Le Mille e una notte cap1
“Il
Re Shahriyar prese la seguente decisione: per il futuro non avrebbe tenuto
nessuna delle sue mogli oltre la prima notte di nozze; le avrebbe fatte morire
l’indomani stesso.
Così
non gli sarebbe più toccato subire gli effetti della cattiveria delle donne e i
loro stratagemmi.”
Il Sole tramontava lentamente all’orizzonte illuminando
la città di Baghdad di una placida luce aranciata che si rifletteva sui tetti ocra
del quartiere ricco. Il palazzo del Re sovrastava in magnificenza e bellezza
tutti gli altri edifici, le cupole rivestite in oro riflettevano e accrescevano
la luce illuminando gli splendidi fregi blu cobalto dalle volute floreali e
arboree. Le guardie sorvegliavano dall’alto le strade che iniziavano a
svuotarsi a causa dell’imminenza della notte, i mercanti ritiravano dai loro
banchi le merci e contavano le monete.
Nel salone principale della sua reggia il Re Shahriyar attendeva,
vestito di meraviglioso broccato di seta di Mossul, l’arrivo della sua prossima
sposa. Dopo essersi unito a essa durante la prima notte di nozze l’avrebbe
messa a morte, il giorno seguente avrebbe sposato un’altra fanciulla; in questo
modo le sue spose non avrebbero potuto disonorarlo unendosi ad altri uomini.
Il corteo nuziale procedeva lento e mesto per le vie
della città poiché ormai la consuetudine del Re era assai nota, le fanciulle
che accompagnavano la sposa avevano il volto rigato di lacrime e si percuotevano
il petto addolorate per la sorte della loro compagna; in mezzo ad esse
procedeva la sposa, Shahrazad, essa indossava un abito rosso decorato da ricami
in filo d’oro che rilucevano nell’aria della sera, il suo volto era sorridente
e il suo sguardo deciso e sicuro.
Il corteo entrò nel palazzo e giunse nella sala dove il
Re Shahriyar sedeva su un trono di legno intarsiato incastonato di pietre
preziose e decorato a foglia d’oro. La sposa avanzò verso il futuro marito,
coloro che l’accompagnavano si sedettero sui preziosi tappeti blu e oro provenienti
dalla città di Damasco e si predisposero alla celebrazione delle nozze.
Shahrazad si inchinò ai piedi del Re, egli le prese le
mani e la fece sedere su una sedia più piccola ma ugualmente bella e intarsiata
di gemme, quindi entrambi gli sposi prestarono i giuramenti e dopo aver
recitato le preghiere furono uniti nel nome di Allah. Conclusosi il banchetto
nuziale, Shahriyar prese per mano la sua bella sposa e la condusse nella camera
nuziale, qui la fece distendere sul letto per consumare il frutto delle nozze.
La Luna sorgeva mostrando di sé solo una piccola falce illuminata, le stelle
pulsavano nell’infinità del cielo nero, uniche testimoni dell’unione dei due
amanti, ignare del triste destino della sposa. Nel giardino del palazzo i
Gelsomini notturni fremevano nell’aria carica di rugiada e di passione,
schiudendo le loro corolle al vento fresco della notte.
Dopo che le nozze furono consumate Shahrazad domandò al
Re:
“Mi permettete di raccontarvi una storia?”
“Si” disse il Re
Tutta presa dalla sua gioia segreta Shahrazad si rivolse
a lui.
“Ascoltate…”disse.
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L’inverno si era
posato con le sue ali di argentea neve sulle montagne e su Masyaf; gli abitanti
del paese, ormai liberi dal lavoro agreste, riposavano attorno al fuoco nelle
loro case accoglienti, narrandosi racconti per passare il tempo. Gli Assassini rimasti
nella fortezza sedevano in biblioteca e studiavano gli antichi manoscritti, i
più giovani di essi, annoiati dalle letture sedevano in cerchio scherzando tra di loro.
All’esterno il
vento freddo del nord trasportava la neve che cadeva incessante ormai da giorni
interi. L’atmosfera era satura del bianco nevischio, gli alberi erano ricoperti
di neve e la terra era ghiacciata. Nel cortile della fortezza, che durante le
altre stagioni risuonava dell’ardore delle armi, si avvertiva un silenzio
innaturale, interrotto soltanto dai passi ovattati di due sentinelle.
Una figura vestita
di bianco stava in piedi, in mezzo al vento gelido, su una delle passerelle
della torre principale, osservava, con gli occhi color dell’oro, un’aquila che
si librava nel bel mezzo della tempesta non temendo le fredde e violente
raffiche. Era poco più di un ragazzo, Altair era il suo nome, la sua carnagione
ambrata risaltava in tutto quel candore, i suoi occhi vivi e penetranti
scrutavano tra le nubi, come a voler indagare qualche segreto celato agli uomini.
Egli era assai simile a un’aquila: silenzioso, nobile, fiero e, soprattutto,
letale; tra gli Assassini della fortezza infatti egli era il più dotato e il
favorito dal Maestro. Gli altri provavano invidia nei suoi confronti nonostante
ciò lo lodavano in modo servile e subdolo; egli non era amico di nessuno e
nessuno lo avvicinava a causa del suo carattere scostante, il cappuccio gli
copriva perennemente il volto proteggendolo come uno scudo adamantino e
indistruttibile, affinché nessuno potesse scrutarvi attraverso le sue emozioni.
“Nulla è reale,
tutto è lecito. Non sono forse gli uomini che fanno la storia? Non sono le loro
azioni che cambiano il corso delle cose? Quindi all’uomo tutto è lecito. Egli
può governare sui grandi, può sottomettere gli onesti; non deve seguire regole
ma imporsi sugli altri. L’uomo è fatto per sopraffare i suoi simili o per
soccombere. Coloro che sono forti vengono serviti da individui che
mellifluamente li adulano per ricevere su loro stessi un po’ di luce.” Pensava
il giovane dal cuore indurito a causa della lunga solitudine.
Mentre la neve
continuava a cadere tre figure ammantate di nero si muovevano a stento nella
neve fresca dirigendosi verso il cancello della fortezza, ad ogni passo le
gambe affondavano nella neve rendendo quasi impossibile l’arrivo al cancello
della fortezza, le due figure più piccole camminavano incespicando in
continuazione. La sentinella incocco la freccia sull’arco e tese la corda
pronta a scagliare il dardo mortale.
“Chi siete e cosa
volete?” urlò nevosa dalla cinta delle mura di guardia.
“Sono un abitante
di questa regione, sono venuto qui per parlare con il Maestro, ho un dono per
lui” rispose il più alto.
La seconda
sentinella si avvicinò al cancello principale ed essendosi assicurata che le
tre figure non portassero armi, aprì una piccola porta e li fece entrare. “Qual
è il vostro nome?” “Sono Sayf ibn Badr e questi sono i miei due figli.” Le due
figure più piccole si strinsero al padre tremando per il freddo e per la paura.
La sentinella li scrutò con sguardo duro poi voltò le spalle e disse “Seguitemi
prima che cambi idea”.
I quattro si
avviarono verso la zona principale della fortezza, superarono le sentinelle di
guardia alla porta e salirono la lunga scalinata dove furono introdotti da un
altro Assassino ad attendere il Maestro.
Le tre figure
vennero lasciate sole davanti ad una porta chiusa, un giovane incappucciato
aprì la porta, li fece entrare e i lasciò insieme al gran Maestro.
Sayf si buttò in
ginocchio trascinando i due figli, poi parlò “Maestro, non sono più in grado di
mantenere i miei due figli, l’inverno è stato rigido, mia moglie è morta ed io
non ho nulla con cui sfamarli, prendeteli con voi alla fortezza, sono due
ragazzini forti, vi serviranno fedelmente.”
Al Mualim lo fissò
severamente quasi con disprezzo, poi prendendo un sacchetto di monete dalle sue
tasche lo lanciò all’uomo e disse: “Lasciatemi i ragazzi, voi invece andatevene
e non tornate più.” L’uomo si alzò e, continuando a inchinarsi in modo servile
in direzione del benefattore, abbandonò la stanza, uscito dalla fortezza iniziò
a correre; obbedendo all’ordine del Maestro non si fece più rivedere. Al Mualim
fissò i due ragazzini, uno aveva 15 anni l’altro doveva averne all’incirca 8,
apparivano entrambi sani e robusti nonostante la fame patita durante la
stagione rigida. “Alzatevi e mostratemi i vostri volti!” ordinò con tono
perentorio.
Il bambino più
piccolo alzò la testa e vide la cavità vitrea dell’occhio cieco del Maestro, singhiozzando
per la paura si nascose dietro al fratello maggiore. Questi lo abbracciò con
forza e gli sussurrò all’orecchio “Non temere Kadar andrà tutto bene, ci sono
io insieme a te”.
Al Mualim fissò il
ragazzo più grande e disse: “Il mio nome è Al Mualim e sono il Maestro della fortezza,
da oggi voi sarete al mio servizio, ora ditemi i vostri nomi.” Il ragazzo lo
fissò timoroso per qualche secondo poi si azzardò a rispondere “Il mio nome è
Malik, questo è mio fratello Kadar.” Il piccolino, ancora con le lacrime agli
occhi, singhiozzava in silenzio stringendo i vestiti del fratello e tremava per
il freddo.
Al Mualim chiamò
uno degli Assassini più giovani, questi entrò e si inginocchiò davanti al Maestro.
“Kalim, dà dei
vestiti da novizi a questi due ragazzi e portali in una stanza libera. Domani
li presenterai ai maestri.”
“Maestro, non ci
sono stanze libere nella fortezza eccetto una, quella a fianco della camera di
Altair.”
“Risiederanno lì,
ora obbedisci al mio ordine! E voi seguitelo!” Tuonò Al Mualim.
Kalim si alzò e i
due ragazzini si affrettarono a camminare dietro di lui per non far infuriare
ancora di più il gran Maestro.
Usciti dalla porta
Kalim si avviò verso un magazzino, seguito sempre dai nuovi arrivati, lì affidò
loro dei vestiti asciutti e adatti alla stagione fredda, vestiti da Assassini. Poi
li accompagnò nella parte estrema dell’ala est della fortezza, alla penultima
stanza, che aprì. All’interno erano sistemati due pagliericci, adagiati su dei
tappeti, nell’angolo c’era un armadio in cui erano appoggiate delle coperte.
“Questa sarà la
vostra stanza, mi dispiace, dovrete far attenzione a non far infuriare Altair,
colui che abita nella camera accanto; non è un ragazzo socievole, tutti nella
fortezza lo odiano e lo temono, è il preferito dal Maestro, quindi nessuno può
contrastarlo, egli fa ciò che vuole.”
Kalim si voltò
verso l’uscita e in quell’esatto momento sbiancò notando la figura che
silenziosa percorreva il corridoio. Kadar vista la reazione dell’Assassino si
fece ancora più piccolo abbracciando il fratello. Un ragazzo incappucciato
stava avanzando a grandi passi verso l’ultima camera, non degnando minimamente
di uno sguardo le tre figure, i suoi abiti erano completamente fradici. Il suo
viso esprimeva rabbia.
Kalim trovò la
forza di balbettare “Sa Salute e pace Altair…” venne fulminato da uno sguardo
agghiacciante. Altair proseguì senza rispondergli, entrò nella camera e si
chiuse la porta alle spalle. Appena entrato si liberò delle vesti bagnate, si
asciugò i capelli castani con un panno e si rivestì con abiti puliti e
asciutti. Poi si sedette sul suo pagliericcio, aveva sentito le parole con le
quali l’altro Assassino lo aveva descritto. Non erano parole in grado di ferire
la sua anima inaridita, eppure era infastidito dal fatto di essere trattato con
servilismo da tutti gli Assassini per poi essere disprezzato e insultato quando
non era presente. “Gli uomini sono tutti uguali, servi di coloro che sono più
forti, sempre pronti a pugnalarli alle spalle in un attimo di distrazione.” Nello
stesso momento Kalim, ancora scosso per il pericolo corso, si voltò e dopo aver
salutato i fratelli, uscì dalla stanza lasciandoli soli.
Malik avvicinò i due
pagliericci in modo che il fratellino potesse dormire al suo fianco, poi si
voltò verso di lui e sorridendo gli asciugò i lacrimoni, e gli diede un bacio
sulla fronte “Stai tranquillo Kadar, vivremo bene qui, io sarò sempre con te e
non avrai niente da temere.” Il piccolo annuì tirando sonoramente su con il
naso, poi sorrise.
Dopo qualche minuto
bussarono alla porta, Malik andò ad aprire e si trovò davanti ad un uomo
anziano, con una lunga barba grigia, che recava in mano una grossa ciotola
fumante di zuppa e del pane, la porse sorridendo al ragazzo, Malik lo ringraziò
e si inchinò a lui. L’uomo si voltò e li lasciò nuovamente soli. Malik appoggiò
la ciotola sul pavimento, divise il pane in due pezzi e diede la parte più
grande al fratellino, i due mangiarono famelici la zuppa calda intingendovi
dentro il pane.
Il bambino alzò
improvvisamente gli occhi dal suo pasto d domandò
“Altair è cattivo
Malik?”
“No Kadar, nessun
uomo è solo cattivo o solo buono, noi non possiamo giudicarlo prima di averlo
conosciuto, forse si comporta in quel modo perché è solo” Rispose accarezzando
i capelli del fratellino.
Il piccolo Kadar sbadigliò
poi si accoccolò contro la gamba di Malik e ben presto cadde in un sonno
profondo e senza sogni.
Malik guardava il
paesaggio innevato al di fuori della finestra pensando al misterioso ragazzo,
Altair.
“Per quale motivo
tutti lo odiano? Per quale ragione un ragazzo che ha circa la mia età vive così
solo e non ha amici?”
Sospirando decise
di andare a dormire, prese in braccio Kadar e lo appoggiò sul pagliericcio, poi
gli si coricò al suo fianco e coprì entrambi. Il bimbo si strinse forte a lui
nel sonno, Malik sorrise e ben presto si addormentò.
Altair sedeva nella
sua stanza in silenzio mangiando la sua razione di cibo; Il suo udito finissimo
gli aveva permesso di ascoltare la conversazione tra i due fratelli, era
rimasto molto sorpreso dalle parole del ragazzo che veniva chiamato Malik, non
aveva mai sentito nessuno parlare in qual modo. Eppure qualcosa nelle sue
parole gli aveva lasciato una forte amarezza nell’anima.
“Non ho bisogno di
nessuno, sono forte, sono il più forte degli Assassini” pensò fissando il cielo
da cui continuava a cadere incessante la neve. Con un moto di rabbia scostò la
ciotola vuota e si coricò continuando a fissare la neve che cadeva finché il
sonno non lo liberò dalle sue preoccupazioni.
L’alba si era svegliata dal suo letto di tenebra
indossando sul capo il suo velo rosso, porpora, arancio e oro. I
cittadini di Baghdad uscivano dal tepore del sonno per vivere una nuova
giornata e intraprendevano ciascuno il proprio
mestiere.
Nel palazzo delle mille delizie Shahrazad aveva
interrotto il suo racconto, attendendo l’ordine del re che l’avrebbe messa a
morte.
Shahriyar la fissò negli occhi “compagna dalla dolce favella,
come finisce questa storia?”
Essa rispose “se mi risparmierete oggi, finirò di
raccontarvela questa sera.”
“Così sia allora.”
Ciao a Tutti,
Questa storia è un pochino particolare, nasce nel solco
dell’antica tradizione delle “Mille e una Notte” e cerca di mantenerne lo stile
nella prosa.
Eccovi una breve sintesi dell’antefatto: Il Re di Baghdad,
Shahriyar, grazie all’aiuto di suo fratello Shahzaman, scopre che le tra le sue
venti ancelle si nascondono dieci schiavi mori vestiti da donna che
approfittano delle sue assenze per unirsi con le sue serve; scopre inoltre che
la sua sposa approfitta di queste occasioni per tradirlo con un uomo: Sa’d
al-Din detto Mas’ud “il fortunato”. Infuriato, fa uccidere la moglie e tutte le
ancelle e decide che sposerà delle fanciulle e si unirà a esse per una sola
notte, poi le metterà a morte.
La saggia Shahrazad chiede al padre di divenire la sposa
del Re perché spera con uno stratagemma di poter porre fine all’eccidio di
giovani ragazze. Così ogni notte racconta una storia al re rimandando però la
conclusione alla notte seguente.
La frase in grassetto è tratta dal libro “le Mille e una
Notte” Volume primo, I Grandi Romanzi, Corriere della Sera pg 40. Ho inserito anche una citazione all’opera
poetica “il Gelsomino notturno” di Giovanni
Pascoli.
Il nome del padre di Malik e Kadar me lo sono
deliberatamente inventato perché non sono riuscita a scoprire come si chiama
(se qualcuno lo sa mi avvisi che lo cambio!) anche l’Assassino Kalim è una mia personalissima
invenzione.
Beh se volete scoprire come va a finire, dovete
concedermi la vostra benevolenza e continuare a leggere; sarei molto onorata di
sapere cosa pensate di questa storia quindi se qualcuno avesse voglia di
recensire… (tranquilli accetto anche le critiche!) lo faccia pure.
Grazie a tutti per l’attenzione!
Adhara92
PS. Vorrei precisare che non condivido in alcun modo la
visione “misogina” del Re Shahriyar, che purtroppo essendo stato punto nel suo
orgoglio tende a enfatizzare le astuzie del genere femminile.
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