smithsfanfiction
Direi
che qualche precisazione è doverosa. Ho cercato di scrivere una
song fiction utilizzando le citazioni del testo come filo conduttore
per fare interagire Sirius e Remus, e invece di inserirle come
citazioni in senso stretto le riadattate. E' un esperimento, eh. La
canzone è There is a light that never goes out degli Smiths. La
trovate qui. Il testo è questo.
E' un'A.U. ambientata in un
mondo in cui Remus non è un mago né un lupo mannaro.
Credo di essermi presa una sola libertà con la timeline,
spostando un anno dopo la fuga di Sirius da casa. Lo ammetto, era
necessario per i miei sordidi scopi di trama. Ma beh, immagino che il
fatto che Remus non fosse lì coi Malandrini abbia cambiato un
po' le cose, no?
there is a light that never goes out
Giugno 1977
La pioggia batteva sui
finestrini i suoi proiettili d’argento, striando il vetro opaco
di tracce traslucide come bava di lumaca. Dall’abitacolo la
città non sembrava fatta che di suoni e luci indistinte di
locali e minimarket, con l’occasionale beccheggiare della
macchina al passaggio di altri veicoli. Mentre aspettava e tamburellava
con le dita sul volante Remus aveva la curiosa sensazione di trovarsi
dentro una capsula spaziale, solo che non era affatto in una sua
capsula spaziale, era dentro la sua Zastava 101 e anche se era Giugno
faceva un freddo cane.
Un tamburellare di nocche
sul parabrezza lo strappò ai suoi pensieri; sobbalzò
così forte che per poco non gli caddero gli occhiali, col
risultato che quando aprì il finestrino gli stavano di
sghimbescio sul naso troppo lungo e ci mise un po’ a mettere a
fuoco il ragazzo fradicio che gli sorrideva al di là del vetro
appannato.
<< Go new, go
Yugo*.>> Sghignazzò il suddetto ragazzo fradicio
facendogli il saluto vulcaniano**. La pioggia gli scendeva giù
per gli zigomi alti e sul profilo stretto delle labbra, e aveva negli
occhi grigi un luccichio irresistibile.
<< Sirius, la tua
padronanza della mia cultura è- beh, in effetti è
disdicevole.>> In mancanza di aggettivi migliori, Remus si sporse
a sinistra per togliere la sicura allo sportello del passeggero.
L’altro scosse la testa. << Bagagliaio!>>
Ordinò, e prima che Remus se ne fosse reso conto lo stava
aiutando a caricare sul microscopico retro della sua macchina un enorme
baule rigido, borchiato e minaccioso che aveva tentato di pizzicargli
il sedere quando si era girato per spingerlo con la schiena. Finirono
per farcelo entrare solo dopo che Sirius si fu ricordato di un
incantesimo veramente affidabile (come ho fatto a non pensarci prima?),
e comunque erano entrambi irrimediabilmente fradici e anche la
macchina, complice il finestrino lasciato mezzo aperto, era
discretamente allagata.
Remus rientrò
nell’abitacolo come se ne andasse della sua stessa vita. Si
aggrappò all’ancora di salvezza della manovella
scricchiolante del finestrino, e solo quando si fu assicurato che
entrambi fossero salvi e all’asciutto si sentì libero di
parlare, asciugando una lente dei suoi occhiali del national health
service sul lembo fradicio del suo cardigan marrone. << Beh,
spero che tu abbia una buona ragione per avermi convocato in questa
parte della città a quest’ora. Per inciso, quello specchio
che mi hai dato è terrificante, e ho dovuto dire una bugia a mio
padre, e non so si è bevuto che il mio compagno di classe Oliver Twist
avesse bisogno di un passaggio per andare a trovare il suo gatto in
ospedale. Cristo, mi ha strizzato l’occhio. Pensa che sia andato
a fare sesso con qualche ragazza.>>
<< …Gli hai detto davvero che mi chiamo Oliver Twist?>>
<< Ho pensato fosse
più plausibile di Sirius Black.>> E poi esitò prima
di chiedere ancora, con la voce più flebile: << Allora,
questo valido motivo?>>
Sirius sfuggì alla
domanda. Impugnò la bacchetta e la puntò contro
Remus in modo che il vento caldo che produceva gli asciugasse i vestiti
e i capelli color topo, e Remus gliene fu così grato che
evitò di torchiarlo limitandosi a chiedergli: << Dove ti
porto?>>
<< Portami
fuori.>> Sorrise Sirius dirigendo il getto d’aria su di
sé. << Dove c’è musica e ci sono persone e
sono giovani e vivi.>> Remus non potè fare a meno di
provare una punta di invidia. Neanche dopo anni di allenamento sarebbe
riuscito a conservare un minimo di aplomb in una situazione del genere,
in una macchina microscopica e bagnato fino all’osso. Sirius
invece sembrava godersela, e il risultato era che come al solito era
bello come Alain Delon. Beh, a voler essere precisi era più una
versione punk di Alain Delon, che parlava come una canzone e aveva la
voce un po’ roca.
<< Agli ordini,
Spock.>> Remus alzò le spalle e lottò con la
frizione, gettandosi nel traffico alla stratosferica velocità di
quaranta chilometri all’ora. Poi, dal momento che Sirius non
diceva niente e cominciava a sentirsi un po’ strano, soggiunse:
<< A che ora devo riportarti a casa?>>
<< Oh, non ci torno
mica. Mai più.>> Rispose Sirius con il tono più
salottiero possibile, stringendosi nelle spalle larghe, e fu allora che
Remus la vide. La crepa nel suo sorriso.
Avrebbe potuto indagare
oltre, ma per qualche motivo decise di non farlo, e fissò
davanti a sé la strada nero pece che portava fuori dalla
cittadina, immergendolo anche coi finestrini chiusi nel profumo di
pioggia della campagna inglese addormentata sotto una luna piena e
bellissima.
Anche Sirius sembrava
godersi la serata. Quando aveva smesso di piovere aveva aperto un
po’ il finestrino; teneva la testa appoggiata sul vetro, e con
una mano inanellata fra i capelli guardava con le labbra tirate
qualcosa di lontanissimo e misterioso, un abisso che gli somigliava.
Sirius era sempre stato un
po’ un mistero per Remus. Non un mistero pauroso,
beninteso, ma più il genere di bel mistero che c’è
dietro la porta socchiusa di un giardino altrui. Si conoscevano da
quando avevano undici anni, eppure era convinto di non sapere poi
troppo di lui.
È strano, a undici
anni: si è troppo grandi per giocare con le macchinine, ma si
è ancora troppo piccoli per contenere tutto quello che
verrà dopo, i grandi slanci e le belle speranze e la paura,
soprattutto la paura. Per questo a undici anni si è quasi
invincibili, e per questo a undici anni, quando lo strano ragazzino che
era Sirius Black gli aveva annunciato che quell’anno avrebbe
cominciato frequentare un prestigioso istituto di magia e
stregoneria, Remus gli aveva creduto e non aveva avuto paura, nemmeno
quando Sirius gli aveva fatto vedere come riusciva a saltare
un’intera rampa di scale senza farsi male, semplicemente
levitando verso la fine. La mamma di Sirius però sì che
gli faceva paura, e aveva imparato a tenersene a distanza quando la
vedeva, il che di solito accadeva quando scopriva che Sirius era
sgattaiolato via di casa (e lo scopriva sempre) e se lo portava via
chissà dove, bianca e pallida e bellissima e distante.
Anche se Remus era solo un
babbano (si chiamavano così quelli senza poteri magici, gli
aveva spiegato sempre Sirius l’estate dei loro dodici anni) era
molto curioso, e anche coraggioso. Avevano passato sere infinite
d’estate a scappare di casa per ritrovarsi in qualche posto
segreto e parlare e parlare e bere l’occasionale pinta di birra.
Remus si era persino adattato sorprendentemente bene a intercettare i
gufi di Sirius senza farsi beccare a morte. Questo naturalmente
finché l’estate prima non aveva ricevuto lo specchio
tramite cui quella sera Sirius l’aveva avvertito, uno specchio di
cui Sirius possedeva il gemello. Era un po’ come ricevere un
walkie-talkie, ma insomma, a quante persone capitava di ricevere il
corrispettivo magico e vagamente disneyano di un walkie-talkie? Quel
regalo aveva finito quasi irrimediabilmente per renderlo più
imbarazzato e confuso di quanto già non fosse riguardo ogni cosa
riguardasse Sirius, e non aveva mancato di portarlo alla confusione in
cui versava ultimamente, che allo stato attuale delle cose sembrava
esserglisi raggrumata tutta all'altezza della bocca dello stomaco.
<< Giusto per sapere,
hai un posto dove dormire? Perché non vorrei doverti riportare a
casa tua domattina all’alba, sai->>
<< Non voglio più tornarci a casa, Remus. Ed è casa loro, non mia. Io non sono più il benvenuto.>>
Per tutta risposta Remus emise un sospirone. << Hai un posto dove andare?>>
<< Ho James,
ovviamente, James Potter. Domani vado da James Potter. Gli ho mandato
un gufo, sai.>> Si strinse nelle spalle, e per un momento
sembrò così sperso. << Non- non che abbia veramente
idea di come. Di come…>> Non sapeva come continuare, e
così scrollò di nuovo le spalle. Remus lo imitò.
<< Senti, Remus, si può mica fumare?>>
Ridacchiò poi nervosamente, estraendo uno sgangherato pacco di
sigarette babbane da una tasca della giacca di pelle.
<< Posso forse impedirtelo?>>
<< No. No, hai
ragione.>> Replicò Sirius che già sbuffava fumo
denso dal naso e dalle labbra socchiuse.
<< Non so come siete messi voi maghi col fumo, ma sappi che per la salute di noi babbani è molto dannoso.>>
<< Vuoi dire che il fumo uccide e tutte quelle storie?>>
<< Letale come essere
investiti da un autobus a due piani.>> Remus ci penso un
po’ su, poi aggiunse: << Solo molto, molto
lentamente.>>
<< Beh, Remus, se
conti di farci investire da un autobus a due piani, sappi che morire al
tuo fianco sarebbe un modo celestiale di morire.>>
<< Che ne diresti di
quel camion da dieci tonnellate?>> Ghignò Remus accennando
col mento al mezzo di grossa cilindrata che procedeva verso di loro
nella corsia opposta.
<< Il piacere, il privilegio sarebbe tutto mio.>>
Remus si spinse e gli diede
un pugno sulla spalla. Dapprima ridacchiarono soltanto, scuotendo un
po’ la testa come si fa con una brutta battuta, ma poi risero e
risero sempre più fragorosamente, come un’onda che montava
di intensità prima di infrangersi sulla costa. Avevano entrambi
i loro buoni motivi per farlo, e nessuno di essi aveva a che fare con
autobus a due piani o camion da dieci tonnellate.
<< Dove vorresti andare?>>
<< Non m’importa, davvero.>>
E allora Remus guidò
e guidò finché la città non sparì dietro i
loro con le sue luci, e guidò ancora quando la notte li avvolse
come un mantello tiepido e gonfio di pioggia, e guidò
finché non seppe di non potercela più fare. Attivò
la freccia che col suo ticchettio di strano insetto li guidò a
un sottopassaggio miracolosamente all’asciutto, e accostò
con un sospiro grato.
Rimasero in silenzio per un
bel po’, con Sirius che fumava sigaretta dopo sigaretta
stravaccato sul sedile e Remus che osservava pensosamente l’aria
mobile attorno a sé, i murales rossi e neri e i vecchi manifesti
accartocciati, e la polvere e le cartacce che nemmeno il vento riusciva
a portar via.
Le gocce del diluvio di
fuori si erano fermate sul finestrino disponendosi in una catena
preziosa attorno ai tergicristalli; Remus poteva sentire le loro
strisce d’ombra rigargli il viso come una rete di fitte
cicatrici, reali come il respiro di Sirius o il cuore che gli batteva
nel petto, quasi osceno in quel silenzio ovattato. Fu per nascondere
quel fremito troppo umano che si schiarì la voce. << Vuoi
che ti accompagni da James?>> Non sapeva come rendersi utile, e
se è per questo nemmeno perché Sirius avesse chiamato
proprio lui, con tutti gli amici della sua specie che aveva. Non sapeva
come non sentirsi a disagio in una situazione del genere, e questo lo
faceva sentire perso.
Sirius scosse la testa. << Ci vado da solo, grazie. Posso smaterializzarmi adesso, sai…>>
<< Il teletrasporto e
tutti i vostri privilegi da maghi vulcaniani, certo.>> Remus
allungò la mano per rubargli la sigaretta, sperando che quel
gesto assolutamente atipico passasse inosservato. E in effetti Sirius,
malgrado i boccheggiamenti iniziali, gliela lasciò di buon grado
e se ne accese un’altra, lanciandogli di tanto in tanto, in
tralice, uno sguardo incuriosito. << Tutta invidia.>>
Ghignò. << E comunque non dovresti, perché la tua
macchina è davvero fantastica, Remie.>>
<< Orgoglio di
ingegneria yugoslava. Ammortizzatori resistenti per virili strade
esteuropee.>> Commentò Remus mettendo su un improbabile
accento simil-russo.
<< No, davvero.
È un’invenzione geniale, non so se voi babbani ve ne
accorgete. Non sai quante famiglie di maghi farebbero carte false pur
di averne una.>>
<< Non la tua famiglia, immagino.>>
<< No, loro
no.>> Sospirò Sirius, ed ecco, era fatta. Erano a quel
punto. A Remus sarebbe bastato spingere un altro po’, sporgersi
verso Sirius per guardarlo negli occhi e chiederglielo. Perché
te ne sei andato di casa? O ancora, perché hai chiamato proprio me? O con un coraggio che nemmeno si sognava di avere, ti piaccio come tu piaci a me?
Erano tutto sommato domande
legittime, perché era lui che Sirius aveva chiamato
quand’era già ora di andare a letto, e se non voleva
essere condannato al ruolo dell’autista mezzo muto per quello che
restava della notte gli conveniva parlare, togliersi il dubbio,
prendere il toro per le corna.
Sfortuna volle che Remus Lupin non fosse un matador credibile.
Prese una boccata dalla
sigaretta con la mano a coppa attorno alla bocca, l’aria fredda e
umida che entrava dal finestrino e almeno gli dava un po’ di
fiato. Si rigirò quelle domande in testa per più tempo di
quanto fosse ragionevole, o necessario, o dignitoso. Le
snocciolò una per una finché non persero completamente il
loro significato e avrebbe potuto canticchiarle come filastrocche per
bambini, Humpty-Dumpty è caduto dal muro.
Pensò distrattamente a cosa sarebbe successo se il suo, di
guscio, si fosse rotto. Sicuramente, se avesse permesso a Sirius di
crepare la sua barriera, tutti i cavalli e gli uomini del re non
sarebbero bastati per rimetterlo assieme***. Per questo stava lì
e taceva, aspirando fumo e collera; aveva preferito lasciare che quella
strana inquietudine si impadronisse di lui.
Non era come se avesse
deciso di non fare la domanda, però. Era qualcosa di diverso,
come un istinto animale che l’aveva avvertito che proprio non
poteva. L’attanagliava e lo rassicurava, e si cullava dentro quel
mostro gentile di dubbio e incertezza come una speranza. Perché
in fondo di quello si trattava, del barlume che andava mantenuto vivo
come una fiaccola antica contro tutti i rifiuti possibili. Quella luce
troppo bella e forte era anche l’ultimo rantolo della sua
infanzia, e come una nova brillava così luminosa che sembrava
impossibile potesse mai andar via (ma oh, sarebbe andata via
prestissimo, e questo se possibile la rendeva soltanto più
bella).
<< C’è
una luce che non si spegne mai.>> Balbettò nel
dormiveglia, buttando la cicca dal finestrino per sprofondare meglio
nel sedile reclinato del guidatore. Intendeva la luce che gli bruciava
dentro, ma Sirius, che non poteva saperlo e sorrideva alla sua
sinistra, pensava a quanto fosse innamorato di Remus e che
chissà, forse un giorno, quando fossero stati entrambi
più grandi, avrebbe trovato il coraggio di dirglielo.
Fuori dal finestrino le
macchine scorrevano sulla superstrada lucida e nera; la notte respirava
il suo alito fresco, e dentro una macchina in un sottopassaggio due
ragazzi dormivano.
* Go new, go Yugo
è lo slogan di una campagna pubblicitaria degli anni ‘70
per il mercato inglese della Zastava 101, una marca yugoslava di
automobili che era più conosciuta come Yugo. Adesso me la tiro,
eh. La verità è che ho fatto appassionate ricerche dopo
aver visto Nick and Norah’s infinite playlist, dove il
protagonista guida appunto una Yugo.
** Proprio quello di Spock. Non so perché Sirius dovrebbe farlo, ma suppongo fosse un grande appassionato della serie.
*** Humpty
Dumpty sat on a wall/ Humpty Dumpty had a great fall./ All the king's
horses and all the king's men/ Couldn't put Humpty together again.
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