Il Pirata di Sua Maestà
Scritta da Eternal Fantasy
§Lungo è stato il mio sonno colmo di sogni… presente, passato e futuro
si mescolano nelle acque del mio mare… sempre uguali nel loro eterno scorrere,
tempo e acqua ondeggiano sereni, indifferenti alle azioni e ai desideri dei viventi,
cullandomi dolcemente nel loro abbraccio; i pacifici abissi mi cantano la loro
immutabile ninnananna.
Eppure oggi c’è una nota diversa nel coro…
Io, Regina del Mare, col quale condivido l’Essenza più vera, posso
avvertire un fremito di gioia nelle correnti… l’attesa esultante per qualcuno
che presto arriverà. Il Tempo spalanca di fronte a me le porte del futuro, e la
mia Vista si specchia in occhi verdazzurri come le acque cristalline delle
isole tropicali…§
Dolphin Deep Sea sorrise nel dormiveglia…
una carezza di misteriosa allegria, che non svanì dal suo volto enigmatico
quando, per la prima volta dalla fine della Kouma Sensou duecento anni prima, riaprì
le palpebre diafane. Le sue iridi scure come gli Abissi si contrassero
leggermente alla tenue luce soffusa nella Sala del Trono del suo Palazzo sul
fondale del Mare dei Demoni. L’istante successivo, ai piedi del mirabile seggio
di madreperla comparvero inginocchiati Nerea e Poseidon, rispettivamente
General e Priest suoi diretti servitori.
Alla Dark Lady non servivano
parole per comunicare la propria volontà; ad un suo cenno la corrente marina di
Nord-Ovest fu inviata a convocare colui che, fra gli Otto Capitani, la
presiedeva. Pochi attimi dopo, il Demone Maggiore Ichtus comparve al suo
cospetto. Vestito impeccabilmente con l’uniforme ufficiale, appariva come un
guerriero dall’aspetto severo, alto e robusto con corti capelli blu rigorosamente
tagliati a spazzola; si esibì in un inchino militare perfetto, e si pose
sull’attenti in attesa di ordini.
Dolphin rivolse verso di lui il
suo sorriso sibillino:
“Le mie felicitazioni, Capitano.”
L’interpellato, non sapendo come rispondere
alle spesso inesplicabili sentenze della sua Sovrana, si limitò a un neutro:
“Mia Signora.”, vagamente interrogativo.
Ella sembrò divertita, per
ragioni note solo a lei stessa, dall’atteggiamento compassato del proprio
subordinato: “Mio fedele Ichtus, presto tu e la tua nobile compagna darete alla
luce il vostro unico figlio ed erede.”
A quelle parole, il guerriero
s’inchinò profondamente e con voce che non celava del tutto l’emozione, replicò
riconoscente: “I Vostri occhi vedono sempre più lontano di chiunque altro, Mia
Regina.”
Dolphin fece un cenno a Poseidon:
tra le mani del Priest comparve un piccolo scrigno, ed egli ne estrasse
un’ocarina. Si trattava di uno strumento di straordinaria bellezza, ricavato da
una conchiglia meravigliosamente lavorata, decorata con raffinate volute
azzurre che la impreziosivano come un ricamo di onde marine.
“Consegnerai quest’ocarina a tuo
figlio. È il dono che io gli faccio; e un giorno lui la suonerà per me. Fino ad
allora, abbi cura di lui.” la sua
voce cantilenò misteriosa le ultime parole.
Poi il suo sguardo si rivolse al
Generale Nerea e gentilmente le ordinò di collaborare all’istruzione e
all’addestramento del neonato Mazoku:
“Leviathan; questa sarà la sua natura e il suo nome.”
Lo sguardo della Kai-Ou si perse
in lontananza nel vuoto e nel tempo; poi le sue lunghe ciglia delicatamente
arcuate scesero di nuovo a celare i suoi occhi abissali.
Il tempo non ha significato per
le creature che ad esso non sono soggette. Questo è vero in special modo per i
Demoni del Mare: immersi nel loro Regno sottomarino, noncuranti di ogni evento
che avvenisse sulle terre emerse da dopo la fine della Guerra, non
s’interessavano di cose umane tanto futili come il tener conto degli anni.
Per questo motivo neppure il
nobile Ichtus, Capitano della Rotta di Nord-Ovest del Mare dei Demoni, avrebbe
potuto dire con certezza quanto tempo fosse trascorso dal suo colloquio con la
Dark Lady, nel momento in cui decise di condividere le proprie angosce con il
Generale Nerea: colei che sicuramente meglio di tutti poteva comprenderne la causa…
dato che ne era l’insegnante.
Nerea infatti non appena lo vide
non poté che fare un profondo sospiro di comprensione; posò una mano amica
sulla spalla del guerriero, che dalla sua espressione in quel momento pareva
aver perso ingloriosamente una battaglia.
“Cos’ha combinato Leviathan, oggi?”
ripeté stancamente l’ormai abituale ritornello. “Oltre ad aver saltato le
lezioni per l’ennesima volta, intendo dire.”
Il viso di Ichtus riprese un po’
di vitalità grazie all’indignazione e alla collera: “Quell’incorreggibile
teppista è andato di nuovo in superficie! Non solo! Ha partecipato a una rissa
con chissà quale creatura terrestre! Cosa farà la prossima volta? S’intratterrà
con degli… esseri umani?!” sputò le
parole come disgustato dal loro sapore. Poi il senso di sconfitta ebbe di nuovo
la meglio: la terribile sensazione di aver fallito il proprio dovere come padre
e come servitore della propria Regina.
“Perché quello scapestrato di mio
figlio non può essere un tranquillo, disciplinato Demone del Mare? Come potrà
prendere il mio posto un giorno?” gridò, quasi sull’orlo dell’esasperazione.
Nerea cercò di consolarlo; avendo
addestrato il giovanissimo mazoku, aveva avuto modo di conoscere il suo
carattere irrequieto, ribelle ed anticonformista fino all’eccesso. Pensò che
forse Lady Dolphin aveva assegnato loro un compito impossibile… ma, aggiunse
rassegnata, molto probabilmente la loro Signora aveva già previsto tutto.
“Dove si trova ora, quell’incosciente?”
“Non ne ho idea, sono venuto da
te proprio per sapere se l’avevi visto. Dalla nostra ultima discussione, non è
più tornato a casa.” Ichtus cercava di mantenere un tono duro e indifferente,
ma Nerea non si fece ingannare: il suo vecchio amico era molto preoccupato per
quel maremoto vagante del figlio…
“Ci penso io; può ignorare i
richiami di suo padre, ma non quelli del suo Generale.” E tra sé dovette
aggiungere: -Per fortuna; altrimenti non
sarei mai riuscita a tenerlo fermo abbastanza da insegnargli qualcosa!-
Nerea inviò quindi una categorica
convocazione che corse fulminea portata dalle correnti; un attimo dopo, Leviathan
comparve davanti a loro con un sorriso smagliante:
“Ciao, papi!”
…e Ichtus stramazzò al suolo
svenuto.
I folti capelli azzurro intenso di
Leviathan erano stati tagliati cortissimi ai lati della testa per far risaltare
al centro quelli un poco più lunghi, pettinati a rovescio verso la fronte, dritti
in una bassa cresta; sulla nuca invece la fluente chioma scendeva in una
lunghissima coda fino alle caviglie nude. Qualche ciuffo azzurro gli ombreggiava
gli occhi verde acqua, ridenti e vivaci, con un piercing che faceva bella
mostra di sé sul sopracciglio sinistro. Il braccio e la metà destra del viso erano
ricoperti da fitte volute di tatuaggi blu che spiccavano sulla lucida pelle bronzea,
le minutissime squame che la ricoprivano scintillanti di riflessi quasi metallici.
L’abbigliamento era quanto di più
insolito fosse mai stato visto persino nel fantasioso clan Deep Sea: una canottiera
in rete da pesca blu parzialmente coperta da un giubbotto senza maniche in
pelle di pesce azzurro iridescente e un paio di pantaloni nello stesso
materiale tagliati sotto il ginocchio. Una stringa di cuoio tracciava tre giri
attorno al suo collo, reggendo alcuni lunghi denti di barracuda; al polso portava
un braccialetto di piccole conchiglie e sassolini colorati, di certo opera sua.
Una cintura di alghe verdi intrecciate reggeva un affilatissimo coltello da
pesca dalla lama seghettata e l’inseparabile ocarina.
Nerea dovette ammettere con se
stessa che il cucciolo di leviatano tutto pinne e ossa di un tempo era giunto al
pieno sviluppo, diventando proprio un bel ragazzo, slanciato e muscoloso,
persino affascinante in quel suo modo un po’ scapigliato e selvaggio. Non
riuscendo ad essere arrabbiata con lui, suggerì al suo allievo prediletto:
“Personalmente mi piace molto il
tuo nuovo stile, ma è meglio che scappi da qualche parte prima che tuo padre
riprenda i sensi; e restaci finché non avrà metabolizzato la sorpresa,
altrimenti rischi di essere messo in punizione per i prossimi… due-tremila
anni!”
Il sorriso canagliesco di
Leviathan dichiarava che *quello* era proprio l’effetto che aveva voluto fare
al severo genitore, ma ammiccò con gratitudine alla sua maestra e s’affrettò a
seguire il buon consiglio, nuotando via rapido come un lampo ridendo a
crepapelle.
Leviathan sapeva benissimo dove
il suo irato ‘paparino’ non sarebbe mai andato a cercarlo: la superficie. Il
mondo oltre il Confine della sua liquida patria esercitava un enorme fascino su
di lui; e il fatto che tutti gli altri suoi simili a malapena ne considerassero
l’esistenza lo rendeva ancor più desideroso di conoscerlo.
Quel che nessuno sapeva era che
lui si era già avvicinato più volte agli esseri umani: seguiva le navi lungo le
coste, entrava nei porti e dalle acque spiava la vita degli abitanti della
terraferma. Aveva imparato molto su di loro; la cosa che l’aveva colpito di più
era il grande valore che gli uomini attribuivano a metalli come l’oro e
l’argento, alle gemme e agli oggetti molto decorati: alcuni bellissimi, altri brutti,
altri talmente elaborati da essere irriconoscibili; alla fine giunse alla
conclusione che per loro le cose fossero più preziose, quanto più erano
inutili.
Ciò lo divertì moltissimo. E
ancora più divertente era vedere come quei terricoli si agitassero, si
preoccupassero e lottassero con tutte le proprie forze per impossessarsi di
quelle cose. Questo fatto gli ispirò la decisione che avrebbe segnato il resto
della sua immortale esistenza:
“Se questo gioco a loro piace
tanto, vi parteciperò anch’io! Diventerò un Pirata! Troverò una nave, solcherò il mare sopra le onde e conquisterò
tutti i tesori del mondo! Sarò il più grande filibustiere di tutti i tempi!”
Di Leviathan si potevano dire
tante cose, ma non che quando prendeva una risoluzione non la portasse a
termine fino in fondo. Quindi nuotò verso il mare aperto alla ricerca di una
nave che facesse al caso suo; una volta gli era già capitato di notare un
veliero di suo gusto: uno snello tre alberi appartenente alla Marina
dell’Alleanza degli Stati Costieri, dalle linee semplici ma eleganti, molto
maneggevole e in grado di raggiungere notevoli velocità. Individuata dunque la
sua preda, si mise deciso in caccia.
La localizzò mentre esplorava le
calde acque del Sud. La Crusade (se
questo nome non vi suggerisce nulla, date un’occhiata all’inizio della mia
fanfiction “La stirpe del Lupo” ^_= NdA) navigava ignara di tutto a poche
miglia dalle coste di un’isola sconosciuta ai mortali ma nota tra i Mazoku come
Wolf Pack Island. Tale vicinanza al Confine con il territorio della Beastmaster
rappresentò solo un’ulteriore sfida per il temerario Demone del Mare, nonché un
motivo in più per compiere bene e in fretta il proprio progetto.
Era ormai sera, e la notte
tropicale calò con la consueta rapidità; l’oscurità che accecava gli uomini non
era di alcun disturbo agli occhi di Leviathan, abituati al buio delle fosse
marine, che ora scintillavano di fosforescenti bagliori a pelo dell’acqua, le
pupille sottili fisse sul veliero quasi immobile sulla superficie in bonaccia.
Nuotò verso lo scafo senza alcun
rumore, scivolando nell’acqua che si apriva a lui, complice compiacente.
Avrebbe voluto compiere un arrembaggio in grande stile, ma dato che il suo
obiettivo era la nave, intendeva arrecarle meno danni possibile. I suoi piedi
nudi atterrarono sul ponte di legno, percependone ogni fibra, ascoltandone ogni
scricchiolio. Conquistandolo per sé ad ogni passo.
Scivolò silenzioso come un filo
d’acqua fin dietro le sentinelle poste di guardia a prua; il suo coltello
recise le loro gole prima ancora che potessero accorgersi della sua presenza.
Uno stentoreo grido dall’alto,
inaspettatamente, diede l’allarme: Lev sollevò lo sguardo verso la coffa, da
dove la vedetta, volgendo per caso lo sguardo verso il basso, s’era accorta del
suo operato. In men che non si dica il ponte superiore brulicò di marinai
armati. Il Demone sogghignò tra sé: volevano rendergli le cose difficili?
Peggio per loro.
Tra le sue mani si materializzò un
arpione d’orialchon, la lama finemente lavorata e affilatissima dalla
seghettatura micidiale. Il primo lancio attraversò la nave da un capo
all’altro, e trapassò il petto del comandante inchiodandolo alla porta della
sua cabina. Dopo di che, Leviathan si lanciò all’attacco verso la prima linea
di assalitori… saltandola con un balzo, e piombando tra le retrovie cominciando
a far strage tra i marinai disorganizzati, favorito dalla sua inumana forza,
velocità e tecnica. Nessuno di quegli uomini poteva resistere all’imperversare
di quel ciclone marino, che si spostava rapido e turbinoso come le più spaventose
tempeste, spezzando arti, balzando agilmente da un pennone all’altro come se
fossero trampolini, scaraventando in pasto ai pesci gli sventurati gabbieri
mentre ondeggiava tra una sartia e l’altra come un miracoloso funambolo.
Giunto alla coffa, regalò il suo
sorriso più piratesco alla vedetta, che scambiando il contorcersi dei tatuaggi
sul suo volto come una maschera di morte, decise di buttarsi di sotto di sua
spontanea iniziativa. Lev rise e saltò a sua volta, riatterrando a poppa;
recuperò il suo arpione, incastrato nel cadavere dell’ex-comandante, ma
l’estrazione gli causò un attimo di distrazione fatale: il primo ufficiale
vibrò un fendente che tagliò in due il busto del demone.
Lev spalancò gli occhi
stupefatto… e il suo corpo tranciato a metà si tramutò in acqua, che si riversò
sulle assi del ponte. L’ufficiale, cinereo in volto, abbassò la sciabola ancora
tremante; cercò di riacquistare il controllo e si volse a dare istruzioni
all’equipaggio: ignaro che, dalla pozza di acqua salata alle sue spalle, un
istante dopo riemerse il Demone del Mare, perfettamente illeso e con un ghigno
poco rassicurante sulle labbra. L’uomo prese fiato per richiamare all’ordine la
ciurma, ma una fulminea fitta al petto lo bloccò: abbassò lo sguardo e si
accorse che all’altezza del proprio sterno spuntava la lama seghettata di un
arpione.
Leviathan ritirò l’arma, e il
corpo senza vita dell’ufficiale crollò ai suoi piedi.
Il mazoku dal volto tatuato
rivolse nuovamente il suo miglior sorriso ai marinai che lo fissavano,
pietrificati, prima che le acque intorno alla nave si animassero guidate da una
volontà soprannaturale.
Coloro che morirono subito,
quella notte, potevano definirsi fortunati.
Quando il sole sorse
all’orizzonte rivide la nave, ribattezzata Thalassa,
dirigersi rapidissima verso la costa; nessun equipaggio la manovrava, ma si
scorgeva *qualcosa* di enorme sott’acqua a prua, che trainava l’imbarcazione a
una velocità che nessun mezzo umano poteva raggiungere, sollevando grandi
schizzi di bianca spuma attorno allo scafo.
Quando il fondale marino si
innalzò nell’approssimarsi della piattaforma continentale, la corsa
s’interruppe e la nave rallentò per forza d’inerzia fino a galleggiare placidamente
in vista di una cittadina portuale, protetta dall’alto da una roccaforte posta
su una ripida scogliera. Leviathan balzò fuori dall’acqua con un arcobaleno di
schizzi, atterrando in piedi dietro la murata di babordo; attraversò la nave
con dipinta sul viso un’espressione di enorme orgoglio, e s’appollaiò seduto
sul trinchetto a osservare il porto davanti a sé. Quello era senz’altro un
ottimo posto dove reclutare una ciurma ai suoi ordini.
Sentiva dentro di sé una
sensazione mai provata prima, un senso di soddisfazione, di trionfo, che
prevedeva essere solo il preludio a successi sempre maggiori. Voleva esprimere
in qualche modo questa enorme… gioia, si, poteva definirla davvero così. La sua
mano corse istintivamente all’ocarina legata alla cintura. Non l’aveva mai
provata, ma era certo che il suo suono melodioso avrebbe espresso esattamente i
propri sentimenti. Così, posizionò le dita, l’avvicinò alle labbra e soffiò.
Dal piccolo strumento provenne
una nota allegra e straordinariamente forte, che riecheggiò sulle onde. Onde
che quietarono improvvisamente ogni sciabordio, divenendo piatte come l’olio,
quasi… sospese in ascolto. Leviathan sorrise felice, le sue dita danzarono
sullo strumento e da esso provenne un’armonia completa di note vivaci. Quei
suoni si diffusero sulla superficie del mare come un brivido titanico e vi
rispose un rombo di tuono: le acque si sollevarono all’improvviso, una
inimmaginabile massa liquida che, come rispondendo a un richiamo, si precipitò
verso la costa, creando un’onda anomala più alta di qualunque altra mai vista
da occhio mortale.
Sotto lo sguardo allibito di
Leviathan, lo tsunami s’abbatté sul porto, distruggendo ogni cosa sul suo
cammino, lasciando dietro di sé dopo il deflusso unicamente rovine devastate.
Il giovane Demone del Mare
deglutì faticosamente, e con uno stentato sorrisetto incredulo riuscì solo a
commentare:
“Ecco, *adesso* sono davvero nei
guai.”
Infatti la guarnigione della
fortezza, rimasta incolume grazie alla propria posizione sopraelevata, si
mobilitò all’istante; pochi minuti dopo, da un’insenatura nascosta e protetta dalla
scogliera, uscirono parecchi piccoli vascelli colmi di marinai che puntarono
decisi e apparentemente molto infuriati verso la Thalassa.
Qualunque persona normale si
sarebbe un po’ preoccupata del proprio futuro imminente; ma Leviathan, per chi
non l’avesse ancora capito, NON era un tipo normale. Nemmeno per i mazoku. Un
sorrisetto compiaciuto s’allargò sulle sue labbra:
“Non è andata così male, in
fondo. Magari riesco lo stesso a procurarmi un equipaggio!”
Dopo di che fece quello che
nessun altro avrebbe rifatto vista l’esperienza precedente: suonò ancora una
volta l’ocarina donatagli da Lady Dolphin.
Era una melodia diversa però, più
soffusa e avvolgente; i flutti risposero con una danza di cordoni d’acqua che
avvolsero le imbarcazioni avversarie come liquidi serpenti e le trascinarono
sul fondale senza che gli occupanti potessero fare nulla per impedirlo.
Leviathan, con espressione
sorniona, diresse la propria nave verso i marinai rimasti a mollo:
“Buongiorno signori: dovreste
aver capito ormai che non potete contrastarmi in alcun modo. Quindi vi
consiglio di ascoltare la proposta che vi faccio: ho bisogno di un equipaggio
che segua i miei ordini, fedelmente e ciecamente; in cambio, garantisco a chi
farà parte della mia ciurma tutti i vantaggi e le ricompense che la pirateria
possa fruttare. E chi teme i pericoli… beh, ripensi un po’ a cosa ho fatto a
quel porto, o alle vostre barchette!” concluse con una risata.
La prospettiva pareva davvero
convincente, poiché parecchi marinai accolsero l’offerta, impressionati ed
entusiasti di servire un capitano tanto potente e deciso… seppur evidentemente
non umano. Leviathan esaminò con lo sguardo coloro che salirono a bordo: gente
dall’aspetto duro, esperta della vita di mare; di certo la sua ‘presentazione’
li aveva colpiti, ma ci sarebbe voluto del tempo per conquistarsi il loro
autentico rispetto. Anche questa era una sfida interessante; Lev non dubitava
che ci sarebbe riuscito.
Un uomo particolarmente robusto
si pose di fronte a lui; aveva un’aria seria e responsabile, forse era stato un
ufficiale; a Lev ricordò subito suo padre, e un ghigno obliquo si dipinse sul
suo volto. Ma l’uomo non aveva intenzione di sfidare la sua autorità: “Gli
uomini che vedete sono i migliori elementi che abbiano mai navigato queste acque;
ora siamo ai vostri ordini, Capitan Tsunami!”
Le iridi d’acquamarina di
Leviathan scintillarono a quel nome: gli piaceva. Un nuovo nome, una nuova
nave, una nuova ciurma, una nuova vita. Era tutto quello che desiderava.
“Bene, allora. Giuratemi la vostra
lealtà come membri del mio equipaggio, e io vi prometto in cambio gloria e ricchezze
oltre ogni vostra immaginazione!”
Quasi tutti eseguirono senza
esitare, ma Lev notò in disparte un giovane titubante:
“Hai forse qualche dubbio sulla
tua scelta, ragazzo? In questo caso nessuno ti trattiene.” Ghignò indicando le
acque oltre la murata.
L’interpellato, un mozzo appena
adolescente, sembrava dibattuto tra l’entusiasmo per la nuova avventura e il
timore di non esserne all’altezza; sotto lo sguardo minacciosamente
verdeazzurro del mazoku riuscì solo a balbettare: “Io… non… cioè… se non
riuscissi… a mantenere la promessa…”
Leviathan gli si avvicinò ad un
passo, fissandolo negli occhi con le sue pupille feline più spietate e
demoniache che mai: “Lo sai cosa succede alle persone che dicono le bugie?”
Il mozzo terrorizzato sbiancò, si
gettò in ginocchio e supplicò: “Vi prego, giurerò, farò tutto quel che vorrete,
ma non uccidetemi!!”
“...Veramente stavo per dire ‘gli
cresce il naso’... ma va bene lo stesso!” e scoppiò in un’allegra risata a
crepapelle.
Anche il resto degli astanti si
unirono alla risata, e quello fu l’inizio dei festeggiamenti che durarono tutto
il giorno e la notte tra canti, risa e bevute. Così fu battezzata la nascita
della nuova, temibilissima ciurma di bucanieri del Capitano Tsunami, la cui
fama presto sarebbe stata conosciuta sopra e sotto il mare… fino a entrare nella leggenda.
Trascorsero tre anni (in
superficie lo scorrere del tempo era docile e misurabile), tra arrembaggi e
scorrerie che resero Capitan Tsunami e la sua ciurma i pirati più ricchi e
celebri del Mare dei Demoni, prima che il passato tornasse a bussare alla porta
di Leviathan (più precisamente quella della sua cabina) nella persona del
Generale Nerea.
La sua reazione alla visita
insolita non fu particolarmente sorpresa:
“Ce ne avete messo di tempo ad
accorgervi di quel che stavo facendo.” E con nonchalance invitò la sua passata
maestra ad accomodarsi.
Nerea osservò con curiosità la
piccola camera, il cui arredamento spartano creava uno spiazzante contrasto con
le monete d’oro e i gioielli sparpagliati con noncuranza sul pavimento, o usati
come fermi per le carte nautiche; senza contare le preziose opere d’arte
accatastate alla rinfusa in un angolo o sotto la cuccetta.
“Il solito disordinato.” Commentò
celando un sorriso materno. “Perché ti impadronisci di tutte queste ricchezze,
se non sai che fartene?” chiese, non riuscendo a spiegarsi l’ennesimo
controsenso di quel ragazzo che sembrava vivere di contraddizioni. Nobile Demone
del Mare divenuto ribelle, che viveva con degli umani per depredarne altri,
accumulando tesori che per lui non avevano significato.
Leviathan le sorrise: “Amo i
tesori. Amo il doverli conquistare; più sono difesi e protetti, più è difficile
prenderli, più rappresentano trofei preziosi ai miei occhi. Gli umani, gli
elfi, i draghi e tutte le altre razze li bramano per il valore materiale che
attribuiscono loro, ma io li voglio perché dimostrano che sono stato più abile,
forte e astuto di loro a sottrarglieli.”
Nerea scrollò la testa:
“Nonostante tutto, sei sempre il solito ragazzino.”
Le rivolse un’occhiata
incollerita: “Se mio padre ti ha mandato a farmi l’ennesima ramanzina, poteva
venire di persona! Che c’è, alla fine mi ha disconosciuto come figlio e non si
degna neppure di venirmelo a dire in faccia?”
Le parole gli erano uscite dalla
bocca spinte dall’ira, ma quando la sua mente si soffermò su tale evenienza,
provò una fitta nel petto: non aveva mai realmente pensato a come le sue azioni
sarebbero state accolte nel Clan Deep Sea. Conoscendo poi la rigida mentalità
del padre, le conseguenze potevano davvero essere quelle che aveva prospettato:
non sopportando la vergogna di avere un figlio come lui, l’aveva ripudiato.
Questo pensiero gli fece più male di quanto avrebbe mai creduto.
L’espressione cupa di Nerea gli
fece temere il peggio; e le sue parole lo confermarono:
“Tuo padre non c’entra. È stata
Lady Dolphin in persona a mandarmi. Devi presentarti davanti a lei,
immediatamente.”
Leviathan non riuscì a trattenere
un fremito. La Regina Azzurra si destava dal suo sonno secolare solo in casi
eccezionali, di estrema importanza e gravità; essere convocati al suo cospetto
era un onore più unico che raro… forse l’ultimo.
ESILIO.
Questa la parola che comparve nella
sua mente. Al pensiero di essere scacciato per sempre dal Regno del Mare,
bandito da quello che considerava sempre e per sempre il *proprio* mondo, si
sentì venire meno. Ora comprendeva perché, nell’antica Legge dei Demoni che
ancora era seguita rigorosamente nel Regno del Nord, l’espatrio era considerata
la pena peggiore, più grave persino della morte.
L’angoscia folle che provava
fuoriuscì dalle sue labbra livide in una risatina isterica: “Perché? Cos’ho
fatto di male per meritarmi questo a parte saccheggiare, affogare, imprecare, barare
a poker, ammazzare, depredare, demolire ed ubriacarmi?”
Nerea gli posò una mano sulla
spalla per calmare il suo tono delirante, ma fu allontanata con fermezza; un
duro sguardo d’acquamarina fredda come la corrente del nord si rispecchiò nel
suo, di nuovo perfettamente in sé: “No, Generale. Non si addice a un carnefice
confortare chi va al patibolo. Datemi il tempo di comunicare gli ordini al mio
equipaggio, e verrò subito con voi.”
Tsunami assegnò al proprio
secondo le necessarie disposizioni per la navigazione in sua assenza, e quelle
da eseguire nel caso non fosse tornato. Fatto questo, raggiunse Nerea, sentendo
su di sé gli sguardi colmi d’apprensione dei propri fedeli marinai. Sorrise
amaramente dentro di sé: ironico che degli umani provassero una tale devozione
verso un Demone, un affetto maggiore di quanto avesse mai ricevuto tra i propri
simili; ma lui non era più un Mazoku ai loro occhi, capì in quel momento: lui
era il *Capitano*, e gli umani erano in grado di provare una venerazione che
rasentava il fanatismo per coloro che se ne dimostravano degni. Sperò con tutto
se stesso di non doverli deludere.
Un tuffo, e l’abbraccio delle
acque fu di nuovo tutto intorno a lui, caldo e accogliente come se non se ne
fosse mai andato. Seguì Nerea, nuotando più veloce di qualsiasi altra creatura
che popolasse il mare, sempre più in profondità negli oscuri abissi, fino a
scorgere, nel cuore vivo del Mare dei Demoni, il Castello ove dimorava Lady
Dolphin.
Il piatto fondale appariva come
un cuscino di scuro velluto su cui dominava una corona di gioielli che
splendessero di luce propria. Un delicatissimo merletto di coralli e
conchiglie, rifulgente di una fosforescenza naturale dalle infinite sfumature
multicolori, tanto intensa e nello sesso tempo soffusa, come acquarelli sciolti
da una pioggia primaverile.
Leviathan, ammirato dalla vista
di quel luogo che andava oltre ogni immaginazione, stentò a seguire Nerea in
quel labirinto sfaccettato, desiderando e temendo di perdersi per sempre tra i
suoi ammalianti meandri. Nuotarono fino alle camere più interne; solo davanti
alle porte della Sala del Trono si ritrovarono nuovamente all’asciutto, come se
le acque fossero trattenute da un muro invisibile. Il grande portale di corallo
rosa s’aprì, e Leviathan avanzò alle spalle della sua guida, inchinandosi ai
piedi dei gradini che portavano al trono di madreperla, senza osare alzare gli
occhi verso colei che lo occupava.
Un morbido sussurro, ondivago,
sfiorò la sua mente più che il suo udito soprannaturale:
“Tanto ardito in battaglia, eppur
tanto timido ora, Capitan Tsunami?”
La voce era dolce, ma vi si
avvertiva un intimo divertimento. Punto nell’orgoglio, Leviathan raccolse tutta
la propria fierezza per rivolgere alla propria Sovrana uno sguardo colmo di
dignità… ma quando vide per la prima volta il viso di Dolphin Deep Sea, ogni
pensiero scomparve dalla sua mente, come scritte sulla sabbia cancellate dalla
risacca. I suoi occhi affondarono nelle sconosciute profondità di quelli scuri
e indescrivibili di lei, che celavano in sé misteri ignoti anche agli
immortali, il dono e la condanna del futuro che solo a lei concedeva la
conoscenza delle sue meraviglie e dei suoi orrori. Quegli occhi, infinitamente
antichi incastonati in un volto da bambolina di porcellana senza età, potevano
scrutare l’anima come uno specchio d’acqua limpida.
Infine, un vago sorriso comparve
sulle labbra sottili della Regina Azzurra:
“M’immaginavi diversa.”
Leviathan riemerse dal mutismo
estatico che l’aveva colto per sussurrare, con voce colma di stupita
ammirazione: “Si. Ma ora che vi ho vista, non potrei mai sognarvi in altro modo.”
Lei parve sinceramente
incuriosita: “Come pensavi che fossi? Io non so come dovrebbe essere una Dark
Lady; quindi mi limito ad essere quel che sono.” Si sporse leggermente verso il
giovane, il fruscio dei veli di seta azzurra che l’avvolgevano quasi coprirono
il sussurro che gli rivolse con tono quasi complice, da dietro una cortina di
ondulati capelli blu quanto l’oceano: “Finora mi sembra di essermela cavata
abbastanza bene, non trovi?”
Leviathan, ancora inchinato in
rapita contemplazione, poté solo portarsi una mano al petto e giurare, con
tutta l’intensità del suo spirito ardente e della sua appassionata
determinazione:
“Mia Signora e mia Regina, io
v’appartengo. La mia vita e la mia anima sono vostre. D’ora in poi io dedicherò
a voi ogni mia azione. Vi prego, se tale è il vostro volere, consentitemi di
servirvi anche *sopra* il mare ch’è vostro dominio; permettetemi di fregiarmi
del titolo di vostro Corsaro: conquisterò tutti i tesori più belli del mondo
solo per voi, e diffonderò la vostra gloria ben oltre il confine delle onde!”
Dolphin si compiacque del suo
impeto, ma aveva ancora una prova a cui sottoporlo:
“Tanto grande è il tuo amore per
il Regno del Mare e per me… eppure desideri abbandonarci di nuovo.” Sussurrò
con tristezza.
Leviathan sentì la propria anima
spezzarsi a metà davanti alla malinconia della sua Lady; ma sapeva di non
poterle nascondere la verità: “Il mio altrove nasce oltre le onde del mare…
perché esistere non basta… è quello che fai che dice chi sei…”.
I lineamenti delicatamente
cesellati della Kai-Ou s’illuminarono, come se avesse udito la risposta che da
lungo aspettava, e sentenziò:
“Nella sua grandezza, il genio
disdegna le strade battute da altri e cerca regioni ancora inesplorate.”
(veramente questa è una frase di Abrahm Lincoln ^^ NdA)
Lev rimase per un attimo incerto,
ma subito lesse nell’espressione comprensiva della sua Regina il consenso alla
sua richiesta. Lei però aveva ancora un’ultima verità da rivelargli, e la sua
voce fece sì che gli rimanesse impressa nell’anima:
“Ricorda sempre le mie parole,
Leviathan Tsunami: la vera libertà è sapere che dovunque tu andrai… avrai
sempre un posto dove tornare.”
Lui chinò il capo, infinitamente
felice e riconoscente. Non aveva idea di come esprimere tali incredibili
sentimenti alla Dark Lady, ma sentiva di doverlo fare, in qualche modo. Le sue
dita scivolarono come guidate da volontà propria sull’ocarina che ancora e
sempre portava al fianco.
Quel giorno, i marinai che
solcarono le acque del Mare dei Demoni giurarono di aver udito le onde intonare
una musica degna di una Dea…