Il primo giorno
Mi svegliai completamente il giorno dopo, e mi fu permesso di
alzarmi. Mi guardai allo specchio. Ero più magra,
più elegante. E potevo mostrare dei denti affilatissimi.
Volevo dirlo ai miei genitori. Mi voltai, per cercarli, ma mi resi
conto solo in quel momento che non c’erano più. Mi
resi conto che non ero a casa. E i miei genitori … cominciai
a respirare più forte. Cercai con lo sguardo la porta. La
trovai, e corsi verso di questa. Tentai di aprirla, ma era chiusa a
chiave.. iniziai a prenderla a pugni. Non riuscii ad aprirla
ugualmente. Mi inginocchiai con le mani in faccia e iniziai a piangere.
Le lacrime calde scivolavano sulla mia pelle, mentre le mie ginocchia
tremavano e il mio cuore batteva all’impazzata …
“al contrario del loro”, pensai, “che
forse non batte più”. E questo pensiero
m’incusse un’ulteriore disperazione. Era tutta
colpa di quel … mostro cogli occhi di ghiaccio. Pensai che
un giorno lo avrei ucciso. Sempre che non lo avesse fatto prima lui.
Mi sedetti, appoggiata a quella porta, le gambe stese e le
braccia su di esse., guardando in alto, con le lacrime bollenti che
cadevano sul mio viso. Chiusi gli occhi, e rividi la faccia di mia
madre, e poi quella di mio padre. Strinsi i pugni. – mamma,
papà … - sussurrai, ma la frase non
terminò. Non so cosa volevo dir loro. Ma non
terminò, perché iniziai a piangere, a scalciare
alla porta urlando di portarmi via di lì. Per risposta,
sentii che qualcuno aveva lanciato qualcosa sulla porta per farmi
tacere.
Tacqui, ma non per ubbidire, ma bensì perché
avevo notato una finestra. Era la mia unica via di salvezza.
Corsi verso di essa, spalancandola.
Ero al secondo piano dell’edificio, ma sotto di me
c’era un terrazzo. Potevo scendere lì e poi
calarmi giù dalla grondaia lì accanto.
Salii sul davanzale, pronta a saltare.
Ma in quel momento la porta si aprì.
- Io non lo farei se fossi in te- disse
una voce profonda e agghiacciante. Mi voltai per vedere chi era. La
voce mi era suonata familiare.
Era colui che mi aveva morso sul collo. Istintivamente mi passai una
mano sulla ferita, non rimarginata perché quando ero stata
morsa ero ancora, chiaramente, un’umana.
Scesi dal davanzale e corsi verso quell’uomo, picchiandolo
coi pugni e urlandogli di andarsene. Mi prese le mani e mi
scaraventò più in là.
- Devi imparare a ubbidirmi e a
rispettarmi. Adesso sono il tuo capo, il tuo padrone. Mettitelo bene in
testa, e non tentare di scappare, tanto il tuo tentativo
sarà vano. E riceverai una punizione-
- Dove sono i miei genitori?- chiesi, ma
non ricevetti risposta.
Da quel giorno non lo rividi più, sino ai miei venti anni.
Quando mi rimisi definitivamente mi scortarono in una stanza piccola e
poco illuminata.
C’era un letto in un angolo, una scrivania lì
vicino con un computer e un cassettone. Mi rinchiusero là
dentro, dicendomi che mi sarebbero venuti a prendere il giorno seguente.
Mi sedetti sul letto, stringendo i pugni.
Stetti così fino a sera, quando mi addormentai, sognando la
mia vecchia vita. Non ne ero pienamente cosciente, ma la mia vita
sarebbe cambiata. Non lo sapevo, e non volli mai ammetterlo, ma era
inutile guardare indietro, pensare al passato, senza pensare al futuro:
guardandosi indietro si può inciampare in qualcosa davanti a
noi che non abbiamo visto.
Non accettai per lungo tempo di essere diventata ciò che
sono tutt’ora.
il pomeriggio seguente una donna mi scortò al pian terreno.
Mi porse una pipetta di sangue. Il mio cibo.
Guardandola, mi venne in mente di quando mia madre mi raccontava che i
vampiri non potevano andare in giro di giorno.
- Come avete fatto a prendermi in pieno
pomeriggio?- chiesi, rigirandomi la pipetta tra le mani.
- Il nostro Padrone può.
È l’unico. Tuttavia abbiamo scoperto come fare
anche noi: una sostanza, che bevuta, ci rende capaci di uscire al sole.
Ma tu non hai bisogno di quella …
- Perché?
- Ti ha morso il nostro Padrone. Ti ha
trasferito questa tua caratteristica. Sei la prima persona trasformata
da lui, dovresti esserne fiera- disse la donna, o meglio, la vampira.
La vampira mi fece perlustrare l’edificio, che poi era un
grattacielo.
Ogni stanza era la camera di un vampiro,o della sua famiglia.
Mi portò ad un piano, il secondo, dove c’era una
grande sala, che, mi disse la mi accompagnatrice, serviva per le feste.
Mi fece vedere le stanze dove vivevano i vampiri della mia
età con le loro rispettive famiglie,un grande, per
così dire, terrazzo, anche se poi non lo era, con
un’immensa piscina, e altre cose. Infine mi scortò
nella mia camera.
- Allora, hai tempo libero quanto ne
vuoi. Solo che la mattina devi obbligatoriamente andare nella stanza
che usiamo come palestra per il tuo allenamento. E ricordati di bere
qualcuna di quelle fiale di sangue che ti ho dato se non stai molto
bene. Se hai fame. Il cibo degli umani non ti servirà a
niente.
Detto questo, la vampira lasciò la mia stanza. Mi sedetti
sul letto. Era vero, non provavo fame. Le fiale erano sul comodino.
Ricominciai a piangere disperata. Ma mi fermai quasi subito
perché un pensiero mi passò nella mente.
Mia madre e mio padre mi avevano raccontato che i vampiri non provavano
sentimenti. Ma io sì. Che sia speciale? O forse si erano
errati loro? Comunque, ripresi a piangere, finché non sentii
bussare alla mia porta. Mi asciugai le lacrime e dissi di entrare a chi
stava bussando.
Entrò un bambino della mia età. Aveva, come me,
le pupille bianche, dentro. Un pallino bianco. Aveva dei corti capelli
neri ed era vestito con una maglietta rossa e un paio di jeans. Pareva
un bambino normale, se non avesse avuto quei pallini
d’argento negli occhi. Come me.
- Chi sei?- chiesi bisbigliando, per non
fargli mostrare le lacrime.
- Mi chiamo Josh. Josh Kanton.
Perché piangi? Il Padrone dice che bisogna essere felici di
essere vampiri. Anche lui è stato morso, a suo tempo. Era un
ragazzo. Aveva venti anni. E dopo pochissimo tempo è salito
al potere qui. L’unico che è stato morso nella
storia che sia riuscito ad arrivare a diventare un capo dei vampiri-
spiegò il bambino.
- Io sono Katherine- dissi.
- Sei quella nuova …
- Sì …
- Vieni giù in terrazza?-
chiese Josh.
In verità non ne avevo la ben minima voglia. Ma decisi
comunque di scendere, tanto stare lì non mi rendeva certo
più felice.
Scesi con Josh.
Ci sedemmo ad un tavolino.
Josh voleva parlare.
- Stasera i miei genitori vanno alla
festa di sotto. Potresti venire a trovarmi- propose lui.
- Non ne ho voglia?
- Perché?
Possibile che non capiva?
- Sono appena stata trasformata in un
mostro. E i miei genitori sono probabilmente stati uccisi dai tuoi
simili.
- Può darsi che siano vivi. E
poi sono anche i tuoi simili. Io sono un tuo simile
- No, tu sei un mostro!- dissi, sbattendo
i pugni sul tavolo.
Corsi su, arrabbiata.
Mi sdraiai sul letto, piangendo.
Mi assopii un po’. Mi svegliai di sera, a causa della musica
ad alto volume. Pensai a Josh. Simpatico o no poteva essere la mia
compagnia. Mi alzai, e strascicando i piedi mi recai nella sua stanza.
Mi aprì, felice.
- Ciao, Katherine-
- Ciao Josh
- Vieni? Si gioca a carte!
Lo seguii. Ci sedemmo davanti a un tavolo. Mi insegnò
parecchi giochi di carte che non conoscevo, finché non
arrivarono i suoi.
- Oh, la nuova- disse sua madre.
– io sono Elizabeth-
Elizabeth era una donna di una trentina d’anni. Era una tipa
giovanile. Era alta, magra e con un corpo da invidiare. Aveva dei
boccoli biondi lunghi sino alle spalle e degli occhi marroni ( sempre
con la sfera bianco-argentea nell’occhio).
Dopo di lei si presentò un altro uomo, coi capelli corti e
neri, ma con occhi verdi.
- Sono Gerard, il padre di Josh- disse
solamente.
Mi alzai e feci per andarmene.
- Oh ma puoi restare!- esclamò
Elizabeth.
- No, io … voglio stare un
po’ da sola- dissi, ma mentii. La vera ragione era che non mi
fidavo di loro. Meno stavo a contatto con quei mostri meglio era.
Salii in camera mia e mi stesi sul letto. Domani sarebbero cominciati
quelli che la vampira aveva chiamato “allenamenti”.
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