Prologo.
Parigi
1801.
Non avrei mai
immaginato che la mia vita sarebbe cambiata così velocemente.
A volte le
vicissitudini ti costringono a guardare avanti prima che tu lo voglia .
Non puoi prevederlo. Me l'aveva detto anche la mamma. Tanto tempo fa.
“Devi essere pronta al peggio.
La tempesta è sempre in agguato!”.
Così,
all' improvviso mi trovavo da sola, senza un tetto sopra la testa,
affacciata sulle sponde della Senna, con un due valige in mano, diretta
chissà dove. Avrei tanto desiderato che fosse solo un brutto
sogno; un bel mattino mi sarei svegliata con mia madre accanto, e tutto
sarebbe tornato come prima. Ma mi sbagliavo...
Il vestito bianco
di lino oscillava leggero come le onde del mare. Un capellino di paglia
con un nastro rosso mi copriva la testa dal sole cocente di quella
mattina e i capelli castani svolazzavano seguendo la direzione del
vento, accarezzandomi le guance.
Lasciare la Senna,
lasciare Parigi...Cosa mi avrebbe atteso? Sarei stata ancora felice?
Avevo un nome solo
nella testa, martellante come il ticchettio di un orologio: Adele
Laurent; e un indirizzo, scritto su un pezzetto di carta ingiallita:
Rue della Verrierie, numero 5, Aix-en-Provence
Mi ero sempre
chiesta come mai la mamma lo avesse conservato per così
tanti anni. Ricordo che una volta glielo avevo chiesto, ma lei mi
fornì tutt'altra spiegazione.
Adele Laurent era
il nome della zia che non avevo mai conosciuto. Mia madre mi aveva
rivelato la sua esistenza qualche giorno prima di morire.
Fu un vero colpo
per me scoprire che aveva una sorella!
Fino a quel momento
ero vissuta con la convinzione che non avessi altri parenti,
all'infuori di lei. Lei era stato il mio universo. Ed io il suo.
Guardai
attentamente lo specchio del fiume riflettere la luce del sole e
lasciai che la mia mente si riempisse dei suoi ricordi. Era stata la
mia migliore amica, la mia confidente, oltre ad essere la mamma
più dolce e divertente del mondo.
L'ammiravo molto,
perché la consideravo una donna forte e coraggiosa, l'eroina
di tutte le storie che mi piaceva ascoltare prima di andare a dormire.
Chiusi gli occhi e
ingoiai le lacrime. L'acqua diffondeva un tenue rumore di sottofondo.
Era molto rilassante. Sentivo in lontananza la gente che chiacchierava
ai tavolini del bar Venere
Bianca.
Ero stata
lì un mese prima con la mamma: avevamo ordinato una
cioccolata calda discorrendo a lungo su tutto quello che desideravamo
fare insieme, dei posti che avremmo voluto visitare: l'India, il
Giappone, l'Africa, l'Australia, le Americhe.
Ora quei sogni non
esistevano più, si erano frantumati. Volati via nel cielo.
Ero sola a fare i conti con quello che la mamma mi aveva tenuto
nascosto, in questi diciassette, lunghi anni. Non volevo darle delle
colpe. Ma era la realtà: c'erano dei fantasmi nascosti nelle
nostre vite, e ora mi toccava scoprirli e conviverci. Non sapevo se
fossero belli o brutti. Dovevo andare avanti, seguire la strada che la
mamma mi aveva indicato.
Mi aspettava un
viaggio molto lungo, e avevo paura. Dopotutto quello che dovevo fare
era costringere una perfetta sconosciuta a volermi bene e ad
accogliermi nella sua casa come se fosse la cosa più normale
del mondo. Non avevo garanzie sul mio futuro e la cosa mi spaventava
moltissimo.
Mi sentivo come se
stessi percorrendo un sentiero coperto di nebbia. Tutto quello che
vedevo era ciò che si trovava vicinissimo a me.
Dovevo sforzarmi di
essere coraggiosa, come lo era stata la mamma.
In fin dei conti
non ero più una bambina.
Avevo un po' di
denaro con me. Mi sarebbe bastato per raggiungere la zia Adele.
Chissà se viveva ancora in quel paese. Quello che la mamma
mi aveva dato era un biglietto vecchio dieci anni. Chissà
quante cose erano cambiate da allora.
L'ansia e la
preoccupazione avevano preso il sopravvento su di me.
Al collo portavo un
piccolo ciondolo d'oro con la foto di mia madre. L'aprì,
vidi il suo volto.
Lo richiusi.
“ Stringilo nella mano, quando ti
senti sola, quando hai paura. Io ti starò sempre vicino,
amore mio. Non devi temere”. Queste erano state le sue
ultime parole. Rabbrividì.
Risuonavano nella
mia mente come se le stessi ascoltando in quel momento. Una lacrima mi
rigò il volto. Dovevo andare. Riafferrai le valigie.
Poche cose avrei
portato con me: alcuni vestiti, scarpe, ricordi della mamma, bambole di
porcellana che mi regalava da bambina. Erano la mia più
grande passione. Non me ne sarei separata per nulla al mondo.
Chiusi gli occhi e
cercai di svuotare la mente...
Mi aspettava una
nuova vita. Niente sarebbe stato più come prima.
Mi allontanai dalla
Senna a passo deciso, ignorando le opinioni della gente.
Non mi piaceva che
gli altri provassero dispiacere per me.
“ La signorina Laurent, povera
ragazza. Chi si occuperà di lei adesso?”.
Avrebbero parlato
così vedendomi con le valigie in mano, pronta per un viaggio
di cui ignoravo la destinazione.
Non sapevo come
sarebbe andata, ma dentro di me desideravo tanto conoscere mia zia. Mi
avrebbe parlato della mamma . Dopotutto c'erano tante cose di lei che
non conoscevo...più di quanto osassi immaginare!
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