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Chapter One -
We'll Meet Again
”.. e alla voce la nostra Wendy
Darry Abbott!” esclama nel microfono Brandon,
il mio chitarrista, al mio
fianco.
Odio quando la gente mi chiama con
il mio nome intero.. non amo sbandierare in giro il mio nome, per vari motivi
che elencherò più avanti.. ma alla
fine evito di guardare male Brandon, alla fine ormai il danno è stato fatto.
E nemmeno un danno stratosferico in
fondo.. cioè, per fortuna ha detto Wendy e non Wednesday.
Già, è così. Mi chiamo Wednesday,
come la ragazzina della famiglia Adams e come il quarto giorno della settimana
(ndA. In America i giorni si iniziano a contare dalla Domenica).. i miei
genitori sono tipi piuttosto originali, specialmente mio padre e, nonostante per
un periodo io li abbia detestati per questa scelta, ha iniziato a piacermi il
mio nome. Era unico, e mi rappresentava. La gente sotto il nostro palco inizia
a saltare e gridare esaltata. Non sono in tanti, saranno una sessantina, ma il
locale è piuttosto piccolo perciò sembrano il doppio di quanti siano in realtà.
Non avevo mai avuto così tanto
audience da quando ho lasciato il Texas.
Per volere di mia madre ovviamente.
Lei e mio padre si sono separati più
o meno sei anni fa e siccome lei è dell’Alabama, è tornata nel suo stato, nella
sua città, dai suoi parenti costringendomi ad andare con lei a Tuscaloosa,
facendomi mollare tutto, incluso mio padre.
Soprattutto mio padre.
E nonostante io non abbia mai amato
profondamente né il Texas né Abilene (dove sono cresciuta) devo ammettere che
Tuscaloosa fa proprio schifo. Volendo potrebbe anche essere vivibile.. ma, detto
sinceramente, senza mio padre e la mia vecchia vita, fa tutto un po’ schifo:
dalla casa in cui vivo, dalla scuola che frequento, dalla gente che vi si trova
all’interno, dalla gente che si ostina a voler essere amica mia quando io non ne
ho intenzione fino ad arrivare alla vita che faccio con mia madre.
No, non mi sta simpatica mia madre
se proprio volete saperlo.. dipende dai giorni. Ma sono più i giorni in cui non
la sopporto che i giorni in cui la vedo di buon occhio.
E’ una donna con un po’ troppa stima
di se stessa, crede di essere una gran gnocca e forse questa cosa compensa un
qualcosa visto che ogni tanto arriva a casa con nuovi strani fidanzati che
scarica dopo poco tempo.
Non che sia una brutta donna, anzi,
è molto attraente per l’altro sesso: bionda tinta, alta, occhi chiari, seno
prosperoso, abbastanza magra e look un po’ appariscente... però viene
penalizzata dal fatto che sa di essere bella, se ne convince e se ne approfitta.
E purtroppo viene più vista come una donna oggetto che come una madre.
Probabilmente è stato questo a permetterle di conquistare mio padre nei lontani
anni 80.. ma non ci giurerei, conosco mio padre e avrebbe accettato una donna
oggetto solo per una cosa da una botta e via. Di donne così ne ha avute a
quantità industriali.. ma non di certo per metter su famiglia.
Continuo da anni a ripetere a mia
madre che lasciare mio padre è stato un errore madornale e che non troverà mai
un altro uomo come lui, ma lei non mi ascolta mai. Anzi, spesso elogia gli
uomini che si porta a letto sottolineandone qualità che a sua detta ‘mio padre
non aveva’. Se lo dice lei.
Oltretutto a lei non importa un fico di quello che faccio, delle persone con cui
esco e soprattutto se mi piace o no vivere in una città con un nome così
assurdo.
Per
questo motivo la mia vita consiste in un'apparente routine (faccio credere a mia
madre che sia così, tanto non le verrebbe mai in mente di interessarsi e capire
se sto dicendo bugie): vado a scuola, torno a casa, studio, lei torna dal
lavoro tardi, si cambia ed esce di nuovo per poi tornare tipo all'una di notte.
Diciamo che ho imparato l'arte del vivere da sola a 14 anni, perché gira e
rigira in casa ci sono solo io.
All'inizio era un po' deprimente e ci rimanevo piuttosto male ogni volta che mia
madre se ne andava a divertirsi lasciandomi sola... poi ho iniziato ad
approfittarmene e ad invitare a casa i pochi amici che mi sono fatta a scuola..
oppure qualche ragazzo.
Ho decisamente un rapporto migliore
con mio padre.. lui ha sempre dato il massimo per me. A causa del suo lavoro non
ha mai avuto molto tempo da passare con sua figlia, ma ogni giorno cercava di
farmi capire quanto mi amasse e quanto tenesse a me. Nonostante il suo lavoro lo
impegnasse, lui era presente al mio primo giorno di scuola, alla mia maturità
dell’anno scorso, al mio primo concerto, dopo il mio primo appuntamento con un
ragazzo.. momenti che (spesso e) volentieri mia madre si è persa.
Mio papà mi ha avvicinata al mondo
della musica, mi ha insegnato a suonare la batteria, suo fratello mi insegnò a
suonare la chitarra, che all’età di sei anni ho deciso essere lo strumento della
mia vita oltre al canto.
Quando mi sono trasferita, anche se
non molto lontano, è stato atroce abbandonare mio padre, ma purtroppo non ho
potuto fare altrimenti, avevo 14 anni e lui per motivi di lavoro non avrebbe
potuto essere a casa per prendersi cura di me, perciò sono stata costretta a
vivere con mia madre.
Sono nata a Dallas in Texas ma ho
vissuto ad Abilene fino a pochi anni fa. Come ho già detto, non amo molto il
Texas..sono tutti fissati con la loro idea politica repubblicana (e talvolta
anche razzista), In God We Trust, la guerra è giusta solo se la facciamo noi,
viva gli americani, il popolo più fico etc etc.
Non mi sono mai vista molto in
questo pensiero e ho sempre cercato di distaccarmi, nonostante nella mia
famiglia fossero più o meno tutti così.. soprattutto mio padre e mio zio.
Ma non sto dicendo
che l’Alabama sia meglio. Questo
mai.
“Il prossimo pezzo è un pezzo
strumentale scritto dalla nostra cantante.. che in questo momento sarà anche la
nostra chitarrista solista” esclama
Brandon
Il pubblico esplode e vedo un gruppo
di ragazzi della band che suonerà dopo di noi fissarmi in modo curioso.
In effetti stasera sono l’unica
donna presente e nella sfera metal sono ben poche le ragazze che fanno parte di
una band.. soprattutto come chitarriste.
Stasera, per la prima volta, da quando non vivo più in Texas, mi sento
apprezzata per quello che faccio. Con la mia band (composta dai pochi amici
conosciuti a scuola di cui ho parlato prima) mi sento davvero me stessa, sento
di poter dare il meglio di me e di poter trasmettere a tutti quanti quello che
so fare, quello che provo suonando e quello che mi è stato insegnato.
Mi sposto verso la tenda che porta
nel piccolo backstage che ci hanno riservato, prendo la mia chitarra, la collego
all’amplificatore, regolo i volumi e ritorno davanti al microfono.
“Questa canzone” inizio “volevo
dedicarla ad una persona importante, che ha significato moltissimo per me:
Dimebag Darrel, che mi ha insegnato tutto ciò che so fare con questa.” indico la
chitarra.
La folla grida e esulta al sentire
il nome di uno dei chitarristi più amati del metal, del chitarrista che, nel suo
piccolo, ha fatto la storia, del chitarrista di una grandiosa band, i Pantera.
Il nome di mio zio.
I miei compagni iniziano a suonare e
dopo qualche secondo li seguo anch’io.
Sfioro le corde ed ecco che nella
mia testa si insinuano milioni di immagini del mio passato.. con due delle
persone più importanti della mia vita.
In another lifetime
She'll take another man
She's left me here to die!
Its killing me again!!!!!!!!!!
GOODBYE MYSTERY
GOODBYE PAIN
GOODBYE LOVE
WE'LL MEET AGAIN
(We'll meet again -
Pantera)
Hello people.
Primo capitolo di una storia nuova. Spero vi piaccia e che continuerete a
leggerla :D
Wendy
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