sora
questo capitolo lo adoro...
guarda che quelli che non mi hanno linciato nello scorso lo fanno adesso, eh? no dai, è bello...un po' triste, ma bello!
allora, niente non vi dico niente leggete!
Capitolo 4
La casa di Lea era un
monolocale non molto grande. Puzzava. Con questo non voleva dire che
non fosse stato pulito, ma puzzava di chiuso, di pietra; si
guardò intorno curioso, era un bilocale a voler essere precisi:
il salone principale, ospitava un angolo cottura, un tavolo ed un
divano con annessa tv, proprio accanto al divano c’era una porta
chiusa che, intuì, doveva portare nella sua camera o in bagno.
«Aspettami qui.» disse dirigendosi verso quella porta.
Sora
rimase lì impacciato, con la sensazione che tutto quello avrebbe
portato problemi, su problemi; gli sembrava già di sentire la
voce di Roxas annunciarglielo, l’intonazione, il sospiro
iniziale, il rammarico, ma si rifiutò di formulare le parole che
avrebbe usato. Anche se le conosceva.
Lea,
ritornò con una bacinella, una pezzuola ed una bottiglietta di
disinfettante; appoggiò tutto sul tavolo e gli scostò una
sedia per invitarlo a sedersi, poi si sistemò davanti a lui.
«Serviti pure.»
Dopo
un’iniziale resistenza, decise di approfittare della sua
insperata ospitalità, contava ancora di tornare a dormire da
Aeris e Tifa, ma presentarsi ridotto in quel modo le avrebbe fatte
preoccupare. Nella bacinella c’era dell’acqua tiepida, ci
versò un tappino di disinfettante e ci inzuppò la
pezzuola per poi passarsela prima di tutto sul viso; per un secondo
rivide Kairi fare quello stesso lavoro mille volte, dopo che lui e Riku
se le erano date dopo una litigata. In quel momento avrebbe voluto da
pazzi che lei si prendesse cura della sua povera carcassa, anche solo
per dargli l’illusione che non erano appena cambiate tutte le
carte in tavola.
«Quando mi hai baciato la prima volta?»
Sora
arrossì come non credeva nemmeno possibile. «Ha iniziato
lui?!» domandò incredulo, ma Lea non si scompose, attese
paziente.
Quando è tornato dal C.O., credevo fosse morto. Credevo che tu lo avessi ucciso.
‘Lo credevo anche io’. E forse sarebbe stato meglio.
«Dice…» mise in chiaro per dividere la propria
personalità da quella di Roxas. «al tuo ritorno dal
Castello dell’Oblio.»
«Che abbiamo fatto dopo?» continuò ad indagare.
A
Sora mancò il fiato per rispondere, mentre gli passava davanti
agli occhi, come il ricordo di una fotografia: lui ed Axel uno sopra
l’altro, a volerla dire tutta, Axel era sopra a Roxas, sdraiato a
pancia in giù su un letto bianco mentre stringeva
spasmodicamente un cuscino.
«Voi avete…» si morse il labbro, sciacquando la
pezzuola, con un gemito assordante – decisamente più
rumoroso dei suoi o di quelli di Kairi – in mente. «voi
avete…»
«Si?» lo imboccò sadicamente.
Sora
sbuffò. «Avete fatto sesso!» si sedette ed
arrotolò i pantaloni per scoprirgli le ginocchia che provvide a
pulire dal sangue rappreso.
Chiedigli qualcosa tu.
‘Cosa?’
Chiedigli dov’è Demix.
Sospirò stanco di fare il portavoce. «Vuole sapere
dov’è Demyx.» bofonchiò.
Lea
rise sorpreso, intenerito, sembrava quasi provare sentimenti umani,
rifletté Sora. «Non ha preso il tuo posto, piccolo.»
disse fissandolo, ma era come se non guardasse i suoi occhi, come se al
centro esatto delle sue pupille, lontano, lontano, avesse trovato
Roxas, era a lui che si stava riferendo.
‘Piccolo? Ti chiama davvero piccolo?’
Ma
quell’aggettivo che lo faceva sentire tanto schifato aveva un
effetto del tutto diverso sull’ombra nel suo cuore, gli sembrava
quasi di vederlo sorridere, melenso, stucchevole, commosso. Si. – ammise semplicemente. – lui mi chiama ‘ piccolo’.
In
realtà il significato delle parole di Roxas era un altro ed era
evidente anche a lui, era qualcosa che somigliava a: che mi chiami come
vuole, basta che mi chiami.
«Dai, girati e togliti la maglia.» lo invitò Lea.
Sora
deglutì con la bocca improvvisamente asciutta.
«P-perché?» balbettò, non avrebbe avuto
niente da temere da Lea se non fosse stato così palesemente Axel.
«Voglio darti una ripulita.»
Lui continuò a studiarlo incerto. «Ehm…»
Non fare il bambino! – lo rimproverò Roxas. – Non ti farà niente…
Dopo
un’ultima occhiata sospettosa Sora decise di dargli ascolto,
anche perché non poteva fare da solo; gli diede le spalle, poi
si arrotolò la maglietta fino a scoprirsi tutta la schiena.
Sentì Lea rimescolare nella bacinella, mentre teneva scoperta la
parte infortunata, pratico ed attento iniziò a passare il panno
su tutte i puntini che gli sembrava quasi di veder bruciare; era sicuro
che fossero ferite superficiali e che probabilmente non c’era
nemmeno bisogno di tanta attenzione, ma quando iniziò a
farlo…non riuscì più a fermarlo. Sicuramente
quelle emozioni erano di Roxas, ma per un attimo gli sembrò che
lì, in quel momento, si sentisse a casa. Esattamente come si era
sentito a casa la prima volta che Kairi lo aveva baciato.
Lea
si spostò posandogli una mano sul fianco nudo per pulirlo
meglio, ma l’impronta della sua mano fu spedita al suo cervello,
Roxas la intercettò, amplificando quel brivido mille volte. Sora
si chiese se non fosse rimasto tipo marchiato. Ma ancora non si mosse,
fermo a capo chino, immaginando con un attenzione quasi morbosa tutti i
suoi movimenti.
«Che dice?»
Sora
rimase immobile ed in silenzio per un lungo momento, era come se tutte
le sue terminazioni nervose andassero a rilento, poi deglutì e
si leccò le labbra. «Non parla.»
Lea ridacchiò. «Tipico di Roxas.»
Ti amo.
‘Non posso dirglielo.’
Ti prego, deve saperlo. – lo supplicò.
Doveva tornare alle Isole del Destino. Doveva abbracciare forte Kairi e
non lasciarla mai più. Doveva chiudere quella coscienza
indipendente in una gabbia e non ascoltare mai più quello che
voleva. Lui doveva salvare il proprio cuore e la propria vita.
Improvvisamente la paura di perdersi tornò di a farsi sentire con prepotenza.
Fece
un passo avanti mettendo un metro di distanza tra lui ed Axel –
era inutile chiamarlo in un altro modo, non sapeva esattamente come
funzionava, ma quello era Axel – e si rilasciò cadere la
maglietta a coprirlo tutto, perché la propria pelle lo chiamava
così forte, che temeva potesse cedere alla tentazione di
rispondere.
«Grazie, ma io ora devo andare.» disse senza voltarsi,
senza guardarlo, ignorando Roxas che scalpitava e cercava di
ribellarsi. Quel corpo era suo e finché lo fosse stato, lui
decideva il da farsi.
«Anche lui vuole andarsene?» gli chiese infinitamente paziente.
NO!
Sora
rise, una risata così disperata ed amara che sembrava la risata
di Riku. «Se dessi retta a lui rimarrei qui per sempre.» ed
era esattamente per quello che doveva andarsene.
«Un secondo.» fece lui alzandosi ed andando a frugare tra gli sportelli della cucina.
Aspettò inquieto come se più tempo fosse rimasto
lì, più sarebbe stato difficile andarsene.
Gli
si avvicinò piano e si fermò ad una distanza ragionevole,
per poi allungare una mano e porgergli qualcosa. «Se ci
ripensassi, puoi venire quando vuoi.» era una chiave, Sora
ridacchiò non riuscendo proprio ad ignorare il lato comico della
cosa. Una chiave per il keyblade master, divertente.
La
prese, però, e se la mise in tasca, sperando con tutto il cuore
di perderla; lui perdeva tutto, anche il proprio cuore, perché
non avrebbe potuto seminare da qualche parte quel piccolo pezzetto di
metallo. «Ne dubito, ma ok.»
Si
girò diretto verso la porta, fece appena in tempo a posare una
mano sul pomello che Axel lo abbracciò; il braccio gli ricadde
lungo il fianco, mentre miseramente osservava quelle braccia avvolgerlo
e prendeva coscienza di ogni millimetro dei loro corpi a contatto.
Avrebbe voluto scrollarselo di dosso e Roxas avrebbe voluto voltarsi e
baciarlo, non andarsene mai più, ma dividevano un corpo ora,
dovevano collaborare: Sora non gli negò quell’abbraccio e
Roxas non lo costrinse a quel bacio.
Forse
gli era capitato ancora di essere così disperato, ma in qual
momento non riusciva proprio a ricordarsi quando, né
perché.
Axel
gli lasciò un bacio sulla nuca, proprio sotto
l’attaccatura dei capelli, un brivido caldo scese da quel punto
lungo tutta la colonna vertebrale, risvegliando milioni di impronte di
altri baci. «Nessuno potrà mai prendere il tuo posto,
piccolo.»
Non avrebbe mai perso la chiave di casa di Axel, se fosse caduta, Roxas si sarebbe fermato a raccoglierla.
Camminò e
camminò ancora, con un senso di spossatezza che lo travolgeva ad
ondate, gli sembrava di essere sul ponte di una nave in tempesta, che
dondolava e dondolava.
Si
fermò quando raggiunse il giardino dove era arrivato solo quel
pomeriggio, gli sembrava che fossero passati secoli da quando, pieno di
buoni propositi, era giunto lì deciso a costruire una tomba. Si
sedette su un gradino e rimase immobile nel fresco della sera ad occhi
chiusi, cercando in tutti i modi di impedirsi di pensare; quando era a
casa di lui non gli era sembrato di essere tanto stanco, ma ora sentiva
che avrebbe quasi potuto addormentarsi su quel gradino.
Sora…
«Sta zitto!» borbottò secco, tirandosi indietro per
appoggiarsi ai gomiti; cercò di convincersi che se avesse aperto
gli occhi ora, avrebbe visto il viso di Kairi davanti a lui,
l’azzurro intenso dell’oceano, annusò l’aria
alla ricerca dell’odore di salsedine, ma sentì solo il
profumo dei fiori di Radiant Garden. Tristemente aprì gli occhi
e guardò il cielo, le stelle gli apparvero scombinate, non erano
le stesse stelle che guardava mano nella mano con lei.
Sora… – ripeté Roxas incerto.
Non rispose, ma questa volta non gli intimò nemmeno di tacere.
Sora, io apprezzò tanto che tu mi abbia portato fin qui… – iniziò con delicatezza – ed ero davvero disposto a farmi da parte, la tomba era un bel gesto da parte tua, ma ora…
«Smettila!» gli intimò affranto, lui doveva tornare da Kairi.
Devi capire! Lui è vivo!
«Lo so, l’ho visto!» si tirò su appoggiando i
gomiti alle ginocchia con le mani tra i capelli.
Ed io ora…
«Ti prego, non dirlo.» supplicò piano.
Una lapide non può bastarmi.
«E che cosa dovrei fare?!» domandò stravolto.
«Cosa ti aspetti che faccia esattamente?!»
Io non… – sospirò anche lui – non lo so, ma…
Sentì dei passi e si guardò intorno individuando una
figura ancora in ombra, ma che si avvicinava; Cloud si sedette accanto
a lui tranquillo e lo studiò. Sora evitò il suo sguardo
finché gli fu possibile, chiedendosi al contempo che faccia
avesse, quanto avrebbe potuto capire guardandolo, cielo, se fosse stato
Riku avrebbe saputo tutto.
«Come è andata alla cava?» gli domandò, ebbe
l’impressione che lo stesse prendendo in giro, ma decise di
ignorare la cosa.
Si strinse nelle spalle. «Non ho trovato quello che cercavo.»
Gli
occhi di Cloud praticamente gli fecero una radiografia. «Sei
caduto?» chiese ancora con quella nota sarcastica, e se era Cloud
a fare del sarcasmo era ridotto proprio male. «O ti sei
accapigliato con un tigre?»
«Sono scivolato.» borbottò.
«Te lo avevo detto, Sora.»
Sospirò. «Lo so.»
Il suo amico si massaggiò le mani. «Cosa hai intenzione di fare, quindi?»
«Questo non lo so.» ribatté indispettito,
probabilmente lui la faceva facile, non aveva mica un altro dentro al
cuore. «Suggerimenti?»
«Vai da Aeris e Tifa, ti hanno preparato il letto e se domani
mattina lo trovano intatto si preoccuperanno.» gli diede una
pacca sulla spalla che in realtà gli fece un male infernale, ma
non fiatò. «La notte porta consiglio.»
Gli
obbedì, non perché credesse che la notte gli avrebbe
portato consiglio, ma perché aveva bisogno di fare qualcosa ed
alzarsi, camminare fino alla casa delle ragazze, mettersi nel letto che
gli avevano improvvisato sul pavimento della cucina era già
qualcosa. Ci mise parecchio per trovare una posizione che non lo
facesse urlare di dolore ed il fatto che fosse sul pavimento duro non
aiutava, ma rotolando e scalciando si ritrovò in qualche modo
sul fianco destro e realizzò che poteva andare; certo, la
mattina dopo si sarebbe sentito tutto indolenzito, ma almeno avrebbe
dormito. Chiuse gli occhi svuotando la mente e concentrandosi solo sul
suo respiro.
Voglio dormire da lui.
Addio sonno. ‘Sai che significa che anche io dovrò dormire da lui, vero?’
Ci darebbe un letto vero. – provò a tentarlo.
‘Non è così allettante come proposta, visto che sarebbe il suo letto.’
Anche il divano sarebbe meglio del pavimento.
Quando aveva ragione, aveva ragione, ma… ‘Non resterò qui, Roxas.’
Lo so. – e dalla rassegnazione addolorata e malinconica che sentiva nella sua voce capì che lo sapeva davvero. – Ho solo questi due giorni, per favore.
Sora aprì gli occhi fissando il buio. ‘Niente porcate.’ Intimò.
Sembrò già che l’umore di Roxas si risollevasse. – No, te lo prometto.
‘Non ho detto di si.’ Precisò. ‘Se domani
mattina sarò di buon umore potrei decidere di accontentarti. Se
non dormo almeno un pochino non sarò di buon umore.’
Grazie! – per essere un’ombra nel suo cuore era decisamente luminosa.
‘Roxas.’ Lo rimproverò.
Si. Capito. Sto zitto. Dormi.
niente porcate, capito?
fate i bravi...
AH!! chi l'ha tirato quel pomodoro?!
addio, sanità mentale...
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