Rating capitolo: Giallo
Personaggi: Antonio Fernandez Carriedo (Spagna)
– Arthur Kirkland
(Inghilterra)
Musica: Fix you –
Coldplay (personalmente vi consiglio di ascoltarla
durante la lettura, ma
non è un elemento fondamentale!)
Osservazioni personali: Una piccola nota
che non ha niente a che
fare con questa fic. Vi ringrazio tutti quanti per le recensioni che mi
avete
lasciato in questi giorni, grazie davvero. Vi risponderò
appena posso, così
come recensirò le storie che sto seguendo, ma per ora sono
senza internet,
riesco solo a strappare qualche minuto per pubblicare qualcosa,
sfortunatamente,
così come con questa fic. Per le note riguardo questa
storia, andate al post-it
in fondo :)
When
you used to call me the Invincible Spanish Armada.
Chiuse gli occhi per un attimo, per
poi riaprirli con
fatica.
La vista sembrava appannarsi mentre
il cielo grigio si
allontanava sempre più. Tossì debolmente, e delle
leggere nuvolette si formarono
contro il freddo acciaio.
Che terribile giorno era stato
quello. Il cielo ora coperto
da plumbee nuvole era stato sereno un tempo. Il mare prima tranquillo,
adesso
si agitava a causa dei cannoni e dei loro sfoghi. La spiaggia che prima
risplendeva dorata sotto i raggi del sole, adesso assorbiva il sangue
di
centinaia- no, migliaia di soldati.
Com’è stato
terribile quel giorno in cui navi spagnole
vennero divorate da un astioso fuoco nemico, quando cadaveri di onesti
e leali
soldati iberici cadevano fra le braccia di un mare indegnamente
straniero.
Quando la Spagna venne sconfitta sotto i suoi occhi, impotente. Quando
la
Spagna morì.
Respirare era sempre più
difficile, ogni singolo sospiro gli
costava una fatica immane, ed ogni volta sgorgava un rantolo dalle sue
labbra,
un rantolo che sembrava un terribile ringhio di un morente. La Spagna
stava
morendo, lui stava morendo
lentamente, circondato da roche risate derisorie.
Ricordava vagamente della sua nave in
fiamme. Ricordava
dell’ira provata e di essersi presentato a spada sguainata
davanti il nemico.
Nonostante fosse solamente successo pochi minuti prima, stava
velocemente
diventando un ricordo nebbioso del passato.
Ricordava come combatté
fino all’ultimo respiro, e ricordava
come Arthur lo sconfisse.
Poi non c’era nessun
ricordo, c’era solamente il cielo
grigio e minaccioso, c’era l’espressione sfrontata
dell’inglese, e c’era lui.
C’era lui steso a terra,
ricoperto di sangue spagnolo, del suo
sangue, misto a quello inglese,
quello dei nemici caduti sotto la sua spada. La spada era lontana,
dovevano
averla calciata lontano dalle sue mani, mentre quella
dell’inglese la sentiva
bene, fredda com’era sul suo petto, puntata sul suo cuore.
In quel momento non c’era
nessun ricordo passato e nessuna
speranza futura. C’era lui, la Spagna, e la morte sul suo
petto, a ghignare
come il peggiore dei cani.
E ormai non poteva fare
più nulla, era stato sconfitto.
«L’invincibile Armada
Spagnola. »
Ripeté quelle parole con
un ghigno in volto, e subito dopo
cominciò a ridere. I suoi occhi verdi brillarono mentre la
sua voce sguaiata
riempiva il silenzio di quella terribile giornata.
Antonio respirò ancora
qualche secondo cercando l’aria come
se fosse il più prezioso dei tesori.
«Sei stato tu a chiamarmi
così. »
Altra parole, quasi indistinguibili
dagli altri suoi
rantoli, ma che dovevano aver colpito le orecchie del pirata. Smise
infatti di
ridere, e i suoi occhi persero quella lucentezza derivata dalla
momentanea
ilarità. Fu chiaro e lampante il cambiamento della sua
espressione, mentre si
delineava perfettamente l’ira a stento repressa nei suoi
lineamenti.
L’inglese strinse allora la
mano nell’elsa della spada e la
spinse verso il petto dello spagnolo, facendo versare qualche goccia
del suo
sangue.
«Adesso sei sotto la mia
spada Antonio, mentre i cadaveri
dei tuoi uomini bruciano in terra inglese. Hai
perso, e quello che è rimasto è
solamente un misero nome. »
Ad ogni sua parola il suo volto
s’oscurava e il ghigno sulle
sue labbra aumentava, mentre la spada calava pian piano più
a fondo.
Ad Antonio non poté non
sfuggire un lamento rauco, mentre le
sue carni venivano sadicamente lacerate da quella lenta tortura.
Un’altra risata
dell’inglese coprì i suoi sensi, mentre la
vista s’appannava sempre più. E lui non aveva
nemmeno più abbastanza voce per
chiedere una morte veloce e non quell’inutile supplizio. Ma a
ben pensarci non
avrebbe dimostrato quella debolezza nemmeno in punto di morte, la
Spagna
sarebbe morta con orgoglio.
La risata di Arthur si estinse, e
l’inglese volse il suo
sguardo, lo sguardo di un pazzo, lo sguardo di qualcuno che ha
finalmente
ottenuto la vittoria tanto agognata, verso lo spagnolo morente.
«Qui muore la Spagna.
Addio. »
Fu l’ultima cosa che le sue
orecchie sentirono, le parole
che si sarebbe sempre portato con sé, l’ultima
cosa di cui si appropriò di quel
mondo prima di sentire un colpo e per un istante un intenso dolore.
Poi gli occhi si chiusero, e
l’oscurità lo circondò.
Non se la immaginava così
la morte. Non che avesse un’idea
precisa o ci avesse speso più di tanto a pensarci,
solamente… non se l’aspettava
così. Così fredda, di un freddo che punge ogni
parte del tuo essere. Così
violenta nel stringerti le membra fino a farti anche troppo male.
Così
silenziosa, a parte quel rumore strascicato di piedi che battevano
ritmicamente
fra loro.
La morte non doveva essere
così, era tutto completamente
sbagliato.
Mentre capiva che qualcosa era andato
storto, i piedi
smisero di trascinarsi, e un qualcosa di meccanico che sembrava un
eterno
lamento invase le sue orecchie.
Per dei brevi istanti le mani che lo
tenevano ben stretto lo
lasciarono, e Antonio credette di cadere, cosa che effettivamente fece.
Toccò
allora terra, che non era nient’altro che ruvida e fredda
pietra. Anzi, ci
cadette con tutto il corpo, con tutta la pesantezza delle sue ossa,
della sua
carne e della sue ferite ancora sanguinanti.
Allora capì per certo che
quello non era l’aldilà o chissà
cos’altro.
Ebbe il tempo di schiudere appena gli
occhi per non cogliere
altro che oscurità, ancora
oscurità.
Ma fu solo un misero attimo. Tempo di richiuderli che ricadde in
quell’illusoria
non-morte.
Oh bien. Ed eccomi qui, con la mia
prima long fic su
Hetalia!
Cosa devo dire? L’ho
dimenticato, bene. Ehm, posso solo dire
che mi dispiace di aver scritto un capitolo così corto, ma
le cose da dire
erano esattamente queste, quindi in un certo senso non è
colpa mia. Posso dire
che questa storia non prenderà via molto del vostro tempo,
sarà composta da
pochi capitoli, anche se non so ancora esattamente quanti. Posso dirvi
che non
so quando potrò pubblicare, causa università e
internet avverso. Posso anche
dirvi, e questa è l’ultima nota giuro, che per me
è…importante, in un certo
senso. Precisiamo, sto scrivendo una storia che per me, per cosa
tratterà, per
i personaggi, per la storia in se, è importante, come se
stessi scrivendo la
storia che vorrei tanto leggere scritta da mani ben più
abili delle mie.
Insomma, che sproloquio, bastava dire che mi ci impegnerò,
no? xD
Ok, dopo tutto questo cianciare
inutile, vi saluto, sperando
che questo primo capitolo dal nome improponibile, come quello
dell’intera
storia d'altronde, vi sia piaciuto abbastanza da regalarmi qualche
recensione!
Ciao! C:
Stay tuned people! chaska~
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