1. Il mare e la bambina
Una piccola raccolta di riflessioni
accumunate tra loro dallo stesso protagonista. Questi brevi capitoli
sono nati tutti insieme durante una serata estiva particolare e
significano molto per me. Mi piacciono quasi, ma non li reputo le mie
opere migliori comunque. E' una storia con un finale triste - siete
avvisati - ed è un po' senza speranza. Buona lettura.
Jest let us
1. Il mare e la bambina
Il sole tramonta. Giorno dopo
giorno, si avvicina sempre più all’isola, ben presto
scenderà verso il mare alle sue spalle. L’acqua si tinge
di rosa, e così il cielo, fino a virare verso il viola, e poi il
blu della notte in cui sfuma la fine della giornata.
Ci si rimpinza più che si
può, si scacciano le vespe richiamate dall’odore di cibo;
sembra di essere un branco di animali affamati, per i primi due minuti
quasi non si alza il viso dal piatto e sono sufficienti a ripulirlo del
suo contenuto. Si acchiappano le bottiglie di birra, di coca-cola,
d’acqua.
È una comune cena della
seconda metà d’agosto, già s’immagina di
percepire la brezza settembrina dell’autunno che saluta
l’estate – si abbracciano, prima che quest’ultima si
congedi.
La ragazza ha sentito gli occhi
mutare, fissi nello sguardo verde bottiglia del mare in cui si
riflettono le nuvole che coprono il sole delle
poco-più-che-quattro del pomeriggio. Ha sentito le sue iridi
virare il proprio colore verso un’oscurità simile a quella
delle profondità sotto la superficie del Mediterraneo a pochi
metri da lei. Ha pensato – e ne era sicura, forse in un impeto di
voglia di essere speciale – di poter comunicare attraverso il
corpo con l’acqua, che ballarci dentro fosse stabilire
un’unione indistruttibile. Si è illusa che il mare
ricordasse i suoi canti da bambina – stupide canzonette e sigle
dei cartoni amati – e le ore trascorse tra i flutti. Magari il
mare, d’improvviso, può renderla sua figlia, potrebbe
percepire il suo disappunto nel veder spuntare bottiglie di plastica e
altri rifiuti e rimembrare quando con un corpo più giovane
ripuliva quella grande distesa con un lavoro semplice, ingenuo, pieno
di fiducia. Il mare potrebbe accoglierla e rispondere alle sue domande:
cosa mi appesantisce, cosa mi ruba la forza?
E allora si fissano il mare e la
ragazza. Ha dimenticato i suoi quesiti – messi da parte –
c’è il vento fra i capelli e la barca che accelera la
velocità e l’imponente – infinita? - pietra
dell’isola invincibile e misteriosa. C’è il silenzio
innaturale creato dall’acqua contro i fianchi della barca.
C’è l’odore di mare, quello che d’inverno
s’infiltra nelle sue narici anche se lontanissimo.
Dal terrazzo con lo sguardo si
può abbracciare una piccola porzione del golfo, le luci dei
paesi vicini e lontani, i fari delle auto sulle strade costiere.
Non fa male fissare il sole tramontare per un istante.
La cena è un rito, tutto
sommato. Potrebbe sembrare che sia sempre uguale, ma sono i particolari
a modificare tutto – come la vita. (Ha mentito, non
c’è mai alcuna differenza).
Si prepara il caffè, alla
fine. Proprio un attimo prima, la sensazione di tranquillità di
una vita ’normale’, uno stomaco pieno – quasi troppo
– e rimanere in famiglia. Poi arriva. Arriva sempre, a un certo
punto. È una sorta d’allarme. Quando le cose vanno bene, o
ci si vuole adeguare al comportamento giusto, credere di essere al
proprio posto. È una morsa al cuore, neanche troppo dolorosa,
sono le riflessioni, dopo, che fanno male. Dissanguano. Si cerca di
aggrapparsi alla precedente quietezza, ma è già lontana,
anni luce. “Il fumo esce dalla sigaretta, ma non torna mai
indietro”*. Il disagio arriva, ma non va mai via.
“Non c’è bisogno
di drammatizzare tutto” - lo ricorda, l’ha detto ad alta
voce nella sua testa poche ore prima ed è ricaduta nel tranello.
Sono piccoli suoni e piccole lettere e piccoli sapori: lacerano tutto.
Non sta bene, non è felice. Prega che gli altri non ne facciano
una gran tragedia – come poi lei fa, però –
perché non saprebbe come spiegarlo. È vedere il mondo
crollare, le persone stare male, avere sotto mano delle meraviglie
luccicanti e bellissime e non poterne fare parte (voler essere
inglobati nel mare, sciogliersi tra le onde e il sale ed essere
particelle di un tutto gigantesco e malinconico e nostalgico e
infinito, che l’uomo mai potrà domare – distruggere,
sì, ma corrompere come i suoi simili no) (leggere, e vedere
dipinti e non essere in grado di eguagliarli – non riuscire a
esprimere la sensazione di casa e di piccolo dolore fanciullesco e
potente che certe cose provocano).
Si continua a discutere, sopraffacendo – almeno provvisoriamente – il frastuono dentro l’anima.
* Citazione da "Mr. Nobody", film del 2009.
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