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Family
man
Aveva
un grosso problema, anche se odiava ammetterlo.
-Ed, hai finito?-
Urlò l’uomo sull’uscio.
Era
innamorato di un eterno romantico.
Mentre
aspettava spazientito, il biondo intanto tentava disperatamente di
stringere il nodo della cravatta: stanco di attendere che resuscitasse
dal bagno, il moro decise di entrare. Quando lo trovò alle
prese con una cravatta ormai malconcia dai ripetuti e mancati
tentativi, strappò via l’indumento per sparire poi
nella camera antistante.
-Ma che diavolo fai?!
Come faccio se...-
Un secondo dopo, Roy
era tornato con un foulard apparentemente molto pregiato, color oro:
riavvicinatosi, lo legò a mo’ di cravatta attorno
al suo collo e lo appuntò con una spilla. Ed notò
che era indubbiamente femminile, un rubino al centro e un pugnale con
un diamante sull’elsa, retto da quelle che sembravano piccole
ali. Un cuore, pensò.
-Era di mia madre-
aggiunse una volta sistemato il colletto - ti sta molto bene-.
Gli posò un
bacio sulla fronte.
Stringendosi nel
gilet, Ed tentò di non arrossire.
-E’ molto
bella- disse soltanto, abbassando gli occhi e rimanendo per un attimo
all’ombra del corpo del più grande. Era diventato
più alto di un tempo, ma non era riuscito a raggiungerlo.
Segretamente, ne era grato: in quel modo, gli bastava alzare lo sguardo
al cielo per incontrare i suoi occhi. Non è sempre vero, che
le cose più belle sono all’altezza dello sguardo.
-Qualcosa non va?- Soffiò sulla sua
fronte il moro, pronto a confortarlo.
-No- rispose soltanto.
Benché fossero passati molti anni, era rimasto un
po’ infantile come un tempo: ma per questo, non poteva che
amarlo di più.
-Sei preoccupato di
cosa potranno dire i ragazzi, vero?-
Nonostante non avesse
risposto, Roy capì di aver colto nel segno.
-Non ce
l’hanno con te, Edward, sono i tuoi
figli. Ti vogliono bene e non potrebbe essere altrimenti-.
Benché si
fosse ripetuto razionalmente almeno un milione di volte negli ultimi
anni che non poteva avercela in eterno con se
stesso, non riusciva proprio a non pensare di aver
abbandonato i suoi figli proprio come suo padre aveva fatto con lui e
Al.
Certo, alla fine aveva
capito e stimato le sue ragioni, ma un’indelebile cicatrice
lo aveva marchiato per anni.
Quando -concluse le
sue ricerche ad Ovest- cinque anni prima era tornato a Central City per
consultare la biblioteca, non sapeva in cosa stava per imbattersi:
nonostante avesse accettato di fare da padrino al suo primogenito, Roy
era letteralmente sparito dalla sua vita. Non aveva mai interpretato
quel suo atteggiamento come una specie di rivalsa,
in risposta a una presunta offesa:
aveva dato il suo nome a uno dei suoi figli, ma questo non aveva
probabilmente avuto lo stesso significato per entrambi. Alla nascita di
Nina aveva invece inviato un semplice biglietto,che nemmeno il tenente
Hawkaye aveva saputo come interpretare.
Non si vedevano da
più di sette anni, quando finalmente lo scorse, immerso
nella lettura, seduto sul pavimento della biblioteca.
-E tu dovresti essere
il Comandante Supremo di questo Paese?!-
Ma dallo sguardo che
quello gli rivolse in risposta, si rese conto di quanto gli avesse
fatto male in tutti quegli anni, pur non volendo, con ogni suo respiro
e battito di ciglia: si rese conto di quanto lo avesse fatto soffrire
vederlo felice con qualcuno che non era lui, quanto lo avesse ferito
tenersi lontano per preservare la sua felicità. Non aveva
mai visto il Colonnello piangere, ma quelle che si sciolsero in quel
momento sul suo viso erano indubbiamente lacrime.
Sapere -seduto al
tavolino di un bar- che non si era sposato e che al momento non aveva
nessuna relazione seria gli fece capricciosamente piacere: che in tutti
quegli anni non se ne fosse mai accorto? In
fondo, il Colonnello non aveva mai fatto nulla per nulla...
Questa volta, ne era
sicuro, Winry l’avrebbe letteralmente ucciso.
*
-Sono dodici, vero?-
Disse per rompere in ghiaccio, abbassando un po’ il
finestrino dell’auto e permettendo al vento di scompigliargli
i capelli.
-Eh? Oh, si. Al mi ha
raccomandato di non fare tardi o Winry si infurierà-.
-Non preoccuparti,
faremo in tempo-.
Anche se non
l’avrebbe mai ammesso, Roy sapeva che il fatto che Al si
fosse fatto finalmente avanti con Winry lo faceva sentire meno in colpa
verso di lei, ma un po’ di più verso il
fratellino: benché sapesse che il sentimento di Al era reale
e sincero, lo preoccupava che si fosse sentito in qualche modo costretto a prendere il suo posto,
nonostante fosse stato sempre presente per i suoi figli, come per Winry
che a suo modo continuava ad amare.
-Perché ci
sono due pacchi?-
-Uno è per
Nina, ovviamente-.
-Tu li vizi troppo...-
-E’ una
vecchia abitudine- disse sorridendo.
-Oh, certo, come no.
Basta che non sia niente di strano-.
-Scemo...-
-Devo ricordarti
l’ultimo regalo che mi hai fatto?-
-Oh, non
corromperò l’animo dei tuoi cuccioli, tesoro-. Poi
gli stampò un bacio sulla fronte.
-Pensa a guidare!!!-
Gridò arrossendo.
-Si, ci siamo quasi-.
Arrivati, trovarono il
piccolo Roy appollaiato sulle scale: appena vide l’auto,
scattò in piedi e corse all’interno della casa.
Poco dopo sull’uscio comparvero le familiari figure di Al e
Winry, e da qualche parte troppo in basso doveva esserci anche la zia
Pinako.
-Era ora!-
Gridò sorridendo la bionda, fiondandosi fra le braccia di Ed
e stringendo poi con affetto anche Roy.
-Siamo puntuali,
credo...- disse Ed un po’ imbarazzato
-Papà!!!
Zio Roy!- urlò invece la vocina stridula di Nina.
-Piccolina...- Roy la
sollevò e gli stampò un bacio sulla guancia,
consegnandogli l’enorme pacco col fiocco rosa che poco prima
Ed aveva visto in auto. Con suo grande piacere, vide che era un vestito
color vaniglia e che la gonna era abbastanza lunga da evitargli la
decapitazione.
Il piccolo Roy
arrivò per ultimo, cercando di districarsi tra la folla di
bambini che lo seguiva con aria goffa e strana.
-Roy ha detto ai suoi
compagni di scuola che suo padre è l’alchimista
d’Acciaio, ma nessuno gli ha creduto- gli sussurrò
Alphonse in un sorriso, gesto che infastidì leggermente il
suo compagno.
Gli occhi enormi e
sconcertati dei bambini si affollarono accanto al festeggiato.
Ovviamente non potevano riconoscere il Comandate Supremo, visto che era
in borghese, ma la lunga capigliatura bionda di Edward era diventata
leggenda ad Amestris.
-Buon compleanno-.
Edward abbracciò il bambino, che gli somigliava in modo
incredibile, e gli consegnò il regalo.
-Che
cos’è?- Chiese,
ma Ed non ne aveva la minima idea: Roy senior aveva insistito per
provvedere lui stesso.
-E’ una cosa
che conservo da un po’, e d’accordo con tuo padre,
pensavo che ti avrebbe fatto piacere riceverla...- Inizialmente Ed fu
confuso da questa risposta, ma dopo poco comprese, non appena vide la
fibra rossa contenuta nella scatola.
-Oh...questo
è...- Sussurrò estraendo la mantella dalla
confezione.
-Eh, beh...era di tuo
padre. Si poteva farlo cucire uguale, ma ho pensato, abbiamo
pensato che ti sarebbe piaciuto avere un pezzo originale-.
-Grazie!!!-
Urlò il bambino in preda alla gioia, indossando il cappotto
rosso con lo stemma del primo alchimista.
-Visto, ve
l’avevo detto- disse allontanandosi verso i suoi amici.
-Dove l’hai
preso?!- bisbigliò Ed curioso.
-Ti ricordi la sfida
nella piazza d’armi? Diciamo che mi sono tenuto un trofeo...-
Dopo aver sussurrato
un idiota a fior di labbra, si
aggrappò al suo braccio e si accinsero ad entrare.
Passarono una
splendida serata: vedendo Al e Winry così felici e i bambini
spensierati, Ed riuscì perfino a non sentirsi in colpa per
aver scelto quello stupido d’un
Taisa: amava incondizionatamente i suoi figli, e voleva bene
ad Al e alla sua ex moglie e amica d’infanzia. Ma non poteva
fare a meno di Roy, non aveva mai potuto: era stato lui la ragione di
tutto e ne era stato anche l’obiettivo, a quanto sembrava. Se
non fosse stato per lui non avrebbe mai retto.
Finita la festa, era
ormai troppo tardi per tornare a Central, quindi decisero di comune
accordo di rimanere lì per la notte.
Non appena si fu
coricato, Ed sentì dei piccoli passi e qualcuno infilarsi
nel suo letto, tra lui e Roy.
-Ehi...-
sussurrò per non svegliare il compagno.
-Papà- il
tono del bambino tradiva una certa preoccupazione.
Ovviamente stava per
chiedergli che ci faceva a letto con “lo zio Roy”,
ormai era abbastanza grande per farsi delle domande.
-Papà...ma
tu alla mia età quanto eri alto?- completò la
frase, lasciando il padre abbastanza interdetto.
Improvvisamente, alle
spalle del bambino, il moro iniziò a sorridere.
-Ehm, beh...come mai
questa domanda?-
Ed divenne tutto rosso
in viso.
-I miei compagni
dicono che sono basso- rispose il piccolo, il viso annegato nello
spazio fra di due cuscini.
-Non preoccuparti,
tesoro...anche io ero un po’...- vide il volto di Roy
contrarsi in quella che sembrava una risata soffocata.
-Mh, un
poò...basso. Ma crescerai presto, te lo prometto-.
Ormai, quello di Roy
senior si era trasformato in un ghigno spudorato.
-Oh, meno male. Non
credo mi piacerebbe rimanere un piccoletto-.
Si alzò e
fece per tornare nella sua stanza, ma quasi raggiunta la porta,
tornò a voltarsi.
-Ma
papà...posso farti un’altra domanda?-
Ed, intenerito,
annuì.
-Perché tu
e lo zio Roy dormite nello stesso letto? E perché la mamma e
lo zio Al si stanno facendo la respirazione bocca a bocca in cucina?-
-Fine-
Ho avuto il coraggio
di farlo, e dieci minuti dopo me ne sono pentita.
Ecco a voi il finale
RoyEd del manga, secondo me. Vedo che sono proprio originale, eh...
Comunque...
L’idea mi
ronzava in testa già da qualche settimana, ma ha preso vita
solo di getto, come al solito, e soprattutto totalmente al di fuori del
mio solito stile. Non odio Winry, lei in fondo ha avuto Ed solo per
sé per un po’ e gli ha dato dei figli (so che
c’è chi pensa che quelli siano i figli di Al, ma
questa è la mia personale interpretazione, quindi non
accetto insulti o commenti su questo fronte). Spero solo che appaghi
più del finale del manga e di Brotherhood (e non ci vuole
tanto, direi). Spero vi sia piaciuto leggerla quanto a me scriverla.