My nightmare

di HikariPandaa3
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Era da un po’ di settimane che ‘quei cosi’ avevano mandato nel panico l’intero mondo.
 La scuola era quasi finita. Nell’aria si poteva sentire il fresco venticello estivo, erano tutti emozionati. Già avevano programmato in ogni singolo dettaglio la loro estate:Mare, feste, falò e cavolate.
Dopo tutto, anche io l’aspettavo, non per il mare o i falò, tanto per precisare io odiavo, e odio il sole e il mare. Ma da quattordicenne, anch’io aspettavo con ansia la chiusura della scuola. Quel giorno Selene non smetteva di muoversi: Si stiracchiava, sbadigliava, incrociava le gambe per poi ritornare al punto di partenza. Il professore di latino, proseguiva svogliatamente la sua lezione, anche lui evidentemente stanco. Nessuno, all’interno dell’aula gli prestava attenzione, che dopotutto non aveva chiesto. Il mio sguardo di posò sul viso di Fred. Impegnato a scrivere messaggi alla sua amata. Non ero mai stata ricambiata. E ci avevo rinunciato, tre mesi fa, quando lo avevo visto scambiarsi un bacio veloce con una ragazza di seconda, all’uscita.  Mi scioglievo davanti ai suoi occhi scuri, come il cioccolato fondente. Sbocciavo per lui, ma a quanto pare non se ne era mai accorto. Ad illudermi con false speranze c’era Selene, che mi ripeteva continuamente, che mi fissava quando parlavo con le mie amiche, quando ero interrogata, quando salutavo un suo amico. Quando l’attenzione era rivolta a me; “E’ normale” dicevo ogni volta che la mia amica, tirava fuori quest’argomento. Poi la campanella suonò due volte, dandoci l’avviso di evacuazione, ma quello che ci aspettava fuori dall’aula non erano di certo fiamme. Il professore uscendo dall’aula diventò come marmo, fissava un punto davanti ai suoi occhi. Grida, suppliche e schianti incominciarono a distruggere il silenzio della scuola, della strada, della città, del mondo. La situazione era sfuggita di mano a chiunque: ai pompieri, alla polizia, all’ospedale. Il mondo era diventato un caos. Non capii nulla, correvo e basta, correvo via da quelle cose che mi seguivano lentamente, ma prima o poi mi avrebbero raggiunta. E quando inciampai su qualcosa di ancora caldo, fu come una botta che mi svegliò all’improvviso, alzai lo sguardo: Due occhi rossi come il sangue, come i suoi capelli, che le cerchiavano il viso sporco di sangue, la bocca aperta fin troppo, anche essa sporca, e la carnagione cadaverica: Selene.
 
                                                                                 
Tremai ancora, stringendo le ginocchia al petto, poggiandoci il viso. 
“Quei cosi, si lamentano come se avessero mangiato male” Ridacchiò alle mie spalle
“Magari hanno mangiato davvero male” disse Phil, con un leggero sorriso ironico sulle labbra.
“Come puoi scherzare? Non vedi in che situazione siamo?” sussurrò Adrienne, con voce tremante
“E’ inutile che sussurri” sbottò Adam “Quelle cose ci sentono lo stesso! Ed è per questo che si lamentano”
“Ne vale la pena litigare, adesso?” Alzai il tono di voce contro le mie ginocchia “Non cambierà niente”
Dietro la mia schiena si sentii solo qualche singhiozzo, poi solo i lamenti di quelle cose al di sotto del nostro grande rifugio. I sopravvissuti si erano riparati qui, dove un tempo era un grande campo estivo, composto da tre parti: L’ingresso, un enorme giardino , cerchiato da alte mura, che tenevano fuori quelle bestie, e che proteggevano l’intero campus. Un grande spazio verdeggiante dove si accampavano i boyscout e infine, le case dei responsabili dell’intero edificio.
“Stanno entrando!” Qualcuno urlò, tutti si voltarono in cerca di quella voce, quando mi sporsi sul recinto di cemento sgranai gli occhi. Due uomini più vicini al cancello indietreggiavano, la folla gridava, alcuni scappavano via, altri uomini si fecero avanti, armati. “Oh no” sussurrai, stringendo le dita.
“Andiamo!” Urlò Phil ad Adam, prese una mazza da baseball e corse giù dalla gradinata che portava al cancello d’entrata.
Adrienne si accovacciò su se stessa, mugolò, tremando. Il mio sguardo faceva dalla gradinata al copro tramante dell’amica. Ma quando sentii il cancello schiantarsi, e le urla diventate più forti, iniziai a correre.
Sembrava un campo di guerra: Gente sanguinante, che gridava, rumori di ossa che si spezzavano, era un inferno. “MAMMA!” Chiamai contro la folla. Ma nessuno mi avrebbe sentito tra le grida. Una donna col suo bimbo in braccio mi venne di sopra, facendomi cadere all’indietro. Reggendomi sulle ginocchia, ricevetti un’altra botta, e non mi accorsi  che la bocca di quell’essere era a pochi centimetri dal mio avambraccio. 




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