Ok,
questa cosa svenevole è il mio stramaledetto finale
immaginario,
perché li amo troppissimo e sono meravigliosi. Ora
sparatemi,
grazie. Fatelo come gesto di generosità.
L'uomo
giusto
Mi
chiamo Stuart Alan Jones, ho trentaquattro anni: non ancora
propriamente vecchio, decisamente non più giovane. Vorrei
esserlo
ancora. Ma non, come pensavo, per il rimpianto dei duemila e passa
uomini con cui ho fatto sesso, secondo una stima approssimativa. Vorrei
essere ancora giovane per farmi con l'uomo giusto una, solo una di quelle
interminabili, torride, eterne e perverse scopate che fisicamente si
possono fare solo prima dei venticinque anni.
Non
voglio parlare dell'uomo giusto per parlare dell'amore: non ci ho mai
creduto, in quelle stronzate sull'anima gemella, sulla monogamia, sul
voler passare tutta la vita insieme perché si ha perso la
testa. Io
non ho mai perso la testa, l'amore mi fa ridere e quanto al voler
passare tutta la vita insieme, bene, l'uomo giusto è quello
con cui
non è che vuoi passarci la vita insieme: succede
e basta.
“Cosa
stai leggendo?”
Stuart
chiude il notebook con un movimento secco, storcendo le labbra in una smorfia scocciata.
“Sto
rileggendo un articolo che ho scritto,” risponde con tono
soddisfatto.
Vince
scoppia in una di quelle sue risatine di scherno un po' incredule,
quelle che gli somministra da vent'anni.
“Tu?
Un articolo?” ripete ridacchiando, mentre si stravacca sul
letto lì
accanto. “E di cosa parlerebbe, dio santo?”
continua, senza
frenare minimamente l'ilarità.
Stuart
gli rivolge un sorriso artefatto e condiscendente.
“Ho
intenzione di fare dono alle future generazioni della mia immensa
esperienza,” afferma tronfio, nella sua maniera di obliqua
ironia.
“Uao!”
ridacchia ancora Vince, strapazzando il cuscino. “Come sei
magnanimo!” Si rimette a ridere. È odioso quando
lo fa, aspettando
il momento in cui lui si incazza per poi farlo notare. “Tu,
un
articolo! Chissà quante stronzate riuscirai a far stare in
una
pagina,” conclude, scuotendo piano la testa.
“Ehi,
guarda che facevo il pubblicitario,” ribatte Stuart, col tono
idiota che gli esce quando cerca di
fargli il verso. “Ci so fare con le frasi ad
effetto.”
“Ooh,
davvero?” Vince, sempre ugualmente ilare, non pare
granché
impressionato. “Allora fammelo leggere,” propone,
raddrizzandosi
per puntare lo schermo.
“Nemmeno
per idea,” si oppone fermamente Stuart, sdegnoso.
“Non è per te,
questa roba,” aggiunge, quasi petulante.
“E
dai, fammelo leggere!” insiste Vince, adesso persino curioso.
Allunga la mano, tentando di riaprire il notebook. “E fammelo
leggere!” protesta, quando lui lo allontana a manate.
“E
levati!” lo respinge Stuart, spintonandolo indietro sul
materasso.
“Quanto sei asfissiante, cazzo,” aggiunge
sbuffando, prima di
alzarsi dalla sedia. Vince smette di ridere poco a poco, ma non di
sorridere con l'espressione di chi la sa troppo lunga, che dà ai nervi.
“E
cosa cavolo sono, le tue memorie?” osserva sarcastico,
rimanendo
stravaccato sul letto.
Stuart
non si degna nemmeno di rispondere, iniziando a sbottonarsi la
camicia.
“Mi
devo sbrigare a fare una doccia, altrimenti perdiamo
l'aereo,”
constata indifferente, avviandosi verso il bagno.
“Australia,
arriviamo,” canticchia Vince senza poter nascondere
l'eccitazione.
Stuart
dà un sospiro rassegnato, imboccando la porta del bagno.
Aspetta
discretamente un attimo, prima di chiuderla, osservando Vince nel
riflesso dello specchio, mentre si alza a sedere e si avventa sul
notebook, aprendolo. Sorride tra sé, prima di chiudersi la
porta
alle spalle.
...succede,
e basta. L'uomo giusto è quello che puoi guardare
negli occhi per
cinque minuti, con nessuna ragione particolare o magari anche solo
perché ti ha fatto incazzare, senza sentirti minimamente in
imbarazzo. Quello che non ha bisogno di importi niente,
perché gli
va bene quello che ha esattamente com'è, con tutto lo schifo
che
significa. Quello che non è una cazzo di folgorazione, come
quella scemenza delle frecce del dio alato chiappe all'aria.
Non
succede niente di particolare se non che a un certo punto lo sai,
che è lui,
quando lo è già da un pezzo. Quando
“tutta la vita” sta già
succedendo, da talmente tanto tempo che sentirsi in gabbia non ha
proprio più senso.
Se
devo dire tutta la verità, il mio uomo giusto è
pessimo. È un
tizio che prima di scopare piega i pantaloni e li appoggia sullo
schienale della sedia. Giuro che lo fa, e non credetegli se lo nega.
È ricercato in almeno tre stati, fra cui il suo paese
natale, ma
piega ancora i cazzo di pantaloni.
Però
poi si avvicina, senza aver bisogno di spostare lo sguardo, e si
dimentica chi è. L'uomo giusto se lo dimentica, e lo fa
dimenticare
anche a te. Non bastano dieci minuti per arrivarci, forse nemmeno
dieci anni – non per me, comunque. Per me è dovuto
saltare in aria
il mondo perché saltassimo in aria anche noi due, liberi dai
vecchi
ruoli, dall'altra parte del pianeta, a riscoprirci.
Vince
fa poi ancora scorrere lo sguardo sulle ultime due frasi, prima di
soffocare l'ennesima risata un po' intontita e scrollare la testa.
Stringe le labbra, sbuffando,e si alza lentamente in piedi,
richiudendo il notebook. Raggiunge in qualche falcata la porta del
bagno e la socchiude, scivolando all'interno.
Stuart
è sotto il getto della doccia, nudo e bagnato. Vince gli fa
un
sorriso quasi di cortesia, prima di iniziare a aprirsi la cerniera e
far scivolare i pantaloni a terra, per poi strattonandoseli via dai
piedi. Stuart lo osserva senza quasi muoversi, poi aggrotta la
fronte.
“Cosa
cazzo stai facendo?” soffia.
Vince
sgrana gli occhi, come sbalordito.
“Non
si vede?” ribatte, lisciando il tessuto col palmo della mano.
“Sto
piegando i pantaloni.”
Nella
doccia Stuart scoppia a ridere, sorreggendosi col gomito alla parete.
“Ehi,
guarda che è una cosa sexy,” insiste Vince con
aria convinta.
Stuart
scrolla la testa, senza smettere di ridacchiare.
“Dio,
sei veramente...”
“Pessimo?
Sì, ma a te piace,” conclude Vince, tirandosi via
la maglietta, e
poi quel che rimane dei vestiti.
“L'hai
letto,” osserva Stuart con accusa.
“L'hai
lasciato lì apposta,” risponde Vince senza battere
ciglio, e
l'altro è costretto a stringere le labbra in una smorfia
seccata,
perché è vero e naturalmente lui se
n'è accorto.
E
Vince si avvicina al box, facendo per entrarci anche lui. Si
trattiene per un secondo.
“Stiamo
per perdere l'aereo,” afferma, con aria fintamente costernata.
“Che
peccato,” sbuffa Stuart con un sogghigno ironico.
“Ehi,
non era male, l'ultimo pezzo,” aggiunge Vince con un sorriso
sbilenco, prima di spingerlo indietro, addossato alla parete, e
sporgersi a baciarlo con decisione, la lingua che scivola sicura
contro la sua e le sue mani, la sua pelle stretta addosso.
Stuart
lo avvolge a sé, sorridendogli contro.
...dall'altra
parte del pianeta, a riscoprirci. Sì, perché
magari ormai abbiamo
più di venticinque anni, ma facciamo del nostro meglio e ci
difendiamo ancora piuttosto bene. Ed ogni volta è un fottuto sballo.
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