Disclaimer: i
personaggi della serie televisiva “Queer as folk”,
citati nella storia, non sono di mia proprietà ma
appartengono ai legittimi ideatori. Sono stati da me utilizzati senza
il consenso degli autori, non a fini di lucro ma solo per divertimento
personale.
Pairing: Brian /
Justin
Rating: giallo
Avvertimenti:
romantico, slash.
Note: non avendo
gradito l’episodio con cui è terminato QaF, ho
scritto questa fiction per proporre un finale alternativo.
I produttori
della serie hanno separato Brian e Justin, ebbene, io li ho rimessi
insieme.
Con questa
storia, che racconta l’inizio della loro vita di coppia, ho
cancellato l’orrenda immagine di Brian che si sveglia da solo
nel loft vuoto e ho dato ai Britin la possibilità di
coronare il loro sogno d’amore.
Essendo una
post 5x13 manca di originalità, lo ammetto, però
volevo che Brian e Justin stessero insieme per mantenere viva una tra
le più belle storie d’amore che abbia mai visto e
così ho deciso di incrementare il numero, già
elevato, di finali alternativi proponendo un momento Britin. Spero
possa strapparvi un sorriso.
Un’estate
da sogno
Justin,
abbandonato il giaciglio condiviso con l’amante, si
allontanò di pochi passi per immergersi nel fantastico
spettacolo che madre natura gli stava regalando.
Respirando
profondamente, mentre il sole spuntava all’orizzonte
illuminandogli i capelli che risplendevano come fili d’oro,
sorrise felice, incantato dalla meraviglia che lo circondava, senza
accorgersi che anche Brian si era destato e lo stava osservando in
silenzio, ammirando la sua nudità, rapito dal suo corpo
perfetto, mentre la brezza mattutina gli solleticava la pelle. Per lui,
quella era
l’unica meraviglia che potesse incantarlo.
Puntellandosi
sui gomiti, Brian continuò a fissare la persona
più importante della sua vita lasciando che la mente lo
riportasse agli eventi che lo avevano condotto in quel luogo sperduto
come marito del signor
Justin Taylor, il giovane che per cinque anni aveva
lottato per conquistare un posto al suo fianco e che, alla fine, aveva
vinto la lotta.
*****
All’imbrunire
di un giorno d’estate che nessuno avrebbe scordato, la
cerimonia del secolo, in cui Brian Kinney sposava Justin Taylor,
terminò con un forte applauso accompagnato da fischi e urla
di giubilo.
Per tutta la
sera, danze e brindisi si susseguirono incessanti, mentre il sole
scompariva all’orizzonte per essere sostituito da una luna
splendente che faceva mostra di sé in un cielo sgombro da
nuvole e punteggiato da migliaia di stelle scintillanti.
Allo scoccare
della mezzanotte, quando gli ospiti se ne andarono, i novelli sposi si
rifugiarono tra le accoglienti mura domestiche e Justin, in piedi
accanto al caminetto spento, s’incantò ad ammirare
la fede d’oro bianco che brillava al suo anulare, incapace di
trattenere un sorriso di gioia. C’era riuscito, aveva
coronato il suo sogno d’amore: Brian Kinney era finalmente
diventato suo marito.
Fino a cinque
anni prima nessuno avrebbe immaginato che un giorno il Dio dei gay avrebbe
pronunciato il fatidico
sì, perché fino a cinque anni prima
nella vita di Brian non c’era mai stato nessuno come Justin.
Di prepotenza
il giovane era entrato nell’esistenza dell’uomo
più desiderato di Pittsburgh. Lottando con arguzia e
pazienza era riuscito a sgretolare le sue assurde convinzioni
portandolo a credere all’amore, tanto da condurlo alla
giornata che si era appena conclusa in cui aveva pronunciato “lo voglio”
davanti ai loro amici.
Incapace di
distogliere lo sguardo dall’anellino che gli brillava al
dito, Justin sentì le braccia di Brian cingerlo,
avvolgendogli i fianchi, fino a intrecciarsi sul suo ventre. Gli
bastava essere stretto a lui per sentirsi bene, per capire quanto fosse
stato fortunato a incontrarlo.
Posate
delicatamente le proprie mani su quelle di Brian, Justin
sospirò. Era talmente felice che a fatica riusciva a
trattenere le lacrime, le stesse che durante la cerimonia avevano
minacciato più volte di sfuggire al suo controllo per
scendere a rigargli le gote arrossate dall’emozione.
Immerso in
pensieri che gli davano la sensazione di poter galleggiare a
mezz’aria, avvertì l’alito caldo di
Brian sul collo.
«Andiamo,
Splendore, non avrai intenzione di trascorrere la prima notte di nozze
guardando la tua mano? Ho altri progetti in mente»,
sussurrò Brian lascivo sfiorandogli la pelle con le labbra.
Strappato alle
riflessioni, lentamente Justin si girò per fissare le
proprie iridi cerulee in quelle scure del marito e un sorriso raggiante
illuminò il suo volto. Posate le mani sul torace marmoreo
dell'uomo, si alzò sulla punta dei piedi e si sporse per
catturargli le labbra. Era tutto il giorno che voleva stringerlo a
sé, che desiderava sentire il suo sapore, che bramava il suo
corpo.
Avevano
trascorso le ultime ore comportandosi da perfetti gentiluomini,
intrattenendo gli invitati, dimostrandosi disponibili verso donne e
bambini, sia quando si trattava di essere coinvolti in un ballo, sia
quando venivano trascinati in frivole discussioni, ma in quel momento
non c’erano ospiti da intrattenere. Finalmente erano rimasti
soli.
Lo splendido
castello che Brian aveva acquistato per lui, il suo principe,
che per tutta la sera era stato teatro di chiacchiere, brindisi e
musica, era di nuovo a loro disposizione e il silenzio che vi regnava,
da quando i festeggiamenti erano finiti, presto sarebbe stato infranto
solo dai loro gemiti.
Senza esitare,
imprigionati nel turbinio delle emozioni, abbandonarono sul pavimento
gli abiti da cerimonia e si strinsero in un abbraccio passionale che
avrebbe unito i loro corpi e soddisfatto il desiderio impellente che
avevano l’uno dell’altro. E così si
amarono, per tutta la notte, evitando
di pensare al futuro e a ciò che li attendeva.
La mattina
seguente Justin si destò e vide Brian in cucina con un
asciugamano legato attorno ai fianchi e i capelli bagnati, segno che si
era alzato da qualche minuto.
Stampandosi
sulle labbra un sorriso forzato lo raggiunse per dargli un bacio
veloce, poi si chiuse in bagno. Cinque minuti più tardi
ricomparve, lavato e profumato, pronto per affrontare la nuova giornata
che, sapeva, sarebbe
stata pessima.
Prima di
sposare Brian aveva fatto una promessa e non era tanto stupido da
credere che l’uomo avesse dimenticato le sue parole.
In silenzio si
accomodò sul divano e attese che Brian lo raggiungesse.
Quando gli fu
accanto si scambiarono uno sguardo inequivocabile; Brian stava per ordinargli di
mantenere l’impegno preso.
Chinata la
testa, Justin iniziò a giocherellare con la fede che
brillava al suo anulare per evitare lo spiacevole discorso, ma Brian
gli pose un dito sotto il mento e lo costrinse a guardarlo.
«Il giorno prima del matrimonio ti dissi che non volevo
sposarti perché la nostra unione ti avrebbe impedito di
diventare famoso. Ti saresti fossilizzato in questa città ed
io non lo avrei permesso», affermò con voce calma
e subito Justin ritrovò la forza per ribattere.
«Ricordo
le tue parole. Come sempre stavi per buttare nel cesso la nostra
felicità».
La risposta
decisa del biondino e il suo sguardo combattivo non impressionarono
Brian che continuò il discorso senza scomporsi.
«Allora ricordi anche le
tue parole!»
Justin
sospirò e, senza distogliere lo sguardo da quegli occhi
così profondi che scrutavano la sua anima, accolse la sfida
e ripeté, non senza fatica, quanto dichiarato solo
quarantotto ore prima. «Dopo che avevi immolato il nostro
amore all’arte, ti dissi che eri uno stronzo e che non avrei
lasciato Pittsburgh solo perché tu me lo stavi
ordinando. Ho cercato di farti capire che il nostro matrimonio era
più importante della fama. Che solo vivendo con te sarei
stato felice e infatti ora sono felice. Sai quanto ti amo,
io...»
Brian gli
posò un dito sulle labbra per zittirlo. «Stai
divagando Splendore, torniamo alla promessa». La sua frase fu
accolta da una smorfia seccata da parte di Justin, ma lui la
ignorò. «Allora? Dicevi?»
chiese, arcuando un sopracciglio e Justin dovette riprendere
l’odiato discorso.
«Dopo
circa un’ora di discussione, o forse più di
un’ora, non
ricordo per quanto tempo ti sei comportato come un perfetto coglione,
mi ero stancato delle tue cazzate sul sacrificio, sul futuro, sulle mie
possibilità di diventare un artista famoso, così
ho ribadito che non me ne sarei andato e che mi sarei presentato
davanti all’altare in attesa del tuo arrivo, poi ho lasciato
il loft sbattendoti la porta in faccia».
Concluso il
resoconto, Justin rivolse a Brian un sorrisino malizioso.
«Sapevo che saresti venuto, che non mi avresti abbandonato
davanti all’altare e ora che siamo sposati sono
l’uomo più felice del mondo».
Di nuovo Brian
lo zittì con un gesto della mano. Justin era scaltro,
otteneva sempre ciò che voleva, ma aveva fatto una promessa
e, anche se faceva male, gliela avrebbe fatta mantenere.
Il furbetto
aveva giocato bene le sue carte per costringerlo al matrimonio. Sapeva
che Justin non scherzava e si sarebbe fatto trovare davanti ai loro
amici, e all’officiante, in attesa che lui arrivasse e
così si erano sposati. Non poteva abbandonarlo
all’altare!
Ma non era
stato solo il ricatto ad averlo convinto a compiere il grande passo,
erano state le parole che Justin aveva pronunciato durante
l’interminabile discussione pre-matrimoniale a convincerlo,
parole di cui, in quel momento, Justin fingeva di non avere ricordo, ma
lui gliele avrebbe rammentate.
«Ora
che hai finito di menzionare quanto io sia stato stronzo, o coglione,
fai ordine in quella bella testolina bionda e dimmi l’unica
cosa che voglio sentire uscire dalla tua boccuccia».
«Cazzo,
Brian, non oggi».
«Sì
Justin, oggi!»
«E
va bene!» urlò esasperato Justin. «Ho
promesso che dopo il matrimonio sarei partito per quella cazzo di
città, che avrei cercato un posto dove vivere e un manager
che mi aiutasse a diventare famoso», ammise stizzito poi, con
sguardo da cucciolo bastonato, si avvicinò alle labbra di
Brian per sfiorarle delicatamente con le proprie sperando in un suo
ripensamento, ma gli bastò un’occhiata per capire
che era tempo perso. «Non farlo, non mandarmi via... ti
prego», implorò, e i suoi occhi si colmarono di
lacrime.
Brian lo
accolse tra le forti braccia per permettergli di posare la testa sul
suo torace, mentre con la mano gli accarezzava i capelli scendendo
lentamente a lambirgli la guancia. «Sono fiero di te, Justin.
Dell’uomo che sei diventato. Ma ora voglio che tutto il mondo
ti veda come ti vedo io. Voglio che tu vada a New York e spacchi il
culo a quegli etero di merda. Tutti dovranno capire che razza di genio
sei».
Justin
alzò la testa per cercare lo sguardo del marito che gli
sorrideva dolcemente.
«Non
ti sto cacciando», sussurrò Brian. «New
York non è in capo al mondo e ci vedremo ogni fine
settimana».
Justin sapeva
che non era un addio, ma amava tanto Brian e separarsi da lui, il
giorno successivo il matrimonio, lo faceva star male, però
aveva promesso e avrebbe onorato la parola data. «Ho preso un
impegno e lo manterrò», annuì
asciugandosi le lacrime. «Ma anche tu dovrai mantenere il tuo
e quando sarò famoso, e tornerò, non dovrai
più mandarmi via perché convinto di agire per il
mio bene...»
Justin
lasciò la frase in sospeso per alcuni secondi, la
caparbietà che contraddistingueva il suo carattere era
riemersa. Lui non era un ragazzino piagnucoloso, era un adulto forte
che sapeva accettare le proprie responsabilità. Di nuovo
fissò lo sguardo in quello dell’uomo che amava.
«E il giorno in cui tornerò non è
lontano, mister Kinney. Un paio d’anni e avrò
conquistato il mondo e allora non ti libererai più della mia
costante presenza. Ti
starò sempre attaccato al culo»,
ribatté, mentre Brian lo attirava a sé per
poggiare la fronte alla sua.
«È
una minaccia?» chiese malizioso.
«È
una promessa», asserì Justin e le loro labbra si
accostarono come a voler siglare, con un bacio, l’impegno
preso da entrambi per costruire un futuro insieme.
Sereni si
diressero verso la camera, dove si erano amati con passione per tutta
la notte e, senza rimpianti, si prepararono alla separazione.
Giunti in
aeroporto si salutarono evitando addii strappalacrime e Brian,
immobile, osservò Justin dirigersi verso
l’imbarco. Quando il giovane marito scomparve tra la folla,
lasciò l’ampio salone per tornare alla Corvette.
Avrebbe trascorso i successi sei giorni lavorando, in attesa che il suo
Raggio di Sole tornasse a illuminare una vita che non aveva
più senso senza di lui.
Arrivato alla
Kinnetik, Brian salutò Cynthia e si chiuse in ufficio per
rilassarsi e riflettere.
Sprofondando
nella poltrona s’incantò a osservare la fede che
brillava al suo dito, ma la quiete durò poco
perché la porta venne spalancata e la bionda segretaria
entrò a passo spedito. «Ti ho portato dei
documenti da approvare».
Afferrati gli
incartamenti, Brian li firmò senza neppure chiedere di cosa
si trattasse e il suo comportamento incuriosì Cynthia. Non
era da lui apporre una firma senza domandarne il motivo.
Incrociato lo
sguardo perplesso della donna, Brian capì che la giornata
già pessima sarebbe diventata un vero incubo
perché, quando voleva, Cynthia sapeva essere più
irritante di Debbie.
La vide
sedersi di fronte a lui, pronta a triturargli le palle, e
cercò di evitare il supplizio. «Mi piacciono le
tue scarpe e anche la tua gonna», affermò
ostentando falso interesse e Cynthia indirizzò
un’occhiata distratta alle calzature indossate. «E
sai cos’altro mi piacerebbe ora?»
domandò con sarcasmo. «Sentire il rumore dei tuoi
tacchi e il fruscio della tua gonna mentre schiodi il culo dalla
poltrona e lasci il mio ufficio».
Cynthia finse
di non cogliere la provocazione e, senza che vi fosse un particolare
motivo, iniziò a parlare del matrimonio. «La
cerimonia è stata molto emozionante, non credevo che un
giorno avrei sentito Brian Kinney pronunciare il fatidico
sì, anche se per Justin anch’io potrei rivedere il
mio status di single incallita. A proposito del tuo splendido maritino,
perché non sei a casa a scoparlo? Credevo che lo avresti
incatenato al letto per un’intera settimana!»
Brian la
osservò incerto, non sapeva se mandarla affanculo o
risponderle con sincerità. Per un istante i loro sguardi
s’incrociarono e decise per la seconda opzione.
Cynthia era
fantastica. Una delle poche persone che non lo aveva mai giudicato e
che non aveva timore di dirgli ciò che pensava. Era il Brian
Kinney del mondo etero.
Cercando di
non apparire melodrammatico o peggio, patetico come una lesbica,
rispose sperando che poi lo avrebbe lasciato in pace. «Justin
è partito. Ora è su un aereo che lo
porterà a New York e, sebbene non siano cazzi tuoi, devi
sapere che ho accettato di sposarlo a condizione che non mandasse a
puttane l’opportunità di diventare famoso. Il
matrimonio c’è stato e adesso deve occuparsi della
sua carriera... fine della storia. Ora fammi vedere come giri sui
tacchi e te ne vai».
Ascoltata con
interesse ogni sillaba pronunciata dall’uomo, ovviamente
Cynthia non accolse il suo gentile invito, non poteva andarsene senza
aver esposto un parere non richiesto. «Ho capito cosa vi
serve!» esclamò entusiasta.
«Non
pensavo ci servisse qualcosa», ribatté serio
Brian, ma la bionda non sembrava ascoltarlo.
Puntato contro
Brian l’indice perfettamente laccato, Cynthia
iniziò a esporre l’idea fantastica balenata nella
sua mente diabolica. «Siamo in estate e ricordo che una volta
Justin mi disse che gli sarebbe piaciuto trascorrere qualche giorno a
Ibiza. Quando la splendida
creatura lascerà New York per tornare nella tana dell’orco?»
«La splendida creatura
tornerà dall’orco
per il fine settimana, e l’orco lo sodomizzerà per
due giorni senza concedergli tregua», replicò
Brian con tono acido. «E ora te ne puoi andare».
Di nuovo
Cynthia non accolse il garbato invito a levare il disturbo, non poteva
andarsene, non aveva ancora esposto la sua idea brillante.
Posate le mani
sulla scrivania, incatenò i propri occhi azzurri in quelli
dell’uomo. «Fagli una sorpresa. Organizza un
viaggio. Dieci, quindici giorni da trascorrere insieme. Non siete mai
andati in vacanza e so che a lui piacerebbe. E non dirmi che la sua
carriera non ve lo permette. Non saranno due fottute settimane a
mandare affanculo il suo futuro anzi, credo che lo renderesti felice e
al termine del viaggio sarebbe più ispirato».
Brain la
osservò stupito. «Alcune volte mi fai
paura».
«Perché
sono un genio?» rispose Cynthia di rimando.
«Perché
mi somigli troppo!»
Cynthia
sorrise alle sue parole. «Grazie capo, lo prendo come un
complimento e ora datti da fare, guadagna tanti milioni, prenota la
vacanza e pensa seriamente a concedermi un aumento in modo che
anch’io possa permettermi sole, mare e uomini fighissimi con
cui scopare».
Brian
trattenne una risata divertita e radunò i documenti firmati.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma adorava Cynthia e non avrebbe potuto
fare a meno delle loro discussioni sul lavoro, né dei suoi
consigli non richiesti che, la maggior parte delle volte, risultavano
appropriati.
«Se
ti aumento lo stipendio, mi porterai sull’orlo del
fallimento», rimbeccò porgendole l'incartamento
firmato pocanzi. «E ora vai a lavorare se non vuoi che ti
licenzi».
Cynthia
afferrò i documenti e si diresse verso l’uscita.
Posata la mano sulla maniglia, si voltò un’ultima
volta verso l’amico. «Prenota la vacanza, penseremo
Ted ed io a mandare avanti la baracca». E senza aggiungere
altro uscì.
Di nuovo solo,
Brian si ritrovò a osservare la piccola fede d’oro
al suo dito, brillava come gli occhi di Justin al momento del
sì.
Non avrebbe
mai dimenticato la sua espressione mentre gliela infilava. Era la cosa
più bella che avesse mai visto.
Sapeva che
spedirlo a New York, subito dopo il matrimonio, era stato un duro colpo
per Justin e siccome con le parole non era bravo, decise che gli
avrebbe dimostrato con i fatti quanto lo amava.
Aveva ancora
sei giorni prima del suo rientro e avrebbe organizzato qualcosa che
potesse renderlo felice.
Grato
all’amica per il suggerimento, pensò che meritasse
davvero un aumento e, probabilmente, glielo avrebbe concesso.
*****
Le giornate si
susseguivano lente.
Brian lavorava
alla Kinnetik, mentre Justin cercava i primi contatti a New York per la
scalata al successo.
Non passava
giorno senza che si sentissero telefonicamente e Brian, ogni volta,
benediva la dea della tecnologia per aver reso possibili le
videochiamate.
Il sesso
virtuale era appagante, se si aveva una buona webcam, e gli sposini
disponevano del prodotto migliore sul mercato che rese meno duro il
distacco finché, al termine della lunga settimana, Justin
tornò a casa.
Pregustando
ciò che Brian gli avrebbe fatto varcò la soglia
ma, posata a terra la valigia, ricevette solo un bacio veloce dal
marito mentre gli passava accanto trascinando un trolley.
«Ciao
Splendore, so che sei stanco per il viaggio, ma avrai modo di dormire
in aereo. Prendi il beauty e muovi il tuo bel culo. Si parte!»
Justin,
impalato sulla soglia di casa, continuò a osservare il
compagno mentre caricava le valige sul montacarichi.
«Cazzo,
Justin, ti vuoi schiodare da lì?»
gesticolò Brian e di nuovo Justin lo osservò
senza capire. Finalmente erano insieme e Brian gli aveva dato solo un
misero bacino. Anche sua madre lo avrebbe accolto con più
passione.
«Ero
convinto che varcata la soglia mi avresti preso con forza»,
sorrise malizioso. «Immaginavo mi avresti messo faccia al
muro e mi avresti scopato per ore e invece non mi degni della minima
attenzione. Non ti è mancato il mio bel culetto
sodo?»
Sfiorandosi il
sedere in modo sensuale, Justin rivolse a Brian l’ennesimo
sorriso malizioso e l’uomo, alzando gli occhi al cielo, lo
avvicinò e gli afferrò il polso. «Me lo
hai fatto diventare duro, stronzetto, e più tardi verrai
punito, dato che ora non ho tempo per scoparti e dovrò
tenermi una fastidiosa erezione stretta nei pantaloni... e adesso
cammina».
Dopo aver
trascinato Justin sul montacarichi, Brian pigiò il bottone
per il piano terra e si avventò famelico sulle sue labbra
coinvolgendolo in un bacio che gli tolse il respiro.
Quando si
staccarono Justin cercò di parlare, ma Brian lo
zittì. «Niente domande, Splendore, è
una sorpresa».
Usciti in
strada, un taxi li stava aspettando per condurli
all’aeroporto. Durante il tragitto Justin provò a
carpire informazioni a Brian per scoprire la meta del viaggio, ma senza
riuscirci.
Era anche
giunto al ricatto. In fondo sembrava funzionare. Lo aveva minacciato di
fargli trascorrere le successive notti da solo se non gli avesse
rivelato ciò che stava succedendo, ma in risposta aveva
ottenuto una sonora risata. Quando stavano insieme, riuscivano a tenere
i rispettivi giocattoli nei pantaloni solo il tempo necessario per
oltrepassare la soglia di casa, alcune volte non riuscivano neppure ad
arrivare alla porta ed erano già semi nudi davanti
all’ingresso. La sua minaccia era tanto assurda quanto
inattuabile. Lo sapeva lui e lo sapeva Brian che non aveva ancora
smesso di ridere.
«Sei
uno stronzo Kinney», sbuffò Justin e in silenzio
osservò la strada soleggiata che, rapida, si snodava davanti
a loro.
Giunti
all’aeroporto s’imbarcarono su un aereo di modeste
dimensioni e Justin s’incantò a osservarne
l’interno, perfettamente allestito, e notò che gli
unici passeggeri erano loro.
Il comandante
gli rivolse un cordiale saluto poi parlò a bassa voce con
Brian in modo che lui non potesse sentire.
Quando
l’aereo decollò, sfoderando il sorriso abbagliante
con cui tante volte aveva irretito il marito, Justin cercò
nuovamente di scoprire la meta del viaggio, ma invano. Decise allora di
lasciar perdere e si accomodò sulla comoda poltrona per
concedersi un po’ di riposo. Chiuse gli occhi e si
addormentò ripensando al momento in cui Brian aveva
pronunciato quel sì per cui aveva lottato dal giorno in cui
si erano incontrati.
*****
Dopo un
viaggio durato ore, Justin sentì le morbide labbra del
marito posarsi sulle proprie e si destò. Con sollievo
apprese che la meta era prossima; finalmente avrebbe scoperto la
sorpresa che Brian aveva in serbo per lui.
Rabbrividì
al ricordo dell’unica volta in cui l’uomo aveva
deciso di fargli un regalo. In occasione del suo diciannovesimo
compleanno Brian gli aveva procurato un gigolò e
sperò che la meta di quel viaggio misterioso non fosse una
città frivola dove rimorchiare i ragazzi più
belli. Non che l’idea di stare con splendidi giovani pronti a
tutto fosse da scartare, però avrebbe scambiato ogni gay del
pianeta pur di stare da solo con l’uomo che amava. Magari in
una città romantica come Venezia, o Parigi.
Inutile
pensarci, presto avrebbe scoperto dov’erano diretti e avrebbe
gioito qualunque cosa lo aspettasse.
Prima di
scendere dall’aereo, Brian estrasse dalla tasca un nastro e
Justin sospirò intuendo ciò che aveva in mente.
In pochi secondi, nonostante le sue vivaci proteste, si
trovò bendato e, aggrappandosi alla mano del marito, si
lasciò condurre verso l’ignoto.
Senza fare
domande scese dall’aereo per salire sul taxi che li stava
attendendo.
Una quindicina
di minuti più tardi l’auto si fermò.
Portata una
mano agli occhi per liberarsi della benda che lo fasciava, Justin
sentì il fiato di Brian sul collo. «Calma,
Splendore, non essere impaziente, la meta è vicina, ma non
siamo ancora arrivati».
Rassegnato,
Justin decise di assecondarlo e attese.
Lo
sentì parlare con qualcuno, poi avvertì la sua
mano cingergli un polso; Brian lo stava aiutando a salire su un
elicottero e la curiosità di scoprire dove fossero diretti
aumentò e iniziò a porsi mille domande.
Dove stavano
andando? Perché tanto riserbo? Che diavolo aveva in mente lo
stupendo marito? E mentre la sua mente formulava tanti quesiti, cui non
riusciva a dare risposta, finalmente atterrarono.
Con
l’aiuto di Brian lasciò l’abitacolo e,
quando l’elicottero decollò, attese paziente che i
suoi occhi potessero rivedere la luce.
Ancora un
istante e avvertì il tocco delicato di Brian sfiorargli la
nuca. Le mani dell’uomo stavano accarezzando i suoi capelli,
dove la benda era annodata.
Sentì
il suo alito sul collo, prima che le sue labbra gli sfiorassero la
pelle.
Un brivido gli
corse lungo la schiena, ma s’impose di restare calmo. Il
gioco lo stava conducendo Brian e avrebbe lasciato che andasse fino in
fondo abbandonandosi completamente a lui.
«So
che non è il tuo compleanno, Splendore, ma spero che questo
regalo possa compensarti per quelli che non ti ho mai fatto».
La voce
sensuale di Brian gli procurò l’ennesimo brivido e
di nuovo Justin dovette trattenersi dal gettarsi tra le sue braccia,
tanta era la voglia che aveva di lui, e lasciò che
continuasse a giocare.
«Hai
sempre detto che avresti voluto trascorrere una settimana a Ibiza. Ci
ho pensato mentre eri via e ho deciso che ci saremmo concessi una
vacanza. È estate e anche noi meritiamo un po’ di
riposo».
Mentre parlava
Brian slegò la benda che cadde ai suoi piedi.
Justin
impiegò qualche secondo per mettere a fuoco ciò
che aveva di fronte e rimase muto, a bocca spalancata,
finché la voce divertita del marito lo scosse dal torpore
che aveva intrappolato ogni fibra del suo corpo. «Sai che non
amo i luoghi turistici come Ibiza, così ho deciso per un itinerario alternativo».
Justin, ancora
a corto di parole, sentì il cuore battere più
forte e temette potesse esplodere per la felicità mentre
Brian, cingendogli la vita, posò il mento sulla sua spalla,
soddisfatto per la reazione che il suo regalo stava suscitando in lui.
Con falsa
modestia, e un pizzico di malizia, soffiò nel suo orecchio
per farlo reagire. «Spero non ti dispiaccia se ho programmato
una vacanza in cui non dovrò dividerti con nessuno,
perché devi sapere che su questa isola paradisiaca, che ho
affittato per un mese, ci siamo solo noi».
Le parole di
Brian distolsero Justin dal panorama che li circondava e con le lacrime
agli occhi e incapace di dire qualunque cosa, lentamente si
voltò tra le sue braccia.
Limitandosi a
posare un bacio sulle labbra di Brian, perché le parole
sembravano non voler uscire dalla sua bocca, Justin sorrise, poi di
nuovo si voltò a osservare l’immensa distesa
azzurra di fronte a lui, mentre un senso di pace irreale lo cullava
dolcemente.
Era il
tramonto e le onde danzavano spumeggianti rincorrendosi lente in un
moto continuo per spegnersi sulla bianca sabbia della spiaggia.
Il sole stava
raggiungendo la linea dell’orizzonte, dove il blu del cielo
si confondeva con quello dell’acqua, creando giochi di colore
che tingevano d’arancio le nuvole vicine. Mai spettacolo fu
per Justin più bello, perché lo stava ammirando
tra le braccia dell’uomo che amava.
Con un groppo
in gola, che rischiava di farlo scoppiare in lacrime come una
ragazzina, distolse lo sguardo dalla meraviglia che lo circondava per
rivolgerlo alla meraviglia che lo teneva stretto.
Non sapeva
cosa dire. Ancora una volta Brian lo aveva sorpreso.
Sorrise
all’idea che l’uomo non volesse sentir parlare di
romanticismo. Se quello non era un gesto romantico, allora
cos’era? Brian aveva affittato, non una camera in un anonimo
hotel di una cittadina qualunque, bensì un'intera isola per
trascorrere insieme un'estate da sogno!
Emozionato,
Justin cercò di articolare una frase, anche se il tremore
della voce glielo rese difficile. «Brian... tu sei...
sei...»
«Bellissimo?
Sexy? Eccitante? Favoloso? Stupendo?» lo incalzò
l’uomo divertito.
«Sei
la mia ragione di vita», sussurrò Justin prima che
Brian lo avvolgesse tra le forti braccia per accoglierlo in una stretta
possessiva, per dimostrare quanto anch’egli tenesse a lui. Lo
amava. Da tempo aveva capito che la sua vita non sarebbe più
stata completa se non lo avesse avuto al suo fianco.
Lentamente gli
passò una mano tra i capelli, mossi dalla leggera brezza,
scendendo a lambirgli le gote.
Con un dito
gli sfiorò lo zigomo, tracciando una linea delicata fino
alle sue morbide labbra di cui disegnò il contorno.
Gli occhi di
Justin, al tocco leggero di Brian, assunsero una colorazione
più intensa, velati da un piacere che urlava di essere
soddisfatto.
Con calma
Brian gli sfilò la maglia, lasciando che le proprie mani
corressero lungo la sua schiena nuda e lo attirò a
sé.
Le bocche
s’incontrarono, le labbra si schiusero e le lingue
s’intrecciarono in una danza sensuale carica di passione e
finalmente i due amanti si lasciarono trasportare dal desiderio,
abbandonandosi sulla sabbia per godere del reciproco calore.
La dolce
melodia della risacca fece da sottofondo ai loro sospiri.
In quel
paradiso perduto, lontano dal caos cittadino, in breve si udirono solo
i loro gemiti soffusi mescolati ai rumori della natura che li
circondava, unica spettatrice dell’amore che li univa da
cinque anni.
E quando il
desiderio divenne insopportabile e la voglia di trovare sollievo
nell’accogliente corpo di Justin non poteva essere rimandata
Brian, scivolando lentamente in lui, senza imbarazzo, senza timore di
essere considerato una patetica checca, con un sussurro soffiato sulla
sua candida pelle si abbandonò ai sentimenti. «Ti amo Justin».
Fu solo un sussurro seguito da una dolce promessa. «E voglio fare l'amore con te per
tutta la notte».
Così,
sotto il cielo che lentamente imbruniva, iniziò la danza di
quei corpi perfetti. Una danza sensuale che avrebbe condotto i due
amanti ad assaporare ciò che la loro unione gli aveva donato
sin dalla prima volta in cui, un po’ per gioco, un
po’ per passione, l’uno si era concesso
all’altro, senza immaginare che in quel giorno speciale
qualcosa di importante stava nascendo.
*****
Dopo la notte
trascorsa tra le braccia di Brian, immobile sulla rena Justin ammirava
estasiato lo spettacolo di fronte a sé.
Il sole,
lentamente, stava solcando il cielo per occupare il posto che madre
natura gli aveva riservato, riflettendosi nel blu
dell’oceano, e creava giochi di luci scintillanti
sull’enorme distesa d’acqua.
La quiete era
rotta dalla leggera brezza che muoveva le fronde e
dall’ovattato rumore delle onde che, lente, si rincorrevano
fino a morire sulla spiaggia.
Respirando la
fragranza della natura, così inebriante, Justin finalmente
si voltò e le sue iridi cerulee incontrarono quelle scure
dell’uomo che aveva fatto avverare i suoi desideri e
rabbrividì al ricordo della notte appena trascorsa.
Brian lo aveva
amato e, per la seconda volta da quando stavano insieme, aveva
pronunciato le due parole per le quali non aveva mai smesso di lottare,
e il suono melodioso di quel ti
amo, sussurrato contro la sua pelle, lo avrebbe conservato
nel cuore per sempre, come fosse un tesoro di valore inestimabile.
Mentre la sua
mente si lasciava cullare dai ricordi, vide Brian allungare il braccio
per chiamarlo. La vacanza era appena iniziata e l’uomo aveva
intenzione di renderla memorabile per entrambi.
Justin sorrise
e lentamente tornò da lui.
Lasciandosi
cadere sulla sabbia si fece accogliere dalle sue braccia che lo
avvolsero in una stretta passionale.
La vita
insieme non sarebbe stata facile, non aveva mai creduto che lo fosse.
In fondo aveva sposato Brian Kinney, non un gay qualunque, eppure era
certo che avrebbero superato ogni incomprensione, ogni problema legato
al lavoro di entrambi e alla vita di coppia avrebbe trovato una
soluzione perché si amavano.
Stretto al
corpo del marito, Justin chiuse gli occhi assaporando la quiete che
regnava in quel paradiso terrestre.
Era felice.
Grazie
all’uomo stupendo che lo stava abbracciando dolcemente, il
sogno di quando era solo un ragazzino diciassettenne era divenuto
realtà.
Sorridendo
ripensò alla sera in cui Brian lo aveva rimorchiato per
condurlo al loft. La radio era accesa e la voce di Jim Morrison
cantava: “A
volte il vincitore è semplicemente chi non ha mai
mollato”.
La frase gli
era piaciuta tanto che aveva deciso di farla propria e negli anni
successivi, ogni volta che un ostacolo si frapponeva tra lui e
l’uomo che amava, ricordando quelle parole ricominciava a
lottare.
Mai aveva
mollato e alla fine si era aggiudicato il premio più ambito:
Brian Kinney, e stringendosi a lui sorrise felice, pronto a gustare di
nuovo l’inebriante sapore della vittoria.
Fine
Questa storia ha partecipato al
contest: «Choose your Quote!» indetto da
Lady_Nonsense, classificandosi TERZA.
La
citazione che ho scelto è: «A volte il vincitore
è semplicemente chi non ha mai mollato (Jim
Morrison)»
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