Un grido, un tonfo.
Islanda si affretta nella camera della Nazione che lo governa.
Lancia un'occhiata a
Groenlandia, uscita con solo la testa da uno spiraglio creato dalla
porta della sua stanza e le fa cenno di tornare dentro.
Se ne occuperà
lui, come sempre.
La stanza non è
peggio di come l'immaginasse. Lo sorprende, però, ogni volta,
che razza di pandemonio riesca a creare in quei pochi minuti che
impiega a raggiungerlo.
Potrebbe anche non
farlo. Lasciarlo da solo, a farsi del male, a rivoltare la stanza,
chiudersi nella propria ed abbandonarsi alla stanchezza di quella
convivenza pesante.
Ma come? Come, se,
ormai, qualsiasi cosa stia facendo, ha il cuore che si ferma quando
sente un rumore, quando il primo istinto è correre da lui?
Lo cerca sotto una
scrivania ribaltata, alzandola e trovandola vuota, mettendo a posto
la stanza, per quanto possibile, mentre studia le tracce, come un
investigatore, per trovarlo.
Il rumore delle
unghie che grattano il legno è un segnale abbastanza chiaro da
condurlo davanti all'armadio. E' un nascondiglio infantile. Ma ha una
logica.
Sospira e spalanca
le ante, trovandolo lì seduto, interrotto nel suo sfregare,
con i capelli sul viso, che quasi nascondono occhi sorpresi e le dita
protese nel vuoto, il sangue che produce un orrido ticchettio sul
legno.
“Eirik!”
esclama, pieno di meraviglia, come se non si vedessero da anni.
Non lo trascina
fuori, non gli grida che è un idiota, che è infantile e
folle come quello smidollato della tragedia di quell'inglese. Non
servirebbe a nulla.
Al contrario, si
inginocchia di fronte a lui, nell'armadio e richiude le ante -non del
tutto, solo per lasciare entrare un po' di luce-, sospirando e
tenendogli il viso tra le mani.
Per i primi tempi ha
tentato di essere Noregur. Ma, anche nella sua follia, Dan non l'ha
mai scambiato con il fratello.
Ha tentato di essere
freddo, di rispondere a tono, di sgridarlo. Non è nella sua
natura. E lo sguardo ferito dell'uomo che ha di fronte e sembra non
capire come sia finito in quell'armadio è decisamente
insostenibile, per lui.
Non ha senso essere
crudeli, quando si ferisce già abbastanza da solo.
“Che cosa
c'è?” chiede, serio, pronto ad ascoltarlo. E' pazzo.
Completamente fuori di testa. Ma anche così, vuole provare a
capire, ascoltarlo. Ingenuamente spera che parlare possa farlo
calmare e farlo tornare sano.
Lo sa, Islanda, che
dentro a quell'involucro che non sa fare altro che distruggere, c'è
ancora la persona che gli faceva venire voglia di viaggiare con le
sue storie, lo sa bene. O almeno, ci crede con tutto sé stesso
e si aggrappa a quello.
A volte, quando sono
nel letto, senza nessuna ragione in particolare comincia a
raccontare. E ad Erik non importa più di sapere se la storia è
vera.
E' disposto a
crederci, purché possa avere indietro quella persona che
adora.
Den ha preso a
mordersi le dita e lui se ne accorge soltanto quando sta già
rosicchiando il tendine. Prende la mano ferita con la propria e posa
la fronte sulla sua.
Con il tempo ha
imparato il suo linguaggio folle fatti di gesti e parole ossessive.
Quello lo fa quando c'è qualcosa di importante che non va',
qualcosa che spesso riguarda Noregur.
“Eirik...”
pigola, cercando di stringergli la mano e fallendo miseramente. In
compenso, la ricopre di sangue, che scivola lungo la manica della
camicia bianca del ragazzo.
“Sono qui...
pabbi.” cerca di rassicurarlo, con quell'appellativo che spesso
lo calma. Quando era piccolo lo chiamava spesso in quel modo. Ora si
chiede se abbia ancora senso.
“Non devi
lasciare il tuo pabbi da solo, lo sai? Non lasciarmi... Non
lasciarmi, non lasciarmi, non lasciarmi, non...” ripete, come
una cantilena ossessiva, abbandonandosi contro di lui.
“Non ti
lascio. Usciamo dall'armadio, però, ok?” sussurra
Islanda, prendendolo sottobraccio per accompagnarlo fino al letto ed
avvolgerlo in un bozzolo di coperte. Ha sempre sonno, dopo una crisi.
A volte anche fame.
Gli tiene la mano. O
forse è Islanda che gliela tiene saldamente, perché non
può stringerla veramente. Resta in silenzio a fissare il
soffitto, per alcuni lunghi minuti, mentre il ragazzo fissa la
macchia di sangue sul lenzuolo allargarsi e cambiare colore.
“Vuoi che ti
racconti una storia, piccolo?” chiede, all'improvviso, voltando
lo sguardo verso di lui. L'isola fa un piccolo sorriso, vedendo che
non è ancora molto lucido, ma... quella frase non può
che sollevarlo un po'.
Annuisce,
infilandosi sotto le coperte e lasciandosi abbracciare.
“Allora ti
racconto la storia di Bothvar Bjarki e del modo in cui combatté
valorosamente al fianco del re Hrolf...” aggiunge, dopo una
lunga pausa. Gliel'ha raccontata almeno un milione di volte, è
una delle sue preferite, soprattutto l'ultima parte contro la
malvagia Skuld. “Anche se Nor è molto più bravo a
raccontare delle magie.”
Scuote la testa,
avvolgendolo meglio tra le braccia. “Mi piace quando me la
racconti solo tu, pabbi.” sussurra, posando la testa sul suo
petto e chiudendo gli occhi.
Sì, Danimarca
è completamente pazzo. Il modo in cui passa dalla persona che
adora a quello sconosciuto dell'armadio è terrificante,
improvviso, insensato. Ma non può pensare di abbandonarlo. Per
l'affetto che li lega, per il modo in cui si sente come una cura a
quella stessa follia, per il modo in cui viene ricompensato.
Se il popolo
chiedesse l'indipendenza, non sa come potrebbe reagire. Non sa
nemmeno come lui stesso potrebbe prenderla. Poiché ha bisogno
di Danimarca almeno quanto è vero il contrario.
Note
dell'autrice:
Mi piacciono questi
due, da morire. Forse ancor di più che Nor e Den assieme.
Forse perché mi piacciono anche le storie non amorose, che
trattano di legami diversi ed amore paterno e fraterno e che nessuno
si ricorda che questi due hanno convissuto per secoli. E poi mi piace
pensarli come padre e figlio.
E, sì, amo
Danimarca quando è completamente fuori di testa. Amo i
personaggi fuori di testa. Se guardo quello che ho scritto non posso
fare a meno di pensare di essere affascinata dalla follia. Anche se,
ovviamente, tutto ciò che scrivo riguarda una follia
edulcorata e molto lontana dalla realtà.
Lo smidollato
della tragedia di quell'inglese è, ovviamente, Amleto e,
sì, in parte Islanda esprime il mio giudizio su quell'uomo e
in parte si rifà all'eroe tradizionale Scandinavo, che è
un figo senza paura. u_u
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