Nuotare
lo
rilassava, gli liberava la mente dai problemi.
Eppure
avrebbe
dovuto essere felice: le riprese erano finite e il pubblico sembrava
apprezzare
l’idea innovativa di far svolgere il film in una cabina
telefonica… ma non
riusciva a gioirne.
Si
sentiva
quasi in colpa: lui era il protagonista assoluto mentre quel ragazzo
era stato
letteralmente cacciato.
Non
avrebbe
mai dimenticato il suo sguardo ferito quando il regista gli aveva
detto, con
semplicità snervante, che era licenziato.
Non
avrebbe
mai dimenticato il suono della sua voce tremante mentre sussurrava solo
“Ok” e
se ne andava velocemente.
Aveva
odiato
Schumacher per il modo leggero con cui si era liberato di lui e ancora
non
riusciva toglierselo dalla mente: aveva legato subito con Jared.
Lui
era
dolce, gentile e divertente nonostante si nascondesse dietro quella
maschera da
rockstar, ma era stato facile convincerlo ad essere davvero se stesso,
almeno
con lui.
“Mi
fido di
te.” Aveva detto allora lui, sorridendo.
Non
lo
aveva nemmeno salutato: Jared era sparito prima, senza nemmeno
lasciarli il suo
numero.
“Avremo
tempo per questo!” scherzava ogni volta che glielo chiedeva.
Nessuno
dei
due pensava che sarebbe finita così ed ora Colin aveva
voglia di piangere ogni
volta che pensava al modo in cui gli era stato strappato
quell’angelo di cui
non riusciva ad avere notizie nemmeno su Internet: era sempre
così riservato…
Forse
stava
esagerando, ma non si era sentito così svuotato neanche dopo
essere stato
lasciato da qualche donna.
Nuotare
lo
aiutava a dimenticare e così, ad occhi chiusi, si lasciava
trasportare
lievemente dalle onde, che lo cullavano, fino a quando qualcuno non si
scontrò
con la sua schiena abbronzata.
“Qualche
fan.” Fu la prima cosa che pensò, anche se sperava
che in un posto così lontano
dall’ Irlanda non li avrebbe incontrati.
“Oh,
scusa.”
Fece una voce maschile: suonava calma, rilassata e sognante…
angelica.
Colin
l’avrebbe
riconosciuta fra mille: si voltò di scatto, euforico,
esclamando: “Jared!”
“Colin!”
Rimasero
qualche
istante a guardarsi, stupiti, senza sapere cosa fare, cosa dire, ma
finalmente
l’irlandese riuscì a parlare cercando di
nascondere l’immensa gioia nel
vederlo: “Co-cosa ci fai qui?”
Jared
sorrise appena: “E’ estate Colin, una meravigliosa
e calda estate… mi sono
preso una vacanza.”
Calò
ancora
il silenzio: possibile che non sapesse cosa dire?
Farrell
aveva immaginato molte volte un suo possibile rincontro con
l’americano, ma ora
che lui era lì, ora che lui era veramente lì,
tutta la sicurezza che trovava
nell’immaginazione era scomparsa, lasciandolo solo ed
incredibilmente
imbarazzato.
Jared
non
era affatto cambiato: l’acqua gli arrivava alla vita,
accarezzandogli leggera
la pelle chiara.
Era
magro,
forse ancora più magro, ma il suo fisico era perfetto nella
sua fragilità; i
capelli scuri gli ricadevano leggeri sulla fronte, incorniciandoli il
viso
dolce da eterno ragazzino.
Gli
occhi
azzurri riflettevano il colore del mare calmo fuso con il cielo terso,
come in
una delle tele di Jared, e sorridevano in sintonia con le labbra rosee
e
sottili.
Era
bellissimo,
di una bellezza ammaliante e spontanea, eppure così
misteriosa, quasi segreta.
Jared
gli
tese la mano senza smettere di sorridere: “Sono tanto felice
di rivederti
Colin.”
Lui
gliela
prese nonostante al momento desiderasse ardentemente abbracciarlo.
“Mi
dispiace.” Le parole gli uscirono prima che lui potesse
controllarle: “Per come
ti ha trattato Schumacher. Era una bella scena, la tua.”
Gli
occhi
di Jared vennero attraversati da un lampo di tristezza che il ragazzo
provvedé
subito ad eliminare, spegnere.
“L’importante
è che sia piaciuta e te… a me piace. Era la
nostra scena Colin. La nostra. Non la
mia.” Parlava piano, a voce bassa, ed aveva smesso di
sorridere.
Teneva
ancora
la mano di Farrell, che tacque imbarazzato.
Fu
nuovamente
Jared a sbloccare la situazione, riprendendosi:
“Allora… anche tu in Grecia!”
Colin
fece
un mezzo sorriso: “Già… che
coincidenza.”
“Coincidenza?
No!” la voce di Jared si accese di emozione: “Non
esistono le coincidenze: fa
tutto parte di un destino più grande che non sempre
riusciamo a controllare,
proprio come lui non riesce a prevalere su di noi.”
Colin
lo
guardò confuso e lui rise divertito, quindi lo
invitò a seguirlo sulla
spiaggia; solo allora lasciò la sua mano.
Era
strano.
Era fantastico. Era Jared.
Colin
lo
seguì lentamente e quando furono sulla spiaggia lo
guardò prendere i propri
abiti e sorridergli: “Allora. Io ora vado
all’albergo e mi cambio: fallo anche
tu. Conosci il ristorante “Da Franco”? Si mangia
italiano.”
Farrell
annuì velocemente.
“Bene.
Ci vediamo
lì alle 19.30.” lo salutò con un cenno
del capo e si allontanò correndo.
Colin
rimase immobile, alquanto confuso: ancora non riusciva a credere a
quello che
era successo.
Pochi
minuti
prima era pressoché disperato per non avere più
notizie di Jared, ed ora aveva
un appuntamento con lui.
Incredibile.
Tornò
al
suo albergo, fece una doccia veloce e passò
l’intero pomeriggio a cercare l’abito
adatto.
Voleva
essere
elegante, ma non troppo.
Voleva
essere
sportivo, ma non troppo.
Voleva
solo
essere perfetto per lui.
Alla
fine
optò per dei jeans neri, abbastanza stretti, e una camicia
bianca.
Semplice
e
bello.
***
19.25
Colin
era
seduto sulla panchina verde di fronte al ristorante da quasi un quarto
d’ora:
non aveva potuto resistere.
Stare
ad
aspettare in albergo lo stava uccidendo e non aveva potuto resistere.
Vide
Jared
a piedi dalla strada opposta rispetto a quella da cui era venuto lui:
indossava
jeans aderenti, come la maglia nera sotto la giacca grigia e stava
massaggiando
con il suo nuovissimo blackberry. Non sarebbe cambiato mai.
“Ma
ciao!”
lo salutò l’americano sorridendo:
“Aspetti da tanto?”
No,
mentì
Colin sorridendo a sua volta, era lì da pochi minuti.
Jared
era
truccato: la matita nera calcata sugli occhi chiari e le labbra troppo
lucide
per essere normali.
Era
strano.
Era fantastico. Era Jared.
“Sei
bellissimo.” Di nuovo Colin non riuscì a frenare
le parole, che fuggirono
rapide dalle sue labbra.
Jared
arrossì appena e lo ringraziò sorridendo radioso.
Cenarono
con
il tipico piatto italiano, spaghetti, e fu una serata meravigliosa:
Jared parlò
di suo fratello Shannon raccontandogli aneddoti divertenti della loro
infanzia
e lo stesso fece Colin.
Risero.
Risero
a
lungo ed in continuazione, allegramente.
“Sai
è
stata una fortuna esserci incontrati oggi. Io domani torno in
America.” Disse ad
un certo punto il maggiore.
Colin
si
sentì improvvisamente triste : lo avrebbe perso di nuovo.
Non
riusciva
a capire perché tenesse tanto a lui, ma sapeva con certezza
che era importante.
Molto importante.
“Dovresti
abbandonare la maschera da rockstar.” Disse per cambiare
discorso e non pensare
a quella notizia.
“Devo
tenerla. Ma non importa. Le cose importanti sono quelle che non si
vedono.”
Colin
rimase
in silenzio non sapendo cosa rispondere, sempre più
affascinato dall’altro.
Era
strano.
Era fantastico. Era Jared.
Mezzanotte
era
vicina quando i due pagarono il conto e lasciarono il ristorante.
“E’
ora di
salutarci. E non chiedermi il mio numero di cellulare, non te lo
darò. Non ancora.”
Colin
rimase stupito e tacque sentendosi improvvisamente triste, ma tacque.
Jared
sospirò appena, quindi si avvicinò
all’irlandese e lo baciò a fior di labbra.
Lui
si
sentì estremamente confuso: era felice e spaventato e quei
sentimenti
contrastanti gli impedirono di reagire.
“Aspetterò
fino a quando non sarai in grado di restituirmelo.”
Sussurrò l’americano e si
allontanò correndo.
Pensò
a lui
sempre, in continuazione, ma non rivede Jared per molto tempo.
2
anni
dopo.
Era
il
primo giorno sul set di Alexander e già tutti erano in
trepidazione: Stone
voleva che quel film fosse un successo internazionale.
Colin
si
guardava freneticamente intorno, agitato, e finalmente lo vide.
Era
bellissimo
anche con i capelli lunghi, come sempre.
Gli
si
avvicinò e senza nemmeno salutarlo lo baciò
davanti a tutti.
Non
gli
importava di niente all’infuori di quello.
Non
gli
importava di nessuno all’infuori di lui.
“Era
tanto
tempo che volevo restituirtelo.”
“Ora
ti
darò il mio numero di cellulare.”
Era
strano.
Era fantastico. Era Jared.
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