Let's rock_
Un altro elettrizzante
pomeriggio da passare in riunione con gli Alleati: le giornate erano
diventate veramente monotone. Non c'era mai niente di divertente - o
nuovo - da fare.
«Non posso saltare la riunione di oggi. Io sono l'eroe! Senza di me i miei compagni saranno perduti!» pensò America, fiero dell'importante ruolo che rivestiva.
«Però mi piacerebbe anche tornare a casa a finire quel videogioco che ho comprato la settimana scorsa» rifletté l’attimo dopo, emettendo un debole sospiro.
«Speriamo di arrivare presto!» concluse, vertendo i propri pensieri su altro ancora, accelerando il passo.
Aveva preso
familiarità con l’edificio presso cui si riuniva insieme
alle altre quattro nazioni per i vari Summit delle Forze Alleate e gli
piaceva provare strade sempre differenti per raggiungere la sala
riunioni.
Era come uno dei suoi
videogiochi d’azione, solo che quello era reale ed il rischio di
perdersi si sostituiva immancabilmente alla possibilità di
morire per mano di uno dei mostri nemici, ma l’americano non se
ne preoccupava.
Anche quel pomeriggio aveva
deciso di sperimentare un nuovo modo di raggiungere la riunione nella
speranza di scoprire qualche scorciatoia verso la sua meta finale.
Stava passando attraverso
uno dei tanti anditi quando udì abbastanza distintamente il
suono di una chitarra. Una chitarra elettrica, per l'esattezza - era impossibile che si sbagliasse su una cosa del genere.
«Chi è che sta suonando?» chiese a mezza voce a nessuno in particolare, perplesso.
Si fermò
all'improvviso e si guardò intorno, cercando di capire da dove
provenisse quella musica elettrica e meravigliosa.
Fece qualche passo avanti,
tendendo le orecchie al massimo, e la individuò: proveniva
dall'interno di una stanza poco più in là.
Si affrettò a raggiungerla e vi si accostò, posando un orecchio sulla porta.
Chiunque ci fosse
dall'altra parte, stava suonando benissimo, il miglior assolo di
chitarra elettrica che avesse mai sentito suonare dal vivo.
Era vero rock.
Rimase lì ad
ascoltare per quello che gli parve un lasso di tempo infinito, rapito
dalla potenza e dall'intensità del suono.
«Devo sapere chi è!» mormorò, eccitato, posando la mano sul pomello della porta.
Spinse piano l'uscio e sbirciò curioso all'interno.
Al vedere chi fosse il
misterioso musicista, non riuscì a trattenere un'esclamazione ed
un’espressione sbigottite: «Inghilterra?!».
Non riusciva a credere ai suoi occhi, eppure era così. Era proprio lui.
L'inglese era appoggiato
contro il bordo del tavolo che aveva alle spalle e tra le mani
stringeva una magnifica chitarra elettrica di un bel rosso intenso,
collegata ad un piccolo amplificatore portatile sul quale il
chitarrista poggiava il piede destro, così da tener piegata la
gamba e potervi poggiare sopra lo strumento. Il suo sguardo mostrava
una totale concentrazione nell'esecuzione del brano; per questo
sembrava totalmente estraneo al resto del mondo.
Non avrebbe mai immaginato che proprio Inghilterra suonasse quel genere.
L'inglese, sentendosi
chiamare, alzò sorpreso lo sguardo dallo strumento, focalizzando
la sua attenzione sulla figura che si era appena materializzata
sull’uscio.
«America?!» esclamò, sbalordito e rosso in viso.
«C-che cosa ci fai qui?!».
Non se l'aspettava che venisse sentito proprio da lui.
Alfred avanzò nella stanza, in viso l'espressione gioiosa ed eccitata di un bambino.
«Inghilterra, sai suonare la chitarra elettrica?!» domandò, pieno di ammirazione e stupore.
«Be',
sì...» ammise l'ex madrepatria, lanciando un'occhiata
stranita ad Alfred, il quale si era avvicinato ancora e stava
protendendo la mano verso la chitarra con l'atteggiamento tipico del
bambino che vuole toccare qualcosa nonostante sappia benissimo che gli
è proibito.
«È bellissima...» commentò, trasognato.
«Ehi, è
delicata» replicò l'altro, allontanando lo strumento dalla
sua portata, lanciandogli al contempo uno sguardo di severo
avvertimento.
«Uffa, sei
cattivo...!» borbottò America offeso «Comunque non
sapevo che ti piacesse il rock» continuò, cambiando
repentinamente atteggiamento.
Volubile.
Irrimediabilmente, inquietantemente volubile.
Arthur posò la chitarra ed incrociò le braccia sul petto, assumendo il suo consueto atteggiamento da arrogantello.
«Questo perché sei un ignorante» asserì in tono sostenuto.
«Ehi!».
Lui lo ignorò e
proseguì: «Il rock è originario dell'Inghilterra.
È naturale che l'ascolti, no?!».
Riprese la chitarra in mano
e suonò un breve pezzo, piuttosto tranquillo, come un
accompagnamento musicale per le sue parole.
«Quindi non c'è da stupirsi se provo anche a suonarlo!» esclamò, infervorandosi all'improvviso.
«Aaah...!»
esclamò meravigliato l’altro, udendo la musica, gli occhi
che scintillavano «Dai, suonalo ancoraaa!».
Inghilterra inarcò
un sopracciglio con fare scettico: non immaginava che America si
potesse eccitare tanto alla sola idea di sentire suonare del rock dal
vivo.
Si sentiva in un certo
senso lusingato da quelle sue attenzioni, benché trovasse tutta
quell’eccitazione quasi malsana - per non dire imbarazzante.
«O-okay...».
Era la prima volta che suonava con del pubblico. Era lecito che fosse un po’ a disagio.
Alfred lo fissava, in attesa che lui cominciasse.
L’inglese si mise in
una posizione che gli consentisse agevolezza nell’impugnare lo
strumento e sostenerlo, quindi ricominciò a suonare, mettendoci
tutta la sua energia e passione.
L’americano seguiva
l’esecuzione col fiato sospeso, elettrizzato: era un brano
bellissimo. Percepiva la potenza che il suono comunicava e doveva
ammettere che Inghilterra non era affatto male: anche nel suo paese il
rock era dilagato a macchia d’olio - per cui almeno un po’
se ne intendeva pure lui - quello era un modo di suonare che in parte
gli riusciva nuovo. Da lui non suonavano con così tanto ardore -
benché i cantanti e i gruppi americani ci mettessero energia nei
loro brani.
La porta si aprì di scatto e Francia fece letteralmente irruzione nella stanza, irritato.
«Ecco
dov’eravate finiti voi due perdigiorno!» esclamò con
insolita veemenza, facendo sobbalzare i due per lo spavento.
«La riunione sta per
cominciare!» aggiunse in tono più melodrammatico, come se
loro fossero in ritardo disastroso per ad un evento di importanza
vitale per loro stessi - e, magari perché no, anche del mondo
intero.
«Uffaaa... proprio ora?!» si lamentò Alfred.
«Sì, stiamo aspettando tutti voi!» li informò Francis in tono sostenuto.
I suoi occhi si posarono sulla chitarra elettrica che Arthur teneva tra le mani con un’espressione di palese disprezzo.
«Lascia perdere quell’aggeggio e quella musica orrenda che stavi suonando prima!».
Si scostò i capelli dal viso con un movimento di superiorità - e vagamente femminile.
«Quel vostro rock
è musica da teppistelli di strada. Non è certo
all’altezza delle ouverture francesi!» aggiunse con un
sospiro dal quale trapelava chiaramente un “non c’è
confronto, sono migliore di voi”.
America ed Inghilterra furono punti sul vivo dalla sua affermazione: aveva osato insultare il rock.
Un unico pensiero esplose nella loro mente: Francia era un eretico da eliminare.
«Teppistello a chi, vinofilo?!?!».
«Non è musica volgare!!!».
Arthur posò la
chitarra con delicatezza infinita, poi si slanciò verso Francia
in contemporanea con Alfred con uno scatto feroce.
Dire che erano arrabbiati era poco, un mero eufemismo: erano inferociti. Nei loro occhi c’era la stessa scintilla omicida.
Il francese
impallidì nel coglierla, spaventato dalla consapevolezza
improvvisa d’aver scatenato una vera e propria potenza assassina.
Fece dietrofront e se la diede a gambe, diretto verso la sala riunioni.
Se non altro era riuscito a
convincerli a recarsi alla riunione, anche se temeva che non sarebbe
riuscito a scamparla indenne nemmeno con l’aiuto degli altri.
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