Saint Warbler
Ad ogni fringuello la tradizione affida un uccello canterino.
E ora, Pavarotti era scomparso.
Appese la sciarpa candida dietro alla porta sospirando andando poi a
sedersi sul letto.
Prese a togliersi le scarpe quando si accorse di qualcosa di diverso,
di qualcosa che mancava, qualcosa di molto importante.
Alzò lo sguardo verso la gabbietta poggiata su di un puff
vicino
al suo specchio dove ogni sera si spalmava le varie creme sul volto.
Non c'era.
Si alzò di scatto andando a scuotere la gabbia per essere
sicuro
di non trovare la carcassa, si guardò attorno smarrito, ma
lui
era scomparso.
Pavarotti non c'era più.
Posò distrattamente la gabbietta lì dove l'aveva
presa,
portandosi una mano sul volto, quando notò un foglietto nero
attaccato alla specchiera.
Si avvicinò.
-il tuo uccello
è al sicuro, per ora, hai ventiquattro ore prima che muoia
della morte più tragica che esista.
Panico,
Kurt cadde nel panico passando più volte gli occhi dal
foglio alla gabbia capendo di aver bisogno di stendersi.
Tornò sul letto stendendosi qualche secondo e deglutendo
più volte.
Guardò il soffitto sul suo letto a baldacchino con le
coperte beige e grigie.
Ed ecco un altro bigliettino che si staccò e cadde
lentamente sul suo naso.
-non è un
sogno, è successo davvero, ti conviene uscire velocemente da
casa e cercarlo.
Deglutì
sonoramente guardando l'orologio, erano le cinque in punto, e
se
era tutto vero, doveva muoversi ed uscire di casa per cercare
Pavarotti, sapeva che non sarebbe stato impossibile, sapeva che
sarebbero comparsi tanti altri di quei biglietti.
Che illuso.
La casa era vuota, suo padre non c'era, Carole e Finn nemmeno.
Preparò una tracolla con dei salatini, dell'acqua e il
cellulare aprendo con decisione la porta.
Fu colto alla sprovvista da un raggio di luce che lo
catapultò via, forse in un'altra dimensione.
Un bambino, c'era un bambino con una strana tenuta da allenamento che
stava prendendo a pugni una roccia.
"Scusa, che posto è questo?" si avvicino al ragazzino con
molta
poca cautela e questo iniziò a cantargli in una lingua a lui
sconosciuta.
Aveva una voce abbastanza melodiosa e calda, certo, non era niente a
suo confronto.
"Siamo in Grecia" il ragazzino buttò fuori prima di correre
via sparendo tra lo sfondo roccioso.
Rimase fermo lì a contemplare la situazione, ma ecco che
vide
poco dopo un'imponente torre marmorea affiancata da una collina su cui
era disposta la statua di un enorme uccello.
Per arrivare alla statua, e a quello che sembrava un santuario -posto
alla sua immediata destra- si doveva percorrere un'enorme scalinata, e
questa era interrotta in modo misurato da piccoli templi.
Lo sapeva, sapeva che doveva arrivare fino al santuario, era il legame
tra lui e Pavarotti a dirglielo.
Non appena arrivato ai piedi della scalinata sospirò
stringendo i pugni e salendo, un gradino alla volta.
Era arrivato davanti al primo tempio.
E come posò il primo piede sul suolo di quest'ultimo i suoi
abiti cambiarono improvvisamente.
Non indossava più il suo pantalone bianco e la giacchetta
blu come la notte.
Le sue scarpe erano bianche, e al collo portava delle chiavi.
Un pantalone scuro, e una camicia del medesimo colore, con l'aggiunta
di un giacchino sbracciato grigio e una cintura.
Era tutto buio, ma una cosa brillava tra le colonne di quel
posto che da dentro sembrava immensamente più grande.
"Vieni avanti ragazzo che cerchi la voce perduta"
Bene, spero tanto che come prologo vi abbia... incuriosito
ecco, e che in linea generale abbia fatto sorgere in voi la domanda
"come andrà a finire?" quindi... alla prossima, si!
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