Il figlio delle Tenebre_Act 10
ATTO DECIMO. ANIME IN TUMULTO
Gli
occhi scuri di Roy scattarono serpentini sui volti di tutti i
presenti, sondandoli ad uno ad uno con saccente distacco.
Avanzò verso Edward a zanne
snudate, con i lunghi capelli d'ebano che
fluttuavano intorno a lui, aiutati sia dal vento che filtrava da
fuori sia dall'energia sprigionata dal suo stesso corpo. Il rombo d'un
ringhio imperversava nella sua gola ad ogni passo, mentre
un sinistro crepitio vibrava nell'atmosfera circostante, come
avvisaglia d'un temporale carico di lampi. Emanava inverosimilmente
calore, tanto che più d'un vampiro
si
ritrovò ad indietreggiare quando fu ad una distanza
abbastanza
considerevole.
Un movimento veloce, uno scintillio;
scattò rapido in avanti
come una freccia scoccata da un arco, afferrando il biondo per il
vestiario che indossava prima di issarlo da terra, con una forza
maggiore di quanto lui stesso ricordasse. Più
d'un'esclamazione sorpresa si levò intorno a
lui, prima che lo accerchiassero. Qualcuno gli artigliò
persino una spalla nuda, forse nel
tentativo di fargli mollare la presa.
«Sta al tuo
posto, schiavo!»
ringhiò al suo orecchio uno dei vampiri,
strattonandolo
all'indietro; ma il moro lo spintonò via facendo scattare il
braccio
libero, incurante
del dolore che serpeggiò in lui e che si estese dalla spalla
ferita. Si limitò solo a far vagare lo sguardo sui vampiri
che
lo
circondavano, distante. Spalancò maggiormente la bocca
allungando le zanne, poi, come per
provare ad intimorirli. Sembrava quasi incutere un referenziale timore,
in quel momento. Difatti quasi tutti indietreggiarono di poco, senza
però perderlo di
vista.
Roy perse ben presto interesse per loro,
riappuntando
l'attenzione dei suoi occhi d'onice sul volto diafano del vampiro
biondo che, fino a quel momento, non aveva praticamente aperto
bocca. Era solo rimasto ad osservarlo con quelle due perle d'ambra
imperscrutabili.
Edward alzò di poco una mano
come per interrompere la nuova
avanzata
degli altri vampiri, continuando a fissare gli abissi oscuri del moro
prima di stirare le labbra in un sorriso, a metà tra l'amaro
e
il sarcastico.
«Ti
consiglio vivamente di lasciarmi, Roy», gli disse con voce
pacata
e calma, ma quelle parole e quel sorriso ebbero solo l'effetto
contrario. Venne maggiormente issato da terra, quasi ad
osservare il moro
dall'alto. Il ringhio che vibrava nella sua gola si
accentuò, divenendo
assordante.
«Spiegami
che cosa mi sta succedendo!» esclamò in un impeto
violento. «Spiegamelo,
maledizione!»
Lo scosse con forza, quasi volesse costringerlo a parlare. Quando fu
sul punto d'attaccarlo, però, altre mani lo
strattonarono malamente all'indietro, costringendolo stavolta ad
allentare la presa al collo del biondo, che ricadde a terra in
ginocchio.
«Mo
bhràthair!»
lo soccorse subito Alphonse, chinandosi su di lui per
aiutarlo ad alzarsi, ma fu delicatamente allontanato da una mano di
lui, che sembrava un po' respirare a fatica. Si portò
l'altra al
collo, dove si potevano vagamente
scorgere i segni d'ustioni. Il corpo lo sentiva riarso,
inaridito. Gli occhi, divenuti parzialmente scuri, si appuntarono prima
sul volto
preoccupato del fratello che osservava la pelle della sua gola, poi su
quello del moro, preso di mira dagli altri vampiri
lì presenti.
Quello che accade poi fu confuso. Tra
loro e Roy iniziò una battaglia fatta di zanne e
artigli; uno dei vampiri s'avventò in un moto famelico
contro di lui,
riuscendo ad artigliargli la schiena prima di provare a colpirlo anche
al petto, forse nel tentativo di strappargli il cuore. Con
un
balzo felino, però, il moro schivò il colpo,
atterrandolo,
per poi issarlo di peso e scaraventarlo con inaudita forza al di
là
della vasta sala, facendo lo stesso con altri due o tre vampiri,
perfettamente consci che lui fosse in preda ad una furia omicida e
incontrollata. Ringhiò ancora una volta facendo scattare lo
sguardo
dall'altro
lato della sala, nel fugace tentativo di capire in quanti erano
rimasti.
Non perse altro tempo a rifletterci;
fece un salto all'indietro venendo
però colpito ad un fianco prima di avventarsi poi contro la
gola
di uno e
squarciargliela quasi voracemente, sentendo il sangue colargli
abbondantemente lungo il collo. Se lo ripulì con la manica
della camicia leccandoselo poi
via
dalle labbra, tornando rapido all'attacco nel tentativo di prendere di
mira Edward, ancora in ginocchio accanto al fratello minore. Fletté
il corpo spiccando un balzo nella sua direzione, venendo
però
bloccato da un altro vampiro che gli artigliò le spalle. Si
divincolò come poté, colpendolo ad un braccio,
facendo
lo stesso con un altro che si era appena slanciato verso di lui
centrando l'addome, quasi esportandogli gli organi interni per
la
furia dell'attacco. Lanciò un'occhiata al viso di marmo
registrando le punte dei
suoi canini
scintillare per un attimo, prima che scomparisse nuovamente
in quell'Inferno.
Contro
di
lui, s'avventò la donna dagli occhi color rubino, che con
uno
scatto felino gli artigliò il petto, strappandogli un urlo
di
dolore; ma, prima che
potesse terminare la sua opera, vide quegli occhi d'onice dilatarsi
appena per poi
ridursi a due fessure, e Roy fletté il corpo con un
movimento felino e
aggraziato per balzare dall'altro lato della stanza,
accovacciandosi fra una delle arcate del maniero immerso nella
penombra. Gli si lanciò contro afferrandolo per il collo,
gettandolo
nuovamente nel bel mezzo della sala, in balia dei vampiri restanti.
Quello dagli occhi ametista gli strinse le mani attorno alla gola,
inchiodandolo al pavimento. Lo osservò con un sorriso
sardonico
dipinto in volto, pronto
ad azzannarlo.
«Basta
così!»
tuonò una voce e, quasi in simultanea, ogni vampiro si
voltò nella sua direzione, interrompendo per quel breve
attimo
ogni ostilità. Gli occhi di Edward erano ardenti d'ira, e
fulminò con lo
sguardo ognuno dei presenti. Li ammonì a zanne snudate di
non
muovere un muscolo,
avanzando con la sua solita cadenza aggraziata verso il corpo del moro,
riverso a terra. A cavalcioni su di lui, si trovava il vampiro dagli
occhi ametista che
continuava a sibilare ad una spanna dal suo viso, come se si stesse
trattenendo dal morderlo.
«Lascialo, Envy»,
ordinò imperativo Edward, ottenendo però solo un
grugnito sommesso. Assottigliò lo sguardo, continuando ad
avanzare, vedendo il
moro
afferrare i polsi dell'altro per tentare di allontanare le mani dal suo
collo. Stringeva
gli occhi e boccheggiava, ma non per mancanza d'aria. Cercava di
avvicinare il viso a quello del vampiro sopra di
sé, così da poterlo attaccare con le sue zanne e
squarciargli la gola. «Lascialo»,
ripeté con voce più
gutturale. «Non
fartelo ripetere una terza volta».
Forse grazie al tono utilizzato
riuscì a farsi ubbidire,
tanto
che l'Invidia mollò la presa e si rialzò in
piedi,
togliendosi
però la soddisfazione di dare un ultimo calcio tra le
costole del moro riverso a terra prima di allontanarsi. Si
voltò verso il padrone, chinandosi a mezzo busto e
abbassando nel contempo il capo. La mano era abbandonata sul petto,
come al solito.
«Perdoni la
mia irruenza e la mia condotta, Signorino»,
s'affrettò a dire, senza alzare in nessun modo lo sguardo.
«Nella foga
del momento non...»
La frase fu troncata proprio da Edward,
che agitò distratto
una
mano come se la cosa per lui non avesse la minima importanza. Senza
dargli più peso si avvicinò ancor di
più al moro, annaspante e ferito. Il petto mostrava tre
profondi solchi che stavano guarendo con inaudita
lentezza, a differenza di quelli presenti su una spalla e dietro la
schiena. Pressoché illeso a parte qualche macchia di sangue
non suo,
il
viso mostrava una maschera vagamente sofferente e disgustata.
All'avvicinarsi del biondo alzò di poco gli occhi scuri su
di
lui, non avendo però la forza di fronteggiarlo in qualche
modo. Prima che qualcuno potesse aprir bocca si presentò, in
tutta
la
sua maestosità, il vampiro più anziano che, con i
suoi occhi
color
topazio, duri e perfetti come la pietra, sondò con lo
sguardo
ogni anfratto del salone semi distrutto. Inarcò con
scetticismo un biondo sopracciglio qualche
momento
dopo, soffermandosi di poco sul volto del figlio maggiore prima di
spostarsi su quelli degli altri vampiri lì presenti e su
quello
del figlio minore.
«Cos'è
successo qui?» domandò con blanda
curiosità,
vagamente cortese e accondiscendente, come un padre che beccava il
figlio a compiere qualche marachella.
Più d'uno sguardo si
cercò, concentrandosi poi
senza
proferir parola sulla causa di quel disastro: il moro che, incrociati a
fatica gli occhi del più anziano, sgranò per un
motivo a
lui sconosciuto i suoi. Quello sguardo distaccato e freddo, senza che
ne capisse la ragione,
sembrava tormentarlo.
In un primo momento, Roy
cercò di capire la
provenienza della
bizzarra emozione che si era impadronita del suo animo, non trovandola;
ma bastò quello sguardo ad inondarlo d'un profondo
sentimento d'ira nei confronti di quell'antico vampiro. Tutto
ciò che imperversava in lui era vago e confuso, ma fu
necessario per riaccendere l'odio sopito qualche istante prima. Qualcosa,
in quegli occhi, non lo rendeva affatto tranquillo. Si
levò un altro ringhio dalla sua gola mentre cercava di
alzarsi in piedi e di schiarire nel contempo i pensieri. Quelle polle
dorate non lo abbandonarono nemmeno per un attimo,
squadrandolo con quel cipiglio distante e superiore.
«Ci scusi
per il frastuono, mio Signore». La voce d'uno dei vampiri
presenti lo richiamò
alla
realtà, cancellandogli parzialmente quell'insano desiderio
di
vendetta che si era stranamente annidato in lui, mentre ricadeva
all'indietro sul pavimento bagnato e crepato.
«Che non
si ripeta mai più», sentì dire
dall'anziano con
voce quasi soffusa prima che abbassasse le palpebre.
Qualcuno lo issò da terra
come se fosse una piuma, e quasi
avrebbe giurato di sentire il lieve ma possente battito d'un cuore. Dei
passi veloci, uno scalpiccio insistente.
«Dove credi
di portarlo?» Ancora la voce del più antico dei
vampiri, ma in risposta si sentì un breve ringhio.
«Il suo
riposo lo attende». Una risposta sussurrata con voce
spietata, come se stesse
sfidando il suo interlocutore a contraddirlo in qualche modo.
Qualche altro passo risuonò
nel grande salone, due presenze
s'accostarono lottando. «Non
affezionarti troppo a questo
cucciolo, Edward».
Stavolta non ci fu risposta, ma solo il
rumore di stivali sul marmo.
Riecheggiarono contro le pareti di pietra quando l'aria divenne densa e
carica d'umidità, simbolo che erano scesi entrambi nei
sotterranei. Pochi istanti dopo una porta venne aperta con malagrazia,
prima che il corpo del moro venisse adagiato su una morbida
consistenza, forse
apparentemente all'interno d'un feretro o su un materasso.
Alzò debolmente le palpebre, scorgendo la sagoma sfocata del
biondo
accanto a due bare, realizzando solo in un secondo momento che una di
quelle apparteneva a lui. Era tornato al maniero, vero. Come aveva
fatto a dimenticarlo?
Con lentezza, Roy si issò a
sedere, toccandosi i tagli quasi
cicatrizzati sul suo petto, proprio nell'esatto momento il cui Edward
si voltò verso di lui. Si perse in quelle iridi color miele,
cercando di capire cosa fosse
successo. Doveva trovarsi in Chiesa, se ben ricordava. Doveva trovarsi
al villaggio. La testa gli scoppiava. Si portò la mano
insanguinata alla tempia, socchiudendo
nuovamente gli occhi. Sentì subito dopo il peso d'un altro
corpo
sul materasso,
venendo poi sfiorato da dita ghiacciate che parvero in qualche modo
calde. Una strana nostalgia lo colse, e fu quasi inconsciamente che
portò l'altra mano su quella del biondo, stringendola forte.
E
un piccolo sussulto percorse il corpo di quest'ultimo come una scossa
elettrica, quasi non s'aspettasse un simile contatto. Avrebbe tanto
voluto lasciarsi andare a quelle sensazioni umane. Avrebbe voluto
piangere, stringerlo a sé, fare mille altre
cose... ma non fece nulla. Se ne restò solo immobile in
quell'attimo d'etereo passato.
«Io
non dovrei essere qui», sussurrò il vampiro moro,
distraendolo, e appuntò l'attenzione dei suoi occhi su di
lui,
vedendolo ancora con le palpebre semi abbassate. Tremavano appena, come
le livide labbra. Gliele sfiorò gentilmente, il biondo,
sentendo
scaturire da
lui un fremito.
«Non
dovremmo esserci entrambi, mo
dubh [1]»,
mormorò a sua volta senza trattenersi, sentendosi
precipitare
addosso come un macigno la consapevolezza di quei secoli. Non ci faceva
i conti da tanto, ormai. Era strano che si ritrovasse a pensarci
proprio in quel mentre. Ricevette finalmente un'occhiata da quegli
oscuri oblii che
appartenevano al moro. Non irosa come quella che fin'ora gli aveva
rivolto. Ma spaventata, terrorizzata. Proprio come la prima volta.
«Perché
io?» chiese, il vampiro ora sostituito dal prete. «Perché
proprio io?»
Un'altra carezza gli sfiorò
il viso mentre un sospiro
aleggiava fra loro. Le labbra che osservava si sollevarono appena per
dar vita ad un
sorriso. Ma Edward non parlò. Gli scostò solo i
lunghi
capelli
scuri dalla fronte, cingendogli i fianchi con le braccia prima di
poggiare la fronte contro la sua spalla insanguinata sulla quale la
ferita era scomparsa. Inspirò a fondo il suo odore di morte
e
sangue, sentendo lui fare lo stesso. Era quel gesto a portare il nome
d'affetto? Nemmeno se lo ricordava più. Vagamente, forse, ma
non
del tutto. Cos'era però l'altro sentimento che gli stava
straziando
senza ritegno quel misero cuore immortale che possedeva? Rassomigliava
al dolore, alla tristezza, ad un qualcosa di soffocante. Nostalgia,
forse? O semplicemente amore? Dirlo sarebbe stato difficile, per uno
come lui.
Roy inspirò maggiormente
l'odore del moro, inondando a fondo le
narici dell'inebriante e peccaminoso profumo del suo sangue. Si
leccò inconsciamente le labbra, sentendo da parte
dell'altro un gemito. Il dopo fu tutto così sfocato e rapido
che quasi lo colse
alla sprovvista. Pur senza
volerlo davvero, i canini palpitarono e si allungarono,
affondando nel collo del vampiro moro, nella carne sopra l'arteria.
Cominciò a berne il sangue mentre stringeva la mano del moro
tra la sua, che si lasciava sfuggire appena qualche gemito. La strinse
ancor più forte ritrovandosi in ginocchio sul
materasso, il lenzuolo leggero che lo copriva scivolò
via cadendo sul pavimento impolverato.
Alle orecchie di Edward,
giunsero gemiti sempre più crescenti,
mentre continuava a inghiottire e deglutire quel sangue. La
necessità di nutrirsi stava però lentamente
lasciando
posto ad altro, i muscoli dell'addome presero ad attanagliarsi in
spire. Solo quando sentì un altro doloroso gemito
s'allontanò piano, sfiorando quel collo diafano macchiato di
sangue. Era sul punto di leccarlo via quando fu il moro a chinarsi
verso di
lui, facendo guizzare la lingua fra le labbra. Accarezzò con
colpetti
delicati la mascella sporca di sangue, la giugulare, succhiandogli la
pelle come un bambino che si attaccava al seno della madre.
L'espressione di Edward divenne
indecifrabile, a quelle attenzioni.
Persino quando, simile a fuoco vivo sulla sua pelle, le mani marmoree e
delicate dell'altro vampiro cominciarono a prendere in rassegna il suo
corpo non si mosse, inarcando inconsapevolmente la schiena e
abbandonandosi completamente ai suoi tocchi sempre più
insistenti. Troppo
preso da quella novità, nemmeno si accorse che le
zanne
del moro gli stavano mordicchiando piano la pelle del collo,
torturandoglielo con dolce rudezza. Come
due lame acuminate, poi, affondarono nel suo collo facendogli
sgranare gli occhi dorati. Il risucchio insistente che invase la stanza
quasi sembrò
lasciarlo senza fiato. Sempre di più, sempre più
rumoroso, come se il
moro volesse prosciugarlo.
Roy si allontanò da
lui, con il
sangue che rendeva
traslucide le sue labbra livide, scivolando lentamente lungo
il collo. E quando incontrò gli occhi del biondo
capì
ciò che aveva fatto. Un guaito gli sfuggì dalle
labbra tinte di sangue mentre
indietreggiava, impaurito e allarmato, ma Edward lo attirò
nuovamente a sé,
intrappolandolo in una stretta possessiva.
«Continui
a fuggire da ciò che sei, per questo sei tormentato»,
gli sussurrò, pacato ma con la solita cadenza
mielosa. «Basterebbe
affrontare la tua natura per porre fine una volta per tutte alla
sofferenza che senti».
Lui stesso aveva dovuto farlo secoli addietro. Vi era stato costretto.
L'altro cercò di sciogliersi
dalla presa, forse per fuggire
ancora.
«Non ne ho
il coraggio», fu la sua risposta, prima che riuscisse a
liberarsi e si alzasse in piedi. Osservò il biondo con uno
sguardo sofferente, come se
ciò lo facesse star male. Tagliare i ponti con il suo
passato equivaleva tagliare i ponti con
tutto. E, anche se una parte di lui cercava di fare in modo che non
accadesse,
certe volte non poteva assolutamente evitarlo. «Non
forzatemi più di così»,
mormorò ancora,
venendo subito interrotto prima che potesse proferire ancora parola.
«Ti disgusto?»
Una domanda posta a bruciapelo, un argomento totalmente diverso dal
precedente.
Per qualche istante il moro
sbatté le palpebre,
allontanandosi di più. Qualcosa si stava però
agitando in lui, qualcosa che non
capiva. «Dovresti...
sei un vampiro»,
rispose, come se quello spiegasse tutto.
Amaro, però, Edward
sorrise. «Anche
tu», fece ovvio, ma Roy scosse con impeto la testa,
indietreggiando ancora.
«Nay,
io non...»
«...non sai
cosa sei», concluse per lui l'altro con ovvietà.
«Smettila
di confondermi».
Edward rise sonoramente nonostante la
sua risata suonasse
aspra, arida. Come se fosse solo uno scoppio d'ilarità di
circostanza. «Stai
facendo tutto da solo», ribatté, divertito adesso
dall'espressione che si era dipinta sul volto diafano del moro. Il viso
si era contratto in una smorfia mentre si intrecciava le dita
fra i capelli d'ebano.
Roy scosse ancora la testa, come se non
capisse o non se ne capacitasse. «Non dovevo
tornare qui», mormorò, più rivolto a se
stesso che a terzi. «Sarei
dovuto restare al villaggio... Maes doveva uccidermi».
Un'espressione trionfante comparve sul
volto di Edward, a quella
confessione. Si alzò a sua volta, avvicinandosi a passi
felpati. «Ora
capisco», disse, enfatizzando ogni parola. «Sei
il prete, adesso»,
asserì, ricevendo uno sguardo velato e spento.
«Non so di
cosa parli».
«Och, lo
sai
bene, invece», riprese
gorgogliante. «Colui
che cerco è davvero lì... ma sei tu ad
ostacolarlo con la tua presenza e la tua fede».
«Cosa
stai...» Non poté concludere la frase che le
labbra del
vampiro
bloccarono le sue. Sgranando gli occhi tentò di
allontanarsi, ma
gli fu
impedito. Quel bacio divenne ben presto un qualcosa di furente e
passionale, uno
scambio di morsi sanguinosi e zanne acuminate finché,
consumato
in quel lasso di tempo quell'attimo di lussuria, si divisero
guardandosi entrambi negli occhi. Il moro distolse i suoi, sentendo un
qualcosa attanagliargli il petto. Ma l'altro lo costrinse ad alzare il
viso, sorridendogli.
«Non
temere, mo
brèagha dubh [2]».
Un sussurro, il suo, prima che lascivo gli accarezzasse il viso. «Ci
vendicheremo».
ATTO DECIMO. FINE
[1]
Moro (Nero) mio
[ Gaelico scozzese ]
[2] Mio bellissimo
moro [
Gaelico scozzese ]
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