The moon stole her snow.
18. Neve (Jules)
Da bambina,
Jules amava gettarsi nella neve e ridere dei batuffoli che le adornavano i
capelli chiari. Adesso, quando nevica, tutto ciò cui Jules riesce a pensare sono
una distesa bianca chiazzata di sangue e i suoi occhi che si tingono di giallo.
Da Through the eyes of a child.
Le è sempre piaciuta la neve.
Chiunque l’abbia conosciuta da ragazza potrebbe
confermarlo.
Ma
è Ephraem l’unico che ancora ricorda la dedizione con cui Jules accoglieva lo
scendere dei fiocchi prima che il sangue cambiasse ogni cosa.
Da bambina era facile incontrarla nei vialetti non
ancora sgombri la mattina presto. Mentre i bimbetti della sua età ancora
dormivano godendosi in sogno il tepore di una cioccolata calda, Jules infilava
manopole e paraorecchi e sgusciava in cortile, i capelli chiari sciolti sulle
spalle.
Sembrava lei stessa una piccola scultura di
ghiaccio; la pelle diafana e i lineamenti delicati che suggerivano a chi la
osservasse l’immagine di una bambina fragile e indifesa.
Ma
Jules non era né l’una, né l’altra cosa; lei aveva in sé l’indole combattiva e
autoritaria del lupo, seppur assopita, e detestava sentirsi protetta o
vegliata.
Jules aveva bisogno di muoversi, di spingersi oltre
i limiti dettati dagli adulti; doveva correre e rovinare a terra per poi
alzarsi come se nulla fosse e magari ridere, sfidare gli altri bambini a fare
altrettanto.
Jules aveva bisogno di dimostrare a tutti i costi
che aveva ragione, se qualcuno le dava un torto. Di prendersi un braccio se
qualcuno le tendeva il dito.
Di azzuffarsi come un maschio, nonostante
trascorresse intere sequenze di minuti a rimirare il suo sorriso impeccabile
allo specchio.
Era una bambina; anche se a volte ricordava più un
cucciolo di lupo.
C’era poi l’innocenza che emergeva a fiotti dalle
iridi luminose della piccola; erano occhi diversi,
rispetto a quelli di suo fratello Ephraem. Lui aveva sempre avuto uno
sguardo da lupo, opaco e disilluso. Era stato così per sua madre; era stato
così per i suoi fratelli più grandi: Jules invece quasi brillava nella sua aria
sbarazzina, in quel tepore che pareva ravvivare le sue iridi quando individuava
un fiocco di neve.
Prima ancora di alzarsi la mattina, Ephraem riusciva
a scorgere dalla finestra le corse della sorellina; ovunque guardasse, se
nevicava, scorgeva una bambina bionda intenta a rotolare nella neve, ridendo di
quei batuffoli bianchi che le cospargevano il capo.
Rideva perché non riusciva a capire come mai quei
fiocchi così gracili e delicati la affascinassero così tanto;
lei che era una bambina forte e temeraria.
La neve era così bianca; così fragile: bastava un
tocco un po’ troppo forte per ridurla in frantumi. Non era come Jules; Jules
che aveva imparato presto a fare a meno delle premure degli adulti, badando a sé stessa di propria iniziativa e disdegnando i ragazzini
più deboli o titubanti.
Eppure, quando quei batuffoli bianchi le
accarezzavano la pelle, la bambina era felice di notare che il candore dei
fiocchi non si allontanava poi così tanto dal colore
delle sue manine chiare. E la coltre innevata era morbida
proprio come le sue guance.
Quando giocava nella neve, Jules perdeva ogni
fattezza del lupo e il suo sguardo fiero era mitigato dall’innocenza tipica di
una bambina della sua età.
Le è sempre piaciuta la neve.
E anche Ephraem l’amava,
prima che la luna decidesse di cancellarne il candore.
Per lui e per Jules.
Osservando la neve adesso, una fievole sequenza di fiocchi
bianchi, è facile che gli torni alla mente la sera dell’incidente.
Nevicava anche allora, ma la distesa bianca era
intervallata da chiazze rossastre e frammenti di vetro.
Ephraem aveva raggiunto la zona dell’incidente
d’auto giusto in tempo per individuare le iridi di Jules cerchiarsi di giallo,
scacciando via quel poco della limpidezza che era rimasta nel suo sguardo.
Giaceva a terra tremante; una mano saldamente
aggrappata a un lembo della camicia di Lucie. Lucie con cui aveva condiviso
caramelle da bambina e segreti da adolescente.
Lucie che le era stata strappata via all’improvviso,
così come la neve.
La sua neve.
Ephraem ci ha provato più volte, ma ancora non
riesce a dimenticare lo sguardo annientato della sorella di fronte a quelle
chiazze rosse che hanno contaminato il bianco che ancora le era rimasto.
La luna vegliava sulla sua nuova figlia con aria temibile
e materna al tempo stesso, proprio come un lupo alfa sorveglia il suo branco.
Ed è la stessa luna che si arrampica sul cielo
adesso, mentre Ephraem chiude gli occhi con aria stanca, chinando il capo verso
il basso.
Non vede Jules da tempo,
ormai; sa però che i suoi occhi non sono più limpidi, ma perennemente chiazzati
di giallo.
L’ultima volta che l’ha incontrata, sua sorella gli
ha detto di essere cambiata: nulla in lei è rimasto della neve che era riuscita
a farla sorridere così tante volte da bambina.
Per questo Ephraem distoglie lo sguardo dalla luna,
dalla neve, dalla notte.
Non vuole ricordare nulla di quella sera; del
tormento scaturito fra le iridi ambrate della sorella; del sangue che ha
scalfito il candore della coltre bianca.
Ricorda invece un bel mattino luminoso; una bambina
con un paraorecchi viola rotola nella neve ridendo dei
batuffoli bianchi che si intrufolano fra i suoi capelli.
E ricorda quanto quella bambina amasse la neve.
Nota dell’autrice.
Mi sento stupida a postare questa storia (e la posto lo stesso. Quindi sono doppiamente stupida). Quando scrissi la mini frase con
Jules, mi venne voglia di approfondire un po’ la sua infanzia e il suo passato,
di cui ovviamente non sappiamo proprio nulla. So che è un personaggio che pochi
non detestano (e sono ancor meno quelli che la apprezzano) ma a me aveva
colpito molto e se ne parla sempre molto poco, quindi
mi sono convinta a scriverci qualcosa. Il personaggio di Ephraem è
completamente inventato, l’ho preso in prestito da una mia long in corso in cui
Jules è un personaggio abbastanza di rilievo. So che è un racconto un po’
campato per aria che potrebbe passare più per originale che per una fan
fiction, ma in sostanza sappiamo ben poco di Jules e ho immaginato che da fanciulla potesse essere una versione in miniatura della
Jules che conosciamo, indipendente, forte, aggressiva a tratti. Poi c’è la neve
che mette in luce i tratti tipici dell’infanzia ancora
presenti in lei. E infine, l’incidente d’auto dove per mano sua ha perso la vita una persona, causando dunque lo scatenarsi della
maledizione.
Non ho altro da aggiungere se non grazie, per aver
letto fino a qui.
Un abbraccio
Laura
P.S. Uhm il titolo, vero. Dunque;
da bambina per Jules, la neve era qualcosa di allegro che la allontanava dalla
sua indole lupesca e la riportava alla purezza e al candore infantile.
L’incidente, e lo scatenarsi della maledizione,
le hanno portato via il candore della neve: letteralmente, perché la neve si è
tinta di rosso in seguito al sangue di Lucie. Metaforicamente, perché lo
scatenarsi della maledizione le ha portato via quel
barlume di candore che le era rimasto ereditato dal’infanzia e la giovinezza...
La luna simboleggia un po’ la maledizione, da qui “la luna le ha rubato la
neve”. Un po’ azzardato, ma non mi dispiaceva.