Numb
“Sebastian…
Sebastian…
Il tuo desiderio è già realtà…“
Capitolo
1… Il
desiderio di
Sebastian
PIP
PIP PIP PIP
Si
svegliò di soprassalto e nel tentativo di schiacciare la
sveglia cadde dal letto, trascinato giù dalla coperta tutta in
disordine. «Ahia! Ma
porca…!», imprecò fregandosi il
sedere sotto i pantaloncini corti, alzandosi e staccando la sveglia.
Rimase
immobile per qualche istante prima di scuotere la testa e sbuffare, ed
ecco che
subito i suoi pensieri furono interrotti dal chiasso al piano di sotto,
con un
neonato che piangeva e una donna che urlava. Sebastian non ci fece poi
così
caso, abituato com’era, tirò su le coperte e si mise a cercare la roba
per
vestirsi nella sedia accanto, tutta buttata sottosopra.
Scese
le scale di corsa divincolandosi in scatoloni in mezzo
al soggiorno, per poi entrare in cucina.
«Oh!
Stavo per venire a buttarti giù dal letto!», tuonò la
donna ai fornelli sotto una nuvola di vapore e frittura. «Ho già
preparato
anche il pranzo, così quando torni da scuola devi solo riscaldare
tutto.»,
disse per poi avvicinarsi e mettere una frittella su un piatto.
Sebastian
iniziò a mangiare la sua colazione, immergendosi
nel suo mondo, distante dalla madre che aveva appena urlato alla
bambina che si
stava per sedere accanto a lui di andarsi a lavare le mani e della voce
di
un’anziana che strepitò nell’altra stanza, o del lamento del neonato
che
continuava a strillare. Questa era la realtà, e ormai c’era cresciuto.
«Sebastiaaaan!».
Frenò
piano la bici per guardarsi indietro: Mariel stava per
raggiungerlo a bordo della sua bici e gli faceva la mano.
«Cosa?
Di nuovo quel sogno?», rise Mariel. «Sarà la tua
futura moglie che ti cerca!», riprese a ridere, per imitare poi la voce
di un
fantasma. «Sebaastian! Seebaaaaastian!».
«Smettila,
scema!», arrossì un poco, senza darlo a vedere. «Mi
ripete sempre le stesse parole… Di un desiderio… Ma io non ho
desideri!».
«Tutti
hanno un desiderio! Che cretinate dici?», battibeccò
lei. «Perché non compare a me quella donna misteriosa?! Io sì che ho un
desiderio da far realizzare!».
«Ah
sì?», fece curioso. «Ovvero?».
«Un
desiderio d’amore naturalmente, ma non sono fatti tuoi!»,
prese a pedalare più veloce, per seminarlo.
«Cosa?
Ma io lo devo sapere, sono il tuo migliore amico o
no? Fermati! Mariel!», prese a rincorrerla.
Le
giornate erano tutte vagamente uguali per Sebastian, e la
sua realtà era forse più dura di qualche altro ragazzino della sua età
ma non
si lamentava, non lo aveva mai fatto. Non rimpiangeva il fatto d’essere
figlio
di un padre che li aveva abbandonati, di una madre che non era
abbastanza
presente e lavorava fino a disossarsi per portare pochi soldi a casa,
di una
nonna che malata non sapeva più riconoscere i suoi nipoti, di due
fratellini
più piccoli che non sopportava perché lui aveva soli tredici anni e non
voleva
prendersi cura di loro. Forse, pensava Sebastian sul suo banco, lui un
desiderio l’aveva.
«Finnigan!».
«Sì?»,
si alzò di scatto dalla sedia.
«Interrogato!».
«Hai
beccato un’altra insufficienza?», rise Mariel con la
bocca piena, appena morso il suo panino.
«Ugh… E dai,
ingoia prima!», fece disgustato lui, aprendo il suo cestino del pranzo:
ovviamente le due solite fette di pancarrè con un po’ di lattuga e una
sottiletta.
«Vedi?
Trovato un desiderio: farti diventare più bravo a
scuola!», consigliò. «Dillo alla signorina la prossima volta che la
sogni!».
«Uff…
Lascia perdere…». Arrossì nel vederla guardarsi
intorno; si atteggiava in modo buffo. Sebastian cominciò a pensare al
fatto che
forse un desiderio poteva essere quello di incoronare il suo sogno
d’amore…
Sorrise. Perché no? Magari lei provava la stessa cosa per lui.
«Già,
tanto con te sarebbe un caso perso in partenza!», rise
distogliendolo dai suoi pensieri, per poi alzarsi in piedi. «Seb, ti
lascio un
attimo, ci vediamo dopo!», corse verso un gruppo di ragazze.
La
fissò attento, un po’ perplesso ma poi rise. «Ah, in
fondo anche lei è una ragazza!». Minimo
parleranno di rossetti… Pensò per
poi scoppiare a ridere: maschiaccio
com’era abituata ad essere era impossibile vederla con il rossetto
sulle
labbra.
«Tanto
non ti si fila! Energia sprecata!», disse una voce.
Il
ragazzino si voltò subito, con faccia schifata. «Oh, Melanie,
sei tu! Dalla voce mi pareva una cornacchia!».
«Spiritoso!»,
gridò la ragazza, rigirandosi un boccolo
biondo. «Sono solo raffreddata! Sai… anche una disadattata come Mariel
capisce
che con un poveraccio come te non avrebbe futuro, perché mai dovrebbe
mettersi
con te?!», rise. «Ma non l’hai ancora capito? Non-gli-interessi! Ti
vede solo
come il suo bamboccio personale quando non sa cosa fare!».
Restò
serio un altro istante osservando dall’altro lato del
cortile la sua migliore amica che parlava con un’altra ragazza, ridendo
e
scherzando, per poi sbuffare e rigirarsi verso Melanie. «Ma tu non
l’hai una
vita tua? Vai ad importunare qualcun altro, racchia!».
La
ragazza corrugò le sopracciglia e offesa cominciò ad
andarsene. «Scemo!».
Sebastian
sbuffò ancora, rimettendo le sue fette di pancarrè
appena a metà nel cestino del pranzo. Gli era passato l’appetito…
Quella
Melanie era la classica ragazzina di buona famiglia che si credeva la
diva
della scuola e quindi in dovere di prendersela con gli altri senza
ragione. Quasi
non poteva crederci che fino a pochi mesi fa aveva una cotta per quella.
I
primi giorni di scuola quando si era appena trasferito gliel’avevano
tutti etichettata come la più bella e perfida della scuola, compresa
Mariel “stacci
alla larga, Seb! Quella è una
vipera!”, tuttavia
un giorno mentre si dirigeva di corsa nel cortile per la
palestra la vide piangere accartocciata su se stessa, in un angolo, e
lì, come
investito da quello che chiamano colpo di fulmine gli era entrata nella
testa:
quella era la vera Melanie, e aveva bisogno di qualcuno. Purtroppo il
suo sogno
svanì di giorno in giorno quando ebbe a che fare con lei e la sua
linguaccia
velenosa nei confronti delle persone che le stavano intorno, facendo la
bella
faccia davanti agli insegnanti, la spia spesso e volentieri contro
tutti:
quella era una vera strega… e decise di lasciarsela alle spalle. Quella
volta
che l’aveva vista piangere era stato solo un inganno.
Mariel
invece era diversa, pensò Sebastian. Lei era
schietta, particolare, pura e semplice, non come le altre ragazze: ecco
perché
aveva deciso di innamorarsi di lei.
Si
conoscevano da sempre; la loro era un’amicizia
incrollabile. Non sarebbe stato affatto male averla come sposa un
giorno.
La
sentì ridere e sorrise a sua volta, felice. Era la
persona solare di cui aveva bisogno nella sua vita.
All’uscita
della scuola prese la bici e aspettava poggiato ad
una parete, guardando di tanto in tanto l’orologio: Mariel era
stranamente in
ritardo.
«Eddai,
non posso tardare, lo sai…», mugugnò per sé, vedendo
che tutta la scuola si apprestava a lasciare l’edificio.
«Ciao,
Seb!», sorrise una ragazza, accompagnata alle sue
spalle da un ragazzo un po’ più alto.
«Oh,
ciao, Chelsea!», salutò in un sorriso. «Charlie!»,
salutò pure il ragazzo dietro, che gli fece solo la mano: sembrava un
po’ giù. «Ma
che succede?».
«Eh,
si è arrabbiato perché nonostante abbia studiato come
un forsennato tutta la notte ieri, oggi ha fatto schifo lo stesso al
compito!»,
rise un po’ sulle sue la ragazza.
«Sì,
ma cazzo!»,
sbottò incurvando le braccia. «Possibile che in un compito di venti
domande,
quindici includono gli argomenti che ho saltato? Ma l’ha fatto
apposta!».
«Se
ti può far sentire un po’ meglio, io stamattina sono
stato interrogato a sorpresa e ho preso una F!», concluse Sebastian.
Charlie
e Chelsea erano gemelli: avevano conosciuto
Sebastian e Mariel ad un parco del quartiere, quando il primo
atteggiandosi un
po’ da bullo non voleva far giocare nessuno a pallacanestro, e dopo una
sfida
due contro due, vinta dai gemelli, fecero amicizia. Avevano solo un
anno in più
rispetto a loro, compagni di classe di Melanie.
«Che
fine ha fatto Mariel?», chiese Chelsea di punto in
bianco.
«Non
lo so, sto aspettando lei! Se non si fa viva entro
cinque minuti torno a casa! Mia madre deve andare a lavoro e non può
lasciare i
miei fratelli da soli!», guardò ancora una volta l’orologio.
«Non
per fare il guastafeste, ragazzi, ma credo di aver
visto Mariel passare in corridoio con uno sguardo molto spento! Non è
che forse
stava male?», fece ad un certo punto Charlie.
«Con
sguardo spento? Ma quando?», chiese allarmata la
sorella.
«Non
è da lei! Alla ricreazione era con me e stava bene!»,
intervenne Sebastian.
«Quando
stavo tornando dal bagno per rientrare in classe… L’ho
chiamata ma sicuramente non mi ha sentito, poi è entrata in bagno! E io
in
quello delle donne…», storse un sorriso.
«Andiamo
a controllare!», cominciò a passo spedito Chelsea, ma
proprio quando i tre stavano per varcare il cancello, Mariel passò in
mezzo a
tanti altri ragazzi che uscivano da scuola, di corsa, e sembrava
piangere.
«Mariel!»,
chiamò Sebastian, ma la ragazza inforcò la sua
bici e corse via. Salì sul sellino per seguirla ma Chelsea lo bloccò al
volante.
«La
raggiungiamo noi, dopo ti facciamo sapere! Tu devi
tornare a casa, è tardi!».
«Ok.»,
sbuffò. «Vado a casa, dopo chiamatemi!».
Appena
varcò la porta di casa vide sua madre urlante, con il
giubbotto indosso e la borsa sulla spalla; il suo fratellino piangeva
nell’altra stanza e sentiva la sua sorellina in cucina che sbatteva una
forchetta su un piatto. «Tua nonna si è addormentata, quindi vedi se
riesci a
farli stare in silenzio! Vado!». Non lo guardò neanche per un istante
che
veloce gli passò davanti, per poi aprire e chiudere la porta alle sue
spalle.
Questa
era sua madre.
Sebastian
restò immobile sui suoi passi e poi sorridendo
esclamò «Aaah! Basta baccano, Lilly, Seb è tornato da scuola!».
Per
un momento tutto tacque tranne il pianto del neonato,
poi il rumore della forchetta che veniva lasciata cadere e la sedia che
si
spostava, ed ecco a seguire i passi rumorosi di una piccola corsa.
«Seb!»,
urlò felice la bambina, prima di schiantarsi tra le
sue braccia pronte ad accoglierla.
Questa
era la realtà.
“Sebastian…
Vieni… Il
tuo desiderio è già realtà…“
Si
svegliò di soprassalto, scoprendo che la sua sorellina lo
stava punzecchiando al naso con una matita colorata.
«Ti
eri addormentato…», sorrise poi, riprendendo a colorare
vicino a lui.
Il
ragazzino sbadigliò strofinandosi un occhio, per poi dare
un’occhiata al telefono senza fili poggiato vicino a lui: aspettava una
telefonata ma ancora niente. Diede uno sguardo al suo fratellino nel
box: lo
vide sorridere, scuotendo il suo ciuccio. Si alzò dalla tavola e dalla
cucina,
ignorando il soggiorno sottosopra spalancò la porta socchiusa della
camera da
letto della nonna. C’era uno strano silenzio. La vide sulla sua sedia a
dondolo, sorridendo fissava fuori dalla finestra: era stranamente
calma.
La
donna sentì la sua presenza e si voltò, continuando a
dondolare gli fece cenno di avvicinarsi.
«Dimmi,
nonna… Cosa c’è?». Si accostò velocemente.
La
donna gli carezzò i capelli neri, in un sorriso. «Sei
bello tu…», disse piano. «Sei proprio bello…».
Dopo
poco lasciò la nonna alla sua finestra e socchiuse
adagio la porta. Rientrò in cucina, e vide prima il sorriso del suo
fratellino
e poi quello della sua sorellina. Si tornò a sedere, prendendo la penna
per
continuare i suoi compiti.
Prese
a guardarsi attorno un altro istante, pensieroso: ehi, lui
lo aveva davvero un desiderio.
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Primo capitolo di una nuova
storiellina, molto corta (soli 4 capitoli) che, ad essere
sincera, non mi piace più più di tanto, come quando la stavo scrivendo.
Ora che è conclusa non la trovo nulla di aprticolare, scontata e
banalotta. Ha partecipato all'undicesima edizione dei contest regolari
di Eylis (qui il bando). Ecco la targhetta:
Qualche piccola nota:
Credo
di aver messo davvero troppa
fretta a questa storia. Ma davvero davvero. Avendo a disposizione più
spazio
l’avrei ampliata tantissimo ma ormai è andata e non la cambierò nemmeno
in
futuro. È come se avessi compresso tutti gli avvenimenti più importanti
che
dovevano accadere come più potevo e quello che, almeno secondo me, ci
ha
sofferto di più è il lato introspettivo dei personaggi ç_ç Colpa mia,
la
prossima volta cercherò di trovare trame meno complesse da sviluppare XD
Il titolo della storia è
cambiato da
uno troppo scemo (era davvero troppo
scemo, quasi come le “traduzioni liberalmente interpretate” dei titoli
dei film
americani e compagnia quando arrivano in Italia) a Numb, che ammetto non mi piace
granché, ma il suo significato, “intorpidito”,
mi piaceva parecchio e un po’ mi ricordava il protagonista. Già… il
protagonista: l’ho chiamato Sebastian. Sebastian senza farlo apposta. Questo è un nome molto usato
nel mondo delle
fan fiction ultimamente a causa di un manga ma GIURO che nemmeno ci
pensavo a quello quando ho chiamato lui così.
Ci
ho pensato a storia già finita e non mi va di cambiargli nome per una
cosa così
sciocca ù_ù Comunque ci tenevo a far sapere che non ha nulla a che
vedere con quel Sebastian.
Al prossimo capitolo ("La nuova realtà"),
ciao, ciao da Ghen =^_____^=
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