Insane
Il
nodo Windsor alla cravatta era troppo stretto per il suo esile collo
pallido, lo sentiva opprimente ed esageratamente elegante, e
ciò gli
creava uno strano disagio.
Il
completo nero di sartoria gli calzava a pennello e, forse, nella sua
perfezione, la sensazione di pressione del serpente di seta attorno
al suo collo era ulteriormente amplificata.
Per
non parlare delle scarpe laccate, inesorabilmente nere, accompagnate
da un paio di calzini bianchi.
Che
pugno nell'occhio! Che nota stonata in quel corredo così
ricercato!
Eppure
Yuri sentiva che gli indumenti non erano la sola cosa a renderlo
nervoso ed inappropriato, quanto più il contrasto che i suoi
capelli
cremisi creavano con l'atmosfera grigia e tetra nella quale era stato
inconsciamente inserito.
La
zazzera rossa sembrava urlare: “Ehi! Guardatemi tutti! Sono
qui!”
mentre a lui sarebbe piaciuto passare inosservato.
Voleva
solo apparire un anonimo damerino con il vestito della domenica
addosso.
Attenuare l'appariscenza della focosa chioma, era compito dei suoi
occhi cristallini che spiccavano ugualmente sul suo viso diafano,
ciononostante ottenevano l'effetto contrario.
Infatti,
invece di far sentire Yuri a disagio, lo proteggevano dalle occhiate
di sdegno dei passanti, lo difendevano poiché nessuno vi
scorgeva
altro che malinconia e tristezza.
Le
sue perle azzurre lo schermavano da quegli sguardi curiosi e giudici
di ogni suo movimento, riflettendo all'esterno l'immagine di un
ragazzo solo e schivo.
Aveva
sempre dato l'impressione di un giovane emarginato, solitario per
scelta e non per destino.
La
doveva ai suoi occhi, la desolazione che lo circondava e lo
abbracciava da quando ne aveva memoria.
In
un certo senso erano la sua arma naturale, il suo unico mezzo per
sopravvivere alle carogne che avevano il coraggio di sputare sentenze
sul suo conto.
Yuri
si sistemò le maniche della camicia con i gemelli d'oro
giallo,
eleganti e raffinati come su nessun altro potevano risultare.
Accompagnò
quella serie di lenti gesti con fugaci sguardi nei dintorni per
cercare il motivo della sua presenza in mezzo a centinaia di lapidi
bianche di pregiato marmo smerigliato. Su di esse troneggiavano
ipocrite epigrafi commemorative che recitavano frasi più
simili a
delle maledizioni che a parole affrante d'addio.
“Qui
giace il rinnegato...”
“Che...
riposi all'Inferno condannato ad atroci torture per mano di
Satana.”
Erano
solo un paio delle varie scritte presenti sulle lapidi, marchiate a
fuoco, nero su bianco, scavate a forza nel marmo scintillante.
“Il
cimitero dei Dannati.” si ritrovò a pensare
Ivanov, sentendo un
fievole brivido lungo la colonna vertebrale.
Camminò
attraverso i cadaveri condannati alle Fiamme per raggiungere un
drappello di persone radunate attorno ad un prete dalla mantellina
viola cupo.
Curioso,
notò Yuri, che quella fosse l'unica bara nera presente nel
raggio di
vari metri.
Inquietante,
continuò a pensare, che la gente iniziò a
bisbigliare fittamente al
suo lento avvicinarsi, mentre cercava di evitare lo scontro fisico
con i passanti venuti a maledire i defunti.
“E'
morto!” captò finalmente tra quelle parole senza
senso e mormorate
con timore reverenziale.
“E'
morto! Il Tiranno è morto!” udì ancora
quando una signora dalle
occhiaie nere e dai denti marci gli si era avvicinata pericolosamente
e l'aveva guardato sollevata, congiungendo le mani a quelle del rosso
in una muta preghiera.
“Il
Tiranno?” chiese più a sé stesso che
alla vecchia donna
malconcia, la quale gli indicò con un certo fervore la bara
nera.
Non
indugiò oltre e avanzò verso l'eterogenea calca
di persone radunata
attorno all'oggetto che stava suscitando grande curiosità e
attirava
l'attenzione generale.
Vi
erano vecchi e bambini, uomini e donne di mezza età che
piangevano
gioiosi e, solo in quel momento, presero a gridare a squarciagola:
“Il Tiranno è crepato!”.
Con
sua sorpresa Yuri scorse tra i presenti dei volti familiari.
Aveva
faticato a riconoscerli a causa del completo scuro e dell'inquietante
espressione sollevata sul volto che ad ogni occhiata rivolta
all'interno della bara, diventava sempre più marcata.
Boris,
Sergey ed Ivan erano in prima fila ed ognuno reggeva un fiore in mano
che lanciarono dentro la tomba ancora aperta.
Si
insinuò in lui il dubbio che il famoso Tiranno non fosse
altro che
Vladimir Vorkov, il loro aguzzino il quale per anni li aveva
torturati a suon di frustate pur di raggiungere i suoi loschi
obiettivi.
Oh,
quanto avrebbe pagato, Yuri Ivanov, per vedere il freddo volto
raggrinzito in una smorfia trasudante morte del monaco russo.
Si
sarebbe addirittura offerto di incidere la lapide di persona:
già
immaginava l'epigrafe perfetta.
“Qui
giace tra i tormenti dell'Inferno, Vladimir Vorkov. Seviziatore e
boia rinnegato dal Purgatorio per non aver avuto la
possibilità di
espiare le proprie colpe.” .
Troppo
lungo? Beh, sarebbe servita una grande lapide per un grande bastardo
del suo calibro.
Ivanov
non diede peso al fatto che i suoi compagni di squadra l'avevano
ignorato, ma si limitò ad affiancare Boris e scrutarlo di
sottecchi.
Sul
volto squadrato del platinato spuntava l'abbozzo di una smorfia che
ben presto si tramutò in un ghigno terrificante, assetato di
una
giustizia malsana.
Si
affacciò sulla bara, sorprendendosi che i fiori atterrati al
centro
dello spazioso anfratto fossero niente meno che tre rose bianche
avvizzite le quali donavano un aspetto lugubre alla cassa.
Ma
colui che vide disteso su un letto di fiori, le mani congiunte
all'altezza dello stomaco, circondato dal lussuoso rivestimento di
raso nero, non era affatto il famigerato Vladimir Vorkov.
Si
sorprese a fissare quegli occhi serrati un tempo portatori di
splendide e vivide ametiste, ormai chiusi per sempre, incapaci di
incutere ancora soggezione.
Soffermò
la sua attenzione sui lineamenti marcati e virili, gli zigomi ancora
marchiati dai tatuaggi blu notte che lo contraddistinguevano.
I
capelli bicolore erano scialbi, ammosciati sulla fronte del giovane
nippo-russo che, nonostante la morte, preservava ancora il suo
inconfondibile portamento nobile e fiero.
“Il
Tiranno è...Kei Hiwatari?” mormorò il
rosso, sconcertato.
Sbarrò
gli occhi incredulo, non tanto per aver trovato il corpo esanime del
suo ex compagno di squadra all'interno della bara, quanto
più per il
singolare appellativo affibbiatogli dai presenti.
“Sì,
non ricordi? Ci hai liberati dal Tiranno! Hai salvato tutti noi dalla
disperazione!” esclamò Ivan senza l'ombra di
entusiasmo nella
voce. Sembrava lo stesse prendendo in giro, anche se Yuri riteneva
impossibile uno scherzo in circostanze simili.
“Liberati?”
chiese ancora.
Il
rosso sembrava non saper fare altro che ripetere spezzoni di frasi
pronunciate dalla gente in un timido tentativo di far luce
sull'astrusa situazione.
Incapace
di sillabare una domanda coerente, iniziando a non tollerare
più
quelle risposte incomplete ed inutili, si affacciò
nuovamente alla
bara nera dal bordo luccicante.
Ciò
che vi vide all'interno lo terrorizzò a tal punto da
ammutolirlo;
sentì il sangue defluire verso il piedi, il viso perse
colore e la
vista iniziò a farsi annebbiata.
Kei,
colui che aveva visto morto pochi secondi prima, era sveglio e
pimpante, disteso supino nella scomoda bara di legno laccato.
I
suoi occhi era come se li ricordava: spietati, agghiaccianti. Vivi.
Le
sue difese cedettero alla visione del ragazzo ancora in vita,
nonostante la gente avesse acclamato il suo trapasso nel regno degli
Inferi.
Yuri
era sempre affacciato all'imponente tomba, incapace di muovere un
muscolo per il terrore che gli aveva paralizzato gambe e braccia.
L'argenteo
aprì la bocca, facendo saltare i punti di sutura che il
medico
legale gli aveva dato per chiudergli le labbra per sempre. Una
pratica barbarica e fuori luogo, ma Yuri non diede peso
all'importanza delle varie tradizioni di sepoltura quando vide il
liquido rosso sgorgare dalla cavità orale dell'ex compagno
di
squadra, provocandogli un conato.
“Dovresti
esserci tu al mio posto!” sbottò Kei additando con
cattiveria il
rosso.
Hiwatari
si alzò in piedi con uno scatto, afferrò Yuri per
la collottola e
lo trascinò all'interno della bara con uno strattone,
capovolgendo
le posizioni.
Il
cuore di Ivanov cominciò a battere all'impazzata, il suo
sangue
freddo gli impediva di mettere in atto un piano preciso per salvarsi
la pelle dall'inevitabile e atroce fine che lo attendeva.
Essere
seppellito vivo non era la sua più grande aspettativa di
morte.
Si
ritrovò paradossalmente da fissare il cadavere dentro la
bara, ad
essere squadrato a sua volta: i volti di Kei, Boris, Sergey ed Ivan
in prima fila a compiangerlo con una finta preghiera appena
sussurrata.
“No!
Tiratemi fuori!” tentò di urlare, di gridare in un
disperato
bisogno di aiuto, ma dovette rinunciarvi non appena si rese conto di
avere la bocca cucita da un grosso spago che gli trapassava le labbra
da parte a parte.
Kei
si avvicinò alla tomba scoperta, il viso ancora intriso di
sangue,
gli sorrise compiaciuto mentre afferrava saldamente il coperchio
della bara.
“Qui
riposa la tormentata anima di Yuri Ivanov, seguace della
Follia.”
riuscì ad udire prima che l'argenteo chiudesse con un colpo
secco la
tomba, condannandolo alla sepoltura forzata.
“Yuri!
Yuri, tutto bene?” domandò una voce lontana.
Nonostante
il suono fosse distante chilometri, poteva percepire uno sgradevole
senso di repulsione verso il possessore di quel timbro vagamente
familiare.
La
luce lo tormentava ad intermittenza, come se gliela puntassero
addosso di proposito per ferirgli gli occhi.
Si
rese conto solo in un secondo momento che qualcosa, o qualcuno, lo
costringeva a tenere aperte le palpebre, mentre aspettava
pazientemente che riprendesse conoscenza.
“Ti
sei svegliato, finalmente!” disse l'uomo dinnanzi a
sé con una
punta di sollievo.
Aveva
ancora la vista offuscata, la bocca impastata di saliva che ne
fuoriusciva disgustosamente dagli angoli e sentiva che la testa gli
sarebbe esplosa entro pochi secondi.
“Hai fatto di nuovo
quell'incubo, non è così?” fu la
seconda domanda che gli venne
posta dalla medesima persona, la quale non si aspettava di certo che
Yuri fosse abbastanza cosciente da formulare una risposta
comprensibile.
Scosse
la testa febbrilmente come a ricacciare indietro dei brutti pensieri,
ma i suoi movimenti erano limitati a causa delle corde che lo
tenevano saldamente ancorato al materasso.
Finalmente,
quando le sue pupille riacquistarono le dimensioni normali ed
iniziarono a dosare l'entrata della luce all'interno dell'occhio,
mise a fuoco la figura davanti a sé verso la quale aveva
istintivamente provato disgusto.
Era
girato di spalle e avvolto da un candido camice bianco, ma poteva
perfettamente riconoscerlo.
Gli
unticci capelli scuri tirati all'indietro, gli anfibi neri con le
stringhe di cuoio e le possenti spalle da far invidia ad un militare.
Non
appena si voltò e lo poté scrutare in faccia, i
suoi dubbi
sfumarono in certezze, confermando la presenza di Vladimir Vorkov
davanti ai suoi occhi.
Il
bulboso naso aquilino e le cavità orbitali infossate erano
orribili
particolari che avrebbe voluto evitare di rimembrare; avrebbe fatto
volentieri a meno di vederlo in viso.
“Dove
sono?” domandò subito il rosso, sentendo le mani
incollate ai
fianchi con robuste cinghie che gli segavano i polsi.
“Dove
sono Boris e gli altri? Dov'è Kei?” chiese senza
accorgersi di
aver alzato il tono.
Vorkov
assunse un'espressione affranta che gli fece venire la nausea, gli
provocò un conato di vomito che riuscì a frenare
solo grazie al suo
infallibile autocontrollo.
Ma
le domande del rosso non si erano ancora esaurite.
“Cosa
ci fai qui, lurido monaco schiavista?” sibilò il
giovane dagli
occhi cristallini.
Fu
così che il viso afflitto dell'uomo mutò,
sbaragliando ogni
pensiero che Yuri associava ad una certezza.
Vide
la compassione, negli occhi del medico, un tipo di pietà che
avrebbe
fatto infuriare Yuri Ivanov in qualsiasi situazione. Ma non allora.
Non quando il rosso capì che quello sguardo celava una
dubbia ma
inquietante sincerità.
“Ancora
con questa fantasia, Yuri?” disse sconsolato.
Il
modo in cui pronunciava il suo nome gli dava sui nervi.
“Dov'è
Kei?” chiese per la seconda volta, ignorando l'enfasi con cui
l'aveva chiamato.
“Per
quanto andrà avanti questa storia? Sei nell'ospedale
psichiatrico
Vladimir Vorkov a Mosca, in Russia. Io sono il dottor Vladimir Vorkov
per l'appunto, primario di psichiatria e il tuo medico
curante.”
“Bugiardo!
Schifoso bastardo seviziatore! Con che coraggio mi guardi con quegli
occhi traboccanti pietà, eh? Tu, spregevole monaco da
strapazzo!”
sbottò adirato, agitandosi più del previsto.
Al
che, Vorkov scattò verso il vassoio su cui era poggiata una
siringa
con del tranquillante, pronto per essere iniettato nel povero
sventurato di turno.
“Hai
associato inconsciamente l'idea di un monastero dove torturano i
ragazzi a questo ospedale di cui sono il direttore, affibbiandomi il
ruolo di 'cattivo da distruggere'.”
“E
Kei? Dov'è? Dove sono Boris, Sergey ed Ivan?”
chiese sempre più
incredulo, confuso da quelle assurde ed immonde verità.
Era
semplice e pura follia. Blasfemia pronunciata dalla bocca di un uomo
abominevole.
“Sergey
e gli altri stanno bene, sono i tuoi compagni di dormitorio. Per
quanto riguarda Hiwatari, è deceduto.”
“Quando?”
“Due
anni fa.” pronunciò in un sussurro, come a non
voler rivelare
altre informazioni importanti. O, forse, si era semplicemente stufato
di ripeterle per tante volte...
“Come
è successo? Ha avuto un incidente?”
domandò trepidante,
rilassando i muscoli, ormai rassegnato al fatto che quelle dannate
cinghie erano a dir poco tenaci.
Vorkov
si sedette sullo sgabello di fianco al letto sulla quale giaceva il
corpo cosciente ed inerme del povero Yuri Ivanov.
Avvicinò
quella trappola di legno e chiodi al bordo del materasso, togliendosi
gli occhiali da sopra il naso e sospirando per l'ennesima volta,
dando l'impressione a Yuri di trovarsi in una candid-camera.
Si
stropicciò gli occhi con fare stanco e spossato,
l'espressione
compassionevole sul suo volto svanì per far spazio ad una
facciata
lugubre e severa.
“L'hanno
ammazzato con otto proiettili in altrettanti punti vitali, un lavoro
di precisione che solo un cecchino ben addestrato avrebbe saputo
eguagliare.” lo informò, dando libero sfogo ai
ricordi confusi e
sovraffollati del giovane russo dalle gemme cristalline.
C'era
sangue, litri di sangue che gli appannavano la vista e le immagini
nitide dei sui ricordi, ormai sporchi e imbrattati di rosso cupo. Non
più quel grigio tetro che l'aveva soffocato nel cimitero del
suo
sogno, né tanto meno l'abbagliante bianco della candida
stanza
dell'ospedale che l'aveva accolto al suo risveglio.
“L'hai
ucciso tu.” sentenziò infine, facendo sgorgare
altro fluido vitale
dagli anfratti dei suoi pensieri.
La
reazione del rosso stupì perfino il ragazzo stesso, il quale
rimase
composto al suo posto intento in una profonda analisi del soffitto
intonacato di un nauseante bianco crema.
Respirò,
sentendo l'odore dei disinfettanti invadergli le narici, mentre un
rumore metallico attirò la sua attenzione, facendo scattare
in lui
un meccanismo di autodifesa inconscio.
Il
medico stava sapientemente preparando una siringa, aspirando da una
piccola boccettina del liquido trasparente che poi mescolò
assieme
ad un secondo farmaco, sicuramente più potente, che
colorò la
soluzione di un rosso tenue.
“Lo
chiamavi il “Tiranno” poiché lui aveva
assunto il comando del
gruppo che tu e gli altri avevate fondato. Eravate i comandanti
indiscussi dell'ospedale, prepotenti ed irascibili, avvezzi nel
compiere atti di bullismo contro gli altri pazienti del centro
riabilitativo.”
“Ah,
ora si chiama così un manicomio? Centro
riabilitativo?” sbuffò
iracondo il giovane Ivanov, iniziando a fare forza sulle braccia nel
vano tentativo di liberarsi di quelle costrizioni.
Continuò
nella sua ardua impresa di liberarsi, divincolandosi da quelle
tenaglie di cuoio e ferro che lo inchiodavano al materasso, mentre
vedeva l'inesorabile avvicinarsi della siringa al suo braccio.
“Eri
invidioso di Hiwatari, così un giorno decidesti di ucciderlo
per
riappropriarti del ruolo di capitano della banda. Un vero successo se
si pensa che Boris e gli altri, da quell'incidente, non vollero
più
averti come compagno di stanza, timorosi che avresti riservato loro
lo stesso trattamento.” spiegò senza l'ombra di
esitazione che
aveva invece mostrato al suo risveglio.
Vorkov
serrò la mano sull'avambraccio del rosso, immobilizzandolo
quel
tempo necessario che gli bastò per individuare una vena
utile ai
suoi scopi.
Yuri
gridò più che poté fino a sentirsi
soffocare dalla sua stessa
voce. Un disperato urlo che implorava soccorsi. Eppure era in un
ospedale, chi poteva aiutarlo più di uno psichiatra come
Vorkov?
La
sua sensazione di disagio si intensificò, i suoi recettori
sensibili
al pericolo si innescarono e si obbligò ad un ultimo
tentativo di
fuga.
Sentì
l'ago conficcarsi nella cute, pesante sotto la mano esperta
dell'uomo, ma fu ugualmente doloroso come poteva esserlo la puntura
di un'ape.
Accolse
con un rantolo soffocato il lento fluire del liquido rossastro nelle
sue vene, digrignò i denti a causa del bruciore che sentiva
ribollirgli dentro.
I
muscoli si irrigidirono e si rilassarono in un lasso di tempo che
parve infinito, obbligandolo a sottomettersi alla forza di quei lacci
che lo trattenevano al letto in un abbraccio mortale.
Mentre
le sue palpebre si serravano, quando i suoni iniziarono a farsi
ovattati e distanti, Yuri Ivanov giurò di vedere un sorriso
sghembo
solcare le labbra del medico dai profondi occhi neri.
Un
ghigno di scherno, certamente, che avrebbe dovuto prendere come un
feroce avvertimento.
Un
flebile: “Sogni d'oro, sciocco di un Ivanov. Ci rincontreremo
nei
tuoi sogni più bui.” accompagnò il
debole sbattere delle ciglia
del giovane russo mentre l'oblio lo risucchiava prepotente.
Si
concesse di alimentare il vorace dubbio di dove albergasse la
verità.
E
tutto venne inghiottito nel nero delle sue pupille dilatate per
trascinarlo nuovamente in quel sogno che, per quanto malsano e folle
fosse, era l'unica via di fuga da quel manicomio.
Angolo
dell'autrice
Se
vi state chiedendo cos'è questo sgorbio è la
stessa domanda che mi
sto ponendo io stessa, non vi preoccupate.
Non
credo di aver mai scritto una one-shot così, con questo tipo
di
tematica abbastanza delicata come lo è la psiche umana.
Sarà
che ultimamente ho visto un sacco di film a sfondo psicologico
(“Shutter Island” e “Inception”
sono due esempi tra i tanti),
alcuni ambientati in ospedali psichiatrici che mi hanno sempre messo
un certo timore.
Il
tutto è mescolato con uno strano sogno che ho fatto la
scorsa notte
ed ecco cosa ne è risultato: una one-shot Nosense e Missing
Moment
che testimonia un mio momento di pura follia.
Più
che genere “Introspettivo” avrei scelto
“Psicologico” oppure
“Idiozia allo stato puro”, purtroppo tali opzioni
non esistono
V.V”
Dunque,
un viaggio nella psiche di Yuri Ivanov che si ritrova catapultato in
un suo incubo ricorrente per poi svegliarsi ed essere sempre nel
medesimo posto, un ospedale psichiatrico che lui associa al
“Monastero Vladimir Vorkov”, dove il monaco appunto
ne è il
primario.
Kei
Hiwatari è il ragazzo che ha ucciso e gli si ripresenta in
sogno.
Mmh...complicato, nevvero? O.o
Spero
di avervi scombussolato un po', di aver insinuato in voi il dubbio di
quale sia la verità di questa shot. Cosa è
realmente successo? Yuri
è pazzo o è semplicemente stato giocato un'altra
volta da Vorkov?
“Insane”
significa letteralmente “folle” o
“malsano”. Credo che sia
l'essenza stessa di questa fanfiction, per una volta penso di aver
azzeccato in pieno il titolo di qualcosa ç.ç sono
una frana con i
titoli, abbiate pietà di me.
L'ho
scritta per sfogarmi, ma anche per mettermi alla prova, sperimentare
qualcosa di nuovo. Ultimamente sono in fase sperimentazione e sto
cercando di variare le tematiche, i personaggi, le ambientazioni.
Infatti ho un'altra one-shot in serbo che devo trovare il coraggio di
pubblicare O.o”
Dunque,
chiacchiere a parte, spero non sia stata così orrenda come
penso io
e che nel finale sia riuscita a sorprendervi almeno in parte ^.-
Commenti
con critiche costruttive sono sempre ben accette, ormai sono stufa di
dirlo XD
Mi
auguro mi vogliate far sapere cosa ne pensate del mio nuovo attacco
di pazzia >.<
Con
questo chiudo e vi do appuntamento alla prossima fanfic ^.-
Vostra,
Nena
Hyuga
^-^
PS:
scusate la lunghezza dell'”Angolo dell'autrice”, ma
la shot aveva
bisogno di un po' di spiegazioni. Per ulteriori informazioni potete
tranquillamente domandare ^.- Se volete consigliarmi uno psichiatra
bravo, beh, potete lasciarmi il suo numero per messaggio XD
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