta delle dita. «Anche ora che
l'hai detto non capisco cosa tu voglia da me. E per tua informazione,
non credo che tu abbia l'esclusiva di atteggiarti da grand'uomo.»
Per la prima volta Zoro sembra preso in contropiede, ma è un
istante così sfuggevole che Sanji non può essere certo di
ciò che ha visto.
«Non si tratta di questo,» sbotta, leggermente infastidito.
Sanji fa roteare la sigaretta tra le labbra. «E allora cosa?
Pensi di essere l'unico, tra noi, in grado di sopportare tutto quel
dolore?»
Zoro spalanca gli occhi e stringe i pugni, portando il busto in avanti,
minaccioso. «Lui lo sa?!» grida, divaricando le gambe e
Sanji fa un passo avanti, improvvisamente arrabbiato quanto lui.
«Con chi credi di star parlando, bastardo che non sei altro?
Certo che non gli ho detto niente, non ho detto niente a nessuno di
loro.» Esita un momento e poi, tradendo lui stesso ciò che
si era ripromesso, aggiunge: «Avrò anche fatto la figura
del cretino, ma so quando è il caso di parlare e quando è
meglio star zitti. E, per tua informazione, so quello che passa in
quella tua zucca vuota anche meglio di te, brutto idiota!»
Zoro indietreggia impercettibilmente, incassando il colpo, e poi
rilassa i pugni, tornando improvvisamente in quello stato di calma
feroce che aveva ostentato appena entrato dalla porta. «Lasciamo
perdere,» dice, con un breve cenno del capo. «Non sono
venuto qui a parlare di questo.»
Sanji getta il mozzicone e si accende un'altra sigaretta. «Allora te ne puoi andare.»
«Sono venuto qui per sapere perché hai deciso di metterti in mezzo.»
Sanji sbuffa, fumo, aria, rabbia, frustrazione, perfino quella vergogna
che sente scivolargli lungo il viso fino alla punta delle orecchie,
sentendo più che mai vivida la voglia di sbatterlo fuori dalla
sua cucina a calci. «E tu perché hai deciso di
sacrificarti, sentiamo?»
«Che ne sarebbe stato della ciurma, altrimenti?» ribatte
Zoro, cercando di nascondere dietro la sua maschera impenetrabile
l'attimo di incertezza che aveva attraversato la sua voce.
«Eravate tutti a terra privi di conoscenza, era mio dovere fare
l'impossibile per proteggervi.»
«Ecco,» mormora Sanji, cercando a sua volta di mettere
insieme un poco di autocontrollo, «stessa ragione. Mi spiace
dirtelo, ma non sei l'unico uomo che abbiamo a bordo e nemmeno l'unico
che ci tiene che tutti gli altri siano al sicuro. L'ho fatto per
questo.»
«Non è vero.»
«Sì, invece.»
«Stronzate.»
«E chi diavolo saresti tu per deciderlo?»
«Non riuscivi neanche a reggerti in
piedi!» sbotta, allungando un pugno contro lo stipite
della porta, rischiando di farlo scricchiolare. «Come diavolo
pensavi di cavartela, debole com'eri?»
«Ero pronto a morire!» grida, stringendo
a sua volta i pugni e battendo il piede a terra con tutta la forza che
aveva nella gamba.
Un momento dopo sono lì a guardarsi, gli occhi fiammeggianti,
assolutamente immobili mentre un oceano di parole e recriminazioni
viaggia tra di loro con un boato assordante. Zoro digrigna i denti e
tutto il suo corpo freme, come se stesse cercando di impedire alle sue
gambe di muoversi anche solo di un passo. «E avresti buttato la
tua vita così? Per niente?!»
«Per niente?» sbotta Sanji, la faccia
quasi violacea dalla rabbia. «Non voglio sentirmi dire certe cose
da te, non quando hai fatto di tutto per essere tu a sacrificarti al
posto di chiunque!»
«Era il mio dovere! Se si fosse preso Luffy,
cosa ne sarebbe stato di tutti voi? Non potevo permettere che lui
morisse!»
«E io non potevo permettere che morissi tu!»
Le parole gli scivolano via dalla bocca come acqua e quando prendono
forma, nell'aria che lo circonda, è troppo tardi per ricacciarle
indietro. L'aria diventa immobile, gelida e in quel preciso istante
Sanji vorrebbe sentire il pavimento sotto i suoi piedi svanire come
fumo e l'acqua scura del mare inghiottirlo fino a non lasciargli
nemmeno più uno spiraglio di aria nei polmoni.
Zoro stringe le labbra e chiude gli occhi, scuotendo appena il capo. «Lo sapevo. Sei un idiota.»
Sanji getta via la sigaretta ma, questa volta, non ne accende altre. In
tutta la sua vita, non si è mai sentito tanto umiliato come in
quel momento. Distoglie lo sguardo velocemente, perché gli
sembra che gli occhi brucino, e le mani tremano in maniera
incontrollata mentre il peso delle sue stesse parole lo schiaccia,
rendendolo consapevole più che mai che, ormai, non ha più
barriere dietro alle quali nascondersi.
Sente Zoro sospirare di nuovo, pesantemente. «Sei un vero idiota.»
Sanji trema e insieme a lui anche la sua voce. «Lo
so. E ora fai il favore di…» ma le parole gli
muoiono in gola, schiacciate con forza da un petto premuto contro il
suo e da braccia strette attorno alle sue spalle. Si rende conto
distrattamente di cosa sta succedendo. Un capo premuto contro la sua
tempia. Respiro sul collo. Dita grandi e callose strette tra i suoi
capelli. Profumo di ferro avvolgente, misto ad un altro odore
più sottile, forse medicinale, forse qualcosa di più
profondo, più intrinseco, più vero. Sanji resta immobile
un momento, in attesa che quel profumo, quelle dita, il respiro,
insieme al capo, le braccia e il petto assumano una forma nella sua
mente, e quando a quella forma può dare un nome inizia a
dibattersi, afferrandogli la maglia, cercando di allontanare da
sé quel calore intossicante.
«Che stai facendo? Mollami, idiota!»
Zoro lo stringe di più, con una forza inaspettata in quel corpo
ancora bendato e prostrato dal dolore. «Idiota,» ripete,
tra i sussurri e Sanji chiude gli occhi, cercando con tutte le sue
forze di costringere le sue stupide orecchie e il suo stupido cuore che
quella voce non sta tremando per niente.
«Sei un idiota, se pensi che ti avrei lasciato andare al posto
mio. E lo sei ancora di più se pensi che avrei accettato
tranquillamente di mangiare il cibo preparato da qualcun altro.»
Gli appoggia il palmo sulla nuca e piega il capo, avvicinandosi un po'
di più al suo orecchio, tanto che ogni suo sussurro è un
grido capace di scuotergli l'anima. «Non lo voglio un altro
cuoco.»
Sanji chiude la bocca prima che qualsiasi suono riesca a scappare dalla
sua gola e poi solleva le mani, lentamente, fino a che le dita si
impigliano nella sua maglia bianca e rimangono lì, in sospeso,
aggrappate a lui a quel corpo ridicolmente grande e forte tanto da
sembrare una roccia che si erge fin dalle profondità dell'oceano
fino alla sua superficie.
«Certo che non lo vuoi,» commenta dopo un poco, la voce
sommessa e Zoro sorride contro la sua gola e strofina il naso contro la
sua pelle calda e umida di qualcosa che nessuno dei due ha davvero il
coraggio di definire. «Sei un bastardo,» dice, a bassa voce.
Sanji stiracchia le labbra in un sorriso. «Tu di più.»
«Idiota.»
«Marimo.»
«Stupido sopracciglio.»
«Spadaccino da due soldi.»
Zoro tace un momento e inspira a fondo, prima di sollevare finalmente il capo. «Cuoco da strapazzo.»
Sanji ride. «Ci puoi scommettere.»
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N/A
Grazie per aver letto fino a qui! *si inchina*
Il titolo della fanfic, come molti avranno già arguito, è
preso da una doujinshi del circolo 139 (non so
esattamente chi sia l'autrice, but still).
Avevo in testa questa idea già da un po' - fatemi pensare,
sì, dev'essere da quando ho letto la saga di Thriller Bark e ho
visto Sanji con quella felpa blu che sembrava gridare ai quattro venti
"Qualcuno venga qui e mi coccoli!". Era intuitivo, no? XD So che ormai
sarà un tema trito e ritrito, e me ne scuso, ma sono una novizia
del fandom e devo recuperare il tempo perso.
Be', insomma, spero non vi abbia fatto troppo schifo, ecco.
Ancora, grazie per il vostro tempo. ^^
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