I still hang on every word
Okay.
La disprezzo cordialmente. Mi sta antipatica. L’ho scritta
ascoltando “Transatlanticism” dei Death Cab For Cutie e
“Rise Above 1” di Reeve Carney ft. Bono e The Edge, se vi
interessa.
È semplicemente il mio
contributo per augurare un buon compleanno a Harry. Non è il mio
personaggio preferito, ecco, però è Harry, lo sapete. In
fondo lo amiamo – magari molto in fondo, but still –
è un pezzo di Rowling.
Tutto qua. Buon compleanno alla Row e a Harry.
Prompt 100. Sogni/Desideri (tondo tondo).
A Harry è sempre piaciuto pensare d’essere una persona che
si adatta facilmente. Metà della sua vità l’ha
trascorsa prima in un sottoscala e poi a combattere un potente mago
oscuro.
Però a qualcosa non ha mai fatto l’abitudine: aprire gli
occhi, al mattino, la luce calda del giorno sul corpo e sapere
d’essere al sicuro – quanto potrebbe esserlo un qualsiasi
mago Auror di trentasei anni scampato alla morte sette volte[1]
con tre figli di cui due studenti a Hogwarts a carico e sposato con una
donna cresciuta assieme a sei fratelli – ma soprattutto
d’essere un mago. Aver vissuto undici anni assieme ai Dursley ha
lasciato dei segni su di lui – d’altronde non esiste
qualcosa nell’esistenza umana che sparisca semplicemente
–; sentirsi banale, disprezzato, solo, inutile per tanto a lungo
lo aveva convinto d’esserlo davvero. Più tardi avrebbe
capito che nessuno lo è, che chiunque merita una seconda
opportunità, e cioè quando conobbe il suo padrino Sirius
Black, imputato colpevole d’aver svenduto i suoi genitori, in
realtà innocente e tenuto prigioniero per dodici anni
nell’ex-carcere di massima sicurezza di Azkaban, ma
all’epoca se lo chiedeva spesso come le altre persone lo
vedessero realmente.
Gli era capitato raramente di ricevere lettere, quella di Hogwarts fu
la più straordinaria di tutte, anche se non gli fu consegnata
davvero per posta. Non ricorda nemmeno più cos’abbia
desiderato il giorno del suo undicesimo compleanno prima che Hagrid
abbattesse la porta del faro; quando però si trovò a
Diagon Alley è certo d’aver pensato d’esser stato
accontentato in qualche modo diverso da quanto avrebbe mai potuto
immaginare.
Spalanca le palpebre, ogni nuovo giorno che sorge, e qualche volta si ripete: “Harry, tu sei un mago”.
Compaiono le immagini della notte del trentun luglio 1991, si sente il
cuore battergli forte nel petto. Perché Harry Potter era ed
è ancora un mago, è tutto tremendamente folle – lo
è sempre stato – : sua madre avrebbe potuto scegliere di
non salvarlo, o Voldemort di valutare Neville come suo rivale, avrebbe
potuto decidere di arrendersi quell’ultima volta nella Foresta
Proibita e niente di tutto ciò è accaduto. È
ancora qui Harry Potter che inforca gli occhiali in un gesto vecchio di
trent’anni e stringe Ginny che mugolando gli augura “buon compleanno”.
Ci riflette prima di alzare le lenzuola, infilare i piedi nelle
ciabatte estive e lasciarsi alle spalle momenti di un misto di
nostalgia e gratitudine a un elemento imprecisato della vita –
fortuna? Caso? –: ha visto persone morire, ha perso molto,
c’era sempre qualcuno a ridargli la speranza; lo ha presente: non
ha mai soppesato, neanche un’istante, la possibilità di
permettere a Voldemort di vincere. La linea sottile tra bene e male
forse non gli era esattamente chiara da giovane, ma cos’era
giusto per lui l’aveva sempre saputo. Un mago senza scrupoli e disposto a tutto per ottenere il raggiungimento dei propri scopi non era bene.
E, ancor prima, aveva ucciso Lily Evans e James Potter: bacchette alla
mano fino all’ultimo istante per concedere al loro unico figlio
un futuro e il diritto di scegliere. Voldemort aveva distrutto senza
mai pentirsene; lui era
l’albero cresciuto sulla cenere – e dalla cenere –,
era il frutto del male di Voldemort, uno dei tanti figli senza
genitori. Soltanto negli ultimi trenta minuti prima di consegnarsi allo
stesso uomo da cui sua madre l’aveva protetto aveva capito
perché fosse importante salvarsi, ma non aveva mai messo in
dubbio che dare a Voldemort ciò che voleva fosse sbagliato.
Sorride, è un’espressione quasi impercettibile e
malinconica: ha ancora dei rimorsi e sensi di colpa, ma la sua vita
prosegue nonostante tutto e le ferite, l’abbandono sono
sensazioni perse, lontane ormai – non ne è troppo
dispiaciuto. Sul comodino in legno accanto al letto le cornici
d’argento brillano: James e Lily, la sua nuova famiglia, una
Ginny a cavallo di una scopa con i capelli al vento. Sospira felice,
seduto esattamente nel raggio di luce.
A Harry Potter mentre mette i piedi l’uno davanti all’altro
in direzione della cucina sembra ancora impossibile d’essere
tanto fortunato.
Un tonfo proviene dal piano terra, sua figlia Lily Luna strilla un “James!” imbestialito. « Il mio pigiama, idiota! ».
La risata di Albus Severus scoppia nell’aria. Un nuovo tonfo,
Albus impreca. Quando il Salvatore entra nella stanza pensa che quella
cucina lui proprio non la potrebbe salvare se non avesse una bacchetta.
I tre bambini sono ricoperti da capo a piedi di farina, così
come il tavolo invaso da utensili, tegami, contenitori, mestoli.
Albus, James e Lily si mettono in riga con le loro migliori facce
innocenti e quasi gridano: « buon compleanno, papà!
».
Gli si avvicinano e lo abbracciano forte, sporcando anche lui. « Scusaci, papà ».
« Volevamo prepararti la colazione » spiega Albus.
« E ci siamo riusciti » alza il mento James. Lily e Albus
sorreggono un vassoio fumante: toast al burro e alla marmellata,
brioche al miele, succo di zucca, caffè e un pasticcino con una
candela accesa.
« Esprimi un desiderio, papà! ».
Ginny Weasley osserva i ragazzi e suo marito nella sua vestaglia di
cotone appoggiata all’arco della cucina – che è un
disastro, tra l’altro.
« Esprimi un desiderio, papà! ».
Sorride, immaginando Harry rivivere quel compleanno di venticinque anni
prima raccontato di continuo. Vuole che Harry, mentre spegne quelle
candeline, pensi d’avere già tutto.
Prende dalle mani di Lily e Albus il vassoio, lo poggia sul ripiano della cucina e allarga le braccia per accogliere i tre.
« Questo è un meraviglioso regalo ». È
sincero, a Ginny si stringe il cuore. « Adesso però
sistemiamo tutto prima che la mamma si svegli ».
« Troppo tardi » ridacchia l’interessata, facendo il suo ingresso.
« Siamo nei guai? » domanda di getto Albus, ricevendo poi una gomitata dalla sorella.
« No, non lo siete » li informa divertita Ginny.
Sospirano di sollievo. « Adesso io e vostro padre puliremo, voi
andate a lavarvi. Dopo colazione si va dalla nonna alla Tana ».
Abbraccia Ginny e le bacia le labbra.
Ha chiesto soltanto che tutte le persone che ama stiano bene, anche
quelle che non sono più accanto a lui con il corpo, ma che
rimangono aggrappate alla sua memoria e al suo affetto con artigli che
non feriscono più.
[1] Ahah, Rowling, molto
divertente (sì, me ne sono appena accorta). Comunque: il giorno
della morte dei suoi genitori, primo anno a Hogwarts, secondo anno
nella Camera dei Segreti, quarto anno davanti alla tomba di Tom Riddle
Senior, quinto anno al Ministero della Magia, a diciassette anni
compiuti a Godric’s Hollow nella casa dei suoi genitori, a quasi
diciotto anni nella Foresta Proibita (morto e risorto, tra
l’altro).
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