The
Angel of the Towers
Idea di Arwen297 –
Personaggi di Naoko
Takeuchi
Dedicata
alle vittime della tragedia
Che ha colpito l’America
l’11 Settembre 2001.
Oggi
è l’11 Settembre 2001, sono negli uffici del
giornale sportivo presso il quale lavoro, con sede nel Building 72 di
Liberty Street, Lower Manhattan. I raggi del sole illuminano la mia
scrivania coperta da bozze di articoli di giornali, ormai pubblicati,
mescolate a quelle che devo consegnare entro la fine della settimana,
la luce filtra attraverso la vetrata del mio studio dopo essersi
infilata tra le Torri Gemelle che occupavno tutto il mio orizzonte.
Lavorare in quest’ufficio mi riempe di orgoglio, mi fa
sentire al centro dell’universo, anche se in
realtà il centro del mondo è da tutti associato a
quei due mostri di cemento e acciaio che posso osservare seduta
comodamente alla mia scrivania. Questa mattina sono giunta in ufficio
alle otto e mezza, mezz’ora di anticipo sul mio normale
orario lavorativo, questo per cercare di portarmi avanti con gli
articoli in modo da non giungere esaurita a questo venerdì.
Bionda con gli occhi verdi, fisico androgino, sono consapevole di
rappresentare il desiderio di ogni donna che ho incontrato durante la
mia esistenza. E questo oltre a divertirmi, mi lusinga. Sono riuscita
ad evitare il matrimonio con una pazza isterica quando ancora risiedevo
nel Wiscosin. Si Avete capito bene, mi stavo per sposare con una donna.
Sono lesbica, problemi? In alto, a destra del tuo fottuto schermo
c’è una croce rossa. Sei pregato di cliccarla, e
di portare il tuo brutto muso lontano da queste parole. Degli omofobi
come te non me faccio un cazzo.
Di cosa vi stavo parlando? Ah si! Di quella pazza isterica che ha
tentato di incastrarmi con il matrimonio quando ancora non ero una
cittadina di New York. Da allora ho avuto molte donne e molte altre
storie, durante al massimo qualche mese. L'unica eccezione a tutte loro
è stata Michiru Kaioh, la mia attuale compagna, manager del
punto vendita Tiffany e Co. che si trova esattamente dieci piani sotto
al mio ufficio. Entrambe gelose della nostra indipendenza, siamo giunte
a validi compromessi per rendere il nostro rapporto duraturo nel tempo.
Ci vediamo tutti i giorni, ma per scelta che sta bene ad entrambe,
conviviamo solamente nei week and. L’unico incontro
giornaliero si riduce al pranzo, che puntualmente consumiamo insieme,
poi il resto della giornata ognuna di noi lo trascorre immersa nei
propri impegni e nelle proprie passioni. Troppo egoiste per
sacrificarci a favore della nostra storia d’amore. Io fin da
quando ero al Liceo e poi al Collage amo le moto e le corse
motociclistiche, e appena ne ho l’occasione non perdo la
possibilità di salire in groppa alla mia bambina, una Ducati
Desmo 16 nera e argentata, correre mi fa sentire libera, un
tutt’uno con il vento. Può sembrare strano ma a
volte mi sembra quasi che lui mi parli. Michiru invece è la
parte mondana della coppia, nel tempo libero è sempre
impegnata con i concerti di violino in cui non ha eguali, se non ha
concerti da svolgere cercava comunque di presenziare a qualsiasi evento
cinematografico, di musica o di teatro per cui New York è
elogiata – giustamente – in tutto il mondo. Viviamo
la nostra intimità nel fine settimana.
Quando alle 8.45 il volo numero 11 del American AirLines colpisce la
Torre Nord, io ho appena finito di espandere una delle bozze dei mie
articoli, lo schianto produce un boato così assordante che
per garantire l’incolumità dei miei timpani porto
istintivamente le mani a proteggermi le orecchie. Ancora incapace di
definire con precisione la causa di quel rumore così forte
mi giro verso la fonte di tutto quel casino, mi avvicino alla finestra
e comprendo in fine che c’è stata
un’esplosione in cima alla Torre Nord. Le mie iridi si
imbattono in una nuvola di fumo nero, misto a fuoco e fiamme, una
visione quasi infernale, dalla finestra del mio studio leggermente
aperta si diffonde un odore acre, che va a mischiarsi con lo smog e
l’odore di fritto delle bancarelle che vendeno cibi poco
salubri lungo le strade. Il risultato di questa unione è
molto simile al gasolio, ma non è certamente la stessa cosa.
Questo è l’odore della morte.
Alle 9,03 quando il secondo aereo colpisce la torre Sud sono in strada
che discuto con alcuni miei colleghi e conoscenti, stiamo cercando di
capire cosa stia accadendo, intorno a noi il caos più
completo: grida, pianti…sembra di essere protagonisti di un
film ad alta tensione, ma purtroppo questa non è la scena di
nessun film, è la pura e tragica realtà. Di
fronte a questo secondo impatto la maggior parte delle persone corre
per allontanarsi il più possibile da quei mostri che pian
piano stanno andando in fiamme, trasformandosi in un inferno. Sono
pienamente cosciente che prima di allontanarmi il più
possibile dalla zona, devo trovare Michiru, non posso lasciarla qui,
quando molto probabilmente è totalmente ignara di
ciò che sta accadendo presa com’è dai
problemi del suo punto vendita, mi dirigo correndo verso il negozio
dove lei lavora, le sue colleghe stanno tirando giù le
saracinesche, ma non mi fermo a quella visione, entro nel negozio con
la potenza di un uragano.
“Dov’è
Michiru?” chiedo ad alta voce, con un groppo in gola mentre
le mie iridi saettano da un volto all’altro alla ricerca di
colei che amo. Sono tutte qui, ma la mia Sirenetta no.
“Dov’è?” chiedo una seconda
volta, la mia voce ha quasi un tono isterico, arrabbiato. Spaventato.
“Dov’è?” chiedo per una terza
volta, a quell’ennesima richiesta di informazioni si fa
avanti Marta, una biondina americana collega della mia compagna, sembra
tremare come una foglia mentre compie qualche passo nella mia direzione
uscendo dalla penombra del negozio. “E’…
è uscita… aveva una riunione importante con uno
dei nostri più importanti clienti…è al
World Trade Center” sussurra con un tono di voce pari a un
fruscio. Queste parole hanno su di me l’effetto di una doccia
fredda, devo trovarla, a qualsiasi costo. “Michiru
è la in mezzo?” il mio gridò sovraumano
aumenta se possibile ancor di più la tensione che si respira
qua dentro. “In mezzo a quell’inferno?”
non ci posso credere, questo è sicuramente il peggiore dei
miei incubi più reconditi. Michiru cazzo con tutti i giorni
che avevi per la riunione proprio oggi dovevi andare. Non
posso fare a meno di pensare ciò. “Dove Marta? A
che piano è? in quale Torre??” chiedo cercando di
ricacciare indietro il glaciale terrore di non rivederla
più, e all’improvviso capisco quando sia stato
stupido da parte nostra non sfruttare tutto il tempo a nostra
disposizione per vivere la nostra storia. Con tutte le persone malvagie
in questo mondo, proprio lei deve essere li in questo momento? Marta mi
fissa con i suoi occhi azzurri colmi di lacrime, so quanto sia legata a
Michiru, soffre quanto me.
“E’
all’ultimo piano della Torre Sud. Mi dispiace Haruka, mi
dispiace davvero.” Mi dice lei abbassando lo sguardo. Senza
sentire altro mi volto e raggiungo l’ingresso del negozio, la
fiumana di gente è impressionante, sembra un fiume in piena
riempe l’intera via dilagando in parte anche nelle corsie
riservate alle automobili. Il caos regnava sovrano, le sirene entrano
nel cuore delle persone e sovrastavano tutti i rumori circostanti,
tutti tranne uno. Il rumore del fuoco che lambisce le strutture in
ferro e cemento delle due colonne che uniscono la terra al cielo,
è ancora vivido, presente e soprattutto terrificante. Avanzo
lentamente, in fondo credo di essere una delle poche a muoversi in
direzione dei due grattaceli, e tutte queste persone hanno la forza
trascinante di una corrente d’acqua, mentre continuo a
camminare e spingere a gomitate chi mi si para davanti, prendo il mio
telefono e la chiamo, uno, due squilli e poi la segreteria telefonica,
con il telefono all’orecchio continuo ad avanzare mentre il
mio dito schiaccia freneticamente quel piccolo tasto verde nella
speranza che primo o poi Michiru risponda.
Quando giungo nei pressi dell’entrata principale del World
Trade Center osservo con un po’ di sollievo che sono
già arrivati i pompieri, alcuni si preparano per entrare
nella torre, altri entrano dentro proprio sotto i miei occhi. Giovani
uomini, padri di famiglia che nonostante le speranze di salvezza siano
minime non si sottraggono al loro dovere, ma cercano invano di salvare
più persone che possono. Il cellulare della mia Michi
però, alla mia ennesima chiamata non squilla più.
E’ spento. Una tristezza, che in seguito sfocia in un dolore
puro, devastante mi pervade, le gambe non mi sorreggono più,
sono costretta ad inginocchiarmi in terra, il palmo della mano sinistra
aperto a contatto con il nero dell’asfalto, la mano destra
chiuso in un pugno che colpisce il suolo con un’ira funesta,
e soprattutto impotente, mentre piccole gocce salate cadono tra le due.
In questo preciso istante, a circa due metri da dove sono io cade un
corpo umano, lo schianto e degno dei migliori film horror, il rumore
delle ossa che si spezzano e della carne umana sfracellata giungono
chiare alle mie orecchie, mentre schizzi sanguinei e frammenti di ossa
mi colpiscono in pieno viso. Questa visione così
terrificante fa si che in me torni un po’ di
lucidità, volgo il mio sguardo verso l’alto, alla
colonna di fumo che brandisce le torri, vedo altri corpi di disperati
che cadevano nel vuoto, non so neanche io cosa mi spinge a chiedere a
Dio di far si che la mia Michiru trovi la forza necessaria per fare
ciò che sta facendo la maggior parte delle persone
intrappolate nei piani al di sopra dell’incendio, qualsiasi
cosa purché non bruci viva, morendo in un modo
così atroce. Non degno di una creatura così dolce
e aggraziata. Trovo anche la forza per alzarmi nuovamente in piedi, ma
prima di poter anche solamente realizzare cosa posso fare, come posso
raggiungerla, due Vigili del Fuoco mi raggiungono e mi afferrano quasi
di peso intimandomi di allontanarmi da quella zona per preservare la
mia incolumità.
“La dentro, c’è la mia
donna!!!” urlo disperata con le lacrime che tornano
nuovamente a far breccia nei miei occhi “Lasciatemi andare,
devo raggiungerla!” probabilmente le mie parole sembrano
quelle di una pazza al di fuori di se stessa, e forse è
proprio così. Ma quando l’unica ragione della tua
vita è condannata ad una morte così atroce cosa
puoi fare se non seguirla? Con quale forza potrei mai in futuro
affrontare la vita, con il suo ricordo scavato nel mio essere?
Mi guardo intorno e dopo qualche istante vedo un piccolo vicolo cieco
che divide due palazzi, lo raggiungo e dopo aver compiuto qualche passo
verso la sua fine tiro nuovamente fuori il telefono in quello che
è un ultimo, disperato tentativo di mettermi in contatto con
lei. Niente. Spento. Dolorosamente Irraggiungibile. Come il mio cuore
dopo questa mattina.
Improvvisamente però intorno a me sento una brezza leggera,
innaturale oserei dire visto che l’aria e calda, piatta,
soffocante. Un sibilo molto simile a quello del serpente a sonagli
giunge alle mie orecchie, spingendomi a volgere lo sguardo verso
l’alto. Una decina di metri sopra di me scorgo una figura
diafana, quasi trasparente sembra fatta d’acqua con due ali
trasparenti da libellula, il viso coperto da una mascherina di quelle
per carnevale, intorno a me i giornali vecchi volano impazziti quasi in
preda di un uragano. Man mano che quella figura scende temo il peggio,
chissà perché il mio pensiero crede che quella
è Michiru, il mio dolce angelo venuto a salutarmi per un
ultima volta prima di lasciare per sempre questo mondo. Quando quella
strana visione arriva a terra però, la mia visuale registra
tra le sue braccia un corpo inerme, il volto arrossato e sporco di
cenere, i vestiti bruciati in più punti e scottature che non
sembrano gravi sulla sua pelle candida. Quei capelli così
simili al mare che tanto adoro accarezzare. La figura quasi invisibile
mi fissa in silenzio, le sue forme si fanno più nitide pur
rimanendo quasi trasparenti, davanti a me ho un corpo di ragazza sui
diciotto anni, i capelli cortissimi di uno scuro blu, dopo qualche
istante la maschera scomparve dal volto di quell’ancestrale
creatura di cui non credo, anzi ignoro la vera esistenza. Quegli occhi
blu così identici a quelli di Michiru non li
dimenticherò mai e poi mai. “Lei non merita una
morte così atroce, portala via. Mettetevi in salvo
finché siete in tempo” Mi dice la ragazza.
“Non parlare di questo incontro, ti prenderanno solamente per
pazza, e poi morirete entrambi se solo pensi di farlo”
continua “Ora prendila e corri, il tempo che vi rimane e
veramente poco, se indugi ulteriormente potreste non farcela”.
Appena sento la presenza del corpo della donna che amo tra le braccia,
la forza della disperazione mi spinge a correre per la strada ormai
totalmente deserta a parte la presenza di qualche disperato che spera
ancora di veder comparire sull’ingresso i propri cari.
Sono le 10,07 quando la Torre Sud del World Trade Center collassa su se
stessa cadendo rovinosamente a terra, noi siamo
sull’autoambulanza già da qualche minuto, i medici
si prendono cura della mia dolce Sirenetta, le scottature non sono
gravi, e i parametri sono ottimi anche se lei non ha ancora ripreso
conoscenza. Ha la maschera di ossigeno per aiutarla a respirare dopo
tutto il fumo che ha inalato. Alle 10.28 anche la seconda e ultima
torre si arrende al suo destino, portando con se le vite di migliaia di
innocenti.
Fine
Flash Back.
Sono passati ormai dieci anni da quella tragica mattina, sono seduta
qui sulla poltrona, io e Michiru ci siamo finalmente sposate, e grazie
alle due torri abbiamo capito che forse possiamo mettere da parte il
nostro egoismo per permettere ai nostri sentimenti di manifestarsi ogni
volta che ne sentiamo bisogno, senza aspettare i week and. Sulla
televisione passano le immagini di quei terribili attimi, seguiti dai
giornalisti che parlano della cerimonia di commemorazione dei caduti
del 11 Settembre. Michiru è convinta che sia stato un angelo
a portarla via da quell’inferno, ricorda solamente di aver
sentito qualcosa che la sollevava verso l’alto poco prima di
svenire poi più niente. La versione ufficiale in possesso
della polizia e che io l’ho ritrovata a circa un centinaio di
metri dalla torre, ma la realtà e che nessun soccorso
è arrivato all’ultimo piano della Torre Sud, ne di
quella Nord, e lei è l’unica sopravvissuta tra le
persone che vivevano quegli attimi. Un autentico miracolo. In seguito
mi ha parlato di aver avuto una sorella, morta a diciotto anni
nell’incendio scoppiato repentino all’interno della
scuola, si chiamava Amy. Ha ammesso di non averne mai parlato
perché quel pensiero le faceva male nel profondo della sua
anima, mi ha fatto anche vedere una foto di loro due insieme e, se
prima possedevo qualche dubbio, ora sono perfettamente certa di chi
potesse essere “L’angelo delle due torri”.
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