Come
d'incanto
Come
d'incanto il mio sogno s'avvera
sento
ancora il profumo della primavera,
di
quella notte che gaia ci coccolava
e
della tua bocca io ero schiava.
Era
appena scoccata l'una di notte e non v'era anima viva nel piccolo
giardino del dojo Kinomiya.
Riviveva
quel momento in cui vide, forse per la prima volta, il vero Kei
Hiwatari mostrarsi a lei.
Era
stanco, provato dall'allenamento intensivo e dalle troppe flessione
compiute per aumentare la prestanza fisica. E a che scopo, se poi
tutta la fatica veniva ripagata con una misera stretta di mano da
parte del suo acerrimo rivale e l'amaro in bocca per la sconfitta?
Ciononostante,
Kei rispecchiava l'immagine della tranquillità, rilassato ed
intento
com'era a rimirare i cumulonembi che sicuramente avrebbero portato
una fastidiosa pioggia ed un clima afoso ed irrespirabile.
Hilary
ancora non comprendeva se ciò che le mozzava il fiato era
proprio
l'atmosfera pesante e promettente una calura micidiale e spossante,
ma sospettava che buona parte della sua agitazione fosse dovuta alla
presenza del nippo-russo.
Era
tentata di rimanere ad ammirarlo da lontano, mentre si crogiolava
sotto i raggi della pallida luna ormai completamente oscurata dai
nuvoloni grigi.
Hilary
avanzò di qualche passo sull'impalcatura di legno verso il
centro
del cortile e poggiò una mano sulla spalla muscolosa e
stranamente
afflosciata dell'argenteo.
“Non
dovresti esagerare con gli allenamenti.” lo riprese, tentando
di
nascondere quel tono premuroso che le veniva naturale.
Kei
le risolve uno sguardo assente, apparentemente privo di significato,
ma non si irritò all'udire il velato rimprovero.
“Vedrò
di non uccidermi, se ti fa stare meglio.”
La
risposta del ragazzo sorprese la giovane dagli occhi nocciola. Forse
si aspettava una scrollata di spalle o un monosillabico
“Ok.”
detto con svogliatezza da far invidia ad un bradipo.
“Sì,
sai, mi dispiacerebbe non poter sentire più la tua presenza
in casa!
Sei così di buona compagnia!” lo
schernì la giapponese, sedendosi
di fianco a lui e abbracciando le gambe al petto.
“Mi
prendi in giro?”
“Un
pochino...” ammise facendo il gesto con le dita per indicare
una
piccola quantità di sarcasmo.
“Mmh...Magari
a qualcuno mancherei.” continuò, sorprendendo la
Tachibana con la
sua intraprendenza nel mandare avanti quel discorso privo di senso.
“Tipo
a chi?” chiese sorridendo, aspettandosi qualche risposta in
stile
da vero duro del Beyblade.
Era
abituata ad avere a che fare con gente che non pensava ad altro
fuorché allo sport più in voga del momento: le
trottoline erano
prese in considerazione più delle persone stesse in quella
casa, e
ciò spesso non veniva gradito da Hilary la quale pensava ad
un tipo
specifico di sociopatia da parte dell'intera squadra.
“A
te, per esempio.” soffiò divertito, quasi fosse la
cosa più ovvia
e naturale del mondo.
L'aveva
detto con leggerezza, come se stesse solo dando voce ai pensieri
più
superficiali, ma nonostante la noncuranza con la quale Kei aveva
pronunciato tali parole, Hilary colse la palla al balzo.
“Sì,
forse hai ragione...” ammise arrossendo.
“Forse?”
calcò la mano Hiwatari.
“Senti,
è un discorso idiota e privo di logica! Lasciamo perdere, la
mia
voleva solo essere una battuta.”
“Ti
devo ricordare che l'hai iniziato tu?” sbottò Kei
in propria
difesa, accigliandosi alla reazione infastidita della Tachibana.
La
castana si ritrovò con le spalle al muro, giacché
mai si sarebbe
aspettata di essere spiazzata dall'argenteo e passare dalla parte del
torto.
Lui
stava scherzando senza malizia, mentre lei l'aveva presa sul
personale per colpa della sua insulsa cotta adolescenziale, come
l'aveva definita Takao.
“So
che stavi parlando sul serio e sei veramente preoccupata per
me.”
ruppe il silenzio Hiwatari, puntellandosi con le mani dietro la
schiena e alzando lo sguardo al cielo completamente nero.
“Mi
sembra logico.” brontolò Hilary, incrociando le
braccia al petto e
sedendosi comoda contro la colonna portante della tettoia in legno.
“Ecco
cosa mi mancherebbe di questo posto...” biascicò
con finta
indifferenza, mentre un piccolo sorriso appena abbozzato spuntava
sulle labbra fini del Dranzer blaider.
“Parli
come se stessi meditando di scomparire!” lo
rimproverò la giovane
dagli occhi color cioccolato, rivolgendogli uno sguardo speranzoso.
Kei
aggrottò le sopracciglia, preso alla sprovvista: Hilary era
riuscita
a capire le sue intenzioni da qualche frase in croce, lasciandolo
scoperto e privo di difese.
“Allora
è così...” disse la Tachibana sentendo
per un attimo la
fastidiosa sensazione di un battito mancato.
“Ti
pregherei di non farne parola con Takao.” vuotò il
sacco senza
troppi convenevoli.
La
brunetta sorrise a malincuore perché, dopotutto, Kei
Hiwatari stava
condividendo un segreto con lei e si stava fidando del fatto che
avrebbe tenuto la bocca cucita.
Non
era mai stata brava ad ascoltare la gente, ma sapeva mantenere per
sé
le chiacchiere altrui. E così avrebbe fatto per Kei,
specialmente
per lui.
“Cosa
ti mancherebbe del dojo? Sono curiosa!” si
interessò la castana,
iniziando a ciondolare avanti e indietro con la testa per tenersi
sveglia data l'ora tarda della notte.
Non
ci vollero altre parole per spiegare a cosa Kei si stesse riferendo.
A
Hilary non servì uno schema illustrato per comprendere che
il
ragazzo si stava rivolgendo proprio a lei, sorridendole quasi in modo
inquietante.
Quando
mai l'aveva visto donare un sorriso senza un valido motivo? Mai.
Forse
solo quando sfidava Takao a Beyblade ed entravano nel loro mondo a
parte riusciva ad esprimere la sua gioia con rapidi ghigni sghembi, a
volte con impercettibili risatine.
Kei
gattonò sul pavimento in steccato e raggiunse la ragazza che
sembrava aver perso ogni volontà di reagire.
Abbassò
lo sguardo imbarazzata, incapace di collegare quel sorriso alle vere
intenzioni dell'argenteo. Ma Hiwatari la obbligò a fissarlo,
alzandole delicatamente il mento verso il cielo, una vasta distesa
color ametista che oscurava il vero manto nuvoloso.
Non
fu un bacio da sogno come se lo immaginava Hilary, anzi,
risultò
bagnato e a senso unico a causa dei suoi muscoli che si rifiutavano
categoricamente di collaborare.
Si
sentiva una bambola senz'anima, svuotata di ogni volontà,
lasciata
all'infame e tremendo destino a cui la sua maledetta lingua tagliente
l'aveva condannata.
L'argenteo
si staccò mantenendo il contatto visivo con la ragazza, ma
qualcosa
sembrava averlo turbato, come se anche lui si fosse accorto della
mancanza di partecipazione da parte della castana.
“Ho
capito. Mi dispiace, non avrei dovuto prendere il sopravvento in quel
modo. Anzi, non avrei dovuto nemmeno avvicinarmi, la cosa non si
ripeterà più.” disse Kei contrito, sul
volto impressa
un'espressione delusa.
Sentì
una rinnovata sensazione di calore appropriarsi delle sue labbra
quando vide Hilary afferrargli il colletto della maglietta e
trattenerlo a sé, prendendo il controllo della situazione,
giocando
con la sua lingua, carezzandola dolcemente, assaporando quel gusto
dolce-amaro tipico di Kei.
E,
per una volta, la giapponese ringraziò la sua insonnia per
averla
fatta rimanere sveglia fino a tardi nel cuore della notte.
Come
d'incanto il respiro s'infrange:
il
tuo sguardo sgomento mentre il cielo piange
geloso
dei baci e delle parole soffiate
tra
carezze roventi e grida estasiate.
“Kei,
sta per piovere! Non dovremmo...” biascicò, non
del tutto convinta
di voler rinunciare all'occasione che sognava da una vita.
“Se
necessario, ti scalderò io, non ti preoccupare.”
rispose
accondiscendente.
“Uhn...”
fece sempre meno restia ad andarsene da quella prigione di braccia e
mani, il tocco delicato del nippo-russo avanzò lungo i
lineamenti
del suo viso.
Scese
lento, inesorabile, impietoso lungo il collo di Hilary che
tremò di
piacere quando le labbra di Kei premettero sulla sua fronte, come a
darle il bacio della buona notte.
Con
calma spietata voleva farle perdere il controllo di sé
stessa, così
attaccata alla razionalità, così apparentemente
disinteressata a
ciò che bramava nell'intimo.
Fu
con riluttanza che Hiwatari concesse a Hilary ciò che
desiderava: un
tenero bacio appena accennato, accompagnato da un audace e piccolo
morso il quale non fece altro che accrescere il desiderio dentro il
corpicino minuto steso di fianco a lui.
Aveva
sempre basato la sua vita su studi scientifici, su libri che
impartivano lezioni ed insegnamenti dettati da persone fredde e
vuote.
Hilary
aveva fatto tesoro dell'idealizzazione poetica dell'amore che aveva
diligentemente studiato dai volumi della biblioteca, aveva riposto le
speranze con tutta sé stessa in quelle logorroiche
spiegazioni da
uomini vissuti per i quali l'argomento pareva non avere più
segreti.
Ma
a quel punto, solo allora si domandò: “Ma quei deficienti
si
sono mai innamorati davvero? Hanno mai provato la passione? Hanno una
minima idea della gioia che si prova ad amare una persona ed essere
ricambiati?”.
Tutte
quelle belle parole, i sonetti, le canzoni dedicate a fantomatiche
donne -o uomini-...nulla di ciò poteva avvicinarsi solo
lontanamente
alle sensazioni che provava stando tra le braccia di quel dannato
ragazzo.
L'avrebbe
fatta impazzire, era certa, ma se intraprendere la via della
perdizione significava farlo mano nella mano con Kei
Hiwatari...diamine! Non c'avrebbe pensato su due volte a vendere
l'anima al Diavolo!
Lasciò
che l'argenteo la trasportasse in un gioco proibito fatto di baci e
fuggevoli carezze, arrivò a distendersi sopra di lei con
dolcezza
per non imprimere peso su quel corpo minuto, e con esperienza fece
scorrere due dita lungo l'addome fremente della ragazza.
Le
gocce di pioggia sorpresero entrambi, lasciando Kei sbigottito dalla
sensazione ghiacciata che l'acqua causava sulla sua pelle ardente,
facendolo rabbrividire di freddo.
“Che
hai?” domandò Hilary, notando il cambiamento di
espressione sul
volto del compagno, il quale aveva sgranato le perle viola in modo
buffo.
Scrollò
la testa, la prima pioggia lo ridestò dallo stato di trance
dovuto
alla situazione ben più assurda di come se l'era immaginata
tante
volte.
Forse
Hilary aveva ragione e avrebbero dovuto ripararsi dalle intemperie
dentro casa: l'aria fresca sul suo corpo bollente gli stava dando
alla testa.
“Dovremmo
rientrare, come hai detto tu prima...”
“Tranquillo,
se ti becchi un raffreddore puoi sempre dare la colpa a me.”
puntualizzò divertita.
“Sei
coraggiosa ad assumerti questa responsabilità! Hai pensato
alle
conseguenze?” scherzò il ragazzo fingendo un tono
minaccioso.
“Correrò
questo rischio!”
“Chissà
perché immaginavo una risposta simile.”
bofonchiò l'argenteo,
chinandosi quel che gli bastò per rubare un ennesimo bacio
alla
ragazza, riappropriandosi di ciò che gli sarebbe appartenuto
per
molto tempo.
Come
d'incanto la terra lambisce
le
membra spoglie che la pioggia ferisce,
le
tue labbra si increspano in un dolce sorriso
suggellando
quei gesti che di amore hai intriso.
Era
soggiogata dal piacere, inebriata dal profumo della pelle bronzea di
Kei, dall'odore del terriccio bagnato e del legno dell'impalcatura
umido a causa del forte acquazzone improvviso.
Hilary
sentiva il sangue ribollire dentro di sé, poiché
mai si sarebbe
aspettata di provare una così forte emozione, un'ondata di
brace
sulla sua pelle fresca resa umida dagli spruzzi della pioggia.
“Non
avrei voluto farlo in una situazione simile...”
mormorò Kei,
schiaffandosi una mano sulla fronte, rimproverandosi per aver fatto
capitolare la ragazza dai sani principi in poco tempo.
La
castana, dal canto suo, udiva le parole dell'argenteo distanti,
ovattate a causa delle catinelle e del frastuono di esse sulla
tettoia cava.
“Sembra
un ultimo gesto disperato d'addio, il mio, vero? Che cosa
patetica...” soffiò deluso il ragazzo dalle perle
ametista,
scuotendo la testa e riservando alla compagna una rapida carezza.
Intrecciò
le dita tra i capelli arruffati di Hilary, pettinandole una ciocca
ispida e sistemandogliela dietro l'orecchio.
“Perché
mai una persona che esprime i propri sentimenti dovrebbe risultare
patetica?” chiese di rimando, contrariata per
quell'improvviso
cambio di atteggiamento.
“Perché
ciò che provo non è forte abbastanza per riuscire
a trattenermi in
Giappone.” spiegò schietto.
Quella
rivelazione non ferì Hilary, anzi, la spronò a
ricorrere alle sue
poche risorse rimastegli pur di legare Kei al dojo, incatenarlo, se
necessario.
Ma
se il suo cuore la portava verso la soluzione più drastica e
impensabile, la sua coscienza, la parte di lei che non dormiva mai,
le suggerì di lasciare la questione al fato.
“Kei,
io sono innamorata, credo...” sussurrò, facendo
ricorso alla più
subdola strategia.
Hiwatari
non si sorprese di tale rivelazione, quasi sospettava che sarebbe
ricorsa all'artiglieria pesante fino a sfoderare l'arma più
micidiale.
E
lui era disposto ad accettare la sfida.
“Credi
o ne sei sicura?” la spiazzò, mettendo a
repentaglio la volontà
di ferro della castana.
“Ne
sono certa, penso...”
Non
era permesso alcun margine d'errore a quell'affermazione e Kei lo
sapeva bene che il suo compito era di far sparire ogni ombra di
dubbio dall'espressione confusa della compagna.
All'argenteo
non servivano parole, era sempre stato abituato ad agire, a far
valere le proprie idee con fatti concreti, risultati classificabili
con parametri di misura precisi, macchinatori.
Farsi
prendere dall'entusiasmo sarebbe stata una mossa da sciocchi.
Lasciarsi
andare al sentimentalismo equivaleva ad un passo falso.
Ma
guardando negli occhi di Hilary vide la determinazione che cercava,
quella che la ragazza non era in grado di esternare a causa dei suoi
blocchi da adolescente complessata.
Forse,
per lei, avrebbe fatto un'eccezione, sgarrando dal suo rigido stile
di vita.
A
Hiwatari risultò perfino tenera l'espressione di sgomento
quando
egli si avvicinò repentino alla bocca della nipponica,
appropriandosi per la seconda volta delle sue labbra, baciandola e
stringendola a sé.
Mantenendo
l'intenso contatto, la fece sdraiare sul compensato in legno e le
sbottonò la maglietta del completo da notte.
“Kei?”
lo chiamò Hilary in preda alla sua prima crisi d'ansia da
prestazione.
L'argenteo
posò lo sguardo su quello color cioccolato della compagna,
smettendo
per un attimo di assaporare il gusto speziato della pelle della
giapponese.
“Non
ti preoccupare, ci sono io.” sussurrò poggiandole
la fronte contro
la sua e premendo il naso su quello leggermente all'insù
della
Tachibana.
Erano
bastate quelle misere parole a far perdere anni di vita alla
sventurata ragazza che aveva avuto la sfortuna di innamorarsi di Kei
Hiwatari.
Sembrava
una frase costruita appositamente per momenti simili, eppure lei
sentiva che era sincero, che avrebbe potuto contare sul nippo-russo.
In
qualche modo, le parole pronunciate dall'argenteo le avevano dato
modo di fidarsi e di lasciarsi guidare senza più un minimo
di
esitazione.
I
vestiti si persero nell'oscurità del soppalco del giardino
di casa
Kinomiya: l'imbarazzo iniziale dovuto al senso del pudore da parte di
Hilary svanì quando si rese conto di essere avvolta
dall'oscurità.
La faceva sentire al sicuro, il buio notturno, tanto da non rendersi
conto che Hiwatari le aveva delicatamente chiuso le palpebre con due
dita.
“Chiudi
gli occhi...” le sussurrò accondiscendente,
accorgendosi dello
stato d'animo della giovane.
L'argenteo
si chinò sulla giapponese, stando attento a non tirarle i
capelli o
a schiacciarla con il suo peso; si concesse così alla
lussuria di
baci meno casti dei primi, più profondi, spingendosi verso
le parti
più sensibili della ragazza la quale gemette di piacere.
Giocò
audacemente con la sua femminilità per farla impazzire,
prima di
condannarla ad un'atroce esperienza di dolore e godimento reciproco.
Kei
baciò la castana per l'ultima volta, mentre con una leggera
e
difficoltosa spinta entrò in lei, sentendo i muscoli tesi
del bacino
della ragazza contrarsi fino allo stremo per via del malessere
fisico.
Hilary
pianse.
Pianse
perché il dolore stava dilagando dentro di sé,
strappandole versi
inconsulti di sofferenza.
Pianse
di gioia quando sentì sussurrare intensamente il suo nome
come solo
un'amante era in grado di pronunciarlo.
Pianse
perché stava facendo l'amore, e tanto bastava a spiegare la
sua
felicità.
La
preoccupazione di essere uditi dagli altri coinquilini si
annullò
quando iniziarono ad avere difficoltà a sentire le loro
stesse
parole a causa del fragore dell'acqua.
La
pioggia si infrangeva impetuosa sulla tettoia producendo un rumore
quasi armonico, scandendo il tempo del respiro affannato di Kei e del
cuore pulsante di Hilary.
Il
tempo trascorreva lento, il fiato caldo dell'argenteo le annebbiava i
sensi; sentiva il suo profumo ormai parte integrante di lei, di ogni
lembo di pelle che lui aveva anche solo sfiorato.
“Non
te ne andare...” mormorò così
sommessamente che la sua voce
sembrò un semplice rantolo attutito dalle catinelle.
Guardò
dritto nelle perle viola nelle quali si perdeva spesso e volentieri:
vi vide determinazione e tristezza, e per qualche ed ignota ragione
seppe con certezza che quello non era un addio.
Non
fu il flebile sorriso di Kei a rassicurarla di quella silenziosa
promessa.
Non
fu nemmeno grazie al piccolo bacio a fior di labbra che si
assopì
come una bambina, inerme tra le braccia del compagno.
Le
sue speranze erano riposte in quelle iridi viola, imperscrutabili, ma
altrettanto veritiere.
Fu
l'ultima cosa che vide, e l'unica cosa che ricordava con precisione,
il cielo color ametista appartenente a Kei, prima di sentire uno
strano torpore appropriarsi del suo corpo. Prima che una fitta nebbia
invadesse la sua mente.
Come
d'incanto tutto sbiadisce,
un
ricordo lontano il vuoto ghermisce.
Solo
il tuo odore mi è famigliare
legato
a pensieri che fan sospirare.
Hilary
dischiuse le palpebre, e ancora assonnata si rese conto pian piano
che un sorriso felice le solcava le labbra sottili e rosee.
Voltò
lo sguardo trepidante, come a voler assicurarsi di non essere preda
di qualche incubo, e lo vide.
Trovò
il giovane uomo voltato sul fianco che le dava la schiena. Le spalle
muscolose rilassate, evidente segno che aveva abbassato ogni difesa
verso il mondo esterno; i capelli neri erano attaccati alla nuca,
ancora schiacciati dalla piega assunta a causa del cuscino.
Non
le servì assicurarsi dell'identità del compagno;
il suo
inconfondibile profumo primaverile la lasciò interdetta,
incapace
ancora di realizzare, nonostante fossero passati tre lunghi anni da
quella notte.
Aveva
atteso a lungo, ma la muta promessa era stata mantenuta.
Continuare
a ricordare era ciò che la rendeva più contenta,
le faceva iniziare
bene la giornata e non si stancava mai di quel sogno ormai consunto,
perché semplicemente adorava vivere nel passato mantenendosi
aggrappata al presente. A volte si prendeva indietro, ritornando alla
notte di passione e di amore sfrenato di anni prima.
Forse
per paura di essere abbandonata, o più semplicemente
perché aveva
timore di non poter essere più amata tanto intensamente.
Ma
lui
era
lì, accanto a lei. Le sarebbe appartenuta per sempre.
E
questo a Hilary bastava per ritornare a gioire del presente.
Apro
gli occhi e ancora le vedo:
perle
viola a cui docile cedo.
Volto
lo sguardo e lo
osservo sopito,
e
come d'incanto tu sei svanito.
Angolo
dell'autrice
ò.o...non
scriverò mai più una cosa simile! Mai
più! >.< Sia ben
chiaro! E' stato difficoltoso come un parto gemellare
ç__ç Ok, ho
esagerato un tantino u.u”
Comunque
sia, non vi aspettate altre fanfiction ultra-sentimentali da me
ò.o
Ho
cambiato completamente la shot che volevo utilizzare per la
“sfida”
tra me ed Iria, anche se non ho cancellato l'altra storia. La
pubblicherò più avanti, magari O.o
Questa
è la fanfiction ufficiale V.V Per chi non lo sapesse, Iria
ha
proposto una sfida per migliorarci, per provare qualche genere nuovo
e utilizzare dei personaggi e dei generi a noi ostici che,
personalmente, mi hanno messa in seria difficoltà XD
Dopo varie
accuse e tanti dubbi sul fatto di poter rendere sterile questo
pairing per una storia simile, ve la propongo ugualmente ù.u
Mi
sono voluta mettere alla prova dopo aver sentito le parole di Ika
riguardo al fatto che un disegnatore è tale in quanto si sa
destreggiare anche in campi a lui non consoni. Ho applicato la
“teoria di Dreven” alla scrittura e direi che le
Lime KeiHila
ultrasentimentali sono esattamente ciò che per me si
discosta di più
dalla normalità, anche dal punto di vista della trama e dei
personaggi in sé.
La
fanfic la colloco precisamente in un punto della terza serie, ossia
quando Kei decide di seguire i NeoBorg in occasione del nuovo torneo
mondiale di BeyBlade. Ecco spiegato il motivo della partenza di
Hiwatari dal Giappone >.<
La
poesia fa riferimento ad un ricordo di Hilary che condivide con Kei,
lei si sveglia da questo sogno/ricordo così vivido, per
tornare alla
realtà quotidiana insieme al suo fidanzato ritornato dalla
Russia.
Orbene,
che mi manca da dire? O.O Ah, già ù.u avevo
promesso a me stessa e
a tante altre che non avrei mai, dico mai scritto una Lemon/Lime su
questa coppia =.=” la mia coerenza fa paura ai sassi, ma
abbiate
pietà X°°D
Concludo
così la mia lunga spiegazione a questa shot che spero sia
stata di
vostro gradimento V.V
Fatemi
sapere in tanti cosa ne pensate ^.-
Vostra,
Nena Hyuga ^-^
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