Le Chimere, dodici anni prima di Dew_Drop (/viewuser.php?uid=127372)
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Cap I: Di una chimera che giocava a baseball
Disclaimer: i personaggi appartengono ad Akira Amano. Nulla di ciò che è scritto è ovviamente a scopo di lucro.
< LE CHIMERE, DODICI ANNI PRIMA >
Cap I : Di una chimera che giocava a baseball (80+59)
“Non esistono persone normali
che giocano a baseball; però esistono
persone normali che ci provano”
Giovanni Gaspa
Hayato Gokudera appoggiò il borsone e alzò gli occhi
sull’ingresso. Non era sicuro di voler bussare e l’istinto
gli suggeriva insistentemente di lasciar perdere.
Tornare a Namimori dopo tutti quegli anni trascorsi in Italia era a dir
poco traumatico. Se non fosse stato per l’invito diretto del
Decimo, con molte probabilità non si sarebbe preso
l’impegno di lasciare la cattedra di Pisa per due settimane, ed
anzi l’idea di astenersi dal lavoro non l’avrebbe
minimamente sfiorato. Eppure non aveva potuto far altro che accettare,
anche se quel viaggio, più che una rimpatriata, per lui
nient’altro rimaneva che un ordine del suo superiore. Tanto per
digerire meglio la cosa.
Stava ancora rimuginando fra sé e sé, l’indice
insicuro già appoggiato sul citofono, quando qualcosa –
qualcuno? – gli si appese alla gamba. Abbassò gli occhi
con un pericoloso fremito d’irritazione ad arcuargli il
sopracciglio destro; ma cambiò del tutto espressione quando
realizzò che l’oggetto non identificato in questione era
una bambina dagli enormi occhi color nocciola. Lo fissava dal basso con
la piccola bocca un poco spalancata, mentre le sue manine artigliavano
spasmodicamente il tessuto del completo.
Gokudera sbatté instupidito le palpebre. Non gli erano mai
andati a genio i piccolini, figuriamoci quelli che osavano stracciargli
i vestiti. “E tu da dove spunti?” gli scappò, e
scoprì con orrore che la voce gli tremava. E la colpa era di
quegli immobili, sbarrati, spaventosi occhioni castani.
“Oji.”
“Prego...? Mi hai chiamato zio?”
La bambina rimase ancora un momento a fissarlo, quasi per accertarsi di
non aver sbagliato persona. Il tempo di un altro strattone ai pantaloni
e strillò, galoppando verso la portafinestra che dava sul
giardino: “Oji!, oji!”
“Ehi! E adesso dove corri?” le gridò dietro
Gokudera, attonito da tutta quell’improvvisa gioia. La bimba
finì dritta tra le braccia di un giovane uomo uscito in quel
momento nel cortile, e lì diede sfogo al suo gioioso annuncio:
“Oji!, oj...!”
“Sì Himizu, ho capito, ho capito!”, e gli scappò una risata mentre sollevava in braccio la bambina.
L’italiano allora non ebbe più dubbi. Quella voce, quella
risata così infantile, quel comportamento spontaneo...
“Ya-Yamamoto?” fu l’unica cosa che la sorpresa gli
concesse. “Yamamoto, quella è tua figlia?”
“Confermato.”
“Accidenti” borbottò Gokudera, e si passò una
mano dietro al collo con fare tutto d’un tratto imbarazzato.
“Scusami, proprio non l’avevo riconosciuta. Da quanti anni
non vengo qui? Due, tre...?”
“Quattro anni e due mesi” puntualizzò Yamamoto
benedicendolo con un sorriso. Dopodiché fece un cenno verso
l’interno. “Andiamo. Mia moglie ha preparato un pranzo per
quattro, oggi.”
Mangiarono attorno a quello che pareva un tavolo da cerimonia. Himizu
si stancò ben presto di fare la brava bambina e schizzò
in giardino dopo essersi sorbita le doverose raccomandazioni del padre.
Riguardo quest’ultimo, era incredibile quanto il tempo non
l’avesse scalfito: certo era più alto, i suoi lineamenti
più marcati ed asciutti, ma nello sguardo era rimasto il caro,
vecchio baseball freak di
sempre. Il modo in cui rideva era già di per sé
l’indiscutibile indizio del ragazzino che continuava a vivere
sotto le spoglie di quel corpo fattosi terribilmente maturo. Gokudera
lo sbirciò più volte, durante il pranzo, colse il suo
sorriso di sempre, quell’aria di eterno bambino. La cosa gli
strappò una serenità anormale, una sensazione di calore
familiare che nemmeno l’Italia gli aveva mai concesso. Per quanto
di prima battuta avesse ritenuto assurda l’idea di farsi ospitare
dall’idiota per l’ultimo giorno di permanenza in Giappone,
in quel momento quasi gli dispiacque d’aver alloggiato in un
hotel fino a quel pomeriggio.
Takeshi Yamamoto, anni ventisette, sposato, con una figlia, era un
giocatore di baseball. Uno sportivo, intendiamoci, con il piccolo
difetto di avere rapporti con la mala italiana, in quanto anche in quel
futuro che si erano procurati avevano deciso di seguire Tsuna sotto
allo stemma dei Vongola. Era ovviamente, questo, un particolare che i
più ignoravano, ma che loro erano costretti a tenere in
considerazione. Non che quello fosse un periodo di conflitti – al
contrario potevano persino permettersi il lusso di una seconda
occupazione e di una casa propria -, ma i cavalloni
dell’esistenza li avevano spinti su rive straniere fra loro. Gli
unici rimasti a Namimori, a onor d’esempio, erano Yamamoto e il
Decimo. E be', Hibari Kyoya, ma non c'era da stupirsi.
Fu mentre discutevano al tavolo, terminato il pasto, che squillò
il telefono. Yamamoto non si alzò, anzi fece un cenno
all’ospite per accordargli il permesso di rispondere. Sorrideva.
Gokudera si allungò dalla sedia, arraffò la cornetta, se
la portò distrattamente all’orecchio:
“Pronto? Qui casa Yamamoto.”
“Gokudera-kun? Gokudera, sei tu?”
“Ju-Juudaime!”
Sarebbe stato impossibile non riconoscere quella voce. Gokudera
sbirciò il sorrisetto di Yamamoto e si mise più comodo
sulla sedia: “Juudaime, sì, sono io.”
Il suo battito era accelerato. Non si aspettava di sentirlo e questa
era certo la causa dell’esaltazione che gli stritolava
l’anima. Tsuna non era cambiato, affatto: poco importava che il
timbro della sua voce si fosse indurito, poco importava che anche lui
fosse cresciuto. Il Boss era rimasto il Boss.
“Gokudera-kun, vi aspetto davanti alla scuola media, come da programma. Hibari-san ci ha concesso la visita.”
“Kyoya, avete detto?”
“È il preside, ora, sai?”, e la linea gli
restituì una limpida risata. “Non esiste occupazione
migliore per un tipo come lui.”
Il Guardiano rise con lui. “Ben detto, Juudaime! Allora... allora a più tardi. Ah, posso...?”
“...puoi?”
“...concedermi un approccio confidenziale, se non dispiace?”
Tsuna rise di nuovo e a Gokudera bastò questo.
“Non vedo l’ora di rivedervi” concluse con un sorriso, e riattaccò.
* * *
Dodici anni prima...
Mi chino su di lui e gli bacio il
collo. Sento la sua pelle fremere sotto al velo della pioggia, le dita
farsi improvvisamente più rigide. Con quel gesto gli rubo un
brivido, ne avverto lo squisito tremore sulle labbra.
Gokudera si scosta da me con
veemenza, si volta. Il colpo della mazza da baseball che cade nella
fanghiglia risuona nel tuonante scrosciare dell’acquazzone.
“C-che accidenti stai facendo, Yamamoto?”
“Hayato...”
“Era questo il tuo obiettivo sin dall’inizio? Questo?!”
Abbasso gli occhi a pugni
stretti. Certo non posso negare le sue parole, almeno non in quella
situazione, soprattutto perché è proprio la situazione in
sé a spiegare tutto. Che mi sono offerto di insegnargli il
baseball in vista del torneo di fine anno; che nonostante il maltempo
ci siamo accordati per quel giorno; che non ho fatto altro che
aspettare il momento in cui lui mi avrebbe dato le spalle, per
prendergli le mani e stringere insieme la mazza. Ma che poi non ci ho
più visto, per colpa della pioggia sui suoi vestiti, sui suoi
capelli. Per colpa insomma di tutta quella vicinanza che da tempo
rincorro nell’immaginazione. E adesso quello che tanto ho
inseguito si è ribellato e mi fissa con furiosi occhi smeraldini.
“Ma si può sapere che diavolo ti ha preso? Ehi...? Ohi, idiota!”
Ascoltare è troppo
impegnativo. Evito lo strattone che segue all’ennesimo richiamo
ignorato, so quanto lui possa essere violento. Eppure non mi limito ad
afferrarlo per il colletto e per la spalla, incurante della sua
disapprovazione.
Oh no.
L’animalesca reazione di
Gokudera viene soffocata dal mio bacio incredibilmente possessivo. Ad
incorniciare il silenzio, il borbottio della pioggia.
Ascolto il suo cuore pietrificarsi.
Io, l’invasato del
baseball, che lo tengo immobile con un’arroganza del tutto
inaspettata, con quel gesto d’affetto egoista. Egoista
perché non corrisposto.
Gokudera si divincola, sguaina tutta
la sua rabbia. Solo dopo avermi assestato un pugno sulla mandibola,
spedendomi platealmente a terra, riesce a liberarsi e ad indietreggiare
in fretta, quasi rischiando di inciampare.
“Stupido! Sei uno stupido, Takeshi!”
Takeshi.
Keshi.
Mi pare che il mio nome
rimbalzi sulle invisibili pareti del senso di colpa. Mi porto una mano
alle labbra, asciugo un rivolo di sangue. Nei miei occhi si legge
l’assoluta incredulità, come se nemmeno io stesso mi renda
conto di quanto accaduto. Come ho potuto baciare Gokudera senza nemmeno
riflettere? In che modo la mia chimera si è trasformata in
quella prepotenza assurda? Alzo gli occhi mentre le dita affondate
nella fanghiglia si chiudono, incapaci di contenere il fremito della
voce:
“Hayato... ti chiedo scusa.”
Gokudera si azzanna il labbro
guardandomi sprezzante dall’alto. È un gesto
intraducibile, forse il figlio di Rabbia e Sconcerto, prontamente
riflesso nei pugni che si serrano a tenaglia.
“Stammi lontano”
soffia irritato. Poi mi volta le spalle e si allontana a passo di
marcia sotto la pioggia battente. Non voglio seguirlo.
* * *
_Il Piccolo Ritaglio_
Che dire? Tre capitoli, ognuno dedicato ad un momento presente e ad uno passato,
ognuno focalizzato sul rapporto fra due di questi tre amici del cuore.
Essendo un'amante delle 8059, non potevo non scrivere qualcosa a
riguardo già nel primo capitolo.
Il nome "Himizu" è nato da una piccola fusione: "hime" è
"principessa", "mizu" invece "acqua". Mi piaceva l'idea di dare un nome
simile alla piccina del nostro Yama-senpai. Riguardo Gokudera... be',
mi piaceva vederlo come professore a Pisa. Averlo io un prof
così *-* Ho approfittato di questa fic per coronare i sogni dei
personaggi: Takeshi è un giocatore di baseball professionista,
Hibari il preside della Namimori. Penso mi ringrazieranno a vita v_v
Ah, non prendo in considerazione i fatti riguardanti la Famiglia
Shimon, proprio perché quando ho scritto questa fic non ero a
conoscenza della nuova serie.
Non so quando pubblicherò il secondo capitolo - che ritengo
assai fluffuso -, forse aspetterò una settimana o qualche
piccolo commento... anche critiche per l'amor del cielo, ma insomma mi
piacerebbe avere qualche parere, dal momento che, dati i risvolti
inaspettati del contest, non posso riceverne dalla giuria - che
però ringrazio di cuore.
Grazie per essere arrivato in fondo xD
Bye-bii,
Dew_
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